Non ci stancheremo mai di ripetere

Damen

 


Battaglia comunista n. 1/2 - 1959
Fonte: Primo Maggio


 

 

Non ci stancheremo di ripetere i termini della nota posizione della Sinistra italiana sul problema delle lotte coloniali.

Mai è apparsa con tanta evidenza la constatazione che la Sinistra italiana è stata la sola corrente comunista internazionale a porre nei giusti termini del marxismo il problema dell'atteggiamento che devono assumere le avanguardie rivoluzionarie nei confronti delle rivolte dei popoli di colore.

Tenuto conto del fatto che la spinta verso le graduali eliminazioni delle zone arretrate o sottosviluppate è dovuta al dinamismo che pervade il moto borghese capitalista nella sua fame di zone nuove da sottoporre a sfruttamento e non alla giaculatoria dei chierici convertitisi al nazionalismo nero e al mito del barbaro anticapitalista; tenuto conto del fatto che dalle stesse contraddizioni che sono implicite in questa spinta del colonialismo capitalista emergono sempre nuove forze sul proscenio del conflitto di classe, la Sinistra italiana ha individuato esattamente la natura e i limiti delle rivolte coloniali condotte sotto la guida di quelle borghesie nazionali ma con l'apporto determinante delle forze sociali, politiche e militari delle masse operaie ormai abilitate alla lotta da decenni di sfruttamento schiavistico, loro imposto con la violenza dai paesi del colonialismo imperialista.

La questione è dunque posta in termini precisi:

- Suscitare una politica che non serva al nazionalismo della nuova borghesia indigena e attraverso questo canale favorisca questa o quella centrale dell'imperialismo ora dominante nel mondo;

- Svolgere i motivi di lotta posti dalla difesa degli intessi delle masse operaie soggette al più vergognoso e degradante sfruttamento economico e politico da parte dei paesi colonialisti;

- Operare in vista della organizzazione di una avanguardia rivoluzionaria a cui è affidato il compito di rompere il diaframma della rivoluzione nazionale e mettere in moto la inesorabile dialettica delle classi, che consentirà alle masse operaie indigene di schierarsi sul fronte della lotta contro tutte le forze della dominazione imperialista.

Ma in che misura tutto ciò è oggi obiettivamente possibile? In che misura il moto spontaneo delle masse di colore può cadere sotto il controllo di una guida internazionale di classe? In che misura invece esso viene deviato dalla sua spinta iniziale, tolto alla sua spontaneità per essere alimentato e potenziato da quella centrale dell'imperialismo (è indifferente che si tratti degli Stati Uniti o dell'URSS) che per ragioni geografiche, finanziarie e di prestigio, è in grado di farne una sua pedina di manovra?

Bisogna riconoscere che con il crollo della Internazionale di Lenin e con il permanere delle ragioni storiche che ne impediscono la ricostruzione, le forze della guerra e dello sfruttamento non conoscono limiti nella loro capacità di eliminare con ogni mezzo ogni attentato al loro dominio.

Ed è proprio per questa constatazione che urgono, sugli altri problemi, quelli della ricostruzione degli strumenti della lotta internazionale di classe a cui è condizionata la stessa liberazione dei popoli di colore.

Non indulgere dunque a certo schematismo dottrinario che vorrebbe fare del marxismo rivoluzionario la bandiera del nazionalismo afro-asiatico che, nella sua direzione attuale, non solo non mette in crisi l'imperialismo, ma lo serve e in definitiva lo rafforza.

Non indulgere al semplicismo teorico di chi sostiene che "si deve sostenere la lotta dei popoli di colore unicamente perché essa darà il potere alla borghesia indigena la quale, industrializzando il paese, creerà un proletariato industriale e preparerà così le basi del socialismo". Al lume della quale teoria i rivoluzionari, per essere conseguenti, dovrebbero, ad esempio, sostenere le guerre del capitalismo solo perché esse, non importa se a costo di lutti e di rovine immense, con le prodigiose scoperte scientifiche e le profonde trasformazioni tecniche, che sono connaturali alla guerra, portano ad ampliare il raggio della conoscenza e spostano in avanti i rapporti tra gli uomini e le loro generali condizioni di vita, spingendo al limite le contraddizioni proprie della organizzazione economica e politica del capitalismo.

Ma se così fosse, meglio di noi e delle nostre organizzazioni, avrebbero interpretato le leggi del marxismo gli Hitler e i Mussolini, e valide dovrebbero essere considerate le loro esperienze corporative... Ma il capitalismo è sempre e ovunque se stesso: fascista ieri, democratico oggi, neo-fascista domani; qui colonialista feroce e là portatore della rivoluzione nazionale, schiavista o progressista secondo il bisogno, fino a che il proletariato non spezzerà questa tragica sequenza del profitto basato sullo sfruttamento, sull'odio e sulla violenza di classe.


Ultima modifica 08.10.2008