Dopo aver impartito lezioni a mezzo mondo sulla crisi del vecchio modello di sviluppo e dopo aver annunciato ad ogni istante la nascita del loro nuovo modello, borghesi ed opportunisti italiani si affannano a tenere il passo a quel ciclo di ripresa dell'imperialismo mondiale che niente ha tenuto conto delle loro ridicole invenzioni.
Dal "primato della politica" alle suole delle scarpe italiane sulle quali cammina un europeo su due: ecco la sintesi della crisi italiana. Le idee sono ridotte a vuote chiacchiere. Da tallonare sono rimasti solo i tacchi.
"Tutte le crisi rivelano il contenuto dei fenomeni o processi, spazzano via ciò che è superficiale, secondario, esteriore, e mettono in luce le basi più profonde di ciò che avviene... Prendete le crisi commerciali e industriali: nulla confuta con tanta evidenza qualsivoglia discorso degli apologeti e degli apostoli dell'"armonia degli interessi", nulla mette chiaramente in luce tutto l'ordinamento odierno, capitalistico, tutta l' "anarchia della produzione", tutto il frazionamento dei produttori, tutta la guerra di ciascuno con tutti e di tutti contro ciascuno", scrive Lenin nel maggio del 1911, in uno dei momenti più duri del riflusso del movimento rivoluzionario e della vita del Partito.
Cosa significa che ciò che è superficiale, secondario, esteriore viene spazzato via?
Significa che nella lotta di classe si determinano condizioni oggettive nelle quali le basi più profonde vengono alla luce e tutti i fenomeni si mostrano per quello che sono. La lotta politica brucia rapidamente tutto il ciarpame ideologico con il quale normalmente si adorna e diventa finalmente essenziale. E' ciò che sta avvenendo in Italia dove, ormai, da mesi ogni falso problema è lasciato all'ozio degenerato degli intellettuali e dove il vero problema della concorrenza internazionale monopolizza la vita politica con una intensità paragonabile solo a quella delle guerre militari.
E, infatti, di una guerra si tratta, anche se commerciale. L'imperialismo italiano lotta accanitamente per mantenere la sua quota del mercato mondiale e tutta la sovrastruttura deve adeguarsi a questa lotta vitale per il sistema. E' un rapporto di produttività generale che l'imperialismo italiano ha con i suoi concorrenti, è un preciso rapporto di forza interimperialistico che vede l'indebolimento dell'Italia e che proietta la prospettiva di un ulteriore indebolimento.
Il problema dei costi comparati del lavoro per unità di prodotto è un falso problema. Non a caso è smentito dai concorrenti. Ma altrettanto non a caso, viene assunto a bandiera unificante di tutte le frazioni private e statali della grande, media e piccola borghesia e di tutti i partiti parlamentari.
Il problema vero è quello della comparazione dei costi generali tra capitalismi concorrenti e, da questo punto di vista, indubbiamente il proletariato italiano deve produrre più plusvalore per il proprio capitalismo e per tutto il consumo improduttivo e parassitario che questo alimenta.
Nell'opera su "Karl Marx e la sua dottrina", Lenin analizza l'andamento delle crisi con il principio dello sviluppo ineguale del capitalismo. Le crisi "sopravvengono nei paesi capitalisti prima ogni dieci anni circa, poi ad intervalli meno ravvicinati e meno fissi". Lenin riprende qui la tesi di Engels sul ciclo lungo, sulla irregolarità temporale e sulla regolarità storica.
Ma non è questo che ci preme sottolineare. L'aspetto più interessante è che Lenin constata che si sono modificate "le forme, la successione, la fisionomia di certe crisi''.
E' proprio, aggiungiamo, lo sviluppo storico del capitalismo ad accentuare ed estendere la legge di ineguaglianza. Di conseguenza si ampliano le forme, le successioni e le fisionomie di certe crisi.
Un esempio ci è dato dalle ripercussioni che la crisi mondiale di ristrutturazione del 1974 e 1975 trasmette sul capitalismo italiano nel 1976 e nel 1977, quando il nuovo ciclo di ripresa nelle metropoli è avviato. Il capitalismo italiano beneficia nel 1976 della ripresa incrementando del 10% la sua produzione industriale, cioè con un ritmo eccezionale. E' entrato più tardi nel calo produttivo e ne è uscito contemporaneamente alle altre metropoli, guadagnando un paio di trimestri. Questa è la sua "successione" del ciclo della crisi. Nella ripresa riesce ad avere un ritmo superiore a quello dei suoi concorrenti. Questa è la sua "fisionomia" della crisi. Con questi due vantaggi, la metropoli italiana ha avuto meno crisi di produzione delle altre. Ma siccome la crisi mondiale era specificamente di ristrutturazione, i vantaggi di ieri diventano gli svantaggi di domani. Non avendo ridotto il suo parassitismo sociale e non avendo ristrutturato il suo apparato produttivo nel complesso, la metropoli italiana viene a trovarsi in un confronto internazionale che la indebolisce. Questa è la "forma" che la crisi mondiale assume in Italia con effetti ritardati.
La soluzione contingente? Leopoldo Pirelli ne dà una: "Si è calcolato che se nel 1976, anno congiunturale discreto, il sistema economico italiano avesse lavorato sul ritmo degli altri principali sistemi europei (in termini cioè di ore/anno, e quindi con un analogo grado di utilizzo degli impianti), avrebbe prodotto almeno il 20 per cento in più, qualcosa compreso fra i 20 e i 25 mila miliardi".
Quindi: aumentare la esportazione da un 25% del prodotto nazionale conseguito ad un 35 %. A prescindere dall'impossibile obiettivo del 20 per cento di produzione in più, il discorso di uno dei maggiori rappresentanti del padronato è sintomatico. Per esso gli operai devono lavorare molto di più.
Ciò è diventata, nella successione, nella fisionomia e nella forma che ha assunto in Italia la crisi mondiale di ristrutturazione nella sua fase di superamento, una condizione di sopravvivenza per la borghesia e per la sua base di massa piccolo-borghese. impegnata in una guerra commerciale all'estero scatena una guerra di classe all'interno con una repressione economica che ha precedenti solo nel ventennio fascista. Se la repressione in tutti i campi non prende le forme aperte dalla dittatura fascista del capitale è merito della superiorità della sua dittatura democratica che riesce a combinare tutte le condizioni politiche per privare il proletariato di una capacità autonoma di difesa, La violenza, ci insegna il marxismo, risiede nei rapporti economici.
Oggi ne abbiamo una ulteriore conferma. E quanto più manca una azione aperta e generalizzata del proletariato tanto più la violenza economica del capitalismo è esercitata massicciamente, implacabilmente, capillarmente, giorno dopo giorno, uomo dopo uomo.
"Le masse... vogliono, in un periodo in cui mancano azioni aperte, acquisire cognizioni teoriche generali. Le basi del marxismo devono essere di nuovo spiegate a queste masse, la difesa della teoria del marxismo si presenta di nuovo all'ordine del giorno" scrive Lenin giudicando "La situazione del partito" nel dicembre del 1910. Anche all'ordine del giorno del nostro lavoro, in questi anni di riflusso, c'è la difesa del marxismo, c'è la propaganda della sua teoria, c'è la necessità delle masse. I nostri risultati, seppur modesti, ne sono la pratica conferma.
Ultima modifica 23.12.2003