Le Glosse marginali, in risposta ad un articolo di Ruge apparso sul "Vorwärts", bisettimanale tedesco che uscì a Parigi da gennaio a dicembre del 1844, furono pubblicate sullo stesso giornale nei numeri del 7 e del 10 agosto.
Trascritto dall'Organizzazione Comunista Internazionalista (Che fare), Gennaio 2003
Il numero 60 del Vorwärts contiene un articolo intitolato: "Il re di Prussia e la riforma sociale", firmato: "Un prussiano".
In primo luogo, il sedicente prussiano riferisce il contenuto dell'ordinanza del regio Gabinetto prussiano sull'insurrezione operaia della Slesia e l'opinione del giornale francese La Réforme sull'ordinanza del Gabinetto prussiano. La Réforme considererebbe fonte dell'ordinanza del Gabinetto "il terrore e il sentimento religioso" del re. Essa troverebbe in questo documento perfino il presentimento delle grandi riforme che sovrastano la società civile. Il "prussiano" così ammaestra la Réforme:
"Il re e la società tedesca non è ancora arrivata [*2] al "presentimento della sua riforma", e neppure la rivoluzione slesiana e quella boema hanno dato origine a questo sentimento. Per un paese non politico come la Germania, è impossibile mettere in evidenza come una questione generale, e tanto meno come un danno per tutto il mondo civile, la parziale miseria dei distretti industriali. Per i tedeschi, l'avvenimento ha lo stesso carattere di una qualsiasi siccità o carestia locale. Per questo, il re lo considera come un difetto di amministrazione o di beneficenza. Per questo motivo, e per il fatto che pochi soldati hanno liquidato i deboli tessitori, la demolizione delle fabbriche e delle macchine non incute alcun "terrore" neppure al re ed alle autorità. Anzi, non è stato neppure il sentimento religioso a dettare l'ordinanza del Gabinetto: esso è una assai sobria espressione dell'arte politica cristiana e di una dottrina che dinnanzi alla sua unica medicina, "la buona disposizione dei cuori cristiani", non lascia sussistere alcuna difficoltà. Miseria e delitto sono due grandi calamità: chi potrà porvi riparo? Lo Stato e le autorità? No, bensì l'unione di tutti i cuori cristiani".
Il presunto prussiano nega il "terrore" del re, tra l'altro, per il motivo che pochi soldati poterono liquidare i deboli tessitori.
In un paese, dunque, nel quale banchetti con brindisi liberali e liberale schiuma di champagne - si rammenti la festa di Düsseldorf - provocano un'ordinanza del regio Gabinetto, nel quale non ci fu bisogno di un solo soldato per stroncare le brame di libertà di stampa e di costituzione dell'intera borghesia liberale ; in un paese nel quale l'obbedienza passiva è à l'ordre du jour; in un simile paese, l'impiego forzato della forza armata non sarebbe un avvenimento, e un terrorizzante avvenimento ? E al primo scontro i deboli tessitori vinsero. Furono sopraffatti soltanto mediante considerevoli rinforzi di truppe. La rivolta di una massa di operai è forse meno pericolosa per il fatto che non c'è bisogno di un esercito per soffocarla? L'intelligente prussiano paragoni la rivolta dei tessitori slesiani con le rivolte degli operai inglesi, e i tessitori slesiani gli appariranno dei forti tessitori.
Dal rapporto generale della politica coi mali sociali, chiariremo perché la rivolta dei tessitori non poteva incutere un particolare "terrore" al re. Per ora sia sufficiente questo: la rivolta non era diretta immediatamente contro il re di Prussia, ma contro la borghesia. In quanto aristocratico e monarca assoluto, il re di Prussia non può amare la borghesia; meno ancora può atterrirsi se la sua sottomissione e la sua impotenza vengano accresciute dai rapporti tesi e difficili col proletariato. Inoltre: il cattolico ortodosso è più ostile al protestante ortodosso che all'ateo, così come il legittimista è più ostile al liberale che al comunista. Non già perché l'ateo e il comunista siano più affini al cattolico e al legittimista, bensì perchè gli sono più estranei del protestante e del liberale, perché stanno al di fuori della sua cerchia. In quanto uomo politico, il re di Prussia ha, in politica, il suo antagonista immediato nel liberalismo. Per il re l'antagonismo col proletariato esiste tanto poco quanto poco il re esiste per il proletariato. Il proletariato dovrebbe aver raggiunto già una forza decisiva, per soffocare le antipatie, gli antagonismi, e dirigere su di sé la totale ostilità della politica. Infine: al ben noto carattere del re, bramoso di cose interessanti e significative, il ritrovare sul suo territorio quell'"interessante" e "tanto nominato" pauperismo, e con ciò un'occasione per far nuovamente parlare di sé, doveva costituire addirittura una sorpresa piacevolmente eccitante. Come gradita deve essergli giunta la notizia che ormai egli possedeva il suo "proprio" regio pauperismo prussiano!
Il nostro "prussiano" è ancor meno felice nel negare che il "sentimento religioso" sia la fonte dell'ordinanza del regio Gabinetto.
Perché il sentimento religioso non è la fonte di quest'ordinanza di Gabinetto ? Poiché questa è "una assai sobria espressione dell'arte politica cristiana", una "sobria" espressione della dottrina che "dinnanzi alla sua unica medicina, la buona disposizione dei cuori cristiani, non lascia sussistere alcuna difficoltà".
Il sentimento religioso non è la fonte dell'arte politica cristiana? Una dottrina che possiede il suo rimedio universale nella buona disposizione dei cuori cristiani, non si fonda sul sentimento religioso ? Una espressione sobria del sentimento religioso cessa perciò d'essere un'espressione del sentimento religioso ? Di più: io affermo che è un sentimento religioso assai pieno di sè, assai ebbro, quello che cerca il "rimedio ai grandi mali" nella "unione dei cuori cristiani", negandolo "allo Stato e alle autorità". È un sentimento religioso assai ebbro quello che - secondo l'ammissione del "prussiano" - individua tutto il male nella mancanza di senso cristiano, e rimanda perciò le autorità all'unico mezzo per rafforzare questo senso, alla "esortazione". La disposizione cristiana, secondo il "prussiano", è lo scopo dell'ordinanza del Gabinetto. Il sentimento religioso, si capisce, quando è ubriaco, quando non è sobrio, si considera l'unico bene. Là dove scorge malanni, li attribuisce alla sua assenza, poiché se è l'unico bene è anche unicamente esso che può produrre il bene. L'ordinanza del Gabinetto, dettata dal sentimento religioso, detta dunque di conseguenza il sentimento religioso. Un politico dal sentimento religioso sobrio nella sua "sconsigliatezza" non cercherebbe mai il suo "ausilio" nella "esortazione del pio predicatore alla disposizione cristiana".
Come dunque il sedicente prussiano dimostra alla Réforme che l'ordinanza del Gabinetto non è una emanazione dello spirito religioso? Presentando dovunque l'ordinanza del Gabinetto come una emanazione dello spirito religioso. Ci si può attendere che una mente così illogica sia capace di penetrare negli avvenimenti sociali ? Ascoltiamo un poco le sue ciarle sul rapporto della società tedesca col movimento degli operai e con la riforma sociale in genere.
Distinguiamo ciò che il "prussiano" trascura, distinguiamo le differenti categorie che vengono comprese nell'espressione "società tedesca": governo, borghesia, stampa, infine gli stessi operai. Queste sono le differenti masse di cui si tratta qui. Il "prussiano" prende queste masse tutte insieme e dall'alto del suo elevato punto di vista le condanna in massa. Per lui, la società tedesca "non è neppure giunta ancora a presentire la sua "riforma"".
Perché questo istinto le manca?
"In un paese non politico come la Germania", risponde il prussiano, "è impossibile mettere in evidenza come una questione generale, e tanto meno come un danno per tutto il mondo civile, la parziale miseria dei distretti industriali. Per i tedeschi, l'avvenimento ha lo stesso carattere di una qualsiasi siccità o carestia locale. Per questo, il re lo considera come un difetto di amministrazione e di beneficenza".
Il "prussiano" spiega dunque questa concezione alla rovescia della miseria dei lavoratori con la peculiarità di un paese non politico.
Si concederà che l'Inghilterra è un paese politico. Si concederà inoltre che l'Inghilterra è il paese del pauperismo; perfino questa parola è di origine inglese. L'esame dell'Inghilterra è dunque l'esperimento più sicuro per conoscere il rapporto di un paese politico col pauperismo. In Inghilterra la miseria degli operai non è parziale, ma universale; non limitata ai distretti industriali, ma estesa a quelli agricoli, I movimenti qui non sono in sul nascere, bensì da quasi un secolo si ripresentano periodicamente.
Come intendono il pauperismo la borghesia inglese e il governo e la stampa ad essa legati?
Nella misura in cui la borghesia inglese ammette che il pauperismo è una colpa della politica, il whig considera il tory, e il tory il whig, come la causa del pauperismo. Secondo il whig, il monopolio della grande proprietà terriera e la legislazione protezionista contro l'importazione dei cereali è la fonte principale del pauperismo. Secondo il tory, tutto il male risiede nel liberalismo, nella concorrenza, nel sistema industriale spinto troppo avanti. Nessuno dei partiti trova il motivo nella politica in generale, bensì ciascuno di essi lo trova nella politica del proprio partito; ma ambedue i partiti non si sognano neppure una riforma della società.
La più decisa espressione dell'interpretazione inglese del pauperismo - parliamo sempre delle opinioni della borghesia inglese e del governo inglese - è l'economia politica inglese, e cioè il riflesso scientifico della situazione economica nazionale inglese.
Uno dei migliori e più famosi economisti inglesi, che conosce la situazione attuale e deve possedere una visione totale del movimento della società civile, uno scolaro del cinico Ricardo, Mac Culloch, osa ancora applicare all'economia politica in una pubblica lezione, e lo osa in mezzo ad attestazioni di plauso, ciò che Bacone dice della filosofia: "L'uomo che con vera e infaticabile saggezza sospenda il suo giudizio, progredisca per gradini, superi uno dopo l'altro gli ostacoli che a guisa di montagne impediscono il corso degli studi, raggiungerà col tempo la sommità della scienza, dove si gode la pace e l'aria pura, dove la natura in tutta la sua bellezza si spiega dinnanzi agli occhi, e dove, per mezzo di un sentiero in comoda pendenza, si può discendere fino agli ultimi dettagli della prassi". Buona aria pura l'atmosfera pestilenziale delle abitazioni negli scantinati inglesi! Grande bellezza della natura il fantasioso abbigliamento di stracci degli inglesi poveri, e la carne avvizzita, raggrinzita delle donne rose dal lavoro e dalla miseria ; i bambini che giacciono nello strame ; gli aborti provocati dall'eccesso di lavoro nell'uniforme meccanismo delle fabbriche! Graziosissimi ultimi dettagli della prassi: la prostituzione, il delitto e la forca!
Anche quella parte della borghesia inglese che è compenetrata del pericolo del pauperismo, intende questo pericolo, come pure i mezzi per porvi riparo, in una guisa non soltanto particolare, ma per dirla senza rigiri, infantile e insulsa.
Così, ad esempio, il dottor Kay nel suo opuscolo Recent measures for the promotion of education in England [1] riduce ogni cosa alla trascurata educazione. Si indovini per qual motivo! Per mancanza di educazione, infatti, l'operaio non intende "le leggi naturali del commercio", leggi che necessariamente lo riducono al pauperismo. Perciò egli vi si oppone. Questo può "disturbare la prosperità delle manifatture inglesi e del commercio inglese, scuotere la reciproca fiducia della gente d'affari, diminuire la stabilità delle istituzioni politiche e sociali". Tanta è la sconsideratezza della borghesia inglese e della sua stampa riguardo al pauperismo, riguardo a questa epidemia nazionale dell'Inghilterra.
Ammettiamo dunque che i rimproveri che il nostro "prussiano" rivolge alla società tedesca siano fondati. Forse che il motivo risiede nella situazione non politica della Germania? Ma se la borghesia della non politica Germania non sa mettere in evidenza a se stessa l'importanza generale di una miseria parziale, la borghesia della politica Inghilterra sa disconoscere l'importanza generale di una miseria universale, di una miseria che ha messo in evidenza la sua importanza generale, parte attraverso il suo periodico ritornare nel tempo, parte attraverso la diffusione nello spazio, e parte attraverso il fallimento di tutti i tentativi di rimedio.
Ancora alla situazione non politica della Germania il "prussiano" addebita il fatto che il re di Prussia trovi la causa del pauperismo in un difetto di amministrazione e di beneficenza, e cerchi quindi in misure di amministrazione e di beneficenza i mezzi contro il pauperismo.
È forse peculiare del re di Prussia questo modo di intendere? Si getti un rapido sguardo sull'Inghilterra, l'unico paese nel quale si possa parlare di una grande azione politica contro il pauperismo.
L'attuale legislazione inglese sulla povertà risale alla legge dell'Atto 43° del governo di Elisabetta [*3]. In che consistono i mezzi di questa legislazione ? Nell'obbligo per le parrocchie di soccorrere i loro operai poveri, nella tassa per i poveri, nella beneficenza legale. Questa legislazione - la beneficenza per via amministrativa - è durata due secoli. Dopo lunghe e dolorose esperienze, su quali posizioni ritroviamo il Parlamento nel suo Amendment Bill del 1834?
Innanzi tutto esso attribuisce lo spaventoso aumento del pauperismo ad un "difetto di amministrazione".
L'amministrazione della tassa per i poveri, costituita da impiegati delle rispettive parrocchie, viene perciò riformata. Si costituiscono Unioni di circa venti parrocchie, unite in un'unica amministrazione. Un ufficio di impiegati - Board of Guardians - di impiegati i quali vengono scelti tra i contribuenti, si riunisce in un determinato giorno nella sede dell'Unione e decide sull'assegnazione dei soccorsi. Questi uffici vengono diretti e sorvegliati da incaricati del governo, della Commissione centrale di Somerset House, il Ministero del pauperismo, secondo la calzante definizione di un francese. Il capitale che questa amministrazione sorveglia eguaglia quasi la somma che costa in Francia l'amministrazione militare. Il numero delle amministrazioni locali alle sue dipendenze ammonta a 500 e ognuna di queste amministrazioni locali, a sua volta, occupa almeno dodici impiegati.
Il Parlamento inglese non si limitò alla riforma formale della amministrazione.
La fonte principale della situazione acuta del pauperismo inglese venne da esso individuata nella stessa legge per i poveri. La beneficenza, mezzo legale contro il male sociale, lo favorirebbe invece. Per quel che concerne il pauperismo in generale, esso sarebbe una eterna legge di natura, secondo la teoria di Malthus; "Poiché la popolazione tende incessantemente a superare i mezzi di sussistenza, la beneficenza è una pazzia, un pubblico incitamento alla miseria. Perciò lo Stato non può far altro che abbandonare la miseria al suo destino, e al massimo rendere più facile la morte dei poveri". A questa filantropica teoria il Parlamento inglese collega l'opinione che il pauperismo sia la miseria di cui hanno colpa gli operai stessi, e che esso non si debba quindi prevenire come una sfortuna, bensì piuttosto reprimere, punire come un delitto.
Sorse così il regime delle Workhouses, cioè delle case dei poveri, il cui ordinamento interno scoraggia i poveri distogliendoli dal cercare in esse uno scampo contro la morte per fame. Nelle Workhouses la beneficenza è ingegnosamente intrecciata con la vendetta della borghesia contro il povero che fa appello alla sua beneficenza.
L'Inghilterra ha tentato dunque l'annientamento del pauperismo innanzi tutto attraverso la beneficenza e le misure amministrative. In seguito essa scorse nel progressivo aumento del pauperismo non la necessaria conseguenza dell'industria moderna, bensì piuttosto la conseguenza della tassa inglese per i poveri. Essa intese la miseria universale unicamente come una particolarità della legislazione inglese. Ciò che prima si faceva derivare da un difetto di beneficenza, si fece ora derivare da un eccesso di beneficenza. Infine, la miseria venne considerata come una colpa dei poveri e in quanto tale punita in essi.
L'importanza generale che la politica Inghilterra ha attribuito al pauperismo, si limita al fatto che nel corso dello sviluppo, nonostante le misure amministrative, il pauperismo si è venuto configurando come una istituzione nazionale ed è quindi inevitabilmente divenuto oggetto di una ramificata e assai estesa amministrazione, un'amministrazione la quale, però, non ha più il compito di eliminarlo, bensì quello di disciplinarlo, di eternarlo. Questa amministrazione ha rinunciato ad eliminare la fonte del pauperismo attraverso mezzi positivi ; essa si accontenta di scavargli con poliziesca tenerezza la fossa, ogniqualvolta esso erompe alla superficie del paese ufficiale. Lo Stato inglese, ben lungi dall'andare oltre le misure di amministrazione e beneficienza, è sceso assai al di sotto di esse. Esso ormai non amministra più che quel pauperismo che possiede la disperazione di lasciarsi afferrare e imprigionare.
Fino ad ora, dunque, il "prussiano" non ha indicato nel contegno del re di Prussia nulla di particolare. "Ma perché - esclama il grand'uomo con rara ingenuità - perché il re di Prussia non ordina sull'istante l'educazione di tutti i bambini abbandonati?". Perché si rivolge per prima cosa alle autorità e attende i loro piani e progetti ?
L'intelligentissimo "prussiano" si tranquillizzerà quando saprà che il re di Prussia è qui altrettanto poco originale quanto poco lo è nel resto delle sue azioni, anzi che ha battuto l'unica strada che il capo di uno Stato possa battere.
Napoleone voleva distruggere d'un sol colpo l'accattonaggio. Egli incaricò le sue autorità di preparare dei piani per l'eliminazione dell'accattonaggio nell'intera Francia. Il progetto si faceva aspettare: Napoleone perdette la pazienza, scrisse al suo Ministro degli Interni, Crétet, e gli ordinò di annientare l'accattonaggio entro un mese, dicendo: "Non si deve passare sulla terra senza lasciare tracce che rammentino ai posteri la nostra memoria. Non chiedetemi altri tre o quattro mesi per ricevere informazioni; voi avete funzionari giovani, prefetti intelligenti, ingegneri civili ben preparati, mettete all'opera tutti costoro, non vi addormentate nel solito lavoro di ufficio". In pochi mesi tutto era compiuto. Il 5 luglio fu emanata la legge che reprime la mendicità. Come ? Attraverso i dépôts, i quali si trasformarono in penitenziari con tanta rapidità che ben presto il povero vi pervenne ormai soltanto attraverso la strada del tribunale della polizia correzionale. E tuttavia in quel tempo il signor Noailles du Gard, membro del corpo legislativo, esclamava: "Riconoscenza eterna all'eroe che assicura al bisogno un luogo di rifugio e alla miseria i mezzi di sussistenza; l'infanzia non sarà più abbandonata, le famiglie povere non saranno più prive di risorse, nè gli operai di incoraggiamento e di occupazione. Nos pas ne seront plus arrêtés par l'image degoûtante des infirmités et de la honteuse misère". L'ultimo cinico periodo è la sola verità di questo panegirico.
Ma se Napoleone si rivolgeva all'accorgimento dei suoi funzionari, prefetti, ingegneri, perchè non il re di Prussia alle sue autorità?
Perché Napoleone non ordinò sull'istante la soppressione dell'accattonaggio? Il medesimo valore ha la domanda del "prussiano". "Perché il re di Prussia non ordina sull'istante l'educazione di tutti i bambini abbandonati?" Sa il "prussiano" che cosa il re di Prussia dovrebbe ordinare? Niente altro che l'annientamento del proletariato. Per educare i bambini bisogna nutrirli e liberarli dalla necessità di lavorare per vivere. Nutrire ed educare i bambini abbandonati, e cioè nutrire ed educare tutto il proletariato che sta crescendo, significherebbe annientare il proletariato e il pauperismo.
La Convenzione per un momento ebbe il coraggio di ordinare l'eliminazione del pauperismo, ma non già "sull'istante", come il "prussiano" esigerebbe dal suo re, bensì soltanto dopo aver incaricato il suo Comité du salut public di elaborare i piani e le proposte necessari, e dopo che questo avesse utilizzato le ampie indagini dell'Assemblée Constituante sulle condizioni della miseria in Francia, e proposto attraverso Barrère la fondazione del Livre de la bienfaisance nationale ecc. Quale fu la conseguenza dell'ordine della Convenzione? Che nel mondo vi fosse un ordine di più, e che un anno dopo i tessitori affamati assediassero la Convenzione.
Ma la Convenzione fu il massimo dell'energia politica, della forza politica e dell'intelletto politico.
Così sull'istante, senza un accordo con le autorità, nessun governo al mondo ha preso disposizioni sul pauperismo. Il Parlamento inglese inviò addirittura in tutti i paesi d'Europa dei commissari per apprendere i differenti rimedi amministrativi contro il pauperismo. Ma per quanto gli Stati si siano occupati del pauperismo, sono sempre rimasti fermi a misure amministrative e di beneficenza, ovvero sono scesi al disotto dell'amministrazione e della beneficenza.
Può lo Stato comportarsi diversamente?
Lo Stato non troverà mai nello "Stato e nell'ordinamento della società" il fondamento dei mali sociali, come il "prussiano" pretende dal suo re. Là dove sono partiti politici, ciascuno trova il fondamento di ciascun male nel fatto che al timone dello Stato si trova non già esso ma il suo partito avversario. Perfino i politici radicali e rivoluzionari cercano il fondamento del male non già nell'essenza dello Stato ma in una determinata forma di Stato, al cui posto essi vogliono mettere un'altra forma di Stato.
Lo Stato e l'ordinamento della società, dal punto di vista politico, non sono due cose differenti. Lo Stato è l'ordinamento della società. In quanto lo Stato ammette l'esistenza di inconvenienti sociali, li ricerca o in leggi di natura, cui nessuna forza umana può comandare, o nella vita privata, che è indipendente da esso, o nella inefficienza dell'amministrazione che da esso dipende. Così l'Inghilterra trova che la miseria ha il suo fondamento nella legge di natura, secondo la quale la popolazione supera necessariamente i mezzi di sussistenza. Da un'altra parte, il pauperismo viene spiegato come derivante dalla cattiva volontà dei poveri, così come secondo il re di Prussia dal sentimento non cristiano dei ricchi, e secondo la Convenzione dalla disposizione sospetta, controrivoluzionaria, dei proprietari. Perciò l'Inghilterra punisce i poveri, il re di Prussia ammonisce i ricchi e la Convenzione ghigliottina i proprietari.
Infine, tutti gli Stati ricercano la causa in deficienze accidentali intenzionali dell'amministrazione, e perciò in misure amministrative i rimedi dei loro mali. Perché? Appunto perché l'amministrazione è l'attività organizzatrice dello Stato.
Lo Stato non può eliminare la contraddizione tra lo scopo determinato e la buona volontà dell'amministrazione da un lato e i suoi mezzi come pure le sue possibilità dall'altro, senza eliminare se stesso, poiché esso poggia su tale contraddizione. Esso poggia sulla contraddizione tra vita privata e pubblica, sulla contraddizione tra gli interessi generali e gli interessi particolari. L'amministrazione deve perciò limitarsi ad una attività formale e negativa, poiché proprio là dove ha inizio la vita civile e il suo lavoro, là termina il suo potere. Anzi, di fronte alle conseguenze che scaturiscono dalla natura asociale di questa vita civile, di questa proprietà privata, di questo commercio, di questa industria, di questa reciproca rapina delle differenti sfere civili, di fronte a queste conseguenze, l'impotenza è la legge di natura dell'amministrazione. Infatti, questa lacerazione, questa infamia, questa schiavitù della società civile è il fondamento naturale su cui poggia lo stato moderno, così come la società civile della schiavitù era il fondamento su cui poggiava lo Stato antico.
L'esistenza dello Stato e l'esistenza della schiavitù sono inseparabili. Lo Stato antico e la schiavitù antica - schiette antitesi classiche - non erano saldati l'uno all'altra più intimamente che non siano lo Stato moderno ed il moderno mondo di trafficanti, ipocrite antitesi cristiane. Se lo Stato moderno volesse eliminare l'impotenza della sua amministrazione, sarebbe costretto a eliminare l'odierna vita privata. Se esso volesse eliminare la vita privata, dovrebbe eliminare se stesso, poiché esso esiste soltanto nell'antitesi con quella. Ma nessun essere vivente crede che i difetti della sua esistenza abbiano le loro radici nel principio della sua vita, nell'essenza della sua vita, bensì in circostanze al di fuori della sua vita. Il suicidio è contro natura. Perciò lo Stato non può credere all'impotenza interiore della sua amministrazione, cioè di se stesso. Esso può scorgere soltanto difetti formali, casuali, della medesima e tentare di porvi riparo. Se tali modificazioni sono infruttuose allora l'infermità sociale è una imperfezione naturale, indipendente dall'uomo, una legge di Dio, ovvero la volontà dei privati è troppo corrotta per corrispondere ai buoni scopi dell'amministrazione. E quali sono questi pervertiti privati? Essi mormorano contro il governo ogni qualvolta esso limita la libertà, e pretendono dal governo che impedisca le conseguenze necessarie di tale libertà.
Quanto più potente è lo Stato, quanto più politico quindi è un paese, tanto meno esso è disposto a ricercare nel principio dello Stato, dunque nell'odierno ordinamento della società, della quale lo Stato è l'espressione attiva, autocosciente e ufficiale, il fondamento delle infermità sociali, e ad intenderne il principio generale. L'intelletto politico è politico appunto in quanto pensa entro i limiti della politica. Quanto più esso è acuto, quanto più è vivo, tanto meno è capace di comprendere le infermità sociali. Il periodo classico dell'intelletto politico è la Rivoluzione francese. Ben lungi dallo scorgere nel principio dello Stato la fonte delle deficienze sociali, gli eroi della Rivoluzione francese scorsero piuttosto nelle deficienze sociali la fonte delle cattive condizioni politiche. Così Robespierre vede nella grande miseria e nella grande ricchezza un ostacolo alla pura democrazia. Egli desidera perciò stabilire una generale frugalità spartana. Il principio della politica è la volontà. Quanto più unilaterale, cioè quanto più compiuto è l'intelletto politico, tanto più esso crede all'onnipotenza della volontà, e tanto più è cieco dinnanzi ai limiti naturali e spirituali della volontà, tanto più dunque è incapace di scoprire la fonte delle infermità sociali. Non è necessario argomentare ulteriormente contro la balorda speranza del "prussiano", secondo la quale "l'intelletto politico" è chiamato "a scoprire le radici della miseria sociale per la Germania".
Sarebbe pazzesco non soltanto esigere dal re di Prussia un potere quale non possedettero la Convenzione e Napoleone uniti; sarebbe pazzesco esigere da lui un modo di vedere dal quale l'intelligente "prussiano" è lontano almeno quanto il suo re. Tutta questa dichiarazione era ancor più pazzesca in quanto il "prussiano" ci confessa:
"Le buone parole e le buone disposizioni sono a buon mercato, la perspicacia e le azioni efficaci sono costosi; in questo caso, essi sono più che costosi, sono ancora di là da venire".
Se sono ancora di là da venire, si apprezzi allora chiunque dal suo posto tenti cose possibili. Lascio del resto al tatto del lettore di giudicare se in questa occasione il linguaggio mercantile, da zingaro a base di "a buon mercato", "costoso", "più che costoso", "ancora di là da venire", sia da annoverare nella categoria delle "buone parole" e delle "buone disposizioni".
Poniamo dunque che le osservazioni del "prussiano" sul governo tedesco e sulla borghesia tedesca - quest'ultima è tuttavia ben compresa nella "società tedesca" - siano pienamente fondate. Forse che questa parte della società è più sconsigliata in Germania che non in Inghilterra o in Francia? Si può essere più sconsiderati che in Inghilterra, dove si è eretta la sconsideratezza a sistema? Se oggi in tutta l'Inghilterra scoppiano sommosse di operai, è perché la borghesia e il governo locali non sono oggi più accorti che nell'ultimo trentennio del secolo XVIII. Il loro unico senno è la forza materiale, e poiché la forza materiale decresce nella medesima misura in cui crescono la diffusione del pauperismo e la perspicacia del proletariato, così necessariamente la sconsideratezza inglese aumenta in proporzione geometrica.
Falso, effettivamente falso è infine che la borghesia tedesca disconosca totalmente l'importanza generale della rivolta slesiana. In parecchie città i maestri artigiani tentarono di associarsi ai garzoni. Tutti i giornali liberali, gli organi della borghesia liberale traboccano di organizzazione del lavoro, riforma della società, critica dei monopoli e della concorrenza, ecc. Tutto ciò in conseguenza dei movimenti degli operai. I giornali di Treviri, Aquisgrana, Colonia, Wesel, Mannheim, Breslavia, e persino di Berlino recano frequentemente articoli sociali molto ragionevoli, dai quali il "prussiano" può sempre apprendere qualcosa. Anzi, in lettere dalla Germania si esprime costantemente la meraviglia per la scarsa resistenza della borghesia contro tendenze e idee sociali.
Il "prussiano" - se fosse più familiare con la storia dei movimenti sociali - avrebbe posto la sua domanda alla rovescia. Perchè la borghesia tedesca stessa vede nella miseria parziale una miseria relativamente così universale? Donde l'animosità e il cinismo della borghesia politica, donde la mancanza di resistenze e le simpatie della borghesia non politica rispetto al proletariato?.
[Vorwärts, 10 agosto 1844. N. 64]
Veniamo ora agli oracoli del "prussiano" sugli operai tedeschi.
"I tedeschi poveri" egli celia, "non sono più intelligenti dei poveri tedeschi, vale a dire, non vedono nulla al di là del loro focolare, della loro fabbrica, del loro distretto; l'intera questione fino ad oggi è ancora trascurata dall'anima politica che tutto compenetra".
Per poter paragonare la situazione degli operai tedeschi con la situazione degli operai francesi e inglesi, il "prussiano" doveva paragonare la prima configurazione, l'inizio dei movimenti degli operai francesi e inglesi, con il movimento tedesco or ora iniziato. Ma egli trascura questo. Il suo ragionamento scade perciò in una trivialità, come quella che l'industria in Germania non è ancora tanto sviluppata come in Inghilterra, ovvero che un movimento al suo inizio appare diverso che non nel suo progredire. Egli vorrebbe parlare delle particolarità del movimento degli operai tedeschi. Però, non dice una sola parola su questo tema.
Il "prussiano" si ponga intanto dall'esatto punto di vista. Egli troverà che nemmeno una delle rivolte degli operai francesi e inglesi possedette un carattere così teorico e consapevole quale la rivolta dei tessitori slesiani.
Si ricordi innanzi tutto la canzone dei tessitori, quell'ardita parola d'ordine di lotta in cui focolare, fabbrica, distretto non sono neppur nominati una sola volta, bensì il proletariato proclama il suo antagonismo con la società della proprietà privata, in modo chiaro, tagliente, spregiudicato e possente. La rivolta slesiana comincia proprio là dove terminano le rivolte dei lavoratori francesi e inglesi, e cioè con la coscienza di quel che è l'essenza del proletariato. L'azione stessa reca questo carattere superiore. Non soltanto vengono distrutte le macchine, queste rivali degli operai, ma anche i libri commerciali, i titoli di proprietà, e mentre tutti gli altri movimenti si volgevano innanzitutto contro il signore dell'industria, il nemico visibile, questo movimento si volge contemporaneamente contro il banchiere, il nemico nascosto. Infine, nessun'altra rivolta di operai inglesi venne condotta con altrettanto coraggio, riflessione e durata.
Per quel che concerne la condizione o la capacità culturale degli operai tedeschi in generale, io rimando ai geniali scritti di Weitling i quali, anche sotto l'aspetto teorico, spesso vanno oltre lo stesso Proudhon, sebbene gli rimangano indietro per ciò che riguarda l'esecuzione. Dove potrebbe la borghesia - inclusi i suoi filosofi ed eruditi - indicare un opera simile a quella di Weitling: Garantien der Harmonie und Freiheit [2], in rapporto alla emancipazione della borghesia, alla emancipazione politica? Se si paragona la insulsa, melensa mediocrità della letteratura politica tedesca con questo enorme e brillante debutto letterario degli operai tedeschi; se si paragona questa gigantesca scarpa da bambino del proletariato con la deforme piccolezza della logora scarpa politica della borghesia tedesca, si deve profetare alla Cenerentola tedesca una figura da atleta. Si deve ammettere che il proletariato tedesco è il teorico del proletariato europeo, così come il proletariato inglese ne è l'economista e il proletariato francese il politico. Si deve ammettere che la Germania possiede una tanto classica vocazione per la rivoluzione sociale quanto è incapace di una rivoluzione politica. Infatti, come l'impotenza della borghesia tedesca è l'impotenza politica della Germania, così la disposizione del proletariato tedesco - anche prescindendo dalla teoria tedesca - è la disposizione sociale della Germania. La disparità tra lo sviluppo filosofico e quello politico in Germania non è un'anormalità. È una necessaria disparità. Soltanto nel socialismo un popolo filosofico può ritrovare la sua prassi corrispondente, e dunque soltanto nel proletariato l'elemento attivo della sua liberazione.
Ma in questo momento non ho il tempo né la voglia di spiegare al "prussiano" il rapporto della "società tedesca" con la rivoluzione sociale, e da questo rapporto, da un lato, la debole reazione della borghesia tedesca contro il socialismo, dall'altro, le eccellenti disposizioni al socialismo del proletariato tedesco. Nella mia Introduzione alla critica della filosofia del diritto di Hegel (Annali franco-tedeschi) egli troverà i primi elementi per comprendere tale fenomeno.
L'intelligenza dei tedeschi poveri sta dunque in rapporto inverso all'intelligenza dei poveri tedeschi. Ma individui ai quali ogni soggetto deve servire per pubbliche esercitazioni di stile, attraverso questa attività formale incappano in un contenuto sbagliato, mentre il contenuto sbagliato, a sua volta, imprime nuovamente alla forma il sigillo della banalità. Così il tentativo del "prussiano", in una occasione come quella delle sommosse degli operai slesiani, di procedere nella forma dell'antitesi, lo porta alla più grande antitesi contro la verità. L'unico compito di una mente pensante e amante della verità di fronte ad una prima esplosione della rivolta degli operai slesiani, non consisteva nel sostenere il ruolo di pedagogo di questo avvenimento, bensì piuttosto nello studiarne il peculiare carattere. A ciò si richiede soprattutto una certa perspicacia scientifica ed un certo amore per l'umanità, mentre per l'altra operazione è più che sufficiente una fraseologia spedita, intinta in una vuota compiacenza.
Perché il "prussiano" giudica con tanto disprezzo gli operai tedeschi? Poiché egli trova che l'"intera questione" - cioè la questione della miseria degli operai - "fino ad oggi ancora" è trascurata dall'"anima politica che tutto compenetra". Ecco come egli va effondendo il suo platonico amore per l'anima politica:
"Nel sangue e nell'incomprensione verranno soffocate tutte le rivolte che esplodono in questo disperato isolamento degli uomini dalla comunità e del loro pensiero dai principi sociali; ma non appena la miseria avrà generato l'intelletto, e l'intelletto politico dei tedeschi avrà scoperto le radici della miseria sociale, allora anche in Germania questi avvenimenti saranno sentiti come sintomi di un grande rivolgimento".
Prima di tutto ci consenta il "prussiano" una osservazione stilistica. La sua antitesi è incompleta. Nella prima metà è detto: la miseria genera l'intelletto, e nella seconda metà: l'intelletto politico scopre le radici della miseria sociale. L'intelletto semplice nella prima metà dell'antitesi diviene, nella seconda metà, un intelletto politico, come la miseria semplice della prima metà dell'antitesi diviene nella seconda metà una miseria sociale. Perché il nostro stilista ha trattato in maniera così ineguale le due metà dell'antitesi? lo non credo che egli se ne sia reso conto. Voglio indicargli il suo vero istinto. Se il "prussiano" avesse scritto: "La miseria sociale genera l'intelletto politico e l'intelletto politico scopre le radici della miseria sociale", a nessun lettore accorto sarebbe sfuggito il nonsenso di questa antitesi. Innanzi tutto ciascuno si sarebbe chiesto perché l'anonimo non oppone l'intelletto sociale alla miseria sociale e l'intelletto politico alla miseria politica, come comanda la logica più elementare. Ma veniamo al sodo!
È talmente falso che la miseria sociale generi l'intelletto politico, che è vero piuttosto il contrario, che cioè il benessere sociale genera l'intelletto politico. L'intelletto politico è uno spiritualista, e viene concesso a colui che già nuota negli agi. Il nostro "prussiano" ascolti in proposito un economista francese, il signor Michel Chevalier: "Nell'anno 1789, allorchè la borghesia si sollevò, per essere libera le mancava soltanto la partecipazione al governo del paese. La liberazione, per essa, consistette nello strappare dalle mani dei privilegiati che tenevano il monopolio di queste funzioni, la direzione degli affari pubblici, le massime funzioni civili, militari e religiose. Ricca e illuminata, in grado di essere sufficiente a se stessa, e di guidare se stessa essa voleva sottrarsi al régime du bon plaisir".
Quanto l'intelletto politico sia incapace di scoprire le fonti della miseria sociale, abbiamo già dimostrato al "prussiano". Ma ancora una parola su questa sua concezione. Quanto più formato e generale è l'intelletto politico di un popolo, tanto più il proletariato - almeno all'inizio del movimento - consuma le sue forze in insensate, inutili sommosse soffocate nel sangue. Poichè esso pensa nella forma della politica, scorge il fondamento di tutti i mali nella volontà e tutti i mezzi per rimediarvi nella violenza e nel rovesciamento di una determinata forma statale. Dimostrazione: le prime rivolte del proletariato francese. Gli operai di Lione credevano di perseguire unicamente scopi politici, di essere soltanto soldati della repubblica, mentre in verità erano soldati del socialismo. Così il loro intelletto politico rese loro oscure le radici della miseria sociale, così esso falsò loro la conoscenza dei loro scopi reali, così il loro intelletto politico ingannò il loro istinto sociale.
Ma se il "prussiano" si attende che la miseria generi l'intelletto, perché mai mette insieme i "soffocamenti nel sangue" e i "soffocamenti nell'incomprensione" ? Se la miseria è in generale un mezzo, la miseria sanguinosa sarà addirittura un mezzo assai acuto per generare l'intelletto. Il "prussiano"avrebbe dunque dovuto dire: il soffocamento nel sangue soffocherà l'incomprensione e procurerà alla comprensione un'opportuna boccata d'aria.
Il "prussiano" profetizza il soffocamento delle rivolte, che erompono nel "disperato isolamento degli uomini dalla comunità e nella separazione dei loro pensieri dai princìpi sociali".
Abbiamo mostrato come la rivolta slesiana non abbia per nulla avuto luogo in uno stato di separazione dei pensieri dai principi sociali. Ora abbiamo ancora a che fare con il "disperato isolamento degli uomini dalla comunità". Per comunità si deve intendere qui la comunità politica, lo Stato. È sempre l'antica canzone della non politicità della Germania.
Ma non scoppiano forse tutte le rivolte, senza eccezione, nel disperato isolamento dell'uomo dalla comunità? Ogni rivolta non presuppone forse necessariamente questo isolamento? Avrebbe avuto luogo la rivoluzione del 1789 senza il disperato isolamento dei cittadini francesi dalla comunità? Essa era appunto destinata a sopprimere tale isolamento.
Ma la comunità dalla quale l'operaio è isolato è una comunità dì ben altra realtà e di ben altra estensione che non la comunità politica. Questa comunità, dalla quale il suo lavoro lo separa, è la vita stessa, la vita fisica e spirituale, la moralità umana, l'attività umana, l'umano piacere, la natura umana.
La natura umana è la vera comunità umana. Come il disperato isolamento da essa è incomparabilmente più universale, insopportabile, pauroso, contraddittorio dell'isolamento dalla comunità politica, così anche la soppressione di tale isolamento e anche una reazione parziale, una rivolta contro di esso, è tanto più infinita quanto più infinito è l'uomo rispetto al cittadino e la vita umana rispetto alla vita politica. La rivolta industriale, perciò può essere parziale fin che si vuole, essa racchiude in sé un'anima universale; la rivolta politica può essere universale fin che si vuole, essa cela sotto le forme più colossali uno spirito angusto.
Il "prussiano" chiude degnamente il suo articolo con questa frase: "Una rivoluzione sociale senza anima politica (cioè senza una visione organizzativa dal punto di vista della totalità) è impossibile".
Si è visto. Una rivoluzione sociale si trova dal punto di vista della totalità perché - se pure ha luogo unicamente in un distretto industriale - essa è una protesta dell'uomo contro la vita disumanizzata, perché muove dal punto di vista del singolo individuo reale, perché la comunità, contro la. cui separazione da sé l'individuo reagisce, è la vera comunità dell'uomo, la natura umana. L'anima politica di una rivoluzione consiste al contrario nella tendenza delle classi politicamente prive di influenza a eliminare il proprio isolamento dallo Stato e dal potere. Il suo punto di vista è quello dello Stato, di una totalità astratta, che sussiste soltanto attraverso la separazione dalla vita reale, che è impensabile senza l'antagonismo organizzato tra l'idea generale e l'esistenza individuale dell'uomo. Una rivoluzione dell'anima politica perciò, organizza anche, conformemente alla natura limitata e discorde di quest'anima, una cerchia dirigente nella società a spese della società.
Noi vogliamo confidare al "prussiano" che cosa sia "una rivoluzione sociale con un'anima politica"; gli affidiamo così insieme anche il segreto del perché egli non sappia mai nei suoi giri di frase elevarsi oltre il limitato punto di vista politico.
Una rivoluzione "sociale" con un'anima politica è o un complesso nonsenso, se il "prussiano" per rivoluzione "sociale" intende una rivoluzione "sociale" in antitesi con una politica, e cionondimeno conferisce alla rivoluzione sociale un'anima politica, anziché una sociale, ovvero, una rivoluzione sociale con un'anima politica" non è se non una parafrasi di ciò che un tempo si chiamava una rivoluzione politica" o una "rivoluzione senz'altro". Ogni rivoluzione dissolve la vecchia società; in questo senso è sociale. Ogni rivoluzione rovescia il vecchio potere: in questo senso è politica.
Il "prussiano" scelga tra la parafrasi ed il nonsenso! Quanto parafrasata e insensata è una rivoluzione sociale con un'anima politica, altrettanto è invece razionale una rivoluzione politica con un'anima sociale. La rivoluzione in generale - il rovesciamento del potere esistente e la dissoluzione dei vecchi rapporti - è un atto politico. Senza rivoluzione però il socialismo non si può attuare. Esso ha bisogno di questo atto politico, nella misura in cui ha bisogno della distruzione e della dissoluzione. Ma non appena abbia inizio la sua attività organizzativa non appena emergano il suo proprio fine, la sua anima, allora il socialismo si scrolla di dosso il rivestimento politico.
Tanta lungaggine è stata necessaria per lacerare il tessuto di errori che si celano in una sola colonna di giornale. Non tutti i lettori possono avere la cultura e il tempo necessari per rendersi conto di una tale ciarlataneria letteraria. L'anonimo "prussiano" non ha dunque il dovere nei confronti del pubblico dei lettori, di rinunziare momentaneamente ad ogni attività di scrittore nel campo politico e sociale, come pure alle declamazioni sulla situazione della Germania, e di iniziare piuttosto un coscienzioso esame sulla sua propria situazione?
*1. Motivi particolari mi inducono a dichiarare che il presente articolo è il primo che io abbia fatto pervenire al Vorwärts. (nota di Marx.) [Sul significato di questi "motivi particolari", cfr. MEHRING, Vita di Marx, ed. Rinascita, Roma, 1953, p. 84]. L'articolo apparve nel n. 63 del Vorwärts il 7 agosto 1844 (Nota di Marx).
*2. Si noti il nonsenso stilistico e grammaticale: "Il re di Prussia e la società tedesca non è ancora arrivato al presentimento della sua (a chi si riferisce questo 'sua'?) riforma" (Nota di Marx).
1. "Recenti misure per promuovere l'educazione in Inghilterra".
*3. Non è necessario al nostro scopo risalire fino allo statuto degli operai sotto Edoardo III (Nota di Marx).
2. Garanzie dell'armonia e della libertà, dicembre 1842.
Indice di Annali franco-tedeschi
Ultima modifica 11.01.2003