Prometeo 01.01.1964
Fonte: Primo Maggio
Indubbiamente Marxismo e libertà della Dunayevskaya, a differenza di altre opere del genere, affronta con conoscenza e profondo senso di responsabilità i maggiori problemi del proletariato che esamina dal punto di vista del marxismo più propriamente umanistico, il solo modo questo, per l’autrice, di risanare le perversioni ideologiche e politiche operanti in nome di Marx.
Il marxismo, afferma, è la teoria della liberazione, mentre il comunismo è la teoria e la pratica della riduzione a schiavitù. Posta la distinzione in modo così netto e polemico, si potrebbe arguire che l’autrice consideri il comunismo contrapposto al marxismo, in conflitto insanabile con la libertà, ciò che ingenererebbe stupore e meraviglia in molti lettori italiani che hanno considerato il comunismo come l’evento storico della liberazione umana conformemente alla previsione del marxismo. E’ ovvio che il comunismo a cui allude l’autrice, non è quello preconizzato da Marx ma quello, dietro la cui facciata lusingatrice si nasconde lo esercizio del più spietato dirigismo pianificatore che dalle cose sale agli uomini annullando ogni libertà che non si allinei agli interessi fondamentali del potere economico e politico incentrato nello Stato.
Marxismo e libertà tocca tutti i tasti della problematica marxista ed è stato concepito e realizzato non come esplorazione nel mondo della mera elaborazione teorica dei problemi del nostro tempo, ma come espressione e conferma della validità teorica del marxismo scaturente dal seno stesso della condizione operaia e delle sue lotte in tutti i settori dello schieramento di classe sottoposta alle ferree, inumane leggi della automazione del capitalismo occidentale e a quelle non meno ferree del capitalismo di Stato del blocco sovietico. Movente principale alla elaborazione di quest’opera è stato il coincidere negli anni tra il 1950 e il 1953 della presa di coscienza del fenomeno dell’automazione da parte dei lavoratori americani, particolarmente delle miniere e delle fabbriche automobilistiche, con le rivolte operaie contro il regime stalinista a Berlino-Est nel giugno del 1953, nella stessa Russia poche settimane dopo nei campi di Vorkuta e piùtardi, nel 1956, in Ungheria.
Da questo esame emerge una valutazione della storia che ha per radice l’uomo, la presa di coscienza della sua alienazione, il suo anelito verso la libertà come sua spontanea conquista. La nostra era è quella degli assoluti, si afferma: all’assoluto dell’autorità si lega saldamente quello della libertà; all’assoluto della controrivoluzione si lega quello della rivoluzione.
Questa è la totalità dell’attuale crisi del mondo che ci impone di tornare ad Hegel ed ai suoi assoluti.
Marx riconobbe la filosofia hegeliana come presupposto indispensabile ad una concezione proletaria della storia del mondo.
Per noi — afferma l’autrice — essa è molto di più perchè interessa tutta l’umanità.
(Da notare il senso di classe della concezione proletaria della storia del mondo e il senso al di sopra della classe che dovrebbe investire tutta l’umanità che nega il classismo implicito nel pensiero di Marx.)
Non discutiamo la legittimità di questa interpretazione che si rifà alla fase umanistica del giovane Marx; diciamo solo che essa viene sviluppata sulla linea di una interpretazione più libertaria che dialettica del socialismo. Questo della Dunayevskaya è contributo non certo trascurabile al dibattito sempre aperto della validità del Marx umanista sotto l’influenza della filosofia hegeliana in confronto al Marx del materialismo dialettico sotto l’influenza dei grandi conflitti di classe e di una più approfondita e avvertita conoscenza della struttura del capitalismo moderno e delle sue profonde e insanabili contraddizioni. Non è che l’autrice non consideri questo aspetto del Marx della maturità; anzi fa della sua filosofia la base della moderna concezione del mondo e della totale liberazione dell’uomo da ogni forma di alienazione. Ma come conciliare, allora, la concezione della contrapposizione di classe, proletariato contro capitalismo, che per sua natura è parziale, limitata, profondamente antagonista e nel fine quasi inumana per la necessità della violenza che l’accompagna, per l’esercizio di un potere, che per quanto proletario e progressivo possa essere nel suo contenuto, è tuttavia nelle forme e nei mezzi (e non potrebbe non esserlo) terribilmente legato al potere vessatorio d’una dittatura tanto più spietata, quanto più accanita e feroce sarà la resistenza del nemico di classe da superare, come conciliare, diciamo noi, questa inevitabilità storica del potere di classe con la teoria che si rifà agli assoluti di Hegel anche se “umanizzati” e inseriti nel vivo della storia, in quanto storia della lotta tra le classi e della rivolta operaia in quanto motrice della storia moderna? Ecco come l’autrice cerca di risolvere questa controversia teorica:
Soltanto una filosofia, cioè una visione totale, quella che Marx dapprima chiamò non già “comunismo” (definizione più congeniale al pensiero elaborato da Marx negli anni della sua maturità) ma “umanesimo”, può dare una risposta ai molteplici bisogni del proletariato. L’uomo non dovrà essere mai più alienato; deve riguadagnare la sua interezza con la riunificazione del lavoro mentale a quello manuale nel lavoratore vivente, la cui attività autonoma svilupperà soltanto allora tutte le sue potenzialità umane. […]
Il comunismo è la forma necessaria ed il principio energetico dell’immediato futuro, ma il comunismo non è, come tale, la meta dello sviluppo umano, cioè la forma della società umana.
L’ipotesi, dunque, degli assoluti e dell’umanesimo integrale verrà a situarsi al di là di quella fase transitoria che è il comunismo, quello, per intenderci, verso cui fremeva l’ansia della rivoluzione d’Ottobre così fortemente ancorata nella mente e nel cuore del suo maggior artefice. Lenin, che gli epigoni avrebbero poi tradito. Proprio per gli insegnamenti che provengono da questa rivoluzione tradita e dal timore di possibili ritorni offensivi della controrivoluzione che ogni rivoluzione cova nel suo seno, nascono le maggiori preoccupazioni politiche della Dunayevskaya per la quale ogni deviazione teorica dalla linea del marxismo trova la sua ragion d’essere nel consolidamento di interessi opposti a quelli del “marxismo” russo che esaltano solo a parole la dialettica di Marx.
Dopo una larga visione di sintesi dei tre volumi del Capitale e dei tratti salienti della storia del movimento operaio sviluppatosi attorno alla prima e alla seconda Internazionale, lo studio critico dedicato alle varie fasi della esperienza russa dopo la rivoluzione d’ottobre, è quanto di più criticamente sofferto sia stato scritto su questo argomento, come il capitolo dedicato alla personalità di Lenin è quanto di più appassionante. Definisce Lenin uno spirito in azione, il rivoluzionario che ha saputo, in quanto marxista, realizzare l’unità di teoria e di pratica, colui che ha individuato nel crollo della Seconda Internazionale il punto di rottura con tutto quello che si era pensato precedentemente e col metodo di pensiero che si chiamava esso stesso marxista anche se legato al materialismo volgare. Si deve, sostiene l’autrice, all’influenza della filosofia hegeliana se in Lenin i problemi della volontà entrano in un rapporto di interdipendenza con quelli della determinazione; se nel materialismo dialettico egli era portato a porre l’accento più su “dialettico” che su “materialismo” e se…
l’idealismo intelligente è più vicino al materialismo intelligente di quanto non lo sia il materialismo sciocco.
Ma la parte di Marxismo e libertà che più interesserà il lettore europeo è quella dedicata alla organizzazione operaia in generale e a quella del partito d’avanguardia in particolare così come è stata concepita e realizzata nei paesi europei dove il ruolo dei partiti moderni operanti ha avuto una funzione vasta e a volte determinante soprattutto sul piano parlamentare. Ma il discorso va limitato al partito operaio che si richiama al marxismo ed opera conseguentemente a questa dottrina. Pur trascurando il fatto che è proprio della mentalità anglo-sassone sottovalutare il ruolo del partito d’avanguardia per la ragione che in questi paesi il modo di svolgimento della lotta di classe non poteva offrire un terreno favorevole alla sua affermazione, è facile constatare come l’autrice, così attenta nel seguire le vicende del partito di Lenin e la genesi della sua varia strutturazione nella clandestinità e alla vigilia dell’Ottobre, sotto il pungolo delle “Tesi di Aprile” e infine di fronte ai compiti della costruzione del primo Stato socialista, finisca per cadere nel generico. Il problema è di sapere se l’esperienza del partito di Lenin è stata positiva o no. Se positiva, quali le indicazioni pratiche perchè essa serva oggi come centro catalizzatore dei gruppi di minoranza rivoluzionaria così divisi e inoperanti; se negativa, perchè non ha saputo evitare l’assalto dell’opportunismo al vertice dell’organizzazione, bisogna dimostrare come l’affidarsi alla sola spontaneità delle masse e alla loro autonomia sia stato sufficiente per impadronirsi del potere, e le condizioni particolarmente favorevoli non sono mancate, là dove era inesistente il partito d’avanguardia, anzi proprio in virtù della sua inesistenza. Se poi questa proclamata necessità di un nuovo tipo di organizzazione operaia è comprensibile reazione al fatto del danno incalcolabile, inflitto alla causa dei lavoratori e del socialismo dai partiti che oggi esercitano il potere più dispotico nei regimi del capitalismo di Stato, questo può rientrare nell’ambito del sentimento e non dei dati obiettivi di una interpretazione dialettica della storia che abbiamo vissuto e viviamo come uomini di parte.
L’incrociarsi di questi problemi che caratterizzano il nostro tempo, fa di Marxismo e libertà un’opera teoricamente informativa e formativa insieme, utile e, vorremmo dire, indispensabile agli studiosi e a tutti coloro cui sta a cuore la condizione operaia nell’attualità economica e politica del proprio paese nel quadro della situazione internazionale.
Ultima modifica 08.10.2008