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a) Chi si è offeso per l'articolo
«Da che cosa cominciare? »
b) Può un
giornale essere un organizzatore collettivo?
c) Quale tipo
di organizzazione ci occorre?
"Il più grave errore dell’Iskra da questo punto di vista - scrive Kricevski, che ci rimprovera la tendenza "a trasformare la teoria in una dottrina morta, isolandola dalla pratica" (Raboceie Dielo, n. 10, p. 30) - è il suo "piano" per un’ "organizzazione unica del partito" (cioè l’articolo Da che cosa cominciare?). Martynov è accorso in suo aiuto affermando che "la tendenza dell’Iskra a menomare l’importanza dello sviluppo progressivo della grigia lotta quotidiana immediata rispetto alla propaganda di idee brillanti e ben definite... ha portato al piano di organizzazione per il partito proposto nell’articolo del n. 4, Da che cosa cominciare?" (ivi, p. 61). Infine in questi ultimi tempi tutti coloro che si indignano per il "piano" in questione (le virgolette devono esprimere la loro ironia) hanno trovato un nuovo alleato in Nadezdin il quale, in un opuscolo che ho ricevuto da poco, La vigilia della rivoluzione (edito dal "Gruppo rivoluzionario socialista" Svoboda a noi già noto), afferma che "parlare oggi di una organizzazione collegata ad un giornale per tutta la Russia significa rimanere nelle nuvole, fare del lavoro da tavolino" (p. 126), della "letteratura" e così via.
La solidarietà che il nostro terrorista esprime per i fautori dello «sviluppo progressivo della grigia lotta quotidiana immediata» non può meravigliarci; ne abbiamo indicato le radici nei capitoli precedenti sulla politica e sull'organizzazione. Bisogna però fin d'ora notare che solamente Nadezdin ha tentato coscienziosamente di afferrare il significato dell'articolo che gli è spiaciuto e di rispondere sulla sostanza, mentre il Raboceie Dielo nulla ha detto sulla sostanza e ha cercato solo di ingarbugliare la questione ricorrendo ad una serie di indegne trovate demagogiche. Per quanto sia spiacevole, dobbiamo perdere del tempo per spazzare innanzi tutto le stalle di Augia.
Citiamo un bel mazzo di espressioni ed esclamazioni con le quali il Raboceie Dielo si è scagliato contro di noi. «Non è il giornale che può creare un'organizzazione di partito, ma viceversa»... «Un giornale che sia al di sopra del partito, fuori del suo controllo e indipendente da esso grazie alla propria rete di fiduciari»... «Come è potuto accadere che l’Iskra abbia dimenticato le organizzazioni socialdemocratiche — che esistono di fatto — del partito cui essa appartiene?»... «Coloro che hanno saldi principi e un piano corrispondente sarebbero anche i supremi regolatori della lotta reale del partito, imporrebbero al partito l'esecuzione del loro piano»... «Il piano getta le nostre organizzazioni vive e vitali nel regno delle ombre e vuol far sorgere una fantastica rete di fiduciari»... «.Se il piano dell'Iskra fosse attuato, sparirebbe persino ogni traccia del Partito operaio socialdemocratico russo che si stava formando»... «L'organo di propaganda diverrebbe il legislatore assoluto e incontrollato di tutta la lotta rivoluzionaria pratica»... «Come deve considerare il nostro partito la sua completa sottomissione a una redazione autonoma?», ecc. ecc.
Come il lettore vede dal contenuto e dal tono di queste citazioni, il Raboceie Dielo si è offeso. Ma si è offeso non per sé, bensì per le organizzazioni e i comitati del nostro partito che l'Iskra vorrebbe gettare nel regno delle ombre e di cui vorrebbe far sparire persino ogni traccia. Che orrore, pensate! Di strano c'è una cosa sola. L'articolo Da che cosa cominciare? è apparso nel maggio del 1901, gli articoli del Raboceie Dielo nel settembre del 1901, e adesso siamo già alla metà di gennaio del 1902. In tutti questi cinque mesi (sia prima che dopo settembre) neppure un comitato e neppure una organizzazione del partito ha formalmente protestato contro quel mostro che vuol gettare i comitati e le organizzazioni nel regno delle ombre! Eppure in questo periodo, sia nell'Iskra che in un mucchio di altre pubblicazioni locali e non locali, sono apparse decine e centinaia di notizie da tutti gli angoli della Russia. Com'è avvenuto che coloro che si vuoi gettare nel regno delle ombre non se ne siano accorti e non si siano offesi, ma si sia offesa una terza persona?
Ciò è avvenuto perché i comitati e le altre organizzazioni sono intenti a svolgere un vero lavoro e non a giocare alla «democrazia». I comitati hanno letto l'articolo Da che cosa cominciare?, hanno visto che era un tentativo di «elaborare un determinato piano di organizzazione affinché da ogni parte ci si accinga a costruirla », e siccome sapevano benissimo e vedevano che nessuna «parte» avrebbe pensato di « accingersi a costruirla», fino a che non fosse stata convinta che l'organizzazione era necessaria e il piano di costruzione era giusto, naturalmente non hanno pensato di «offendersi» per il colmo di temerarietà di chi aveva scritto nell'Iskra: «Considerata l'urgenza del problema, ci decidiamo, da parte nostra, a sottoporre all'attenzione dei compagni l'abbozzo di un piano, che. abbiamo sviluppato in modo più particolareggiato in un opuscolo in corso di preparazione per la stampa». Com'è possibile, se si è in buona fede, non comprendere che, se i compagni accetteranno il piano sottoposto alla loro attenzione, lo realizzeranno non per «sottomissione», ma perché convinti della sua necessità per la nostra causa comune e che, se non lo accetteranno, l'«abbozzo» (che parola pretenziosa, non è vero?) rimarrà un semplice abbozzo? Non si fa forse della demagogia quando contro l'abbozzo di un piano si combatte non soltanto «criticandolo» e consigliando ai compagni di respingerlo, ma anche aizzando chi è poco pratico del lavoro rivoluzionario contro gli autori dell'abbozzo, soltanto per il fatto che osano «legiferare» e presentarsi come i «supremi regolatori », ossia osano proporre un abbozzo di piano?? Può il nostro partito svilupparsi e progredire se a causa del tentativo di innalzare i dirigenti locali a idee, compiti, piani, ecc. più vasti, non soltanto ci si muovono obiezioni per l'erroneità di queste idee, ma ci si «offende» perché ci si vuole «innalzare»? Anche L. Nadezdin ha «criticato» il nostro piano, ma egli non si è abbassato fino a una demagogia che solo l'ingenuità o il primitivismo nelle tendenze politiche possono spiegare, ed ha respinto decisamente e fin dall'inizio l'accusa di «ispettorato sul partito». A Nadezdin, quindi, per la sua critica al piano si può e si deve rispondere sulla sostanza, mentre al Raboceie Dielo si può rispondere soltanto col disprezzo.
Ma il disprezzo per uno scrittore degradatosi sino a far chiasso sull’«assolutismo» e la «sottomissione» non ci esime dal dovere di districare il pasticcio che viene offerto al lettore da simili persone. E qui possiamo mostrare con evidenza a tutti di che genere sono queste frasi correnti sulla «larga democrazia». Ci si accusa di ignorare i comitati, ci si accusa di volere o di tentare di gettarli nel regno delle ombre, ecc. Come rispondere a queste accuse quando non possiamo dire al lettore quasi nulla, di fatto, sui nostri reali rapporti con i comitati, e non lo possiamo per ragioni di clandestinità? Individui simili, lanciando un'accusa sferzante, che irrita la folla, ci tagliano la strada grazie alla loro disinvoltura, grazie al loro sprezzante atteggiamento verso i doveri del rivoluzionario che nasconde accuratamente agli occhi di tutti i contatti e i legami che egli ha, stabilisce o tenta di stabilire. È comprensibile che ci rifiutiamo una volta per sempre di entrare in concorrenza, nel campo della « democrazia», con simili uomini. Per quanto riguarda il lettore profano in tutte le cose del partito, l'unico modo di compiere il proprio dovere verso di lui è di raccontargli non quello che c'è e quello che è im Werden [1], ma una piccola parte di quello che c'era e che si può raccontare perché ormai appartiene al passato.
Il Bund allude alla nostra «usurpazione» [*1], l' «Unione» all'estero ci accusa di tentare di far sparire ogni traccia del partito. Va bene, signori! Sarete allora pienamente soddisfatti quando racconteremo al pubblico quattro fatti del passato.
Primo [*2]. I membri di una delle «Unioni di lotta », che hanno preso parte diretta alla fondazione del nostro partito e inviato un delegato al congresso costitutivo del partito, trattano con uno dei membri del gruppo dell'Iskra per fondare una collana operaia che deve appagare i bisogni di tutto il movimento. Non se ne fa niente, e gli opuscoli scritti per la collana, I compiti dei socialdemocratici russi e La nuova legge sulle fabbriche, finiscono, dopo un lungo giro e attraverso terze persone, all'estero, dove vengono pubblicati [2].
Secondo. I membri del Comitato centrale del Bund si rivolgono a uno dei membri del gruppo dell'Iskra proponendogli di organizzare, come il Bund si espresse allora, un «laboratorio letterario». Ed essi dicono che, se non si riuscirà, il nostro movimento potrà andare molto indietro. Risultato delle trattative è l'opuscolo La causa operaia in Russia [*3].
Terzo. Il Comitato centrale del Bund si rivolge, servendosi come intermediario di una cittadina di provincia, a uno dei membri dell'Iskra, proponendogli di assumersi la redazione della Rabociaia Gazieta che dovrebbe riprendere le pubblicazioni; il membro dell’Iskra accetta. In seguito la proposta cambia: si propone la collaborazione, dato che la redazione è stata rimaneggiata. E anche su questo naturalmente si ottiene il consenso [3]. Si inviano degli articoli (che si è riusciti a conservare): Il nostro programma, che protesta apertamente contro il bernsteinismo, contro la svolta nella letteratura legale e nella Rabociaia Mlysl; Il nostro compito immediato («organizzazione di un organo del partito che esca regolarmente e sia strettamente legato a tutti i gruppi locali»; insufficienza del «primitivismo » dominante); Una questione urgente (esame dell'obiezione secondo cui bisogna dapprima sviluppare l'attività dei gruppi locali e solo dopo accingersi all'organizzazione di un giornale centrale; insistenza sulla grande importanza dell' «organizzazione rivoluzionaria», sulla necessità di «portare l'organizzazione, la disciplina e la tecnica cospirativa fino al massimo grado di perfezione»). La proposta di riprendere le pubblicazioni della Rabociaia Gazieta non viene attuata e gli articoli non vengono pubblicati.
Quarto. Un membro del comitato che organizza il II Congresso ordinario del nostro partito comunica a un membro del gruppo dell'Iskra il programma del congresso e propone che questo gruppo si incarichi della redazione della Rabociaia Gazieta che sta per riprendere le pubblicazioni. Questo passo, per così dire preliminare, viene in seguito sanzionato sia dal comitato organizzatore che dal Comitato centrale del Bund [4]; il gruppo dell'Iskra riceve le indicazioni sulla sede e la data del congresso, ma (per alcune ragioni non è sicuro di poter inviare un proprio delegato) redige un rapporto scritto per il congresso. Nel rapporto si dice che con le sole elezioni del Comitato Centrale non soltanto non risolveremo il problema dell'unificazione in un momento di completa confusione come quello che attraversiamo, ma rischieremo di compromettere la grande idea della creazione del partito nel caso di nuovi arresti, che sono più che probabili data la scarsa vigilanza cospirativa; che bisogna cominciare perciò ad invitare tutti i comitati e tutte le altre organizzazioni ad appoggiare l'organo centrale che ha ripreso le pubblicazioni, il quale unirà realmente tutti i comitati con un legame effettivo, preparerà realmente un gruppo di dirigenti di tutto il movimento. Quanto a trasformare un tale gruppo, creato dai comitati, in Comitato Centrale, i comitati e il partito potranno in seguito farlo più facilmente, giacché questo gruppo crescerà e si rafforzerà. Ma il congresso non viene tenuto a causa di numerosi arresti, e il rapporto viene distrutto per considerazioni cospirative; era stato letto soltanto da alcuni compagni, ivi compresi i fiduciari di un comitato.
Il lettore giudichi ora egli stesso questi metodi, quale l'allusione del Bund all'usurpazione o quale l'argomento del Raboceie Dielo, secondo cui noi vorremmo gettare i comitati nel regno delle ombre e «sostituire» all'organizzazione del partito l'organizzazione della diffusione delle idee di un solo giornale. Ma proprio ai comitati, dietro loro reiterati inviti, abbiamo parlato della necessità di approvare un piano concreto per il lavoro comune. Proprio per l'organizzazione del partito abbiamo elaborato questo piano negli articoli per la Rabociaia Gazieta e nel rapporto al congresso del partito, anche questa volta dietro invito di coloro che occupavano nel partito una posizione così influente da assumersi (di fatto) l'iniziativa della sua ricostituzione. E soltanto dopo che sono falliti i due tentativi dell'organizzazione di partito per riprendere ufficialmente insieme a noi la pubblicazione dell'organo centrale del partito, abbiamo ritenuto che fosse nostro dovere fondare un organo non ufficiale, affinché in un terzo tentativo i compagni avessero già davanti a sé certi risultati dell'esperienza e non soltanto supposizioni problematiche. Attualmente già tutti vedono alcuni risultati di questa esperienza, e tutti i compagni possono giudicare se abbiamo compreso in modo giusto il nostro dovere e che cosa bisogna pensare di uomini che, stizziti per l'aver noi dimostrato agli uni la loro incoerenza nel problema «nazionale» e agli altri l'inammissibilità di esitazioni senza principio, cercano di trarre in inganno coloro che non conoscono il passato recente.
Tutta la sostanza dell’articolo Da che cosa cominciare? consisteva appunto nel porre questo problema e nel risolverlo affermativamente. Il solo che, per quanto sappiamo, abbia cercato di analizzarlo e di dargli una soluzione negativa è L. Nadezdin, di cui riproduciamo testualmente gli argomenti.
Abbiamo sottolineato in questa eloquente tirata i brani che pongono meglio in rilievo l’idea falsa che l’autore si fa del nostro piano e, in generale, l’erroneità della concezione che egli oppone all’Iskra. Se non si creano forti organizzazioni politiche locali, anche il migliore giornale per tutta la Russia non otterrà alcun risultato. Giustissimo. Ma il fatto è che, per educare forti organizzazioni politiche, non vi è altro mezzo all’infuori di un giornale per tutta la Russia. All’autore è sfuggita la dichiarazione più importante dell’Iskra: quella che precede l’esposizione del "piano". È necessario, si dice in quella dichiarazione, "promuovere la formazione di un’organizzazione rivoluzionaria, capace di unire tutte le forze e di dirigere il movimento non soltanto di nome, ma di fatto, di essere cioè sempre pronta a sostenere ogni protesta e ogni esplosione, sfruttandole per moltiplicare e consolidare le forze militari che possono servire per la battaglia decisiva". In linea di principio, continua l’Iskra, oggi, dopo gli avvenimenti del febbraio e del marzo, tutti sono d’accordo su questo punto; ma a noi non occorre una soluzione di principio, bensì una soluzione pratica della questione. Ci occorre immediatamente un piano preciso, affinché si possa cominciare a costruire immediatamente e da diverse parti. Ci si vuole invece far retrocedere dalla soluzione pratica alla grande verità – giusta ed incontestabile in linea di principio, ma insufficiente ed incomprensibile per la maggioranza dei lavoratori – che bisogna "educare delle forti organizzazioni politiche"! Non si tratta di questo, ora, egregio scrittore, ma appunto di come crearle ed educarle!
È falso dire che "abbiamo lavorato soprattutto fra gli operai colti" e che "le masse hanno quasi esclusivamente condotto la lotta economica". Così formulata, questa affermazione fa eco alla tesi radicalmente sbagliata della Svoboda, che contrappone continuamente gli operai colti alle "masse". In questi ultimi anni gli operai colti hanno anch’essi, in Russia, condotto "quasi esclusivamente la lotta economica". Questo da un lato. D’altro lato, le masse non impareranno mai a condurre la lotta politica fino a quando non contribuiremo a educare dei dirigenti per tale lotta, sia fra gli operai colti, che fra gli intellettuali. Ma simili dirigenti possono educarsi solo se si abituano a valutare quotidianamente, sistematicamente tutti gli aspetti della nostra vita politica, tutti i tentativi di protesta e di lotta compiuti dalle diverse classi per cause diverse. Parlare perciò di "educare delle organizzazioni politiche" e nello stesso tempo contrapporre l’ "opera fittizia" di un giornale politico al "lavoro politico vivo nella provincia" è semplicemente ridicolo! E l’Iskra fa appunto collimare il suo "piano" per un giornale col "piano" per ottenere una "preparazione alla lotta" che permetta di appoggiare e il movimento dei disoccupati, e le sollevazioni contadine, e il malcontento dei rappresentanti degli zemstvo, e "l’indignazione della popolazione contro il regime di arbitrio dei cani di guardia dello zarismo", ecc. Chiunque conosca il movimento sa molto bene che l’immensa maggioranza delle organizzazioni locali non vi pensa neppure, che molti dei progetti di "lavoro politico vivo" qui tracciati non sotto mai stati finora applicati da nessuna organizzazione locale, che per esempio il tentativo di richiamare l’attenzione sul malcontento crescente e sulle continue proteste degli intellettuali degli zemstvo sconcerta e Nadezdin ("Dio mio! ma quest’organo non è destinato ai rappresentanti dello zemstvo?", La vigilia della rivoluzione, p. 129) e gli economisti (lettera del n. 12 dell’Iskra) e numerosi militanti. In queste condizioni si può "cominciare" soltanto incitando i militanti a pensare a tali questioni, a sommare ed a generalizzare tutte le manifestazioni di fermento e di lotta attiva. In un periodo in cui i compiti socialdemocratici sono scaduti ad un livello molto basso, si può cominciare un "lavoro politico vivo" esclusivamente con una vivace agitazione politica, che è impossibile senza un grande giornale per tutta la Russia, che si pubblichi spesso e sia regolarmente diffuso.
Chi giudica il "piano" dell’Iskra come pura "letteratura" non ne ha affatto compreso la sostanza; ha scambiato con lo scopo il mezzo più adatto nel momento presente, non si è preso la briga di riflettere su due paragoni che chiariscono il piano. La creazione di un giornale politico per tutta la Russia – scriveva l’Iskra – deve essere il filo conduttore; seguendolo, potremo continuamente sviluppare, approfondire ed estendere l’organizzazione (cioè l’organizzazione rivoluzionaria, sempre pronta a sostenere ogni protesta e ogni esplosione). Ditemi, per favore, quando i muratori collocano su vari punti le pietre di un immenso edificio, di forma assolutamente nuova, tendendo il filo, che, aiutandoli a trovare il punto esatto, indica loro lo scopo finale di tutto il lavoro e permette loro di mettere a posto non solo ogni pietra, ma gli strati di pietre che sovrapponendosi l’uno all’altro daranno la linea definitiva e complessiva, compiono forse un lavoro "fittizio"? Non è chiaro che oggi attraversiamo nel nostro partito effettivamente un periodo in cui, pur avendo delle pietre e dei muratori, ci manca il filo visibile a tutti e sul quale tutti possano regolarsi? Lasciamo strillare a piacer suo chi pretende che, tendendo il filo, noi vogliamo comandare: se così fosse, signori, invece di intitolare il nostro giornale Iskra, n. 1, l’avremmo intitolato Rabociaia Gazieta, n. 3, come ci proponevano alcuni compagni e come avevamo pienamente il diritto di fare dopo quegli avvenimenti di cui si è parlato più sopra. Ma non lo abbiamo fatto perché volevamo avere le mani libere per combattere senza pietà tutti gli pseudosocialdemocratici, perché volevamo far accettare il nostro filo, in quanto e perché è teso in modo giusto e non perché è teso da un organo ufficiale.
"L’unificazione dell’attività locale da parte di organi centrali è una questione che si aggira in un circolo vizioso, – scrive sentenziosamente Nadezdin. – Per l’unificazione occorrono elementi omogenei; ma l’omogeneità stessa può essere creata soltanto da qualcosa che unifica. Questo qualcosa però non può essere che il prodotto di forti organizzazioni locali, le quali in questo momento non si distinguono davvero per omogeneità." Verità rispettabile e incontestabile quanto l’affermazione della necessità di creare forti organizzazioni politiche! Ma verità non meno sterile! Ogni questione "si aggira in un circolo vizioso" perché tutta la vita politica è una catena senza fine composta di un numero infinito di anelli. Tutta l’arte dell’uomo politico consiste precisamente nel trovare e nell’afferrare saldissimamente l’anello che più difficilmente può essergli strappato, che è il più importante in quel dato momento e che meglio gli garantisce il possesso di tutta la catena [*4]. Se avessimo un gruppo di muratori capaci, abbastanza allenati al lavoro collettivo per poter porre le pietre dove è necessario, senza alcun filo (astrattamente parlando, non è impossibile), potremmo forse aggrapparci a un altro anello. Il male è che non abbiamo ancora dei muratori simili, che spesso le pietre sono collocate a caso, senza la guida di un filo e in modo così scomposto che il nemico può disperderle, come grani di sabbia, con un soffio.
Altro paragone: "Il giornale non è solo un propagandista e un agitatore collettivo, ma anche un organizzatore collettivo. Sotto questo ultimo aspetto, lo si può paragonare alle impalcature che rivestono un edificio in costruzione, ma ne lasciano indovinare la sagoma, facilitano i contatti tra i costruttori, li aiutano a suddividersi il lavoro e a rendersi conto dei risultati generali ottenuti con il lavoro organizzato" [*5]. Non sembrerebbe che qui il letterato, l’uomo specializzato nel lavoro a tavolino, esageri la propria funzione? Le impalcature non sono affatto necessarie per l’edificio in sé; sono fatte col materiale peggiore, innalzate per un tempo relativamente breve e gettate nel fuoco quando nelle sue grandi linee l’opera è finita. Per quanto concerne l’edificazione di organizzazioni rivoluzionarie, l’esperienza dimostra (per esempio negli anni settanta) che si riesce talvolta a costruire senza impalcature. Ma oggi non possiamo neppure pensare alla possibilità di elevare senza impalcature l’edificio che ci è necessario.
Nadezdin non è d’accordo e scrive: "Intorno a un simile giornale, per un simile giornale, il popolo si raccoglierà e si organizzerà nell’azione: così pensa l’Iskra. Ma al popolo è molto più facile raccogliersi e organizzarsi intorno ad un’attività più concreta!". Certamente: "molto più facile... intorno ad un’attività più concreta"... Un proverbio russo dice: Non sputare nel pozzo, perché avrai bisogno della sua acqua. Ma c’è della gente che non disdegna di dissetarsi al pozzo in cui si è sputato. Nella ricerca del "più concreto", quali porcherie non sono stati indotti a dire e a scrivere i nostri brillanti "critici" legali "del marxismo" e gli ammiratori illegali della Rabociaia Mysl! Com’è schiacciato tutto il nostro movimento dalla nostra limitatezza, dalla nostra mancanza di iniziativa e dalla nostra timidezza, giustificate con i tradizionali argomenti di questo genere: "molto più facile... intorno ad un’attività più concreta"! E Nadezdin, che si ritiene particolarmente dotato del senso della "realtà", che condanna severamente gli "uomini da tavolino", che rimprovera all’Iskra (con la pretesa di far dello spirito) il debole di vedere l’economismo dappertutto, che immagina di essere molto al di sopra della divisione in ortodossi e in "critici", Nadezdin non si accorge neppure di fare così il giuoco della limitatezza che lo indigna, non si accorge di bere nel pozzo dove più si è sputato! L’indignazione più sincera contro la nostra limitatezza, il desiderio più ardente di disgustarne coloro che vi si adattano non bastano ancora se si naviga senza timone, alla mercé dei venti, e se ci si attacca istintivamente, come i rivoluzionari degli anni settanta, al "terrorismo stimolante", al "terrorismo agrario", alle "campane a martello", ecc. Vedete ora che cosa propone Nadezdin di "più concreto" per raccogliere ed organizzare "molto più facilmente" il popolo: 1) giornali locali; 2) preparazione di manifestazioni; 3) lavoro fra i disoccupati. Ci si accorge subito che tutto ciò è scritto a caso, come vien viene, solo per dire qualche cosa, perché, da qualunque parte lo si consideri, sarebbe assurdo volervi trovare qualcosa di particolarmente adatto per "raccogliere" e per "organizzare". E lo stesso Nadezdin, due pagine dopo, scrive: "Sarebbe tempo di costatare questo fatto: in provincia il lavoro è infimo, i comitati non fanno la decima parte di quanto potrebbero fare... I centri di unificazione che esistono oggi sono fittizi, sono burocrazia rivoluzionaria, organismi nei quali ci si promuove scambievolmente a ‘generale’, e ciò avverrà fino a quando non avremo delle forti organizzazioni locali". Queste parole, a parte la loro esagerazione, contengono indubbiamente una gran parte di triste verità; ma come mai Nadezdin non vede il nesso fra l’infimo lavoro locale e la ristrettezza d’orizzonte dei militanti, l’angustia del campo d’azione della loro attività, difetti inevitabili data la mancanza di preparazione dei militanti che si rinchiudono nel quadro delle organizzazioni locali? Come ha potuto dimenticare, al pari dell’autore dell’articolo sull’organizzazione pubblicato nella Svoboda, che gli inizi di una vasta stampa locale (1898) sono stati accompagnati da un aumento particolare dell’economismo e del "primitivismo"? Anche se fosse possibile un’organizzazione più o meno buona di una "vasta stampa locale" (ed abbiamo mostrato precedentemente che ciò è impossibile, salvo qualche caso eccezionale), anche allora gli organi locali non potrebbero "raccogliere ed organizzare" tutte le forze dei rivoluzionari per l’assalto generale contro l’autocrazia, per dirigere una lotta unica. Non dimenticate che si tratta solo del giornale come fattore di raggruppamento, come organizzatore, e che noi, quando Nadezdin difende la dispersione, potremmo rispondergli a puntino ritorcendo la domanda ironica che ci muove lui stesso: "Non abbiamo forse ricevuto in eredità almeno 200.000 organizzatori rivoluzionari?". Inoltre non si può contrapporre la "preparazione di manifestazioni" al piano dell’Iskra, perché questo piano prevede precisamente le più larghe manifestazioni come uno degli obiettivi da raggiungere; ma qui si tratta di scegliere il mezzo pratico. Anche in questo caso, Nadezdin ha sbagliato strada; ha dimenticato che solo truppe già "raccolte ed organizzate" possono "preparare" delle manifestazioni (che fino ad oggi sono state per lo più del tutto spontanee); e, precisamente, noi non sappiamo raccogliere ed organizzare.
"Il lavoro fra i disoccupati." Sempre la stessa confusione; è questa una delle operazioni attive di un esercito mobilitato e non un piano per mobilitare l’esercito. Quanto Nadezdin sottovaluti, anche in questo caso, il danno che ci reca la dispersione, la mancanza di "200.000 organizzatori", risulta da ciò che segue. Molti (fra cui Nadezdin) hanno rimproverato all’Iskra di dare troppo scarse informazioni sulla disoccupazione e di non pubblicare che corrispondenze occasionali sulle manifestazioni più consuete della vita rurale. Il rimprovero è giusto, ma l’Iskra non ne ha colpa. Noi ci sforziamo di "tendere" il nostro "filo" anche attraverso la campagna, ma laggiù non vi sono muratori quasi in nessun luogo, e noi dobbiamo incoraggiare tutti coloro che ci inviano anche delle banalità con la speranza che aumenti così il numero dei nostri collaboratori rurali e che finalmente tutti noi impariamo come si selezionano i fatti veramente notevoli. Ma questo materiale è così scarso che, se non generalizzeremo i fatti avvenuti in tutta la Russia, non avremo quasi niente per istruirci. Certo un individuo, che abbia più o meno le attitudini di agitatore che Nadezdin possiede e la sua conoscenza della vita dei vagabondi, potrebbe, con la propria agitazione fra i disoccupati, rendere servizi preziosi al movimento. Ma le sue capacità rimarrebbero quasi inutilizzate se non si adoperasse a far conoscere a tutti i compagni russi i particolari della sua attività, per dare un esempio e un’istruzione a uomini che, nella loro maggioranza, non sanno neppure iniziare questa nuova attività. Tutti parlano attualmente dell’importanza dell’unificazione, della necessità di "raccogliere e di organizzare", ma nella maggior parte dei casi non si sa ancora chiaramente da che cosa cominciare e come raggiungere l’unificazione. Si ammetterà senza dubbio che per "unificare" per esempio i circoli di quartiere di una città occorrono degli organismi comuni, cioè non solo l’etichetta della "unione", ma un lavoro veramente comune, uno scambio di materiali, di esperienze e di forze, una ripartizione delle funzioni, non solo per quartiere, ma anche per specializzazione, in tutta l’attività urbana. È evidente che un buon apparato clandestino non coprirà le sue spese (ci si passi quest’espressione commerciale) se può disporre delle "risorse" (materiali ed umane, beninteso) di un solo quartiere e che l’ingegno di uno specialista non avrà campo sufficiente d’azione in limiti così ristretti. E ciò si riferisce anche all’unificazione delle varie città, perché il campo d’azione di una località isolata si dimostra e si è già dimostrato, nella storia del nostro movimento socialdemocratico, troppo angusto: lo abbiamo chiarito più sopra con l’esempio dell’agitazione politica e del lavoro d’organizzazione. È dunque assolutamente necessario estendere innanzi tutto questo campo d’azione, creare un legame effettivo fra le città per un lavoro metodico comune, perché la frammentarietà comprime le capacità degli uomini, i quali, "chiusi nel loro buco" (come scrive l’autore di una lettera all’Iskra), ignorano ciò che avviene nel mondo, non sanno come istruirsi, come acquistare l’esperienza necessaria e come soddisfare il loro bisogno di una vasta attività. Per conto mio persisto nel sostenere che questo legame effettivo si può cominciare a crearlo solo per mezzo di un grande giornale comune, iniziativa unica e regolare per tutta la Russia, che farà il bilancio delle più diverse forme di attività ed inciterà quindi i militanti a procedere senza requie lungo tutte le molteplici strade, che conducono alla rivoluzione, come tutte le strade conducono a Roma. Se vogliamo una unificazione non soltanto a parole, bisogna che ogni circolo locale mobiliti immediatamente, mettiamo, un quarto delle sue forze per partecipare attivamente all’opera comune. Il nostro giornale gli dà [*6] immediatamente il piano generale, le dimensioni e il carattere di quest’opera, gli mostra le lacune che si fanno maggiormente sentire nella nostra azione su scala nazionale, le località dove manca l’agitazione e con le quali i collegamenti sono deboli, gli ingranaggi dell’immenso meccanismo che egli stesso potrebbe riparare e sostituire. Un circolo che non ha ancora lavorato, ma vuole lavorare, potrebbe mettersi all’opera non come un artigiano che, rinchiuso nella sua piccola bottega, non conosce né l’evoluzione anteriore dell’ "industria", né la situazione generale dei mezzi di produzione, ma come un artefice di una grande impresa nella quale si rispecchia tutta la spinta rivoluzionaria contro l’autocrazia. E quanto più ogni ingranaggio sarà perfetto, quanto più numerosi saranno coloro che si occupano delle diverse parti dell’opera comune, tanto più fitta sarà la nostra rete e tanto meno nocive per le nostre file saranno le inevitabili retate.
Il lavoro di diffusione del giornale comincerebbe di per sé a creare un legame effettivo (ove il giornale sia degno di questo nome, cioè se si pubblicherà regolarmente, e non una volta al mese come le grandi riviste, ma, per esempio, quattro volte al mese). I rapporti fra città e città, necessari per l’opera rivoluzionaria, oggi assai rari ed in ogni caso del tutto eccezionali, diventerebbero allora la regola ed assicurerebbero non solo la diffusione del giornale, ma lo scambio (il che è molto più importante) delle esperienze, dei materiali, delle forze e delle risorse. Il lavoro organizzativo acquisterebbe un’ampiezza cento volte maggiore e i successi ottenuti in un luogo indurrebbero a perfezionare continuamente il lavoro, inciterebbero i militanti di altre zone del paese a giovarsi dell’esperienza. Il lavoro locale migliorerebbe infinitamente in ampiezza e in varietà: le denunce politiche ed economiche raccolte in tutta la Russia darebbero un nutrimento intellettuale agli operai di tutte le categorie, qualunque sia il loro grado di sviluppo, darebbero materia e spunto a conversazioni e a conferenze sui più diversi problemi, sollevati anche con allusioni dalla stampa legale, dai discorsi quotidiani, dai comunicati "pudibondi" del governo. Ogni esplosione, ogni manifestazione sarebbe esaminata e valutata da ogni punto di vista in tutti gli angoli della Russia, susciterebbe l’emulazione (noi socialisti non siamo affatto contro qualsiasi emulazione né contro qualsiasi "concorrenza"!), il desiderio di fare meglio degli altri, di preparare consapevolmente ciò che la prima volta si è prodotto spontaneamente, di approfittare delle condizioni favorevoli di tempo o di luogo per modificare il piano di attacco, ecc. Al tempo stesso, questa vivificazione del lavoro locale non porterebbe a quella tensione "mortale" e disperata di tutte le forze, a quella mobilitazione di tutti i nostri uomini, alla quale ci porta in genere ogni manifestazione od ogni numero di giornale locale. Da una parte, per la polizia sarebbe molto più difficile scoprire le "radici" perché non saprebbe dove cercarle. D’altra parte, un regolare lavoro comune consentirebbe di adeguare l’intensità di un determinato attacco alla forza di questo o quel reparto del nostro esercito (al che oggi non si pensa quasi mai, perché gli attacchi nove volte su dieci si producono spontaneamente) e faciliterebbe il "trasporto" non solo delle pubblicazioni, ma anche delle forze rivoluzionarie da un luogo all’altro.
Oggi, nella maggior parte dei casi, queste forze si fanno sterminare su un ristretto campo di operazioni, cioè nel lavoro locale, mentre allora si avrebbe costantemente la possibilità e l’occasione di spostare da un capo all’altro del paese ogni agitatore od ogni organizzatore di qualche capacità. Cominciando con piccoli viaggi per questioni di partito e a spese del partito, i militanti si abituerebbero a poco a poco a passare interamente alla sua dipendenza, diventerebbero dei rivoluzionari di professione, si preparerebbero alla funzione di veri capi politici.
E se noi riuscissimo ad ottenere che tutti o la maggior parte dei comitati, gruppi e circoli locali si unissero attivamente nell’opera comune, potremmo in breve tempo organizzare un settimanale regolare, diffuso a decine di migliaia di copie in tutta la Russia. Un giornale simile sarebbe una piccola parte di un gigantesco mantice, capace di attizzare ogni scintilla della lotta di classe e dell’indignazione popolare per farne divampare un immenso incendio. Intorno a quest’opera ancora semplice e minuta, ma regolare e veramente collettiva, si recluterebbe sistematicamente e addestrerebbe un esercito permanente di combattenti provati. Sulle impalcature o sui cavalletti di questo cantiere organizzativo comune vedremmo sorgere dalle file dei nostri rivoluzionari dei Geliabov socialdemocratici, dalle file dei nostri operai dei Bebel russi che, alla testa di quell’esercito mobilitato, solleverebbero tutto il popolo contro la vergogna e la maledizione della Russia.
Ecco che cosa bisogna sognare!
"Bisogna sognare!". Scrivendo queste parole sono stato preso dalla paura. Mi è sembrato di trovarmi al Congresso di unificazione e di avere in faccia a me i redattori ed i collaboratori del Raboceie Dielo. Ed ecco il compagno Martynov alzarsi ed esclamare minacciosamente: "Scusate! Una redazione autonoma ha il diritto di ‘sognare’ senza l’autorizzazione preventiva dei comitati del partito?". Poi si alza il compagno Kricevski, il quale (approfondendo filosoficamente il compagno Martynov che ha da molto tempo approfondito il compagno Plekhanov) continua ancora più minaccioso: "Dirò di più. Vi domando: ha un marxista il diritto di sognare se non ha dimenticato che, secondo Marx, l’umanità si pone sempre degli obiettivi realizzabili e che la tattica è il processo di sviluppo degli obiettivi che si sviluppano insieme con il partito stesso?".
La sola idea di queste domande minacciose mi fa venire la pelle d’oca, e non penso che a trovare un nascondiglio. Cerchiamo di nasconderci dietro Pisariev.
Di sogni di questo genere ve ne sono disgraziatamente troppo pochi nel nostro movimento. E ne hanno colpa soprattutto i rappresentanti della critica legale e del "codismo" illegale, che fanno pompa della loro ponderatezza, del loro "senso del concreto".
Da quanto precede, il lettore comprende che il nostro "piano tattico" è la negazione dell’appello immediato all’assalto ed esprime l’esigenza di un "assedio regolare della fortezza nemica"; in altre parole esige l’accentramento di tutti gli sforzi per raccogliere, organizzare e mobilitare un esercito permanente. Quando abbiamo deriso il Raboceie Dielo per il suo sbalzo dall’economismo agli strepiti (levatisi nell’aprile 1901, nel n. 6 del Listok Rabocevo Diela) sulla necessità dell’assalto, il giornale si è naturalmente scagliato contro di noi accusandoci di "dottrinarismo", di incomprensione del dovere rivoluzionario, di appello alla prudenza, ecc. Certo, tali accuse, lanciate da gente che, non avendo principi solidi, cerca riparo dietro la sua profonda "tattica-processo", non ci hanno affatto meravigliato. E neppure ci hanno meravigliato le stesse accuse rivolteci da Nadezdin, che manifesta costantemente il più altezzoso disprezzo per ogni saldo principio programmatico e tattico.
La storia, si dice, non si ripete. Ma Nadezdin con tutte le sue forze cerca di farlo e ricalca con ardore Tkaciov, denigrando "il possibilismo rivoluzionario", invocando "le campane a martello", il particolare "punto di vista della vigilia della rivoluzione", ecc. Egli dimentica, verosimilmente, il detto che se l’originale di un avvenimento storico è una tragedia, la copia non è che una farsa [6]. Il tentativo di conquista del potere, preparato dalla propaganda di Tkaciov e messo in atto con il terrorismo – mezzo per suscitare lo spavento, allora effettivamente suscitato –, fu senza dubbio grandioso, ma il terrorismo "stimolante" di questo piccolo Tkaciov è semplicemente ridicolo, e soprattutto quando è completato con il progetto di organizzare i militanti medi.
"Se l’Iskra uscisse dalle sfere della letteratura – scrive Nadezdin a proposito della lettera di un operaio, pubblicata nel n. 7 dell’Iskra, – vedrebbe che questi sintomi provano che l’ ‘assalto’ è vicino, e che parlare oggi [sic!] di un’organizzazione collegata ad un giornale per tutta la Russia significa rimanere nelle nuvole, fare del lavoro da tavolino". Che razza di confusione! Da una parte si propugna il terrorismo stimolante e l’ "organizzazione dei militanti medi" pur dichiarando che "è molto più facile" raggrupparsi attorno a qualcosa di "più concreto", per esempio intorno a dei giornali locali; dall’altra parte si pretende che parlare "oggi" di un’organizzazione per tutta la Russia significa fare della teoria, il che significa, per dirla chiaro e tondo, che "oggi" è già troppo tardi! E per una "vasta organizzazione di giornali locali" non è troppo tardi, rispettabile signor Nadezdin? Confrontate con questo punto di vista la concezione e la tattica dell’Iskra: il terrorismo stimolante è puerile; parlare di un’organizzazione speciale di militanti medi e di una vasta organizzazione di giornali locali significa spalancare le porte all’economismo. Bisogna parlare di un’organizzazione di rivoluzionari, unica per tutta la Russia e non sarà troppo tardi per parlarne finché l’assalto – effettivo, che non resta sulla carta, – non sarà cominciato.
Che logica stupefacente! Ma proprio perché "la folla non è con noi", è irragionevole ed inopportuno parlare di "assalto" immediato, perché l’assalto è l’operazione di un esercito regolare, non già l’esplosione spontanea di una folla. E proprio perché la folla potrà spazzare e travolgere le truppe regolari, noi dobbiamo "fare in tempo" a secondarne lo slancio spontaneo e a "organizzare in modo solido e sistematico" queste truppe, perché quanto più "faremo in tempo", tanto meno esse correranno il rischio di essere travolte dalla folla e tanto maggiori saranno le loro probabilità di marciare alla testa della folla e di dirigerla. Nadezdin commette un errore se immagina che truppe di tal genere, sistematicamente organizzate, agiscano in modo da staccarsi dalla folla, mentre al contrario devono occuparsi esclusivamente di un’agitazione politica generale e molteplice, di un lavoro cioè che tenda appunto ad avvicinare e a fondere in un tutto la forza distruttrice spontanea della folla e la forza distruttrice cosciente dell’organizzazione rivoluzionaria. E qui, signori, voi fate ricadere sugli altri la vostra colpa, perché è proprio il gruppo Svoboda che, includendo il terrorismo nel programma, incita per ciò stesso a creare un’organizzazione terroristica. E un’organizzazione terroristica impedirebbe alle nostre truppe di avvicinarsi alla folla, che purtroppo non è ancora nostra e che purtroppo non ci domanda o ci domanda molto raramente quando e come bisognerà aprire le ostilità.
"Noi non vedremo sopraggiungere la rivoluzione – continua Nadezdin per spaventare l’Iskra – come non abbiamo visto approssimarsi gli avvenimenti attuali, che ci sono caduti come una tegola sulla testa." Dopo quanto abbiamo riportato sopra, questa frase mostra bene l’assurdità del "particolare punto di vista della vigilia della rivoluzione" inventato dalla Svoboda [*7]. Questo particolare "punto di vista" si riduce, a dire il vero, a proclamare che "oggi" è troppo tardi per deliberare e per prepararsi. Ma allora, o valentissimo nemico della "letteratura", perché aver scritto 132 pagine stampate sulle "questioni teoriche [*8] e tattiche"? Non sarebbe stato meglio, dal "punto di vista della vigilia della rivoluzione", lanciare 132.000 manifestini con questo breve appello: "Dàgli al nemico"?
Meno di tutti corre il rischio di non vedere sopraggiungere la rivoluzione chi, come l’Iskra, pone alla base del proprio programma, della propria tattica e del proprio lavoro di organizzazione l’agitazione politica fra tutto il popolo. Gli uomini che in tutta la Russia si sforzano di stendere la rete di un’organizzazione, collegata a un giornale per tutta la Russia, non solo hanno visto sopraggiungere gli avvenimenti della primavera, ma ci hanno dato la possibilità di predirli. E non hanno lasciato passare senza vederle neppure le manifestazioni descritte nei nn. 13 e 14 dell’Iskra; anzi, comprendendo il loro dovere di secondare lo slancio spontaneo della folla, vi hanno partecipato e hanno aiutato con il loro giornale tutti i compagni russi a rendersi conto del carattere delle manifestazioni e a utilizzarne gli insegnamenti. Non lasceranno sopraggiungere senza vederla, se saranno ancora vivi in quel momento, nemmeno la rivoluzione, che esigerà da noi innanzi tutto e soprattutto molta esperienza nell’agitazione, e durante il cui svolgimento dovremo saper appoggiare (da socialdemocratici) tutte le proteste, dirigere il movimento spontaneo e preservarlo dagli errori degli amici come dalle trappole dei nemici.
Eccoci giunti all’ultima considerazione che ci induce a insistere particolarmente sul piano di un’organizzazione accentrata intorno ad un giornale per tutta la Russia, organizzazione da creare mediante un lavoro comune per questo giornale comune. Solo un’organizzazione di tal genere darà alla socialdemocrazia militante la duttilità necessaria, e cioè la capacità di adattarsi immediatamente alle più diverse condizioni, alle sempre mutevoli condizioni della lotta, la capacità "da una parte, di evitare la battaglia in terreno scoperto con un nemico di forze superiori, che ha concentrato le sue forze su un solo punto e, dall’altra, di approfittare dell’incapacità di manovra del nemico per piombargli addosso nel luogo e nel momento in cui meno se l’aspetta" [*9]. Si commetterebbe un grave errore se nell’organizzazione del partito si facesse assegnamento soltanto su esplosioni e su lotte di strada o soltanto sullo "sviluppo progressivo della grigia lotta quotidiana". Dobbiamo svolgere sempre il nostro lavoro quotidiano ed essere sempre pronti a tutto, perché è quasi impossibile prevedere l’avvicendarsi dei periodi di esplosione e dei periodi di calma, e quando ciò è possibile non si può approfittarne per rimaneggiare l’organizzazione, dato che in un paese autocratico la situazione può mutare improvvisamente, magari in seguito a una incursione notturna di giannizzeri zaristi. E non si può pensare che la rivoluzione si svolga in un solo atto (come sembra pensi Nadezdin): la rivoluzione sarà una successione rapida di esplosioni più o meno violente, alternantisi con fasi di calma più o meno profonda. Perciò il contenuto essenziale dell’attività del nostro partito, il fulcro della sua attività, deve consistere nel lavoro che è possibile e necessario sia nei periodi delle esplosioni più violente che in quelli di calma completa, cioè in un’agitazione politica unificata per tutta la Russia, che illumini tutti gli aspetti della vita e si rivolga alle masse più larghe. Ma questo lavoro non può essere compiuto nella Russia attuale senza un giornale per tutta la Russia che si pubblichi molto spesso. L’organizzazione che si costituirà di per sé intorno al giornale, l’organizzazione dei suoi collaboratori (nel senso largo della parola, cioè di tutti coloro che se ne occuperanno) sarà precisamente pronta a tutto, sia a salvare l’onore, il prestigio e la tradizione del partito nei momenti di peggiore "depressione" rivoluzionaria che a preparare, a decidere e ad attuare l’insurrezione armata di tutto il popolo.
Si pensi infatti al caso, assai comune in Russia, in cui i nostri militanti fossero arrestati in una o più località. Poiché tutte le organizzazioni locali mancano di un’attività regolare comune, ne segue spesso un’interruzione di attività per parecchi mesi. Ma se avessero un’attività comune, basterebbero, nel peggiore dei casi, alcune settimane perché due o tre uomini energici ricollegassero con l’organismo centrale nuovi circoli di giovani, che, com’è noto, sorgono molto rapidamente anche adesso, e che in tal caso sorgerebbero e si metterebbero in rapporto con il centro ancora più rapidamente se avessimo un’attività comune pubblica, nota a tutti.
Si pensi d’altra parte a un’insurrezione popolare. Tutti riconosceranno, certo, che oggi dobbiamo pensarci e prepararci. Ma come? Come potrebbe il Comitato Centrale inviare fiduciari in tutte le località per preparare l’insurrezione! E anche se avessimo un Comitato Centrale che prendesse tale misura, non riusciremmo a niente nelle condizioni attuali della Russia. Invece, una rete di fiduciari [*10] che si fosse formata da sé, lavorando alla creazione e alla diffusione di un giornale comune, non si accontenterebbe di "attendere con le braccia incrociate" la parola d’ordine dell’insurrezione, ma svolgerebbe una attività regolare che le garantirebbe le maggiori probabilità di successo in caso di insurrezione. E proprio tale attività rafforzerebbe i legami con le grandi masse operaie e con tutti gli strati della popolazione malcontenti dell’autocrazia. Il che è della massima importanza per l’insurrezione. E proprio nel corso di una tale attività si svilupperebbe l’attitudine a valutare esattamente la situazione politica generale e quindi a scegliere bene il momento favorevole per l’insurrezione. Proprio nel corso di una tale attività tutte le organizzazioni locali imparerebbero a reagire simultaneamente di fronte ai problemi, agli incidenti o agli avvenimenti che commuovono tutta la Russia, a rispondere agli "avvenimenti" nel modo più energico, più uniforme e più razionale possibile; perché, in conclusione, l’insurrezione è la "risposta" più energica, più uniforme e più razionale di tutto il popolo al governo. Proprio nel corso di tale attività le organizzazioni rivoluzionarie di tutti gli angoli della Russia imparerebbero, infine, a mantenere fra di loro i rapporti più regolari e, in pari tempo, più clandestini, rapporti che creano, di fatto, l’unità del partito e senza i quali è impossibile sia discutere collettivamente un piano per l’insurrezione, che prendere, alla vigilia di quest’ultima, le necessarie misure di preparazione, sulle quali dev’essere mantenuto il più stretto segreto.
In una parola, il "piano di un giornale politico per tutta la Russia" non è l’opera teorica di persone affette da dottrinarismo e da mania letteraria (come hanno potuto credere coloro che non vi hanno abbastanza riflettuto); è, al contrario, il mezzo più pratico per ottenere che da ogni parte ci si metta senza indugio al lavoro e ci si prepari all’insurrezione, senza dimenticare neppure per un istante il lavoro quotidiano.
1. In
corso d'attuazione.
*1.
Iskra, n. 8,
risposta del Comitato centrale dell'Unione generale ebraica della Russia e
della Polonia al nostro articolo sulla questione nazionale.
*2. Di
proposito non esponiamo questi fatti in ordine cronologico.
2.
Riferimento alle trattative che l' «Unione di lotta per l'emancipazione della
classe operaia» di Pietroburgo condusse con Lenin, il quale aveva scritto
nella seconda metà del 1897 i due opuscoli menzionati nel testo.
*3. A
proposito l'autore mi prega di dichiarare che aveva inviato l'opuscolo, come
già i suoi opuscoli precedenti, all'«Unione» perché pensava che le edizioni
dell' «Unione» fossero redatte dal gruppo «Emancipazione del lavoro» (per
diverse circostanze in quel periodo, ossia nel febbraio 1899, non poteva sapere
che la redazione era cambiata). Questo opuscolo sarà presto ripubblicato dalla
«Lega»
3.
Allusione alle trattative del CC del Bund con Lenin.
4.
Parlando del «quarto fatto» Lenin si riferisce al tentativo dell' «Unione
dei socialdemocratici russi all'estero» e del Bund di convocare nella primavera
del 1900 il II Congresso del partito. Il membro del comitato citato da
Lenin è I. K. Lalaiants (membro del comitato socialdemocratico di
Iekaterinoslav) che nel febbraio 1900 si era recato a Mosca per trattare con
Lenin.
*4. Compagno Kricevski e compagno Martynov! Attiro la vostra
attenzione su questa indecente manifestazione di «assolutismo», di «autorità incontrollata», di «regolamentazione dall’alto», ecc. Pensate un po’: vuole possedere tutta la catena! Scrivete in
fretta un reclamo, eccovi il tema già pronto per due articoli di fondo nel n.
12 del Raboceie Dielo!
*5. citando questo brano del Raboceie Dielo (n. 10, pag. 62), Martynov non ne dà la seconda frase,
mostrando così il duo desiderio di non discutere la sostanza della questione o
la sua incapacità di comprenderla.
*6. Riserva: qualora esso simpatizzi con
l’orientamento di questo giornale e ritenga utile per la causa diventare suo
collaboratore, comprendendo con ciò non soltanto la collaborazione letteraria,
ma in generale ogni collaborazione rivoluzionaria. Nota per il Raboceie
Dielo: per i rivoluzionari che hanno a cuore la causa e non il giuoco della
democrazia, che non fanno distinzione tra la «simpatia» e la partecipazione attiva e reale, questa
riserva è ovvia.
5. Lenin cita l’articolo Le topiche di un pensiero
immaturo di D. I. Pisariev.
6. Cfr. Marx, Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte,
il quale inizia con queste parole: “Hegel
nota in un passo delle sue opere che tutti i grandi fatti e i grandi personaggi
della storia universale si presentano per, così dire, due volte. Ha dimenticato
di aggiungere la prima volta come tragedia, la seconda volta come farsa”.
*7. La vigilia della rivoluzione, pag. 62.
*8. D’altra parte, nella sua Rassegna delle questioni teoriche,
L. Nadezdin non si è quasi occupato di teoria, tranne che nel brano seguente,
assai curioso dal «punto di
vista della vigilia della rivoluzione». «Insomma, il bernsteinismo perde in
questo momento di importanza, non ci interessa molto più della disputa tra
Adamovic e Struve: che Adamovic
dimostri che Struve si sia meritato di essere giubilato o che Struve smentisca
Adamovic, e non acconsenta ad andare in pensione, è perfettamente lo stesso per
noi, perché l’ora della rivoluzione si avvicina» (pag. 110). Sarebbe difficile
illustrare la straordinaria noncuranza di Nadezdin per la teoria. Siamo «alla
vigilia della rivoluzione», e perciò «è perfettamente lo stesso» che gli «ortodossi» riescano o
no a sloggiare i «critici» dalle loro posizioni! Ed il nostro sapientone non
vede che proprio nel momento della rivoluzione avremo bisogno dei risultati
della lotta teorica contro i «critici» per combatterne energicamente le
posizioni pratiche!
*9. Iskra, n. 4, Da che cosa cominciare? «I rivoluzionari culturali non
accettano il punto di vista della vigilia della rivoluzione e non si lasciano
affatto turbare dalla durata del lavoro», scrive Nadezdin (pag. 62). A questo
proposito osserviamo: se non sappiamo elaborare una tattica politica e un
piano di organizzazione per un periodo lunghissimo, che assicurino, attraverso
lo svolgimento stesso del lavoro, la capacità del nostro partito di
trovarsi sempre al proprio posto e di fare il proprio dovere nelle circostanze
più inattese, qualunque sia la rapidità degli avvenimenti, siamo soltanto dei
miserabili avventurieri politici. Solo Nadezdin, che ha incominciato ieri a dirsi
socialdemocratico, può dimenticare che la socialdemocrazia ha per fine la
trasformazione radicale delle condizioni di vita di tutto il genere umano e che
non è da socialdemocratico lasciarsi «turbare» dalla durata del lavoro.
*10. Ahi, Ahi! Mi è sfuggita nuovamente questa terribile
parola «fiduciario» che
ferisce così crudelmente l’orecchio democratico di Martynov! Mi meraviglia:
perché questa parola, che non ha offeso i corifei degli anni settanta, offende
gli artigiani degli anni novanta? A me piace questa parola, perché mostra in
modo chiaro e netto la causa comune alla quale tutti i fiduciari
subordinano i loro pensieri e le loro azioni, e se è necessario sostituire a
questa parola un’altra, allora potrei fermarmi soltanto, forse, sulla parola «collaboratore», se non avesse una certa pretesa letteraria e non fosse così
vaga. E noi abbiamo bisogno di un’organizzazione militare di fiduciari. Del
resto, quei numerosi (soprattutto all’estero) Martynov, che amano «concedersi
reciprocamente il titolo di generali», potrebbero, invece di «fiduciario per i
passaporti», dire «comandante in corpo dell’unità autonoma per il rifornimento
di passaporti ai rivoluzionari», ecc.
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Ultima modifica 8.9.2004