L'imperialismo unitario

Arrigo Cervetto (1950-1980)

 


Trascritto per inetrnet da Dario Romeo, maggio 2001


Capitolo nono
LA QUESTIONE CINESE, 1959-1969

Nota introduttiva
Cronologia
Le "Comuni popolari" e lo sviluppo del capitalismo in Cina
Ruolo oggettivo della Cina nella lotta internazionale della classe operaia
Lenin e la rivoluzione cinese
L'internazionalismo proletario e la rottura cino-sovietica
Né Mosca né Pechino
Punti fermi sulla questione cinese
Russia e Cina: un conflitto capitalistico
La teoria maoista del Fronte Unito

Nota introduttiva
Nelle precedenti cronologie, relative alle fasi della guerra fredda e della destalinizzazione, l'incipiente dissidio russo-cinese è sempre stato collocato in relazione al contenzioso diplomatico russo-americano, e al fatto che al nodo tedesco si ricollega il nodo asiatico, che alle trattative per la denuclearizzazione della Germania si ricollegano le trattative per la denuclearizzazione della Cina e del Giappone, che allo scoppio della crisi di Formosa si ricollega la crisi di Berlino.

Il rilievo che solitamente viene dato al fatto che Kruscev, nel suo viaggio del luglio 1958 a Pechino, avesse criticato le iniziative interne cinesi delle "Comuni popolari" e del "grande balzo in avanti" è cosa che rientra nel corollario delle giustificazioni ideologiche sovrapposte ad uno scontro di interessi. Lo storico francese della diplomazia, j. B. Duroselle, accoglie la controversia ideologica in poche righe, dicendo che l'iniziativa delle Comuni consisteva "in una collettivizzazione brutale dell'agricoltura" e il "balzo in avanti" in un tentativo, "che i leninisti puri consideravano "avventurista"", di passare direttamente dalla fase della democrazia popolare a quella del comunismo, senza passare attraverso la fase di transizione del regime socialista in cui l'ineguaglianza sussiste secondo la formula: "a ciascuno secondo le sue capacità". Dato che l'Unione Sovietica, dice Duroselle, si trovava ancora nella fase socialista, essa riteneva irrealizzabile il tentativo cinese. Lo storico, però, deve precisare che "in ogni controversia fra Stati socialisti vi sono sempre due aspetti: quello della dottrina e quello dei fatti". I fatti dimostreranno che le iniziative della via nazionale cinese non potevano costituire una scorciatoia al... comunismo. Basteranno infatti due cattive annate agricole, nel 1959 e nel 1960, per mettere in crisi il balzo in avanti delle Comuni. Nell'articolo che apre questo capitolo è dimostrato che cosa, in concreto, potevano rappresentare le Comuni: "un tentativo di concentrare tutte le energie presenti di forza lavoro e di livello tecnico al fine di garantire il minimo indispensabile all'accumulazione", non potendo la Cina contare su "aiuti" sovietici adeguati.

La controversia cino-sovietica, più che l'ideologia, riguardava il nodo della consistenza pacifica con l'imperialismo americano. Nelle relazioni internazionali tra i due Stati motivo di dissidio e di scontro era poi la storica via delle Indie dell'espansionismo grande-russo. Da qui le opposte posizioni sugli incidenti armati alla frontiera tra la Cina e l'India e sulla rivolta del Tibet nel 1959. Interessi divergenti saranno motivo di scontro nel 1962, durante le operazioni militari fra Cina e India, quando i cinesi mettono in discussione la linea MacMahon, fissata al tempo della dominazione britannica, e fanno giungere sull'Himalaya un grosso contingente di truppe per obbligare gli indiani alla rettifica di frontiera, mentre i sovietici appoggiano l'India e la riforniscono di armi. Le divergenze sull'India si aggraveranno ancora dopo l'accordo di frontiera concluso dalla Cina col Pakistan nel 1963 e soprattutto in occasione del conflitto indo-pakistano scoppiato nel 1965.

È merito degli articoli, scritti come commento agli avvenimenti, aver tralasciato l'aspetto della propaganda ideologica originata dalla controversia ed aver puntato subito al nodo del rapporto fra gli Stati. Del resto il contrasto cino-sovietico veniva ad inserirsi nel corso dell'imperialismo unitario, corso analizzato da alcuni anni.

Le aberrazioni del culto del "Mao Tse-tung pensiero" non potevano, di certo, costituire un motivo che potesse distogliere il filo dell'esame; neppure per essere contestate.

Il fatto della rottura fra Cina e URSS era troppo importante perché non ne fossero tratte subito, sul piano dell'analisi, le conseguenze sui rapporti reciproci del sistema degli Stati. Ben presto la rottura alimenta numerosi incidenti di confine e ne è, a sua volta, alimentata.

Incidenti si verificheranno a partire dal 1961-1962: quelli ai confini tra la provincia esterna del Sinkiang e l'URSS; quelli provocati dai Kazaki di nazionalità cinese quando tentano di passare nel Kazakistan sovietico; quelli provocati dai musulmani ribellatisi ai cinesi nella vallata dell'Ili. A partire dal 1963, però, i cinesi incominciano a rivendicare modifiche ai "trattati ineguali" di Aigun e di Pechino, imposti dalla Russia zarista alla Cina nel XIX secolo. Nel settembre 1963 scoppia un violento incidente alla stazione di frontiera di Nauki, tra la Mongolia e l'URSS. Nel 1964, proprio al tempo dell'allusione di Suslov, Mao Tse-tung ritorcerà sui russi la responsabilità di una usurpazione più tangibile di quella farsesca del culto della personalità: "Circa cento anni fa - dirà denunciando l'usurpazione territoriale - la regione orientale del Lago Bajkal è divenuta territorio russo. Dopo di allora Vladivostok, Habarovsk, la Kamchatka ed altre regioni sono divenute territori sovietici. Non abbiamo ancora presentato il nostro conto per questa serie". Subito dopo verrà pubblicata una carta dei territori cinesi "accaparrati dagli imperialisti": non solo quelli himalayani contesi all'India e alla Birmania, ma anche quelli dell'Estremo Oriente sovietico a Nord est della Cina e larga parte delle Repubbliche Sovietiche del Kazakistan, del Kirghizistan e del Tagikistan.

Nel 1966 scoppiava in Cina la "rivoluzione culturale", che aggravava le relazioni con l'URSS facendo dire ad un dirigente cinese che un milione e mezzo di chilometri quadri di territorio cinese erano stati rubati dai russi nel XIX secolo. Il Presidente dell'URSS N. Podgorny rispondeva proclamando l'inviolabilità delle frontiere sovietiche e nello stesso anno le truppe cinesi sparavano sui battelli russi lungo il fiume Amur. I sovietici inviavano in Estremo Oriente 12 divisioni di prima linea e 5 divisioni di riserva, mentre i cinesi addensavano 50 divisioni nel Nord est e 500.000 uomini lungo le frontiere occidentali del Sinkiang. Dopo che le tensioni nazionalistiche si sfogarono con incidenti presso le rispettive ambasciate, nel marzo 1969 gli incidenti armati di frontiera sfociarono in un conflitto di una certa consistenza lungo il fiume Ussuri, dove guardie di frontiera e truppe regolari dei due paesi "socialisti" si scontrarono ripetutamente per conquistare, perdere e riconquistare un fantomatico isolotto di nome Damanski, sommerso dalle acque per gran parte dell'anno. Damanski diventava così emblematico di un conflitto capitalistico generato nel tempo dalla controrivoluzione staliniana.

I saggi qui raccolti, due dei quali, "Lenin e la rivoluzione cinese" e "La teoria maoista del fronte unito", già editi in opuscolo durante la battaglia contro l'influenza del maoismo in Italia, formano un capitolo omogeneo sulla questione cinese vista nel quadro della rivoluzione proletaria internazionale. Il saggio conclusivo, quello sulla teoria del fronte unito, è del 1969. A confronto con quanto la speculazione editoriale ha messo in circolazione dopo, sull'onda dei movimenti spontaneisti piccolo borghesi, e con le vicende poco edificanti del dopo Mao, si può giustamente ripetere quanto si diceva in una nota al tempo del conflitto di Damanski: "La storia, che è storia di classi e di lotta di classi, ha più ironia e testardaggine che qualsiasi individuo, grande o piccolo che sia. L'individuo è frazione di tempo, è mortale, non può attendere e perciò è ingannato. La storia è il tempo, può attendere e non si lascia ingannare. Sa che verrà il giorno in cui si vendicherà stabilendo la verità: questa è la sua ironia".

L'ironia della storia ha già fatto giustizia dello stalinismo e del maoismo, ma ha lasciato nell'individuo "immediatista", nella fattispecie un "intellettuale organico" con le ideologie dell'opportunismo socialimperialista, l'illusione che la "rivoluzione di Mao" abbia generato nei cervelli degli individui la convinzione che "si può cambiare la mentalità, si può organizzare l'utopia, si può portare la politica al primo posto, senza arrendersi alle ragioni dell'economicismo assoluto".

Meglio così, perché al tempo dell'infatuazione maoista qualcuno aveva scritto che Mao fu tanto antileninista nel suo atteggiamento contro il partito, depositario della vera coscienza rivoluzionaria, da invitare le masse a ribellarsi contro il partito e le sue organizzazioni durante la rivoluzione culturale. Un episodio come quello strumentalizzato nel 1966, espresso dalle lotte di potere (ridimensionato nel dopo Mao con la faccenda della "banda dei quattro"), piegato alle esigenze di mobilitazione delle masse nelle difficoltà del processo di accumulazione capitalistica dell'economia cinese, amplificato all'estero dalla frattura di natura capitalistica fra i due Stati "socialisti", si è avuta la pretesa di elevarlo a prova tangibile della superiorità teorica del maoismo sul leninismo.

Nel 1963, a commento della rottura cino-sovietica, ricordavamo come nella strategia di Lenin la questione cinese sia stata posta in funzione di rottura del secondo anello debole della catena imperialista. La rivoluzione cinese non rappresentava quindi la "via orientale al socialismo", ma la possibilità per un partito comunista rivoluzionario di portare a fondo la riforma agraria, di utilizzare il movimento delle masse contadine, di conquistare il potere come in Russia, di esercitare la dittatura del proletariato e di mettere questo potere a disposizione della strategia rivoluzionaria dell'Internazionale Comunista. Questa rottura del secondo anello era poi legata allo sviluppo e alla radicalizzazione della lotta di classe nelle metropoli imperialiste, per cui l'involuzione russa e la degenerazione dell'Internazionale Comunista "ha rimandato ad un altro appuntamento storico l'occasione di poter saldare in una strategia mondiale due così potenti rivoluzioni". Oggi non possiamo che ripetere che il movimento di Mao Tse-tung ha potuto affermarsi come una variante dello stalinismo soltanto perché è stato una risposta nazionalistica all'abbandono dell'internazionalismo proletario da parte russa nel 1927. In questo senso Mao è veramente il prodotto di Stalin e la storia non ha aspettato la sua morte per demistificarlo come rivoluzionario.

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CRONOLOGIA

1945

Marzo. La Cambogia si autodichiara indipendente dopo che il Giappone ha occupato l'Indocina. Con la fine della guerra però i francesi ritornano. Sihanouk, che la Francia aveva collocato sul trono nel 1941, continua la lotta per l'indipendenza che viene infine ottenuta nel 1953.

6 agosto. Bomba atomica su Hiroshima.
2 settembre. Capitolazione del Giappone. Lo stesso giorno, ad Hanoi, Ho Chi Minh proclama la Repubblica Democratica del Nord Vietnam. Alla fine del 1946 inizia la guerra contro le truppe francesi.

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1946

4 luglio. Viene proclamata la Repubblica delle Filippine. L'anniversario dell'indipendenza è però celebrato il 12 giugno, data in cui nel lontano 1898 le Filippine dichiararono la loro indipendenza dopo secoli di dominazione spagnola. Subito dopo il paese cadde sotto il dominio degli Stati Uniti e da allora, con vari mezzi, continuò la lotta per la riconquista dell'indipendenza. Prima della seconda guerra mondiale Manuel Quezon, dopo essersi a lungo battuto nei corridoi del Congresso americano, ottenne la promulgazione di una legge che prometteva l'indipendenza al paese. Durante l'occupazione giapponese (1942-1945) Quezon, che aveva lasciato il paese col generale MacArthur al momento della caduta di Corregidor, stabilì a Washington un governo filippino in esilio.

28 febbraio. Taiwan insorge contro le truppe d'occupazione cinesi. Ceduta al Giappone dopo la guerra cino-giapponese del 1894, Taiwan si oppose alla cessione dichiarando l'isola una Repubblica indipendente ma il Giappone la sottomise con la forza. Dopo la sconfitta del Giappone nel 1945 essa venne restituita alla Cina. Quando le forze maoiste sconfiggono quelle del Kuomintang, Chiang Kai-shek e l'intero governo della Repubblica Cinese si rifugiano a Taiwan e con loro circa 1 milione di profughi cinesi (dicembre 1949).

15 agosto. India e Pakistan diventano indipendenti.

Novembre. Colpo di Stato in Thailandia. Il maresciallo Pibul Songgram ritorna al potere dopo aver destituito Pradt Phanomyong. Dalla fine del 1938, sotto la direzione di Pibul, la Thailandia (diventata monarchia costituzionale nel 1932) aveva tenuto, durante la guerra, un atteggiamento filogiapponese. Ciò aveva indotto alla resistenza il vecchio avversario di Pibul, Pradt, che professava all'epoca tendenze democratiche. Nel luglio 1944 Pradt prende il potere, quando non vi sono più dubbi sulla ormai prossima sconfitta giapponese. Nel 1957 un nuovo colpo di Stato rovescia Píbul, cui subentra il maresciallo Sarit Thanarat. Sotto di esso gli USA installano potenti basi militari (30 mila uomini) e dalla fine degli anni '60 molte delle incursioni aeree sulla penisola indocinese partono dagli aeroporti tailandesi. La Thailandia, le Filippine e la Corea del Sud, sono stati i soli paesi asiatici ad inviare truppe nel Sud Vietnam.

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1948

4 gennaio. La Birmania diventa indipendente. Dopo averla annessa nel 1885, gli inglesi ne avevano fatto una provincia dell'India. Una rivolta contadina scoppiata nel 1931 fa sì che nel 1937 la Birmania venga separata dall'India e le sia concesso un autogoverno interno. L'occupazione giapponese dal 1941 al 1945 dà l'opportunità ad un gruppo di giovani nazionalisti, i Trenta Compagni, di guadagnare il controllo dell'esercito birmano. Subito dopo l'indipendenza l'Unione di Birmania si trova a far fronte alle rivolte dei vari gruppi etnici. Temendo una secessione, il 2 marzo 1962 l'esercito instaura un governo militare agli ordini del generale Ne Win, la cui ideologia è la cosiddetta "via birmana al socialismo". Il 3 gennaio 1974, dopo un referendum, essa diventa la Repubblica Socialista dell'Unione di Birmania, sotto molti aspetti una specie di Jugoslavia asiatica.

30 gennaio. Assassinio di Gandhi.

4 febbraio. Ceylon ottiene l'indipendenza. Il 22 marzo 1972 assumerà il nome di Repubblica dello Sri Lanka.

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1949

1 ottobre. Nasce la Repubblica Popolare Cinese. Nel novembre 1945 gli USA avevano inviato come ambasciatore il generale Marshall, allo scopo di trovare un compromesso fra le due frazioni in lotta. Venne conclusa una tregua nel gennaio del 1946, subito rotta nell'aprile dello stesso anno. Nel 1948 le forze di Mao conquistano la Manciuria e a fine anno tutta la Cina settentrionale è nelle loro mani. Il 15 gennaio 1949 occupano Pechino, il 20 aprile attraversano lo Yangtze, occupano Nanchino, Shanghai e infine, il 12 ottobre, Canton.

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1950

25 giugno. Ha inizio la guerra di Corea con l'attacco del Nord. L'arrivo delle truppe sovietiche e di quelle americane aveva posto fine al dominio giapponese sulla Corea (1910-1945). Vennero create due zone "temporanee" di occupazione, con l'impegno di unificare il paese dopo libere elezioni. Furono invece creati due governi rivali, uno sostenuto dai russi a Pyongyang, l'altro dagli americani a Seul. I russi appoggiarono un leader della resistenza, Kim Il Sung, che divenne capo della Repubblica Popolare Democratica nel settembre 1948, mentre sempre nello stesso anno, con l'appoggio americano, Syngman Rhee diventò Presidente della Repubblica Coreana. L'attacco nordcoreano nel 1950 aveva lo scopo di unificare il paese con la forza.

A fianco dei nordcoreani combatterono truppe cinesi (anche se sotto la veste di "volontari"), mentre i sudcoreani furono assistiti dalle forze dell'ONU sotto l'egida degli americani. Il 28 giugno i nordcoreani occupano Seul, ma lo sbarco americano a Inchon segna l'inizio della controffensiva dell'ONU. Dopo aver ripreso Seul gli americani occupano Pyongyang e raggiungono il fiume Yalu che segna il confine con la Cina. Il mondo crede imminente una nuova guerra mondiale, le borse registrano grossi cali; qualche mese più tardi invece ci sarà il boom delle materie prime necessarie alla produzione bellica e quindi una ripresa economica generale.

MacArthur vorrebbe bombardare i concentramenti di truppe cinesi oltre il confine ma Truman esita e infine il 10 aprile 1951 MacArthur viene richiamato in patria.

Il successore di MacArthur, generale M. Ridgway, stabilizza il fronte al 38° parallelo. Il 27 luglio 1953 a P'anmunjom viene firmato un armistizio che lascia il confine più o meno al punto di prima, cioè al 38° parallelo.

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1951

Settembre. Viene creato il sistema difensivo ANZUS, che raggruppa USA, Australia e Nuova Zelanda, per garantire il controllo nell'Oceano Pacifico. Nel settembre del 1954, a Manila, verrà creata la SEATO con l'intenzione di farne una specie di NATO asiatica. Ad essa aderiscono Australia, USA, Francia, Gran Bretagna, Nuova Zelanda, Pakistan, Filippine e Thailandia. La zona coperta dall'Alleanza non comprende Taiwan e Hong Kong. La SEATO è stata sciolta nel 1977.

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1953

La Francia accorda al Laos la piena indipendenza. Subito dopo il Pathet Lao dà inizio ad azioni di guerriglia contro le forze realiste. Il Primo Ministro Souvanna Phouma farà due tentativi (uno nel 1957 e l'altro nel 1962) di allestire governi di coalizione tra le forze di destra, i neutralisti e le forze di sinistra. Entrambi falliscono nel giro di pochi mesi. Nel febbraio del 1973 viene firmato un cessate il fuoco che apre la via alla terza coalizione governativa del 5 aprile 1974. Nel 1975, sull'onda delle vittorie in Indocina, il Pathet Lao assume il completo controllo del governo. Il 2 dicembre 1975 viene proclamata la Repubblica Democratica Popolare.

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1954

Maggio. I Vietminh sconfiggono le forze francesi a Dien Bien Phu. Aprile-luglio. Conferenza di Ginevra. Il Vietnam del Nord diventa indipendente. La demarcazione tra le due zone viene fissata temporaneamente al 17° parallelo, in attesa di libere elezioni per la riunificazione del paese. Più di 1 milione di persone, soprattutto cattolici, si rifugiano nel Sud. Con l'appoggio americano il Presidente sudvietnamita Ngo Dinh Diem rifiuta di preparare le elezioni per l'unificazione del paese. Hanoi sostiene il movimento di liberazione nel Sud. La rivolta scoppia nel 1959. Nel 1963 (a novembre), mentre tenta di venire a patti con Hanoi, Diem e suo fratello vengono assassinati nel corso di un colpo militare, appoggiato dagli Stati Uniti. L'intensificazione della guerra porta infine al diretto coinvolgimento americano a partire dal marzo 1965, quando i marines sbarcano a Danang. Nel gennaio 1973 l'accordo di pace di Parigi pone fine all'intervento americano e ordina un cessate il fuoco nel Sud che non viene però rispettato sino alla sconfitta del regime di Thieu. Il Governo Rivoluzionario Provvisorio del Sud Vietnam, creato nel 1969, esce dalla clandestinità nel maggio 1975 per governare il paese. Un anno dopo però le sue forze vengono fuse con quelle del Nord. Dopo le elezioni del 25 aprile 1976 Hanoi dichiara la formale riunificazione del paese. Il 2 luglio nasce così la Repubblica Socialista del Vietnam.

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1955

18 aprile. Conferenza di Bandung (Indonesia). Vi partecipano 29 paesi africani e asiatici invitati da India, Pakistan, Ceylon, Birmania e Indonesia. L'URSS, potenza asiatica grazie ai suoi territori della Siberia e dell'Asia Centrale, non viene invitata; anzi il delegato di Ceylon l'accusa persino di neocolonialismo nell'Europa Orientale.

Giugno. Viaggio di Bulganin e Kruscev in India e Birmania. Sulla scena politica asiatica comincia ora a pesare il fatto che la Cina può utilizzare a suo vantaggio la diaspora cinese sparsa in tutta l'Asia Sudorientale. Essa può anche appoggiare i vari movimenti etnici di liberazione, quale quello del "Grande Tibet" raggruppante i tibetani del Sikkim, del Bhutan, del Kashmir e del Ladakh, quello del "Thai libero", o quello degli Shan in Birmania

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1957

15 ottobre. A Mosca viene firmato un accordo segreto cino-sovietico riguardante la fabbricazione di armi atomiche in Cina.

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1958

Aprile. La Cina bombarda le isole costiere di Quemoy e Matsu.
23 agosto. Il Comitato Centrale del PCC decide la creazione delle "Comuni popolari". Nel febbraio 1957 era stata lanciata la "Campagna dei Cento Fiori". Già a settembre però era iniziata l'azione di "rettifica" e alla critica era subentrata l'autocritica da parte di coloro che avevano mosso accuse al partito e alla burocrazia. L'VIII Congresso del maggio 1958 decreta l'espulsione dei cosiddetti deviazionisti di destra. Nell'agosto 1959 a Lushan il Comitato Centrale del PCC decide di abbandonare la linea del "grande balzo in avanti".

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1959

Marzo. La Cina interviene nel Tibet violando l'accordo del 1951 che sanciva l'indipendenza del paese. Si apre così il problema della frontiera cino-indiana nel Ladakh (nella parte del Kashmir occupata dall'India) e nella regione NEFA (North East Frontier Agency) aperta verso il Brahmaputra.

20 giugno. L'URSS denuncia unilateralmente l'accordo atomico con la Cina.

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1960

17 aprile. Corea del Sud. A seguito di forti manifestazioni studentesche Syngman Rhee rassegna le dimissioni. Dal regime presidenziale si passa a quello ministeriale. Viene eletto Primo Ministro Tohn Chang. Nel maggio 1961 un colpo di Stato militare rovescia il governo di Chang. Park Chung Hee, comandante in capo dell'esercito, diventa il nuovo Presidente del paese. Nell'ottobre 1972 Park proclama lo stato d'emergenza e inizia una serie di riforme, la più importante delle quali, quella agraria, dovrebbe portare alla modernizzazione dell'agricoltura. Il 23 giugno 1973 Park propone che entrambe le due Coree entrino simultaneamente a far parte dell'ONU. La Corea del Nord però rifiuta sostenendo che ciò perpetuerebbe la divisione del paese e contrappone la proposta di una Confederazione. Nel 1979 Park viene ucciso in circostanze misteriose.

Luglio. L'URSS richiama tutti i suoi tecnici e annulla tutti i contratti commerciali con la Cina.

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1961

Febbraio. Ciu En-lai abbandona clamorosamente il XXII Congresso del PCUS per protestare contro gli attacchi portati da Kruscev all'Albania.

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1962

Ottobre. India e Cina si scontrano nel Tibet per la definizione dei rispettivi confini.

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1963

Marzo. La Cina rende noto di non riconoscere più i "trattati ineguali" che gli Zar russi le avevano imposto. Nel luglio 1964 Mao dichiarerà: "Non abbiamo ancora presentato il conto".

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1964

27 maggio. Muore il Presidente indiano Nehru. Al suo posto viene eletto Lal Bahudur Shastri.

28 luglio. La Cina si rifiuta di partecipare alla Conferenza mondiale dei PC proposta da Kruscev.
16 ottobre. La Cina fa esplodere la sua prima bomba atomica.

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1965

21 gennaio. L'Indonesia abbandona l'ONU per protesta contro l'ammissione della Malaysia.

Agosto. Nel Kashmir scoppia il secondo conflitto índo-pakistano.

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1966

Giugno. Ha inizio in Cina la "rivoluzione culturale".

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Le " Comuni popolari "
e lo sviluppo del capitalismo in Cina

La campagna delle "Comuni" ha posto un problema fondamentale per l'interpretazione marxista dello sviluppo da una economia semifeudale ad una economia capitalistica. Innanzitutto bisogna mettere bene in chiaro che in Cina, come in ogni altro paese ad economia feudale o semifeudale, il problema storico che si pone è quello della creazione di una economia capitalistica, data l'impossibilità di saltare tutta una fase di sviluppo economico. Solo quando saranno create le basi materiali - e la creazione di queste basi è compito del capitalismo, in questo caso del capitalismo di Stato - la società cinese, e per essa la nuova classe rivoluzionala creata dall'industrializzazione, cioè il proletariato, sarà matura per posi il problema di una gestione socialista della propria economia.

Posto questo punto fermo della teoria marxista, ogni passo che tende ad avvicinarsi ad una Cina moderna e industrializzata è da considerarsi obiettivamente progressista. Nostro compito di rivoluzionari sarà quello di denunciare sistematicamente ogni travisamento ideologico compiuto dal gruppo dirigente cinese nel presentare come "edificazione de1 socialismo" la necessaria costruzione di una economia capitalistica, ma pure nostro compito è quello di riconoscere storicamente giusto lo sviluppo dell'economia cinese.

L'unico schema di sviluppo economico nel trapasso da una economia feudale ad una economia capitalista riguarda l'affermazione, la presenza, l'azione di leggi obiettive quali il valore di scambio e la riproduzione mercantile allargata. In base all'azione di queste leggi si misura fondamentalmente lo sviluppo capitalistico, sviluppo che si caratterizza nelle forze produttive, in primo luogo, e solo secondariamente nelle forme che tali forze di produzione assumono. Ovviamente esiste uno schema ideale, offertoci dall'analisi marxista che teorizza la tendenza di sviluppo delle leggi capitalistiche, nella produzione: vastissimo proletariato industriale e ristretto proletariato agricolo, occupati rispettivamente in grosse aziende industriali ed agricole detenute da una ristrettissima classe capitalistica che ha ridotto al massimo gli strati intermedi. Il capitalismo di Stato "puro" rappresenta, secondo Lenin, il tipo ideale di questo schema, "l’anticamera del socialismo" come diceva, ma sarebbe assurdo pensare a un capitalismo di Stato "puro" - dato che anche nei paesi dove esiste un forte settore industriale di capitalismo statale lo troviamo inquinato la forme miste e da una agricoltura privata-cooperativistica - come sarebbe assurdo pensare ad una realtà che corrisponda completamente allo schema. Ancora più assurdo è ricercare la corrispondenza con lo schema in una economia come è quella cinese in travagliata formazione, anche se per molti fattori potrebbe giungere in futuro a forme che vi si avvicinano.

La realtà capitalistica è sempre una realtà di contrasti economici laceranti, di lotte, di crisi e naturalmente la lotta per l'avvento del socialismo precede ogni "compiutezza" del capitalismo. Ad esempio, lo schema classico dello sviluppo capitalistico è la nazionalizzazione della terra e l'abolizione della rendita fondiaria la quale rallenta l'accumulazione del capitale, ma nel corso storico della sua ascesa il capitalismo non ha portato a fondo questa necessità di espansione e, pur penetrando con le sue leggi in tutti i settori della struttura economica, si è articolato in varie forme di produzione agricola. Dove, invece, in senso universale le forme tipiche ed ideali corrispondono alle forze produttive è nel settore industriale: qui lo schema di concentrazione è chiaro anche formalmente. Nel settore agricolo, spesse volte, la reale concentrazione finanziaria che corrisponde perfettamente allo schema tipico di sviluppo capitalistico si muove ed agisce in una serie differenziata di forme produttive che vanno dalla piccola conduzione alla colonia, alla piccola affittanza, alla mezzadria, alla cooperativa colchosiana ecc. Il determinarsi di tutta questa congerie di funzioni giuridiche è dato da una serie di fattori specifici che caratterizzano il processo di sviluppo capitalistico da paese a paese, da zona a zona e ne costituiscono la sua particolarità. Non bisogna quindi giudicare il processo di sviluppo capitalistico di un paese basandosi essenzialmente sulle forme di produzione agricola, bensì occorre nel giudizio stabilire il grado di concentrazione finanziaria nelle campagne.

Se questo criterio è valido in generale, tanto più lo è in riferimento alle "Comuni" cinesi. Che in esse prevalga l'elemento precapitalistico può essere vero, ma l'attuale livello di precapitalismo deve essere messo in relazione al livello della forma precedente, cioè della cooperativa. È aumentato od è diminuito questo livello? Tutto concorre a dimostrare che è diminuito. E ciò deve essere visto - tenendo conto che le Comuni sono una fase transitoria e temporanea - nel quadro generale dell'economia cinese, cioè nelle grandi linee dell'accumulazione dei capitali e della disponibilità della forza lavoro necessaria.

Tralasciando l'eventualità di altre forme produttive possibili nella teoria ma non nella pratica (praticamente impossibile la piccola conduzione, non ancora possibile la grande azienda meccanizzata statale), a quale necessità economica corrispondono le Comuni ai fini dell'accumulazione dei capitali indispensabile all'industrializzazione?

Siccome l'accumulazione dei capitali non avviene in astratto ma in una realtà concreta precapitalistica in cui vi sono zone avanzate (capitalistico-statali) e zone arretrate (autoconsumo agricolo al margine della circolazione mercantile) bisogna tener conto di queste condizioni e delle forze oggettive che frenano o che incrementano l'accumulazione. Tra le forze che incrementano l'accumulazione possiamo, tra le altre, annoverare: l'aumento della produttività in agricoltura e nell'industria, la crescente disponibilità di forza lavoro sfoltita dal settore agricolo, il basso costo di questa forza lavoro che quantitativamente si raggiunge nella misura in cui lo stato fisico ed ambientale della forza lavoro migliora ed allunga la longevità, l'investimento in grosse unità produttive concentrate e centralizzate, la facilità di reperibilità di capitali dall'interno o dall'estero.

Per raggiungere queste condizioni favorevoli all'accumulazione e all'industrializzazione era ed è necessaria in Cina un'opera gigantesca di bonifica sanitaria, idrografica, culturale, demografica. Se non si risolvono i problemi della salute, della regolazione dei fiumi, dell'istruzione, dell'equilibrio tra incremento demografico ed incremento della produzione alimentare, non si possono risolvere i problemi della produttività agricola, della disponibilità e della preparazione della forza lavoro. Lo sforzo dello Stato per l'industrializzazione è frenato dalla situazione generale. Dove può lo Stato reperire i capitali per l'industrializzazione in queste condizioni? In gran parte dall'aumento della produttività industriale (ma questa parte è insufficiente) ed in minima parte dal settore agricolo dove anche una "politica delle forbici" sui prezzi agricoli e sui prezzi industriali, svolta attraverso il credito, l'ammasso e la tassazione, darebbe frutti ben limitati. Il mercato su cui agirebbe questa "politica delle forbici" sarebbe ristretto, data l'enorme percentuale di popolazione consumatrice radicata nell'agricoltura e tendente ad assorbire gran parte della produzione agricola e, di conseguenza, a non alzare la domanda di beni industriali. D'altra parte, permanendo questa situazione, l'incremento demografico aggrava il problema.

Per uscire da questo circolo chiuso lo Stato dovrebbe disporre di enormi investimenti, in macchine ed altre attrezzature, da dislocare nella bonifica dei fiumi e nella meccanizzazione agricola, per l'elevamento della produttività e per la liberazione ed il trasferimento di una parte della forza lavoro. Il fatto è che lo Stato non aveva e non ha ancora questa possibilità. Difatti nel 1956 e nel 1957 il ritmo di aumento della produzione tendeva a scendere: nel 1956 è ancora del 30%, nel 1957 è del 10%. Se noi esaminiamo i bilanci statali dal 1953, esposti da Wang Tse-ying, troviamo alcuni elementi che ci possono aiutare a comprendere il fenomeno. Osserviamo innanzitutto le entrate. Nei cinque anni abbiamo un totale di 66.690 milioni di yuan derivato dalle imposte (il 50% del totale), 55.920 milioni di yuan derivato dalle entrate delle imprese statali (41,9%), 5.980 milioni di yuan derivato da prestiti e crediti (4,5%) e 4.750 milioni di yuan derivati da fonti varie (3,6%).

C'è, quindi, da mettere in rilievo: 1) la bassa incidenza del prestito interno ed estero che, tra l'altro, va calando; sorge quindi la necessità, per la Cina, di fare affidamento solo sulle sue forze interne; 2) solo le entrate delle imprese statali costituiscono il fattore più importante e più stabile del bilancio statale, fonte principale dell'investimento industriale. Queste entrate nel 1957 iniziano a stagnare come l'imposta sull'industria e commercio; l'imposta agricola addirittura diminuisce nel 1957 in confronto al 1956 ed è di poco inferiore a quella del 1953. Mentre le entrate fornite dalle imprese statali sono aumentate più velocemente delle altre, cioè dell'80% in quattro anni, quelle fornite dall'imposta agricola sono aumentate solo di un 9% scarso; 3) l'imposta agricola rappresenta una piccola parte delle entrate statali e progressivamente è andata cadendo ad un solo 10%.

Se, infatti, esaminiamo le entrate statali dai settori dell'economia troviamo che: a) il settore delle imprese statali passa dal 62,9% nel 1953 al 72% nel 1957 (nel 1954 era pari al 65,2%); b) il settore contadino passa dal 13,4% nel 1953 all'11,0% nel 1957. Le percentuali sono sul totale delle entrate provenienti dai settori economici, ma se le raffrontiamo al totale delle entrate statali l'incidenza delle imposte pagate dai contadini è ancora minore, e cioè del 12,5% nel 1953, 12,5% nel 1954, 11,2% nel 1955, 10,3% nel 1956, 10% nel 1957.

Esaminando le spese statali per gli anni 1953-1957, troviamo che il fenomeno della bassa partecipazione all'accumulazione dei capitali da parte dell'agricoltura frena l'investimento per la costruzione economica e lo rallenta, specie nel 1956-1957, tenendo conto, inoltre, che allo Stato vanno accollate tutte le spese per l'istruzione, cultura e assistenza sociale che il settore agricolo non è in grado di assolvere e che rappresentano, nel quinquennio 1953-1957, il 14,7% della spesa statale totale. Ma anche in questa direzione, malgrado che le somme destinate siano sempre in aumento, anche quando quelle destinate all'investimento economico diminuiscono, l'incremento dello Stato - in confronto alle enormi necessità - non è molto forte ed anche questo è un motivo per cui si è cercato di utilizzare al massimo l'iniziativa locale delle Comuni. Infatti le spese statali per l'istruzione, cultura ed assistenza sociale erano state: 3.360 milioni di yuan nel 1953, 3.460 nel 1954, 3.190 nel 1955, 4.590 nel 1956, 4.840 nel 1957.

A prescindere dalle spese statali per le forze armate e l'amministrazione che rappresentano, con 41.170 milioni di yuan, il 31,1% del bilancio del quinquennio, la parte maggiore delle spese statali è andata all'investimento con 64.400 milioni di yuan nel 1953-57, cioè il 48,7% (mentre ben il 5,5% del totale è stato speso per rimborsare prestiti interni ed esteri).

Malgrado lo sforzo compiuto nel quadro del Primo Piano Quinquennale, il totale degli investimenti non ha avuto, anno per anno, forti incrementi ed anzi dal 1956 al 1957 ha subito una forte caduta. Si può vedere dalle cifre ufficiali che noi utilizziamo e su cui sarebbe astratta una riserva di non veridicità, dato che per la Cina abbiamo ben poche fonti attendibili. Ecco il totale degli investimenti: nel 1953 8.650 milioni di yuan, nel 1954 12.360, nel 1955 13.760, nel 1956 15.910, nel 1957 13.720.

Abbiamo perciò visto lo stato e lo sviluppo dell'accumulazione di capitali in Cina, sviluppo che si è dimostrato molto debole data la condizione arretrata dell'agricoltura. Basti pensare che nel 1956 il bilancio statale risultò deficitario data la necessità di intervenire nell'agricoltura colpita da alluvioni, straripamenti, ecc.

Un'altra fonte di accumulazione utilizzata è stata il risparmio che, attraverso emissioni di prestiti, ha dato appena 400-600 milioni di yuan all'anno, cioè il 2-3% delle entrate di bilancio. Anche i prestiti sovietici, malgrado le strombazzature propagandistiche, sono stati molto esigui e non hanno incrementato molto l'industrializzazione. Wang Tse-ying afferma: "La somma totale dei prestiti concessi dall'Unione Sovietica nel giro di cinque anni costituisce meno del 3 per cento delle entrate statali della Cina. Fondamentalmente il popolo cinese si basa sulle sue risorse per fornire le grosse somme che vengono investite". Questo fatto getta una luce nuova sui rapporti russo-cinesi e contribuisce a spiegare la dinamica di quell'alleanza, i problemi che in essa vanno sorgendo alla luce delle prospettive future, la differenziazione in atto anche nelle linee di sviluppo economico di cui le Comuni sono un esempio. In sostanza questo insieme di fatti ha mantenuto l'investimento cinese al basso tasso del 20% del reddito nazionale, basso soprattutto per un paese in sviluppo. Sotto molti aspetti l'organizzazione delle Comuni tende a superare la barriera dell'alta percentuale di reddito nazionale consumato. Non possiamo ancora sapere se vi riusciranno, come non possiamo sapere se lo sfruttamento massiccio della forza lavoro fatto ad ogni grado del livello tecnico riuscirà a permettere un più alto tasso di accumulazione per l'industria, solo ed unico modo per poter fronteggiare l'incremento demografico.

Alfred Sauvy calcola che, con un aumento di 15 milioni di unità all'anno, occorra spendere circa il 10% del reddito nazionale per coltivare nuove terre, costruire officine, scuole, case, ecc. in modo da poter assicurare alle nuove generazioni lo stesso tenore di vita delle attuali. Con una mortalità del 20 per mille, che si ridurrà presto al 15-10 per mille, e con una natalità valutata attorno al 45 per mille, la popolazione aumenta attualmente del 25 per mille all'anno e questo tasso d'incremento è destinato a salire sino a lasciar prevedere un miliardo di cinesi prima della fine secolo. Il Sauvy pensa che se la Cina vuole evitare un invecchiamento della popolazione deve mantenere l'attuale tasso di natalità. Ma non è questo problema in prospettiva che ci interessa. È invece quello del rapporto tra tasso d'incremento demografico e limite minimo del tasso d'investimento necessario a mantenere l'equilibrio o comunque a non arretrare: ed è in questa direzione che va visto il problema demografico e non in fallaci teorie neomalthusiane. Inoltre, direttamente collegato al problema demografico vi è il problema dell'istruzione, cioè degli investimenti proporzionalmente sempre più grandi che sono richiesti per un'adeguata preparazione tecnica della nuova forza lavoro. In questa sfera riscontriamo il più alto sforzo e pensiamo che compiti sempre più vasti e pesanti si presentino per il futuro quando parte delle attuali masse della scuola elementare passeranno alla scuola media e superiore. Dal 1952 al 1958 gli alunni delle elementari sono passati da 51 a 86 milioni, quelli delle scuole medie da 3 a 12 milioni, quelli delle Università da 190 mila a 600 mila.

Le Comuni rappresentano un tentativo di concentrare tutte le energie presenti in forza lavoro e in livello tecnico al fine di garantire il minimo indispensabile all'accumulazione. Perciò sono due passi avanti ed uno indietro. Indietro perché permettono ancora una larghissima zona di autoconsumo precapitalistico anche se avviene in una forma che solo apparentemente è comunista. Avanti perché, utilizzando miliardi di ore di lavoro che andavano perdute nell'inattività forzosa tipica delle monocolture (la media cinese era calcolata in 100 giornate annue lavorative per contadino attivo), hanno permesso - attraverso ampie applicazioni di bonifiche e di lavoro artigianale-industriale - un aumento quantitativo della produzione industriale e agricola. Dal 1957 al 1958 si è passati dai 5 milioni di tonnellate di acciaio a 11 e da 185 milioni di tonnellate di granaglie a 350. Per il 1959 il balzo previsto dovrebbe raggiungere 18 milioni di tonnellate di acciaio e 525 milioni di tonnellate di granaglie. Anche togliendo un 10-15% sulle cifre, come fa Sylos Labini, l'aumento rimane poderoso.

Sotto questo aspetto le forme arretrate di produzione che hanno permesso l'aumento quantitativo assumono un peso secondario nella direttrice di sviluppo economico e non ne determinano la qualificazione. In questo aumento della produzione il settore che relativamente e progressivamente si avvantaggia è il settore più avanzato, cioè la grande industria moderna statale che ha trovato nuovo impulso di sviluppo. Nella proporzione relativa poca importanza hanno le concessioni che si sono dovute fare alle Comuni, come quella di diminuire dal 7 al 5,2% la produzione agricola che va versata allo Stato a titolo di tassa. Il volume dell'imposta agricola è, però, aumentato anche se non è principalmente questo fattore quello che favorisce l'incremento dell'accumulazione. Senz'altro i due fattori che nel movimento delle Comuni favoriscono l'accumulazione sono il progressivo passaggio dalla produzione estensiva a quella intensiva e la progressiva liberazione della popolazione contadina attiva dal lavoro prettamente agricolo. Si calcola che solo il 40% della manodopera contadina potrà essere dedicata alla coltura delle granaglie, mentre l'altro 60% verrà impiegato nell'industria, nell'edilizia, nell'allevamento, nella pesca, nelle foreste, nelle colture industriali. Dall'impiego massiccio di manodopera in senso politecnico necessariamente si passa alla specializzazione e divisione del lavoro ed alla preparazione di una forza lavoro per l'industria.

Già il bilancio statale del 1959 presentato dal Ministro delle Finanze

Li Síen Nen riflette un più alto tasso di accumulazione permesso dal movimento delle Comuni. Le spese sono 32 miliardi di yuan, con un incremento del 27% in confronto al 1958. Di esse il 61% va all'investimento, mentre prima ne andava il 48,7%. Le prime esperienze delle Comuni sono, quindi, nel complesso positive.

(" Azione Comunista " n. 46, 28 giugno 1959)

Ruolo oggettivo della Cina
nella lotta internazionale della classe operaia

La Conferenza di Mosca degli 81 partiti comunisti ed operai è stata la prima grande riunione internazionale degli alti gradi della burocrazia che sia stata investita dal dissidio tattico tra Cina e Unione Sovietica. La prima e clamorosa manifestazione ufficiale di questo dissidio si era già avuta alla riunione di Pechino della Federazione Sindacale Mondiale nella primavera di quest'anno e da allora la polemica ha assunto un tono aperto, soprattutto sui giornali e sulle riviste di partito dei due paesi. Era inevitabile che si giungesse ad una riunione come quella di Mosca per trovare un minimo di soluzione ad un contrasto divenuto ormai troppo grave.

In un articolo sulle "Comuni" cinesi, scritto l'anno scorso su questo giornale, abbiamo cercato di analizzare i caratteri economici e politici che distinguono la situazione cinese da quella sovietica. Per noi gli sviluppi del problema cino-sovietico non hanno nulla di sorprendente e non abbiamo bisogno di seguire i ritardatari "esperti" scopritori di un presente dissidio fra Kruscev e Mao Tse-tung, nella loro caccia al "sensazionale". Questi "specialisti" del culto della personalità da mesi vanno montando una riedizione del "pericolo giallo", in cui persino il più stupido razzismo (il neonato razzismo "europeo") viene utilizzato nella difesa di un Occidente che ha le sue avanguardie a Mosca. Quando l'URSS lanciò gli "sputnik", "L'Osservatore Romano" si congratulò con "questa vecchia Europa"! Ai tempi di Camp David la stampa americana ed occidentale dimenticò la "barbarie sovietica" e concentrò tutte le sue batterie contro il "pericolo cinese", sino a poco tempo prima oggetto di benevola attenzione per i suoi "líberaleggianti" "cento fiori".

Occorre premettere che alla radice dei rapporti fra Cina ed URSS non vi sono problemi d'ordine ideologico ma problemi economici e politici, cioè giudizi interni ed esteri di politica statale. Le formulazioni ideologiche, nel loro falso richiamo ai classici marxisti, non sono che elaborazioni contingenti e strumentali, soggette a tutte le possibili revisioni e falsificazioni. Il preteso "dogmatismo" dei cinesi non significa, di certo, una maggiore fedeltà alla teoria leninista (ad esempio, nella polemica sull'opera di Lenin "L'estremismo, malattia infantile del comunismo"), ma riflette una loro necessità di utilizzare certi aspetti della critica leninista nei confronti della politica del gruppo dirigente krusceviano. I cinesi utilizzano singole tesi del marxismo, isolandole dalla concezione generale e perciò falsificandole, per costruire uno schema ideologico rispondente ai loro particolari interessi. Ci troviamo di fronte - come avvenne quando Kardelj e Djilas attaccavano l'imperialismo sovietico citando "Stato e Rivoluzione" di Lenin e giungevano, sulla scorta dei classici marxisti, a definire l'URSS un "capitalismo di Stato" - ad un contrasto tra due paesi che sono in un rapporto ineguale di sviluppo economico. L'ideologia marxista diventa per la Cina un'arma di difesa in un rapporto che è di carattere imperialistico.

La Cina è ancora un paese sottosviluppato ed il suo nemico fondamentale è l'imperialismo, sia che si presenti nel sistema generale (con a capo gli Stati Uniti) dello scambio mondiale, come nella forma particolare dello scambio commerciale con l'URSS. La lotta della Cina è oggettivamente, da qualunque lato si analizzi, una lotta antimperialista; quando si proietta contro il bastione centrale dell'imperialismo mondiale, gli Stati Uniti, quando si profila nel tentativo di limitare l'influenza sovietica, quando si concentra contro la forma più pericolosa dell'assedio imperialistico rappresentato dall'accordo USA-URSS. Questa lotta nelle condizioni presenti di carenza rivoluzionaria del proletariato occidentale e di insufficiente sviluppo del giovane capitalismo di Stato cinese è obiettivamente l'attacco più forte che venga sferrato all'imperialismo o, per meglio dire, la più strenua difesa che gli venga opposta. Nell'uno o nell'altro modo essa contribuisce enormemente ad incrinare il sistema imperialistico e rappresenta, sotto questo aspetto, la formidabile punta avanzata della rivoluzione coloniale.

La lotta cinese si sviluppa in tre direzioni: nel tentativo di una industrializzazione autonoma e compiuta a tappe forzate, nell'impulso dato alle rivoluzioni nei paesi coloniali e semicoloniali, negli ostacoli posti, in un modo o nell'altro, ad una intesa tra i gruppi imperialisti, intesa che non potrebbe farsi altro che sulla base della suddivisione pacifica del mercato mondiale e delle zone d'influenza commerciale. La lotta è, quindi, attacco e difesa nello stesso tempo: difesa delle posizioni d'indipendenza conquistate dalla più vasta rivoluzione coloniale che la storia ricordi e attacco indiretto al sistema colonialistico nei suoi fattori di sostegno (paesi coloniali e semicoloniali, politica distensiva sovietica, correnti di scambio internazionale). Nella pratica, le tre direzioni di lotta si fondono e si intrecciano in una linea generale, salvo poi concretizzarsi in lotte e problemi parziali.

È naturale, perciò, che la più forte pressione venga esercitata sul gruppo dirigente sovietico, anche perché dalla politica sovietica dipende la possibilità d'investimenti sovietici nella industrializzazione cinese (investimenti talmente scarsi da avere costretto la Cina ad uno sviluppo semiautarchico). Da queste ragioni, e non da una millantata fedeltà al marxismo-leninismo, dipende la posizione cinese contro la "distensione" imperialistica; così si può dire della questione concernente l'inevitabilità della guerra. Non esiste alcun marxista che sostenga l'inevitabilità della guerra. Per il marxismo la guerra imperialista è inevitabile se il proletariato non scatena la sua rivoluzione a distruggere l'apparato dello Stato e a capovolgere gli attuali rapporti di produzione ed è evitabile se questa trasformazione avviene prima dell'esplodere delle contraddizioni che determinano la guerra.

Falso è, perciò, il dilemma pace o guerra, mentre vero è quello che contrappone la rivoluzione socialista alla guerra imperialista e toglie da un determinismo cieco gli sviluppi della crisi mondiale. Noi rivoluzionari non dobbiamo, perciò, regolare la nostra posizione sul problema cinese e sui rapporti Cina-URSS sulla falsariga delle loro enunciazioni ideologiche. Occorre, invece, vedere ciò che realmente rappresenta la posizione cinese, quale ruolo nella dinamica mondiale della lotta di classe svolge, e non ciò che pensa di sé.

Indubbiamente l'interesse del proletariato mondiale è che questa lotta si sviluppi e che riesca a stabilire posizioni di forza a danno dell'imperialismo in generale (ivi compreso quello dell'URSS). Questo è l'interesse del proletariato mondiale che oggettivamente viene ad essere aiutato dalla lotta cinese contro il comune nemico imperialista; questo è, conseguentemente, il nostro interesse, la nostra posizione di minoranza rivoluzionaria.

Opportunistiche diventano, per la stessa ragione, le posizioni secondo le quali il proletariato dovrebbe considerare eguali nemici la burocrazia sovietica e quella cinese, il capitalismo di Stato sovietico e quello cinese. Secondo queste posizioni la lotta cinese non ci dovrebbe riguardare perché è una lotta di un giovane capitalismo di Stato che vuole inserirsi al tavolo dei grandi gruppi imperialisti, così come non ci dovrebbe riguardare la bega interna tra burocrati russi e cinesi volta a loro particolari interessi e non a quelli proletari. C'è in queste posizioni un riflesso della propaganda sul "pericolo giallo" per cui oggi si vede già l'ombra di una futura e gigantesca potenza imperialista cinese. Inoltre vi è una completa incomprensione, non solo della strategia rivoluzionaria e della importanza che in essa assume la lotta coloniale, ma pure dei più elementari e contingenti interessi proletari.

Intanto occorre precisare alcune cose. Il proletariato ha come antagonista di classe il capitalismo, in tutte le sue forme private e statali, e tutte le organizzazioni burocratiche che ne sono una organica espressione. Burocrazia sovietica e burocrazia cinese sono, perciò, antagoniste di classe del proletariato sovietico, del proletariato cinese, del proletariato mondiale. Ma considerare oggettivamente progressiva la posizione cinese, sostenerla criticamente nel quadro della strategia internazionale rivoluzionaria, operare una distinzione tra burocrazia sovietica e cinese, non vuol dire abbandonare la lotta di classe in Cina e nel mondo. Anzi, è vero l'opposto. Non sostenere criticamente questa opposizione significa, proprio, abbandonare la lotta di classe, in quanto la lotta di classe - quando è sostanziata da una visione politica generale - non è una lotta particolaristica e localistica ma un'azione che acquista livelli quantitativi e qualitativi solo su scala internazionale. Solo con un più alto grado di lotta di classe nei paesi industrializzati, ad esempio, si può imprimere un salto quantitativo e qualitativo alla lotta di classe in Cina.

Data questa prospettiva, il marxismo rivoluzionario non può che essere favorevole alla posizione cinese. Del resto questo nostro atteggiamento è nel solco della tradizione strategica leninista. Oggi, per il problema cinese, non si pongono le grosse tattiche che travagliarono i primi anni di vita del Komintern. Nella stasi dell'iniziativa rivoluzionaria del proletariato occidentale difficilmente vengono a crearsi condizioni, a differenza della fase aperta dalla Rivoluzione d'Ottobre, in cui si approfondiscono le stratificazioni sociali e le rispettive manifestazioni politiche all'interno dei movimenti di liberazione coloniale. È assurdo voler vedere o, peggio ancora, voler attendere un nuovo e violento corso di lotta di classe all'interno della società cinese, quando tale corso non si preannuncia neppure nell'Unione Sovietica o negli Stati Uniti. Ed è ridicolo trasferire dei semplici ed impotenti desideri da una zona di capitalismo avanzato ad una zona di capitalismo in formazione. Ciò non vuol dire che l'appoggio, in linea generale incondizionato, alla posizione cinese e a tutti gli altri movimenti coloniali di liberazione, non sia, nei casi concreti, un appoggio critico. Costantemente l'appoggio deve essere accompagnato dalla critica e dalla denuncia: critica dei tentennamenti nella lotta antimperialista, denuncia delle false ideologie socialiste e della pressione esercitata dalla classe dirigente sul proletariato.

Ma anche questa critica e questa denuncia avranno un loro reale e pieno spiegamento quando il proletariato delle cittadelle imperialiste avrà formato il suo partito rivoluzionario e sarà compito di questo partito, con la sua lotta di massa, approfondire le contraddizioni sociali nei movimenti coloniali, rafforzare il proletariato nella lotta interna contro la borghesia nazionale (nel momento stesso che si appoggia e si spinge questa lotta antimperialista), favorire in tutti i modi la formazione di partiti proletari rivoluzionari. Questo per la Cina come per altri paesi.

Questo il compito di una "Nuova Internazionale Comunista", che certamente verrà ad essere svolto in condizioni molto diverse da quelle in cui operò il Komintern. Per il Komintern si trattò di inaugurare una strategia coloniale in una situazione particolarissima. Praticamente, nei primi anni, si trattò di utilizzare le rivolte coloniali nella difesa di un potere operaio in Russia, in una società arretrata e contadina e tradito dalla mancata rivoluzione socialista in Germania.

Oggi la questione coloniale si presenta in termini più lineari, con meno contraddizioni strategiche, con meno "vuoti" nella prospettiva della rivoluzione internazionale. Domani la strategia internazionalista sarà ancora più lineare perché più uniforme sarà il processo di proletarizzazione mondiale. Oggi la tattica coloniale ha un peso non indifferente nella creazione delle basi politiche della rivoluzione internazionale ed ogni cedimento opportunistico sulla questione coloniale significa ritardo nel lavoro di ricostruzione del partito di classe. È questo lavoro costante, quotidiano, inflessibile, il compito fondamentale che, oggi, deve compiere la minoranza rivoluzionaria, ma questo lavoro andrebbe distrutto, soprattutto nel suo aspetto di restaurazione teorica, se si considerasse marginale e secondaria la questione coloniale e se su di essa non si assumesse conseguentemente la tradizionale Posizione leninista. La questione coloniale ad un certo stadio di industrializzazione internazionale - e non si tratta di molti anni, infine - perderà la sua importanza specifica, in quanto in vastissime aree economiche le forze sociali si polarizzeranno attorno ai predominanti e generalizzati rapporti di produzione capitalistici. Gli schieramenti di classe, capitalistici e proletari, saranno internazionalizzati ed interdipendenti al loro massimo sviluppo.

La rivoluzione proletaria, con il suo programma economico e politico, sarà il filo oggettivo che legherà tutte le tendenze mondiali. La strategia rivoluzionaria sarà omogenea, non solo per l'unità dei suoi obiettivi, ma pure per l'omogeneità dei settori che nella lotta, e nella caratteristica sociale, convergeranno su quegli obbiettivi. Non si tratta, ovviamente, di attendere l'industrializzazione della Papuasia; occorre soltanto avere una precisa convinzione della previsione dialettica sullo sviluppo dell'industrializzazione cinese e sulla creazione del gigantesco proletariato che essa determinerà. Perché due sono le vie reali e non astratte: o l'imperialismo entra in crisi a brevissima scadenza e matura le condizioni oggettive della rivoluzione socialista e della dittatura del proletariato occidentale, oppure la crisi generale dell'imperialismo è dilazionata da sussistenti possibilità di espansione del mercato mondiale.

Nel primo caso vuol dire che già l'incipiente industrializzazione cinese è sufficiente a fare esplodere la crisi dell'imperialismo e da ciò bisogna trarre tutte le conseguenze politiche. Il proletariato occidentale al potere spingerebbe sino alla fase socialista la rivoluzione cinese. Nel secondo caso, che è il dato odierno ed incontrovertibile, la industrializzazione cinese è insufficiente a mettere in crisi l'imperialismo. Occorre, quindi, che sia portata avanti al massimo. Quello che bisogna temere non è l'avanzata di un tale processo progressivo, ma le sue inevitabili battute d'arresto o di rallentamento e, soprattutto, le tentazioni al compromesso della classe dirigente cinese. Di fronte all'impossibilità di creare rapidamente adeguati fondi di accumulazione di capitali da investire, i dirigenti cinesi sono portati a creare canali di investimento estero, oggi russi, domani americani. E questo potrebbe essere l'aspetto meno negativo se ciò non comportasse un rilassamento della lotta contro i gruppi imperialisti. D'altra parte lo sforzo autonomo di accumulazione e di investimenti del "balzo in avanti" non può essere condotto per molto tempo, pena gravi crisi di assestamento.

Le conclusioni della Conferenza di Mosca, al di sopra di tante formulazioni propagandistiche e contraddittorie che fanno della risoluzione un mosaico di compromesso e di concessioni verbali, debbono indicarci anche questo. La Cina ha bisogno di capitali: però si trova a dover trattare l'aiuto sovietico in certe condizioni di parità politica. Il rapporto Cina-URSS è, oggi, concretizzato in un oscillante compromesso per tutte e due le parti e solo gli sviluppi futuri potranno indicarci sia le linee dell'equilibrio che quelle della sua instabilità.

(" Azione Comunista " n. 56-57, 31 dicembre 1960)

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Ultima modifica 07.07.2001