Battaglia comunista n. 2, febbraio 1970
Fonte: Primo Maggio
Non c'è precedente nella storia politica dei partiti che possa essere preso come termine di paragone con la stupefacente improntitudine e particolare versatilità all'imbroglio che caratterizzano il PCI.
Abbiamo detto più volte che questo partito può attribuirsi tutti i meriti o demeriti che vuole, meno il diritto di autodefinirsi leninista, come sta facendo da qualche tempo. Sappiamo bene che l'attributo leninista può fargli comodo in date circostanza; si tratta in fondo di un orpello commemorativo che può essere utile di fronte a tanta babele di "leninismi" deteriori, ad un partito così variamente composito quale il PCI che deve soddisfare alle esigenze più contraddittorie che vanno dal bottegaio semi-imborghesito all'intellettuale carrierista, dall'operaio .di fabbrica dei grandi complessi irretito dal sindacato, al bigottume della contestazione religiosa. Pur sapendo la enorme vastità del proscenio sul quale opera, quasi indisturbato, da oltre un ventennio, in confronto ai limiti di influenza e di penetrazione della nostra propaganda, tuttavia spetta a noi il compito di sbugiardare ancora una volta il partito di Longo, che tuttora opera sulla linea ideologica e politica che fu di Gramsci e di Togliatti. La linea, cioè, del più marcato antileninismo, e logicamente in nome di Lenin.
Esaminiamo, per ora, alcuni apetti di importanza fondamentalein cui lo scivolamento dal leninismo all'antileninismo è stato più evidente e decisivo.
Scrisse Lenin in Stato e Rivoluzione: "Marxista è soltanto colui che estende il riconoscimento della lotta delle classi sino al riconoscimento della dittatura del proletariato". E' allora facile dedurre da quanto afferma Lenin che il PCI non è marxista perché ha sposato òe ideologie e la pratica della democrazia borghese fino al punto di avere cancellato dal programma e dalla pratica quotidiana ogni impostazione di lotta basata sulle esigenze di classe, ogni prospettiva rivoluzionaria che affidi alle sole forze del proletariato l'esecuzione della sua dittatura.
Scrive Lenin: "La necessità di educare sistematicamente le masse in questa - e solamente in questa - idea della rivoluzione violenta, è alla base di tutta la dottrina di Marx e di Engels".
"La sostituzione dello Stato proletario allo Stato borghese non è possibile senza rivoluzione violenta" (da Stato e Rivoluzione).
Ma il PCI non ha forse ereditato da Togliatti la "via nazionale, democratica e parlamentare del socialismo", da Gramsci la teoria e la pratica del "bòocco storico", e da tutti e due la teoria del "Fronte unico" e del "compromesso", proprie del parlamentarismo più deteriore e che fanno affidamento nei valori della quantità, del numero e del mito delle maggioranza per una convergenza di forze che in pratica si traduce, in ogni caso, in una convergenza di opportunismi, i quali in regime parlamentare si tengono in piedi col cemento degli interessi del sottogoverno prima ancora che nel governo?
Il PCI, accettando le regole del gioco democratico-parlamentare e la prospettiva delle soluzioni pacifiche, addormenta le masse con l'oppio del cretinismo parlamentare e smentisce, ridicolizzandola, l'idea della rivoluzione violenta che è alla base di tutta, sottolinea Lenin, di tutta la dottrina di Marx e di Engels.
E' proprio vero che quando i "rivoluzionari" decadono al rango di paladini delle libertà democratiche e di salvatori della patria borghese, non sono niente di più che dei poliziotti anti-operai senza fantasia.
Si deve soprattutto a Lenin l'analisi della natura imperialista della prima guerra mondiale e l'approfondimento critico della natura economica dell'imperialismo. Già a guerra iniziata (1915) Lenin si chiedeva: "Quale altro mezzo esisteva in regime capitalista per eliminare la sproporzione tra lo sviluppo delle forze produttive e l'accumulazione del capitale da un lato, e dall'altro la ripartizione delle colonie e "sfere d'influenza", all'infuori della guerra?" (da L'Imperialismo).
Per Lenin e per i leninisti non fasulli, dunque, la guerra e la rivoluzione rano e sono tuttora la sola risposta possibile alle contraddizioni portate al limite dalla fase imperialista della economia. E Lenin risponde in termini tali da non consentire dubbi di sorta all'alternativa che deve essere sempre presente nella coscienza di tutti i rivoluzionari che vivono in questa epoca così tormentata e assurda del dominio imperialista: "O noi siamo realmente, fermamente convinti che la guerra sta per creare in Europa una situazione rivoluzionaria, che ogni congiuntura economica, sociale e politica dell'epoca imperialista porta alla rivoluzione proletaria, allora il nostro dovere indiscutibile è di esporre alle masse la necessità della rivoluzione, di chiamare le masse alla rivoluzione, di creare gli organismi indispensabili, di non temere di parlare nel modo più concreto dei diversi metodi di violenza e e della tecnica della violenza. La rivoluzione sarà assai forte per vincere? Si realizzerà dopo la prima o la seconda guerra imperialista? Il nostro dovere indiscutibile è indipendente da questa domanda. O noi non siamo convinti di avere una situazione rivoluzionaria e allora non c'è bisogno di parlare a vuoto di guerra alla guerra. Allora siamo di fatto dei politici operai nazionali liberali del tipo di Sudekum, Plekhanov o Kautsky" (da Contre le courant).
Compito dei rivoluzionari, ha insegnato Lenin, è di approfittare del momento favorevole, che la condotta della guerra non manca di offrire, per trasformare la guerra imperialista in guerra di classe. E' nella pratica leninista l'indicazione della lotta contro ogni forma di "difesismo" per il "disfattismo rivoluzionario". I comunisti delle vecchie e delle nuove generazioni si sono attenuti e si attengono a questa linea tattico-strategica indicata da Lenin nell'affrontare i problemi della guerra quale essa sia perché, in definitiva, è sempre guerra imperialista in quanto è storicamente impensabile che un che un conflitto armato nell'epoca dell'imperialismo , sfugga comunque alle leggi ferree della sua dominazione.
Né prima, né durante la seconda guerra mondiale il PCI ha affrontato il problema della natura economica dell'imperialismo e della sua guerra come era doveroso per tutti i partiti che dicono di richiamarsi al marxismo rivoluzionario.
Il PCI ha invece voltato le spalle a Lenin per nascondersi dietro quelle di Stalin e del suo "socialismo in un solo paese", ritornando, se mai se ne fosse allontanato, alle concezioni e alla politica della democrazia borghese. In tal modo i suoi dirigenti, i Togliatti e i Longo, si sono dimostrati di fatto non diversi di quelli a cui alludeva Lenin nella formulazione della ipotesi citata più sopra, cioè dei politici operai nazional-liberali del tipo Sudekum, Plekhanov e Kautsky, il fior fiore della socialdemocrazia della Seconda Internazionale. Ci si perdoni il richiamo anche se pensiamo che non sia sempre lecito paragonare le cose piccole alle grandi.
Ultima modifica 08.10.2008