Discorso sul libero scambio

Karl Marx (1848)


Pronunciato all'Associazione Democratica di Bruxelles il 9 gennaio 1848 e poi pubblicato in appendice a Miseria della filosofia.

Tradotto direttamente dalla versione in francese presente sul MIA e trascritto da: Leonardo Maria Battisti, aprile 2018


Abolir le leggi1 sul grano in Inghilterra è il maggior trionfo raccolto dal libero scambio nell'800. Per gli industriali di tutti i Paesi il libero scambio è soprattutto il libero scambio del grano e delle materie prime in generale. Colpir con dazi protettivi i grani stranieri è infame, significa specular sulla fame dei popoli.

Pane a buon mercato e salari alti (cheap food, high wages): i liberoscambisti inglesi hanno speso milioni per tale scopo; e già il loro entusiasmo si è esteso ai loro fratelli del continente. In generale si vuole il libero scambio per alleviar la condizione della classe lavoratrice. Ma (favoloso!) il popolo, cui si vuole per forza fornir pane a buon mercato, dissente. In Inghilterra il pane a buon mercato è famigerato come il governo a buon mercato in Francia. Il popolo vede nei suoi devoti (i vari Bowring, Bright2 e simili) i suoi più grandi nemici e gli ipocriti più sfrontati.

Tutti sanno che in Inghilterra la lotta fra liberali e democratici è la lotta tra liberoscambisti e cartisti.

Come i liberoscambisti hanno provato al popolo le loro buone intenzioni?

Dicendo agli operai delle fabbriche: «II dazio sui cereali è una tassa sul salario pagata ai signori delle terre (aristocrazia medievale); la situazione operaia è miserevole per il caro prezzo dei viveri di prima necessità». Invece gli operai chiedevano ai fabbricanti: «Come mai da trent'anni l'industria nostra si è sviluppata al massimo ma il nostro salario è diminuito più rapidamente dell'aumento del prezzo dei cereali? La tassa che dite paghiamo ai proprietari fondiari pesa sull'operaio più o meno tre pence per settimana; eppur dal 1815 al 1843 il salario del tessitore a mano è sceso da 28 scellini a 5 scellini settimanali; e il salario del tessitore in fabbrica, dal 1823 al 1843 è sceso da 20 a 8 scellini settimanali. E in tutto tale arco la quota pagata come tassa non ha mai superato i 3 pence. Inoltre cosa ci dicevate nel 1834 (col pane a buon mercato e il commercio fiorente)? “Siete in cattive condizioni perché fate troppi figli, perché il vostro connubio è più fertile del vostro mestiere!”. Detto ciò faceste le nuove leggi per i poveri e costruiste le workhouses: Bastiglie dei proletari3». A ciò i fabbricanti replicano: «Certo, signori operai: nonché il prezzo del grano, la concorrenza fra le offerte di braccia determina il salario. Ma il nostro suolo è roccia fra terreni sabbiosi e il grano non nasce nei vasi da fiori. Indi anziché investir il nostro capitale e il nostro lavoro in un suolo sterile, lasciando l'agricoltura per l'industria, l'industria europea sparirebbe: l'Inghilterra diverrebbe unica città industriale e l'Europa tutta una campagna».

Ma mentre dice ciò ai propri operai, il fabbricante è interrotto dal piccolo commerciante: «Abolir le leggi sul grano rovina sì l'agricoltura ma non le fabbriche degli altri Paesi i quali non si riforniranno alle nostre! Risultato? Io perderò gli affari che ho in campagna e il commercio interno perderà i suoi mercati».

Il fabbricante risponde al bottegaio senza farsi sentire dagli operai: «Quanto a ciò, lasciateci fare. Senza dazi sul grano, il grano estero sarà a minor costo. Poi abbasseremo il salario, che invece aumenterà negli altri Paesi cui togliamo il grano. Così ai vantaggi che già abbiamo si aggiungerà un salario più basso e, forti di tutti i vantaggi, invero costringeremo il continente a rifornirsi da noi».

Ma ecco unirsi alla discussione l'imprenditore agricolo e il bracciante: «Che sarà di noi se muore l'agricoltura che ci fa viver, se ci portano via la terra da sotto i piedi?».

Per tutta risposta l'Anti-Corn Law League ha bandito premi ai tre migliori scritti sui salutari effetti sull'agricoltura inglese dall'abolizione delle leggi sul grano. I vincitori sono stati i signori Hope, Morse e Greg4 (i cui libri sono stati diffusi per le campagne a migliaia di copie).

Hope inizia provando che la libera importazione del grano dall'estero nuocerà solo al proprietario terriero (anziché all'agricoltore e al bracciante agricolo). «Nulla ha da temere l'agricoltore inglese dall'abolizione delle leggi sul grano, perché l'Inghilterra produce un grano migliore e meno caro di tutti gli altri Paesi. Un crollo del prezzo del grano non vi nuocerebbe, poiché inciderebbe solo sulla rendita (che diminuirebbe), non sul profitto del capitale e sul salario, che resterebbero invariati».

Morse sostiene il contrario (abolir le leggi sui cereali aumenterà il prezzo del grano) e cerca di provar che mai dazi protettivi hanno garantito al grano un prezzo remunerativo col fatto che ogni volta che in Inghilterra è stato importato grano straniero, il prezzo del grano è salito, mentre quando se ne importava poco, il prezzo calava. Il premiato scorda che il prezzo alto era causa dell'importazione, non l'importazione era causa del prezzo alto. E (al contrario dell'altrettanto premiato Hope) Morse afferma che è ogni aumento del prezzo del grano a giovare all'agricoltore e al bracciante anziché al proprietario terriero.

Greg (che è un grande industriale e il cui libro si rivolge alla classe dei grandi fittavoli) non poteva limitarsi a tali sciocchezze. Il suo linguaggio è più scientifico. Greg afferma che le leggi sul grano fanno aumentar la rendita solo facendo aumentar il prezzo del grano, e che fanno aumentare il prezzo del grano solo obbligando il capitale ad applicarsi a terreni di qualità inferiore. Ciò è facile da provare.

Se è vietata l'importazione di grano straniero al crescer della popolazione, si è costretti a valorizzare terreni meno fertili, la cui coltivazione esige maggiori spese, onde il cui prodotto è più caro.

La vendita del grano è forzata quindi il suo prezzo si adeguerà al prezzo dei prodotti dei terreni più costosi. La rendita è la differenza fra questo prezzo dei terreni peggiori e le spese di produzione dei terreni migliori.

Così, abolire le leggi sul grano farà crollare il prezzo del grano (onde la rendita) perché i terreni più sterili cesseranno d'esser coltivati. Ergo la riduzione della rendita implicherà d'uopo la rovina di parte degli agricoltori.

Tali premesse sono necessarie per capire il linguaggio del signor Greg: «I piccoli agricoltori che non potranno più vivere con l'agricoltura, troveranno una risorsa nell'industria. Mentre i grandi agricoltori faranno guadagni. Infatti o i proprietari saranno costretti a vendergli le loro terre a prezzi irrisori, o i contratti di affitto che stipuleranno con loro saranno a lunga scadenza. Ciò consentirà agli agricoltori d'investir nella terra grandi capitali, d'impiegarvi macchine su più vasta scala risparmiando così lavoro manuale, che d'altronde sarà a più buon mercato per la riduzione generale dei salari, conseguenza immediata dell'abolizione delle leggi sul grano».

Il dottor Bowring ha dato poi a tali argomenti un crisma religioso, esclamando in un pubblico comizio: «Gesù Cristo è il libero scambio; il libero scambio è Gesù Cristo!».

Ecco come tale ipocrisia non serve a far gustare agli operai il pane a buon mercato. Infatti come avrebbero potuto gli operai capir la súbita filantropia degli stessi industriali contrari alla Legge delle dieci ore5 per ridurre da dodici a dieci ore la giornata di lavoro in fabbrica?

Per darvi un'idea della filantropia di tali industriali, vi ricorderò, signori, i regolamenti vigenti in tutte le fabbriche. Ogni industriale dispone di un vero e proprio codice penale in cui sono fissate multe per tutte le mancanze degli operai, dolose o colpose6. Es. L'operaio pagherà un tanto se costretto a sedersi da un malore, o brontola, o chiacchiera, o ride, o arriva con alcuni minuti di ritardo, o si rompe una parte della macchina o non produce oggetti dalla qualità fissata, etc. etc. Le multe son maggiori del danno reale causato dall'operaio. E per render più probabile incorrere nelle penalità fissate, si sposta l'orologio della fabbrica e si danno all'operaio materie prime scadenti da cui trarre buoni prodotti. Si arriva a destituir il capo reparto carente nel moltiplicar i casi di contravvenzione.

Tale legislazione privata è fatta proprio per crear contravvenzioni che sono un'altra fonte di ricavo. Così il fabbricante usa ogni mezzo per ridurre il salario nominale e per sfruttare pure incidenti a cui l'operaio è estraneo.

Tali industriali sono i filantropi che volevano convincer gli operai di volersi caricar d'enormi spese solo per migliorar la loro sorte.

Da un lato loro tagliano il salario dell'operaio con la meschinità dei regolamenti di fabbrica, dall'altro si impongono i più grandi sacrifici per accrescerlo con l'Anti-Corn-Law-League.

Costruiscono costosissimi palazzi u' la Lega stabilisca sedi in qualche modo ufficiali; inviano un esercito di missionari ovunque nell'Inghilterra a predicar il vangelo liberoscambista; stampano e distribuiscono gratis migliaia di opuscoli per illuminar l'operaio sui suoi interessi; spendono tanto per accattivarsi la stampa; organizzano un gran apparato per diriger i movimenti liberoscambisti; sfoggiano un ricco eloquio in pubblici comizi. Proprio a uno di tali comizi un operaio gridò: «Se i proprietari terrieri vendessero le nostre ossa, voi industriali sareste i primi a comprarle per macinarle in un mulino e farne farina».

Gli operai inglesi sanno bene il significato della lotta fra i proprietari terrieri e i capitalisti industriali. E sanno meglio che si voleva ridurre il prezzo del pane per ridurre il salario e che il profitto industriale sarebbe salito al calar della rendita.

Ricardo, l'apostolo dei liberoscambisti inglesi, il maggior economista del nostro secolo, su ciò si concorda con gli operai. Nella sua nota opera di economia politica egli scrive: «Se ci fosse un nuovo mercato donde procurarci il grano a miglior prezzo senza mieter il grano in casa nostra, allora i salari dovrebbero diminuire e i profitti aumentare. Ridurre il prezzo dei prodotti agricoli riduce, nonché i salari degli addetti all'agricoltura, il salario di chiunque lavori nell'industria e nel commercio7».

È sbagliato creder che per l'operaio sia indifferente ricever 4 franchi col grano più a buon mercato anziché 5. Infatti il salario è calato rispetto al profitto onde la posizione sociale è peggiorata rispetto al capitalista. Ma nonché relativamente, l'operaio perde assolutamente: finché il prezzo del grano era più alto assieme al salario, bastava all'operaio un piccolo risparmio fatto sul consumo del pane per procurarsi altri beni. Ma col prezzo del pane assieme al salario a un livello bassissimo, è impossibile risparmiare sul pane per comprarsi altre cose.

Gli operai inglesi hanno fatto capire ai liberoscambisti che non credono alle loro fole; eppure si sono alleati a loro contro i proprietari terrieri per distruggere gli ultimi resti del feudalesimo, per poter restare contro un solo nemico. I loro calcoli sono giusti, poiché i proprietari fondiari, per vendicarsi degli industriali, hanno fatto causa comune con gli operai per far approvare la Legge delle dieci ore, che gli operai per trent'anni avevano tentato invano di far approvare, e che passò subito dopo l'abolizione dei dazi sui cereali.

Al congresso degli economisti8 il dott. Bowring ha tirato fuori una lunga lista per esibire le quantità di bestiame, di prosciutto, di lardo, di polli, etc., importate in Inghilterra per il consumo degli operai (dice lui), senza dir (disgraziata dimenticanza) che al contempo gli operai di Manchester e delle altre città industriali erano sul lastrico per la crisi incipiente.

In economia politica è un principio non riferirsi alle cifre d'un solo anno per trarne delle leggi generali. Invece serve valutar la media di sei o sette anni, arco di tempo in cui l'industria moderna passa per le varie fasi di prosperità, di sovrapproduzione, di stasi, di crisi in tutto il suo ciclo fatale9.

Invero se il prezzo di tutte le merci cala (conseguenza uopo del libero scambio) allora si può ottenere con un franco assai più cose di prima. E il franco di un operaio vale il franco di ogni altro. Così il libero scambio sarà vantaggioso per l'operaio. C'è solo una piccola bada: prima di scambiar il suo franco con altre merci, l'operaio ha già scambiato il suo lavoro col capitale. Se in tale scambio ricevesse sempre per lo stesso lavoro lo stesso franco, ed insieme il prezzo di tutte le altre merci diminuisse, tale scambio sarebbe sempre vantaggioso. È facile provare che calando il prezzo di tutte le merci si ottengano più merci dallo stesso denaro.

Gli economisti valutano sempre il prezzo del lavoro quando è scambiato con altre merci; ma non quando il lavoro si scambia col capitale. Se si spende di meno per azionar la macchina che produce le merci, allora costeranno meno care pure le cose necessarie per mantenere tale macchina (chiamata lavoratore). Se tutte le merci sono a minor prezzo, allora cala pure il prezzo del lavoro (in quanto merce) e, come postposto, tale lavoro-merce calerà assai di più delle altre merci. Se il lavoratore si affida agli argomenti degli economisti, allora scoprirà che il franco in realtà non vale più di cinque soldi come se gli si fosse fuso in tasca. Qui gli economisti diranno: «È vero che la concorrenza fra gli operai (che certo non diminuisce in regime di libero scambio) porterà lesta i salari al basso prezzo delle merci. Tuttavia il basso prezzo delle merci farà aumentare il consumo; il maggior consumo esigerà una maggiore produzione, a cui seguirà una maggior domanda di manodopera; con conseguente aumento dei salari».

Conclusione: il libero scambio aumenta le forze produttive. Se l'industria cresce, se la ricchezza, se il potere produttivo, insomma se il capitale produttivo aumenta la domanda di lavoro, allora aumenta pure il prezzo del lavoro indi il salario. Così l'aumento del capitale è la miglior condizione per l'operaio. Si deve convenirne. Invece se il capitale resta stazionario, anziché restar ferma, l'industria declinerà, onde l'operaio ne sarà la prima vittima, perirà prima del capitalista. E quale sarà la sorte dell'operaio se il capitale cresce (il suddetto caso migliore)? Perirà comunque. Crescita del capitale produttivo implica crescita e concentrazione dei capitali. La concentrazione dei capitali induce maggiori divisione del lavoro e impiego di macchine. L'estrema divisione del lavoro distrugge la specificità del lavoro, l'operaio qualificato, mettendoci un lavoro svolgibile da chiunque, esasperando la concorrenza fra gli operai. Tale concorrenza fra gli operai peggiora quanto più la divisione del lavoro rende l'operaio capace di compiere da solo il lavoro di molti. Le macchine danno lo stesso risultato su scala ancora molto più vasta. Costringendo i capitalisti industriali a lavorare con mezzi sempre più cospicui, la crescita del capitale produttivo proletarizza i piccoli industriali. Poi, più i capitali si accumulano più il tasso dell'interesse diminuisce, onde i piccoli rentiers che non possono più viver delle loro rendite dovranno buttarsi nell'industria aumentando le file dei proletari. Infine, più il capitale produttivo aumenta più è costretto a produrre avulso dai bisogni del mercato. Più la produzione è irrelata dal consumo, più l'offerta cerca di forzare la domanda, onde le crisi saranno più forti e più frequenti. Ma ogni crisi, a sua volta, accelera l'accentramento dei capitali e ingrossa il proletariato.

Così, più il capitale produttivo si accresce, più cresce la concorrenza fra gli operai in proporzione assai maggiore. La retribuzione del lavoro diminuisce per tutti e il fardello del lavoro aumenta più per alcuni.  

Nel 1829 c'erano a Manchester 1088 filatori occupati in 36 fabbriche. Nel 1841 c'erano solo 448 filatori, i quali però facevano funzionare 53.353 fusi in più dei 1088 operai del 1829. Se il lavoro manuale fosse salito proporzionalmente al potere produttivo, il numero degli operai avrebbe dovuto raggiungere la cifra di 1848: indi i miglioramenti tecnici hanno tolto il lavoro a 1400 operai. Si sa già la risposta degli economisti: «Chi ha perso il lavoro troverà un altro impiego». Il dottor Bowring lo ha ribadito al congresso degli economisti, smentendo ciò che diceva lui stesso nel 1835 (in un discorso alla Camera dei comuni) sui 50.000 tessitori di Londra che da molto tempo muoiono d'inedia senza aver trovato il nuovo impiego che i liberoscambisti fanno intraveder da lontano. Eccone stralci. «La miseria dei tessitori a mano è la sorte necessaria d'ogni lavoro facile da imparar e in ogni istante suscettibile d'esser sostituito da mezzi meno costosi. In tal caso la concorrenza fra gli operai è fortissima, indi il minimo calo della domanda porta a una crisi. I tessitori a mano vivono quasi ai limiti dell'esistenza umana. Un altro passo e l'esistenza loro diviene impossibile. Il minimo urto basta a gettarli sulla china dell'esizio. I progressi della meccanica, elidendo sempre più il lavoro manuale, nel periodo di transizione recano sempre molte sofferenze passeggere. Il benessere nazionale è ottenibile solo con certi mali individuali. Nell'industria si avanza solo a spese di chi resta indietro; e la scoperta del telaio grava sui tessitori a mano più delle altre. Già in molti lavori prima fatti a mano il tessitore è stato espulso, e sarà espulso in molti altri lavori ancora a mano». Più avanti il dott. Bowring dice: «Ho qui una corrispondenza fra il governatore generale e la compagnia delle Indie Orientali sui tessitori del distretto di Dacca. Scrive il governatore: “Qualche anno fa la Compagnia delle Indie Orientali riceveva da sei a otto milioni di pezze di cotone fatte dai telai a mano del paese; la domanda calò incessante fino a un milione di pezze circa”. Oggigiorno è quasi affatto cessata. Inoltre il Nord America, che nel 1800 importò dalle Indie circa 800.000 pezze di cotone, nel 1830 ne importò meno di 4000. Infine nel 1800 furono un milione le pezze di cotone spedite in Portogallo, nel 1830 meno di 20.000. I rapporti sulla miseria dei tessitori indiani sono terribili. Ma qual è l'origine di tal miseria? La comparsa sul mercato dei prodotti inglesi; la produzione dell'articolo coi telai a vapore. Tantissimi tessitori sono morti d'inedia; il resto si è dato ad altri lavori soprattutto agricoli. Per costoro non saper cambiare lavoro significa morte. Oggi il distretto di Dacca tracima di filati e di tessuti inglesi. Pure la mussola di Dacca (nota in tutto il mondo per la bellezza e per la solidità del tessuto) è stata eclissata dalla concorrenza delle macchine inglesi. In tutta la storia dell'industria non ci sono sofferenze simili a quelle che intere classi nelle Indie Orientali hanno dovuto patir per questo» [Discorso di Bowring alla Camera dei comuni del 28 luglio 1835].10

Il discorso del dottor Bowring è tanto più notevole poiché attenua fatti reali con frasi ipocrite tipiche di tutti i sermoni liberoscambisti. Bowring presenta gli operai come mezzi di produzione da sostituir con altri mezzi di produzione meno costosi; finge che il lavoro di cui parla e la macchina che ha schiacciato i tessitori siano un caso isolato. Scorda che ogni lavoro manuale può sempre far la fine della tessitura. «Lo scopo fisso e la tendenza di ogni progresso meccanico è toglier affatto il lavoro dell'uomo o ridurne il prezzo (sostituendo operai adulti con donne e giovani o l'abile artigiano con l'operaio non qualificato). Nella maggior parte delle filande a telai continui (in inglese: throstle-mills) la filatura è affatto svolta da ragazze da sedici anni in giù. Sostituir la hand-mule11 (telaio ordinario) col self-actor (telaio meccanico) causa il licenziamento della maggioranza dei filatori e l'assunzione di bambini e adolescenti» [Filosofia delle manifatture].

Tale citazione del dottor Ure12 (uno dei più accaniti liberoscambisti) completa le suddette confessioni di Bowring: mali individuali che rovinano intere classi; sofferenze passeggere del periodo di transizione che hanno costretto i più al passaggio dalla vita alla morte e i restanti al passaggio a una condizione peggiore di prima. E dicendo poi che le sventure di tali operai sono connaturate al progresso dell'industria e necessarie al benessere nazionale, lui ammette che: condizione necessaria del benessere della classe borghese è la miseria della classe lavoratrice.

Tutto il discorso che Bowring prodiga agli operai morenti e, in generale, tutta la dottrina di compensazione dei liberoscambisti si riduce a ciò: «Non doletevi operai di morire a migliaia: potete morire tranquilli che vostra classe non perirà». La classe sarà sempre tanto numerosa che il capitale potrà decimarla senza annientarla. Infatti il capitale non troverebbe un impiego utile senza curarsi di preservar sempre la materia da sfruttare, gli operai, per sfruttarli di nuovo.

Ma allora perché porre ancora irrisolto il problema: quale influenza avrà l'attuazione del libero scambio sulla situazione della classe operaia? Tutte le leggi esposte dagli economisti (da Quesnay a Ricardo) sono concepite in assenza di ogni attrito per la libertà di commercio; e sono confermate via via che il libero scambio si realizza.

La prima di tali leggi è: la concorrenza riduce il prezzo di ogni merce al minimo del suo costo di produzione. Così il salario minimo è il prezzo naturale del lavoro. Che cosa è il salario minimo? Il salario minimo è l'esatta quantità necessaria per far produrre gli oggetti indispensabili al sostentamento dell'operaio, per metterlo in condizioni di nutrirsi bene o male e di riprodurre meglio la sua classe.

Non si creda che l'operaio avrà sempre e solo tale minimo di salario.

No, per questa legge la classe operaia sarà talvolta più felice. Talvolta avrà più del minimo; ma tale sovrappiù sarà il supplemento di quanto che essa avrà in meno del minimo nei periodi di stasi industriale. Ciò significa che: calcolando quanto la classe operaia avrà avuto in più o in meno del necessario in un certo arco periodico (in quel ciclo industriale che passa da fasi di: prosperità, sovrapproduzione, stasi, crisi) allora risulterà infine che la classe operaia non avrà avuto né più né meno del minimo; cioè la classe operaia si riproduce solo attraverso tante sventure, tante miserie, tanti cadaveri sul campo di battaglia dell'industria. Ma che importa? La classe sussiste comunque, anzi meglio: si sarà accresciuta13.

Non è tutto. Il progresso dell'industria produce mezzi di sussistenza meno costosi. Così l'acquavite ha sostituito la birra, il cotone ha sostituito la lana ed il lino, la patata ha sostituito il pane.

Così, trovando sempre cose meno care e più grezze per alimentar il lavoro, il salario minimo cala sempre. Se il salario minimo ha iniziato a far lavorar l'uomo per viver, finisce per far viver all'uomo una vita da macchina. Il valore della sua esistenza è di pura e semplice forza produttiva, che il capitalista tratta come tale.

Tale legge del lavoro-merce, del salario minimo, si attuerà attuandosi il pieno libero scambio ipotizzato dagli economisti. Così, i casi sono due: o rinnegare tutta l'economia politica basata sull'ipotesi del libero scambio, o convenire che col pieno libero scambio tutto il rigore delle leggi economiche colpirà gli operai.

Riassumendo. Cosa è il libero scambio nell'attuale società? È la libertà del capitale. Dissolvere quei pochi limiti nazionali che frenano ancora la marcia del capitale darà via libera alla sua attività. Finché lasciate sussister il rapporto fra il lavoro salariato e il capitale, lo scambio delle merci fra loro avverrà in condizioni favorevoli, ma ci sarà sempre una classe che sfrutterà e una classe che sarà sfruttata. È davvero difficile capir la fola dei liberoscambisti che l'impiego più vantaggioso del capitale eliderà l'antagonismo fra i capitalisti industriali e i lavoratori salariati. Al contrario: l'opposizione fra le due classi si delineerà ancor più nettamente.

Se toglieste tutte le circostanze accessorie che l'operaio può ancora incolpar della sua situazione miserevole (leggi granarie; dogane; dazi) togliereste altrettanti veli che celano ai lui il vero nemico.

Egli vedrà che il capitale reso libero non lo rende meno schiavo del capitale vessato dalle dogane.

Signori, non fatevi sedurre dall'idea astratta di libertà. Libertà di chi? Non è la libertà di un singolo individuo rispetto ad un altro. È la libertà per il capitale di schiacciar il lavoratore.

Come sancir la libera concorrenza con tale idea di libertà, se tale libertà è solo il prodotto di uno stato di cose basato sulla libera concorrenza?

Ho esibito quale fraternità il libero scambio crei fra le varie classi connazionali. La fraternità che il libero scambio creerebbe fra le varie nazioni della terra non sarebbe più fraterna. Solo la borghesia poteva pensar di nomar fraternità universale: lo stadio di sfruttamento internazionale. Tutti i fenomeni distruttivi che la libera concorrenza crea all'interno di un paese si riproducono in proporzioni gigantesche sul mercato mondiale. Non serve soffermarsi ancora sui sofismi spacciati dai liberoscambisti circa ciò, che valgono quanto gli argomenti dei nostri tre premiati signori Hope, Morse e Greg.

Es. Ci dicono che il libero scambio farebbe nascere una divisione internazionale del lavoro che compartimenterebbe la produzione secondo i vantaggi naturali di ogni Paese. Credete forse che la produzione del caffè e dello zucchero sia il destino naturale delle Indie Occidentali? Ebbene, due secoli fa la natura, ignara di faccende commerciali, non ci aveva messo né piante di caffè, né canna da zucchero.

E forse fra mezzo secolo non vi troverete più né caffè né zucchero, perché le Indie Orientali producendo a minor prezzo hanno già vinto tale preteso destino naturale delle Indie Occidentali. Le Indie Occidentali coi loro doni naturali sono già per gli inglesi un fardello pesante quanto i tessitori di Dacca (pure loro destinati dall'inizio dei tempi a tessere a mano).

Una cosa ancora è da notar: divenendo tutto monopolio, ci sono ai nostri giorni pure certi rami industriali che dominano ogni altro assicurando ai popoli che più li sfruttano l'impero sul mercato mondiale. Ecco perché nel commercio internazionale il solo cotone vale commercialmente più di tutte le altre materie prime prese insieme usate per fabbricar gli abiti. È davvero ridicolo veder i liberoscambisti indicar in ogni ramo industriale prodotti rari per confrontarli ai prodotti d'uso comune prodotti a un prezzo minimo nei Paesi ove l'industria è più sviluppata.

Non stupisce che i liberoscambisti non possano capir come un Paese possa arricchirsi a spese di un altro; infatti costoro manco capiscono come in uno stesso Paese una classe possa arricchirsi a spese di un'altra.

Non crediate, signori, che criticando la libertà commerciale, io voglia difendere il sistema protezionista: si può essere nemici del regime costituzionale senza essere per questo amici dell'ancien régime.

Inoltre il sistema protezionista è solo un mezzo per stabilire in un Paese la grande industria, cioè per farlo dipender dal mercato mondiale, e dipender dal mercato mondiale implica già dipender dal libero scambio. Oltre a ciò, il sistema protezionista contribuisce a sviluppar la libera concorrenza all'interno di un Paese. Perciò vediamo che la borghesia faccia grandi sforzi per aver dei dazi protettivi nei Paesi in cui inizi a farsi valer come classe (es. in Germania14) perché sono armi contro il feudalesimo e contro il governo assoluto, sono un modo di concentrar le proprie forze per realizzar il libero scambio all'interno del Paese.

Ma in generale ai nostri giorni il sistema protezionista è conservatore, mentre il sistema del libero scambio è distruttivo. Il libero scambio dissolve le antiche nazionalità e spinge all'estremo l'antagonismo fra la borghesia e il proletariato. In una parola, il sistema della libertà di commercio affretta la rivoluzione sociale15. È solo per questo esito rivoluzionario, signori, che io voto in favore del libero scambio.

Note

1. La legge abolente i dazi sul grano fu approvata nel giugno 1846. Prima, le leggi granarie limitavano o vietavano l'importazione di cereali a favore dei grandi proprietari terrieri inglesi.
L'abolizione di tali leggi granarie fu una vittoria della borghesia industriale, che si era battuta contro di esse sotto la parola d'ordine del libero scambio.

2. Sir John Bowring [1792-1872]: linguista, letterato, seguace di Bentham, fautore della politica coloniale inglese in Estremo Oriente.
John Bright [1811-1889]: industriale, politico, fondatore dell'Anti-Corn-Law-League [Lega contro le leggi sul grano].

3. Le case di lavoro istituite nel ‘600 furono trasformate in un moderno sistema di detenzione nel 1834, seguendo le teorie esposte da Bentham in: Panottico, 1791.

4. George Hope [1811-1876]: agricoltore e agronomo. Arthur Morse: giornalista e scrittore. William Rathbone Greg [1809-1881]: industriale e pubblicista. I tre scritti furono pubblicati nel 1842.

5. La Legge delle 10 ore fu approvata l'8 giugno 1847. Riguardava solo i minori e le donne; ma restò inattuata. Capitale, VIII, 6 studia le lotte per le leggi sulla giornata di lavoro.

6. I codici di fabbrica sono studiati in: Capitale, XIII, 4.

7. Marx cita l'edizione francese di Ricardo: Principi dell'economia politica e delle imposte [tradotto da F.-S. Constando, commentato da J.-B. Say, IIª edizione, voll. 1-2, Parigi, 1835].

8. Il congresso degli economisti a Bruxelles si tenne dal 16 al 18 settembre 1847. Fu incentrato su temi del libero scambio. A Marx fu impedito di tenere questo discorso.

9. «La storia dell'industria dal 1842 al 1868 ha provato che il reale periodo è decennale, che le crisi intermedie sono di natura secondaria, e dopo il 1842 svanirono sempre più. Dopo il 1868 la situazione mutò di nuovo» [Engels]

10. Marx eccerpisce il Discorso di Bowring alla Camera dei comuni del 28 luglio 1835 da W. Atkinson: Principles of Political Economy [Londra, 1840, pp. 36-38].

11. Dopo l'invenzione di Wyatt (1735), si hanno in Inghilterra continui progressi nella meccanizzazione della filatura, che sono di grande importanza per lo sviluppo del capitalismo. James Hargreaves costruisce intorno al 1764 la "spinning jenny" (dal termine engine: motore), che ha vari pregi rispetto alle filatrici preesistenti, ma è ancora azionata a mano. Sir Richard Arkwright perfeziona in vari modi la filatrice ideata da Lewis Paul nel 1738 e soprattutto, negli anni 1769-1771, utilizza la forza idraulica. Questa filatrice assume il nome di "throstle" (tordo). Nel 1779 Samuel Crompton costruisce una macchina che combina le caratteristiche della jenny e della throstle, chiamandola "mule jenny" o semplicemente "mule" (mulo, bastardo, che unisce due nature). Nel 1825 si ha infine la "selfacting mule" (mule automatica) o "selfactor" (automatico), la filatrice automatica di Richard Robert.

12. Andrew Ure [1778-1857]: chimico, economista, libero scambista, sulla cui opera Filosofia delle manifatture [Londra, 1835; UTET, 1863] si basa Capitale, XIII, 6.

13. Il tema dell'esercito industriale di riserva è esposto in: Capitale, XXIII, 3.

14. In Germania il protezionismo era promosso da Friedrich List, di cui Marx lesse: Das nationale System der politischen Ökonomie.

15. Al convegno economico di Bruxelles Marx avrebbe esposto la conclusione così: «Si deve sceglier: o rigettar tutta l'economia politica come oggi o ammetter che in regime di libero scambio le leggi dell'economia politica si applichino alle classi lavoratrici in tutto il loro rigore. Ciò implica essere contro il libero scambio? No. Siamo a favore del libero scambio ché consente a tutte le leggi economiche di dispiegarsi su tutta la terra con tutte le loro contraddizioni. Raccolte in un unico grande insieme, tali contraddizioni causeranno la lotta che emanciperà il proletariato» [Engels in: Marx-Engels Opere Complete, volume VI, p. 296].


Ultima modifica 03.04.2018