Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850

Marx (1850)

III

Conseguenze del 13 giugno 1849

 

Dal 13 giugno 1849 al 10 marzo 1850

Il 20 dicembre la testa di Giano [1] della repubblica costituzionale non aveva ancora mostrato che una faccia, la faccia esecutiva, coi tratti scialbi e insipidi di Luigi Bonaparte; il 28 maggio 1849 mostrò la sua seconda faccia, la legislativa, cosparsa dalle rughe lasciatevi dalle orge della restaurazione e della monarchia di luglio. Con l'Assemblea nazionale legislativa era condotta a termine la formazione della repubblica costituzionale, cioè della forma repubblicana dello Stato, nella quale era costituito il dominio della classe borghese, il dominio comune, quindi, delle due grandi frazioni monarchiche componenti la borghesia francese, dei legittimisti e degli orleanisti coalizzati, del partito dell'ordine. Mentre in questo modo la repubblica francese diventava proprietà della coalizione dei partiti monarchici, la coalizione europea delle potenze controrivoluzionarie intraprendeva una crociata generale contro gli ultimi rifugi delle rivoluzioni di marzo. La Russia fece irruzione in Ungheria, la Prussia marciò contro l'esercito costituzionale dell'impero e Oudinot bombardò Roma. La crisi europea si avvicinava manifestamente a una svolta decisiva; gli occhi di tutta l'Europa si rivolgevano su Parigi, e gli occhi di tutta Parigi sull'Assemblea legislativa.

L'11 giugno salì alla tribuna dell'Assemblea legislativa Ledru-Rollin. Non tenne un discorso; formulò una requisitoria contro i ministri, nuda, senza fronzoli, oggettiva, concisa, violenta.

L'attacco a Roma è un attacco alla Costituzione; l'attacco alla repubblica romana un attacco alla repubblica francese. L'articolo V della Costituzione dice: "La repubblica francese non adopera mai le proprie forze combattenti contro la libertà di qualsiasi popolo", e il presidente adopera l'esercito francese contro la libertà romana. L'articolo 54 della Costituzione vieta al potere esecutivo (di dichiarare qualsiasi guerra, senza l'assenso dell'Assemblea nazionale. La decisione della Costituente dell'8 maggio impone espressamente ai ministri di ricondurre al più presto la spedizione romana alla sua destinazione originaria: proibisce quindi loro non meno espressamente la guerra contro Roma, e Oudinot bombarda Roma. Così Ledru-Rollin invocò la Costituzione stessa quale testimone a carico contro Bonaparte e i suoi ministri Egli, il tribuno della Costituzione, lanciò alla maggioranza monarchica dell'Assemblea nazionale questa dichiarazione minacciosa: "I repubblicani sapranno far rispettare la Costituzione con tutti i mezzi, sia pure con la forza delle armi!" "Con la forza delle armi!" replicò l'eco centuplicata della Montagna. La maggioranza rispose con un tumulto spaventoso, il presidente nazionale richiamò Ledru-Rollin all'ordine, Ledru-Rollin ripeté la sua sfida, e depose, da ultimo, sul tavolo presidenziale la proposta di mettere Bonaparte e i suoi ministri in stato d'accusa. Con 361 contro 203 voti l'Assemblea nazionale decise di passare, circa il bombardamento di Roma, all'ordine del giorno puro e semplice.

Credeva Ledru-Rollin di poter battere l'Assemblea nazionale con la Costituzione, il presidente con l'Assemblea nazionale?

E' vero che la Costituzione vietava ogni attacco alla libertà di popoli stranieri, ma ciò che l'esercito francese attaccava a Roma, era, secondo il ministero, non la "libertà", bensì il "dispotismo dell'anarchia". Non aveva ancora compreso la Montagna, a dispetto di tutte le esperienze nell'Assemblea costituente, che la interpretazione della Costituzione non spettava a coloro che l'avevano fatta, ma ormai solamente a coloro che l'avevano accettata? Che la sua lettera doveva essere interpretata secondo il suo spirito vitale e che lo spirito borghese era il suo unico spirito vitale? Che Bonaparte e la maggioranza monarchica dell'Assemblea nazionale erano gli interpreti autentici della Costituzione come il prete è l'interprete autentico della Bibbia, e il giudice l'interprete autentico della legge? Doveva l'Assemblea nazionale, uscita allora dal grembo delle elezioni generali sentirsi vincolata dalle disposizioni testamentarie della defunta Costituente la cui volontà, mentr'era in vita, era stata spezzata da Odilon Barrot? Mentre Ledru-Rollin si richiamava alla risoluzione della Costituente dell'8 maggio, aveva egli dimenticato che la stessa Costituente aveva respinto, l'11 maggio, la sua prima proposta di messa in stato d'accusa di Bonaparte e dei suoi ministri, che aveva assolto il presidente e i ministri, che in questo modo aveva sanzionato come "costituzionale" l'attacco a Roma, che egli poteva soltanto interporre appello contro un giudizio già emesso e che, finalmente, egli faceva appello dalla Costituente repubblicana alla Legislativa monarchica? La Costituzione stessa chiamava l'insurrezione in aiuto, quando, in uno speciale articolo, invitava ogni cittadino a difenderla. Di quest'articolo si faceva forte Ledru-Rollin. Ma non sono forse in pari tempo organizzati a difesa della Costituzione i pubblici poteri, e la violazione della Costituzione non incomincia essa solo dal momento in cui uno dei pubblici poteri costituzionali si ribella contro l'altro? Invece il presidente della repubblica, i ministri della repubblica, l'Assemblea nazionale della repubblica erano in completa armonia.

Ciò che la Montagna cercò di fare l'11 giugno fu "un'insurrezione entro i limiti della ragion pura" [2], cioèuna pura insurrezione parlamentare. La maggioranza dell'Assemblea avrebbe dovuto, intimidita dalla prospettiva di un'insurrezione armata delle masse popolari, infrangere in Bonaparte e nei ministri il suo proprio potere e il significato della sua propria elezione. Non aveva la Costituente tentato egualmente di cassare l'elezione di Bonaparte, quando aveva insistito così ostinatamente per il congedo del ministero Barrot-Falloux?

Non mancavano esempi di insurrezioni parlamentari, del tempo della Convenzione, che avevano d'improvviso rovesciato radicalmente il rapporto tra la maggioranza e la minoranza, e non doveva riuscire alla giovane Montagna ciò che era riuscito alla vecchia? Né le contingenze del momento apparivano sfavorevoli a una impresa di questo genere. La sovreccitazione popolare aveva raggiunto a Parigi un grado di tensione che dava da pensare; l'esercito sembrava non ben disposto verso il governo, a giudicare dai suoi voti nelle elezioni; la maggioranza legislativa stessa era ancora troppo giovane per aver potuto consolidarsi ed era, in pari tempo, composta di gente d'età. Se alla Montagna fosse riuscita una insurrezione parlamentare, il timone dello Stato le sarebbe senz'altro toccato. Dal canto suo la piccola borghesia democratica, come sempre, nulla desiderava più ardentemente che di vedere combattuta la lotta al di sopra delle sue teste, nelle nubi, fra i lontani spiriti del parlamento Infine tanto la piccola borghesia democratica quanto la Montagna, sua rappresentante, avrebbero con un'insurrezione parlamentare raggiunto il loro grande scopo di spezzare la potenza della borghesia senza scatenare il proletariato o senza lasciarlo apparire altrimenti che nello sfondo; il proletariato sarebbe stato utilizzato senza che diventasse pericoloso.

Dopo il voto dell'Assemblea nazionale dell'11 giugno, ebbe luogo un convegno tra alcuni membri della Montagna e i delegati delle associazioni segrete operaie. Questi ultimi insistevano perché si scatenasse il movimento quella sera stessa. La Montagna respinse decisamente questa proposta. A nessun prezzo voleva lasciarsi togliere di mano la direzione; i suoi alleati le erano sospetti non meno degli avversari, ed a ragione. Il ricordo del giugno 1848 non era mai stato così vivo nelle file del proletariato parigino. Esso era però incatenato all'alleanza con la Montagna. Questa rappresentava la maggior parte dei dipartimenti, spingeva la propria influenza fin nell'esercito, disponeva della parte democratica della guardia nazionale, aveva dietro di sé la potenza morale della bottega. Incominciare l'insurrezione in questo momento contro il suo volere, significava per il proletariato decimato per giunta dal colera, cacciato fuori di Parigi in massa ragguardevole dalla disoccupazione, ripetere senza utilità le giornate del giugno 1848, senza la situazione che aveva imposto quel combattimento disperato. I delegati proletari fecero l'unica cosa che fosse ragionevole. Obbligarono la Montagna a compromettersi, cioè a uscir fuori dai confini della lotta parlamentare, nel caso in cui il suo atto d'accusa venisse respinto. Durante tutto il 13 giugno, il proletariato mantenne lo stesso atteggiamento di scettica osservazione, e attese una battaglia seria, irrevocabile, tra la guardia nazionale democratica e l'esercito per poi gettarsi nella lotta e spingere la rivoluzione al di là dello scopo piccolo-borghese che le era assegnato. Per il caso di vittoria, era già forma la Comune proletaria che doveva intervenire accanto al governo ufficiale. Gli operai parigini avevano imparato alla scuola sanguinosa del giugno 1848.

Il 12 giugno il ministro Lacrosse fece egli stesso all'Assemblea legislativa la proposta di passare subito alla discussione dell'alto d'accusa. Durante la notte il governo aveva preso tutte le disposizioni per la difesa e per l'attacco; la maggioranza dell'Assemblea nazionale era decisa a spingere la minoranza ribelle sulla strada; la minoranza stessa non poteva più ritirarsi; il dado era tratto; 377 voti contro 8 respinsero l'atto d'accusa; la Montagna, che si era astenuta, si rovesciò rumoreggiando nelle sale di propaganda della "democrazia pacifica" negli uffici della redazione del giornale "Démocratie pacifique" [3].

La lontananza dall'edificio del parlamento spezzò la sua forza, come la lontananza dalla Terra spezzava la forza d'Anteo, il gigante suo figlio. Sansoni nelle sale dell'Assemblea legislativa, non furono più che dei filistei negli uffici della "democrazia pacifica". Si svolse una discussione lunga, rumorosa, disordinata. La Montagna era decisa a imporre il rispetto della Costituzione con tutti i mezzi, "eccetto che con la forza delle armi". In questa decisione essa fu appoggiata da un manifesto e da una deputazione degli "amici della Costituzione". "Amici della Costituzione": così si chiamavano gli avanzi della consorteria del "National", del partito repubblicano borghese. Mentre dei suoi superstiti rappresentanti parlamentari, sei avevano votato contro, gli altri tutti quanti a favore del rigetto dell'atto d'accusa; mentre Cavaignac metteva a disposizione del partito dell'ordine la sua spada, la maggioranza extraparlamentare della consorteria afferrava avidamente questo pretesto per uscire dalla sua situazione di paria politico e per intrufolarsi nelle file del partito democratico. Non apparivano essi come i naturali portabandiera di questo partito, che si celava dietro il loro scudo, dietro il loro principio, dietro la Costituzione?

Fino all'alba la "Montagna" ebbe le doglie del parto. Partorì "un proclama al popolo", che il mattino del 13 giugno apparve in un posto più o meno vergognoso in due giornali socialisti. Esso dichiarava il presidente, i ministri, la maggioranza, l'Assemblea legislativa "fuori della Costituzione" (hors la Constitution), e faceva appello alla Guardia nazionale, all'esercito e, infine, anche al popolo, perché "si sollevassero". "Viva la Costituzione!" era la parola d'ordine che esso lanciava: parola d'ordine che non significava altro che "Abbasso la rivoluzione!".

Al proclama costituzionale della Montagna corrispose, il 13 giugno, una cosiddetta dimostrazione pacifica dei piccoli borghesi, cioè una processione dal Cháteau-d'Eau per i boulevards: 30.000 uomini, in massima parte guardie nazionali, disarmati, frammischiati con membri delle società operaie segrete, che avanzavano al grido di " Viva la Costituzione!", gettato in modo meccanico, glaciale, con la coscienza sporca, dai membri stessi del corteo e respinto ironicamente, anziché ripetuto con forza di tuono dall'eco del popolo che faceva ala sui marciapiedi . In quel canto a più voci mancava la voce di petto . E quando il corteo passò davanti ai locali dove si riunivano gli "amici della Costituzione", e sul frontone dell'edificio apparve un araldo della Costituzione stipendiato, che col cappello da claqueur [4] trinciò violentemente l'aria, facendo piombare dai suoi enormi polmoni come gragnuola la parola d'ordine "Viva la Costituzione!" sulle teste dei pellegrini, sembrò che anche questi per un istante si sentissero sopraffatti dalla comicità della situazione. È noto come il corteo, giunto allo sbocco di rue de la Paix, venisse accolto nel boulevards in modo assolutamente antiparlamentare dai dragoni e cacciatori di Changarnier, si sbandasse in un batter d'occhi in tutte le direzioni e gettasse dietro a sé, con parsimonia il grido di "all'armi" solo, affinché fosse realizzato l'appello parlamentare dell'11 giugno all'insurrezione

La maggioranza della Montagna, adunata nella rue du Hazard, si dileguò allorché questa brutale dispersione della processione pacifica le sorde dicerie circa l'eccidio di cittadini inermi sui boulevards, il crescente tumulto delle strade sembrarono annunciare l'avvicinarsi di una sommossa Ledru-Rollin, alla testa di una esigua schiera di deputati, salvò l'onore della Montagna. Sotto la protezione dell'artiglieria di Parigi che si era riunita nel Palais National, si recò al Conservatoire des arts et métiers, ove dovevano entrare la V e 1aVI legione della guardia nazionale. Ma i montagnardi attesero invano la V e la VI legione; queste prudenti guardie nazionali lasciarono in asso i loro rappresentanti, la stessa artiglieria parigina impedì al popolo di far delle barricate, una confusione caotica rese impossibile qualsiasi risoluzione, le truppe avanzarono a baionetta. abbassata, una parte dei rappresentanti fu fatta prigioniera, un'altra si salvò. Così terminò il 13 giugno.

Se il 23 giugno 1848 era stato l'insurrezione del proletariato rivoluzionario, il 13 giugno 1849 fu l'insurrezione dei piccoli borghesi democratici, e ciascuna di queste due insurrezioni fu l'espressione classicamente pura della classe che l'aveva fatta.

Soltanto a Lione si venne a un conflitto ostinato, sanguinoso Qui, dove la borghesia industriale e il proletariato industriale stanno immediatamente faccia a faccia, dove il movimento operaio non è avvolto e determinato, come a Parigi, dal movimento generale, il 13 giugno perdette, per contraccolpo, il suo carattere primitivo. Nelle altre province dove scoppiò, non prese fuoco: fu un fulmine mancato.

Il 13 giugno chiude il primo periodo di esistenza della repubblica costituzionale, la quale aveva raggiunta una propria esistenza normale il 28 maggio 1849, con la riunione dell'Assemblea legislativa. Tutta la durata di questo prologo è riempita dalla lotta rumorosa fra il partito dell'ordine e la Montagna, fra la borghesia e la piccola borghesia, che invano resiste al consolidamento della repubblica borghese, per la quale essa stessa aveva cospirato senza interruzione nel governo provvisorio e nella commissione esecutiva, e per la quale, durante le giornate di giugno, s'era battuta fanaticamente contro il proletariato. Il 13 giugno spezza la sua opposizione e rende fatto compiuto la dittatura legislativa dei monarchici riuniti. Da quest'istante l'Assemblea nazionale non è più che un Comitato di salute pubblica del partito dell'ordine. Parigi aveva messo il presidente, il ministri e la maggioranza della Assemblea nazionale in "stato d'accusa"; questi misero Parigi in "stato d'assedio". La Montagna aveva dichiarato la maggioranza dell'Assemblea legislativa "fuori della Costituzione" la maggioranza consegnò alla Alta corte, per violazione della Costituzione, la Montagna, e proscrisse tutti coloro che in essa avevano ancora energia. La Montagna venne decimata in modo da ridurla a un torso senza testa e senza cuore [5]. La minoranza era andata sino al tentativo di un'insurrezione parlamentare; la maggioranza elevò a legge il proprio dispotismo parlamentare. Decretò un nuovo regolamento interno, che sopprimeva la libertà della tribuna e autorizzava il presidente dell'Assemblea nazionale a punire i rappresentanti, per violazione dell'ordine, con la censura, con multe, con la privazione dell'indennità, con la temporanea espulsione, col carcere. Sul torso della Montagna essa sospendeva, invece della spada, lo staffile. Il resto dei deputati della Montagna avrebbe dovuto, per onore, abbandonare in massa l'Assemblea. Con un atto simile avrebbe affrettato lo scioglimento del partito dell'ordine. Dal momento che nemmeno l'apparenza di un'opposizione l'avesse più tenuto insieme, questo si sarebbe dovuto decomporre nei suoi elementi originari. Mentre venivano spogliati della loro forza parlamentare, i piccoli borghesi democratici venivano spogliati anche della loro forza armata, in seguito allo scioglimento dell'artiglieria di Parigi e delle legioni VIII, IX e XII della guardia nazionale. La legione dell'alta finanza, invece, che il 13 giugno aveva dato l'assalto alle tipografie di Boulé e di Roux fracassando i torchi, che aveva devastato gli uffici dei giornali repubblicani e arrestato arbitrariamente redattori, compositori, tipografi, speditori, fattorini, ricevette dall'alto della tribuna dell'Assemblea nazionale una incoraggiante approvazione. Su tutta la superficie della Francia si ripeté lo scioglimento delle guardie nazionali sospette di repubblicanesimo.

Nuova legge sulla stampa, nuova legge sulle associazioni, nuova legge sullo stato d'assedio, le carceri di Parigi riboccanti, i profughi politici perseguitati, tutti i giornali che oltrepassavano i limiti del "National" sospesi, Lione e i cinque dipartimenti circostanti abbandonati alle brutali vessazioni del dispotismo militare, i tribunali onnipresenti, l'esercito degli impiegati, epurato già tante volte, ancora una volta epurato: questi furono gli ineluttabili e sempre ricorrenti luoghi comuni della reazione vittoriosa, i quali, dopo i massacri e le deportazioni di giugno, meritano di essere ricordati solo perché questa volta vennero diretti non unicamente contro il proletariato, ma prima di tutto contro le classi medie.

Le leggi repressive, che rimettevano al beneplacito del governo la proclamazione dello stato d'assedio, imbavagliavano ancora di più la stampa e sopprimevano il diritto d'associazione, assorbirono interamente l'attività legislativa dell'Assemblea nazionale durante i mesi di giugno, luglio e agosto.

Questo periodo, però, è caratterizzato non dallo sfruttamento di fatto, bensì dallo sfruttamento di principio della vittoria; non dalle decisioni dell'Assemblea nazionale, ma dalla motivazione di queste decisioni; non dalla cosa, ma dalla frase; non dalla frase, ma dall'accento e dal gesti che danno vita alla frase. L'espressione sfacciata e impudente di opinioni monarchiche l'insulto altezzoso e sprezzante contro la repubblica le chiacchiere civettuole e frivole circa i progetti di restaurazione, in una parola la violazione ostentata della dignità repubblicana dà a questo periodo un tono e un colorito particolari "Viva la Costituente!" era stato il grido di battaglia dei vinti del 13 giugno. I vincitori furono dunque svincolati dall'ipocrisia del linguaggio costituzionale, cioè repubblicano. La controrivoluzione aveva sottomesso l'Ungheria, l'Italia, la Germania, ed essi credevano la restaurazione già alle porte della Francia. Ne derivò una vera concorrenza tra i capifila delle frazioni dell'ordine nel documentare per mezzo del "Moniteur" il proprio sentimento monarchico e nel confessare i propri eventuali peccati di liberalismo commessi sotto la monarchia, nel farne ammenda e nell'implorarne il perdono davanti a Dio e agli uomini. Non passava giorno senza che la rivoluzione di febbraio venisse dichiarata una calamità pubblica alla tribuna dell'Assemblea nazionale, senza che un qualsiasi nobiluccio legittimista di provincia constatasse di non aver mai riconosciuto la repubblica, senza che uno dei vili disertori e traditori della monarchia di luglio narrasse i postumi atti eroici, che unicamente la filantropia di Luigi Filippo o altri contrattempi gli avevano impedito di compiere. Ciò che vi era da ammirare nelle giornate di febbraio non era più la generosità del popolo vittorioso, bensì la abnegazione e la moderazione dei monarchici che gli avevano permesso di vincere. Un rappresentante del popolo propose che parte dei denari destinati a soccorrere i feriti di febbraio venisse erogata alle guardie municipali, che sole in quella giornata avevano bene meritato dalla patria. Un altro voleva che si decretasse al duca d'Orléans una statua equestre sulla piazza del Carosello. Thiers chiamò la Costituzione un pezzo di carta sporca. Comparvero per turno alla tribuna orleanisti a fare ammenda della loro cospirazione contro la monarchia legittima, legittimisti a rimproverare a se stessi di avere, insorgendo contro la monarchia illegittima, affrettato la caduta della monarchia in generale, Thiers che si pentiva dei suoi intrighi contro Molé, Molé dei suoi intrighi contro Guizot, Barrot dei suoi intrighi contro tutti e tre. Il grido: "Viva la repubblica socialdemocratica!" venne dichiarato incostituzionale, il grido "Viva la repubblica!" processato come socialdemocratico. Nell'anniversario della battaglia di Waterloo un rappresentante dichiarò: "Temo meno l'invasione dei prussiani che l'entrata dei profughi rivoluzionari in Francia". Ai lamenti contro il terrorismo, organizzato a Lione e nei dipartimenti attigui, Baraguay d'Hilliers rispose: "Preferisco il terrore bianco al terrore rosso" (J'aime mieux la terreur blanche que la terreur rouge). E l'Assemblea batteva le mani con frenesia ogni volta che dalle labbra dei suoi oratori cadeva un epigramma contro la repubblica, contro la rivoluzione, contro la Costituzione, per la monarchia, per la Santa Alleanza. Ogni strappo alle più minute formalità repubblicane, ad esempio a quella di chiamare i deputati "citoyens", entusiasmava i cavalieri dell'ordine.

Le elezioni suppletive di Parigi dell'8 luglio, fatte sotto l'influenza dello stato d'assedio e dell'astensione dalle urne di gran parte del proletariato, la presa di Roma da parte dell'esercito francese, l'ingresso in Roma delle eminenze rosse, con l'inquisizione e il terrorismo fratesco al loro seguito [6] furono nuove vittorie da aggiungere alla vittoria di giugno e aumentarono ancor più l'ebbrezza del partito dell'ordine.

Finalmente alla metà d'agosto, i monarchici, in parte allo scopo di assistere ai consigli dipartimentali appunto allora convocati, in parte spossati dall'orgia di tendenze durata parecchi mesi, decretarono un aggiornamento di due mesi dell'Assemblea nazionale. Una commissione di venticinque rappresentanti, il fior fiore dei legittimisti e degli orleanisti, un Molé, uno Changarnier, furono da essi lasciati a Parigi, con trasparente ironia, in qualità di sostituti dell'Assemblea nazionale e di custodi della repubblica. L'ironia era più profonda di quel che essi sospettassero. La storia, che li aveva condannati ad aiutare a rovesciare la monarchia che amavano, li destinava a conservare la repubblica che odiavano.

Con l'aggiornamento dell'Assemblea legislativa si chiude il secondo periodo di esistenza della repubblica costituzionale, il suo periodo di euforia monarchica.

Lo stato d'assedio di Parigi venne nuovamente revocato; la stampa ripigliò la propria azione. Durante la sospensione dei fogli socialdemocratici, durante il periodo della legislazione repressiva e delle orge monarchiche, il "Siècle" [7], il vecchio rappresentante letterario dei piccoli borghesi costituzionali monarchici, diventò repubblicano; la "Presse" [8], il vecchio portavoce letterario dei riformisti borghesi, diventò democratico; il "National", il vecchio organo classico dei repubblicani borghesi, diventò socialista.

Le società segrete crebbero in estensione e intensità, a misura che i clubs pubblici diventavano impossibili. Le associazioni operaie di mestiere, tollerate, come pure le corporazioni commerciali, nulle come valore economico, diventarono politicamente altrettanti mezzi di unione del proletariato. Il 13 giugno aveva tolto ai diversi partiti semirivoluzionari le teste ufficiali; le. masse superstiti seppero ritrovare la loro propria testa. I cavalieri dell'ordine avevano intimidito, profetizzando gli orrori della repubblica rossa; gli eccessi volgari, gli orrori iperborei della controrivoluzione vittoriosa in Ungheria, nel Baden, a Roma servirono ad assolvere la "repubblica rossa". E le malcontente classi intermedie della società francese incominciarono a preferire le profezie della repubblica rossa, col suo terrore problematico, al terrore della monarchia rossa, con la sua assenza reale di ogni speranza. Nessun socialista fece in Francia maggior propaganda rivoluzionaria di Haynau. A ogni capacità secondo il suo merito!

Frattanto Luigi Bonaparte approfittava delle ferie dell'Assemblea nazionale per far viaggi principeschi nelle province, i legittimisti di sangue più caldo andavano in pellegrinaggio alla volta di Ems a trovare il discendente di san Luigi [9], e la massa dei rappresentanti del popolo amici dell'ordine intrigava nei consigli dipartimentali, allora riuniti. Si trattava di far loro dire ciò che la maggioranza dell'Assemblea nazionale non aveva ancora osato formulare: la proposta d'urgenza di un'immediata revisione della Costituzione. Secondo il suo testo, la Costituzione poteva essere riveduta solo nel 1852, da un'Assemblea nazionale convocata appositamente a tal fine. Se però la maggioranza dei consigli dipartimentali si fosse pronunciata in questo senso, non avrebbe dovuto l'Assemblea nazionale sacrificare al voto della Francia la verginità della Costituzione? L'Assemblea nazionale nutriva a proposito di queste assemblee provinciali le stesse speranze che le monache dell'"Henriade" di Voltaire nutrivano a proposito dei panduri [10]. Ma le Putifarri dell'Assemblea nazionale avevano a che fare, salvo alcune eccezioni, con altrettanti Giuseppi delle province [11]. L'enorme maggioranza non volle comprendere l'urgente sollecitazione. La revisione della Costituzione venne impedita da quegli stessi strumenti che dovevano invocarla, dai voti dei consigli dipartimentali. La voce della Francia, e precisamente della Francia borghese, aveva parlato, ed aveva parlato contro la revisione.

Al principio di ottobre, l'Assemblea nazionale legislativa si adunò nuovamente - tantum mutatus ab illo [12]. La sua fisionomia era completamente cambiata. L'Inaspettato rigetto della revisione da parte dei Consigli dipartimentali l'aveva richiamata entro i limiti della Costituzione e le aveva mostrato i limiti della durata della propria esistenza. Gli orleanisti erano diventati diffidenti in seguito ai pellegrinaggi dei legittimisti a Ems, i legittimisti nutrivano sospetti a causa delle trattative degli orleanisti con Londra [13]. I giornali delle due frazioni avevano soffiato nel fuoco e pesato i titoli reciproci dei loro pretendenti. Orleanisti e legittimisti insieme erano esacerbati dagli intrighi dei bonapartisti, che si manifestavano nei viaggi principeschi, nei tentativi più o meno trasparenti del presidente di emanciparsi, nel linguaggio altezzoso delle gazzette bonapartiste. Luigi Bonaparte serbava rancore a un'Assemblea nazionale che considerava legittima solamente la cospirazione legittimista e orleanista e a un ministero che lo tradiva continuamente in favore di quell'Assemblea nazionale. Il ministero, infine, era scisso nel suo stesso seno a proposito della politica romana e dell'imposta sul reddito proposta dal ministro Passy e denunciata dai conservatori come socialista.

Una delle prime proposte del ministero Barrot alla Legislativa riconvocata fu la richiesta di un credito di 300.000 franchi per pagamento dell'assegno vedovile della duchessa d'Orléans. L'Assemblea nazionale l'approvò, aggiungendo nel libro del debito della nazione francese una somma di sette milioni di franchi. Mentre così Luigi Filippo continuava, con successo, a far la parte del "pauvre honteux" del mendicante vergognoso, né il ministero osava proporre l'aumento dell'assegno a Bonaparte, né l'Assemblea sembrava proclive a concederlo. E Luigi Bonaparte oscillava, come sempre, davanti al dilemma: Aut Caesar aut Clichy [14].

La seconda richiesta, di credito del ministero, di nove milioni di franchi per le spese della spedizione romana, aumentò la tensione tra Bonaparte da un lato e i ministri e l'Assemblea nazionale dall'altro. Luigi Bonaparte aveva fatto inserire nel "Moniteur" una lettera al suo ufficiale d'ordinanza Edgar Ney, nella quale impegnava il governo papale a dar garanzie costituzionali. Dal canto suo il papa aveva emanato un "motu proprio" [15], in cui respingeva qualsiasi limitazione del suo potere restaurato. La lettera di Bonaparte sollevava con voluta indiscrezione la tenda del suo gabinetto, per esporre se stesso agli sguardi della galleria come un genio benevolo, ma incompreso e incatenato in casa propria. Non era la prima volta ch'egli civettava coi "furtivi colpi d'ala di un'anima libera". Thiers, relatore della commissione, ignorò completamente il colpo d'ala di Bonaparte e si limitò a tradurre in francese l'allocuzione papale. Non il ministero, ma Victor Hugo cercò di salvare il presidente con un ordine del giorno in cui l'Assemblea nazionale avrebbe dovuto esprimere il proprio consenso alla lettera di Napoleone. Allons donc! Allons donc! [16] fu l'esclamazione irriverentemente frivola, con cui la maggioranza seppellì la proposta di Hugo. La politica del presidente? La lettera del presidente? Il presidente stesso? Allons donc! Allons donc! Chi diavolo piglia mai Monsieur Bonaparte sul serio? Credete voi, Monsieur Victor Hugo, che noi crediamo che voi crediate al presidente? Allons donc! Allons donc!

Finalmente la rottura fra Bonaparte e l'Assemblea nazionale venne affrettata dalla discussione sul richiamo degli Orléans e dei Borboni. In mancanza del ministero, il cugino del presidente, il figlio dell'ex re di Vestfalia [17], aveva presentato questa proposta, che a null'altro mirava se non ad abbassare i pretendenti legittimisti e orleanisti allo stesso livello o meglio ancora, al di sotto del pretendente bonapartista, che almeno stava di fatto al sommo dello Stato.

Napoleone Bonaparte ebbe sufficiente irriverenza per conglobare in un solo e medesimo progetto il richiamo delle famiglie reali espulse e l'amnistia degli insorti di giugno. L'indignazione della maggioranza lo costrinse a fare ammenda immediata di questa insolente confusione della santità e dell'infamia, delle razze reali e della genia proletaria, delle stelle fisse della società e dei suoi fuochi fatui, e ad attribuire a ciascuna delle due proposte il rango che le spettava. La maggioranza respinse con energia il richiamo delle famiglie reali, e Berryer, il Demostene dei legittimisti, non lasciò sussistere dubbio sul significato di questo voto. La degradazione borghese dei pretendenti: è questo a cui si mira! Li si vuol spogliare dell'aureola, dell'unica maestà che sia loro rimasta, della maestà dell'esilio! Che cosa si penserebbe, esclamò Berryer, di quello tra i pretendenti che, dimentico della sua illustre origine, venisse a vivere qui da semplice cittadino! Non si poteva dire in modo più chiaro a Luigi Bonaparte che la sua presenza non gli aveva fatto guadagnare nulla, che se i monarchici coalizzati avevano bisogno di lui in Francia come di uomo neutrale sullo scanno presidenziale, i pretendenti seri alla corona dovevano restare sottratti agli sguardi profani dalla nebbia dell'esilio.

Il 1º novembre Luigi Bonaparte rispose all'Assemblea legislativa con un messaggio che notificava, in termini abbastanza aspri, il congedo del ministero Barrot e la formazione di un nuovo ministero. Il ministero Barrot-Falloux era stato il ministero della coalizione monarchica, il ministero d'Hautpoul fu il ministero di Bonaparte, l'organo del presidente contro l'Assemblea legislativa, il ministero dei commessi.

Bonaparte non era più il semplice uomo neutrale del 10 dicembre 1848. Il possesso del potere esecutivo aveva raggruppato intorno a lui una serie di interessi; la lotta contro l'anarchia aveva persino costretto il partito dell'ordine ad accrescere la sua influenza, e se egli, Bonaparte, non era più popolare, il partito dell'ordine era impopolare. Quanto agli orleanisti e ai legittimisti, non poteva egli sperare, grazie alla loro rivalità e alla necessità di una restaurazione monarchica purchessia, di costringerli a riconoscere il pretendente neutrale?

Dal 1º novembre 1849 data il terzo periodo di esistenza della repubblica costituzionale, periodo che si chiude col 10 marzo 1850. Non incomincia soltanto il gioco regolare delle istituzioni costituzionali, tanto ammirato da Guizot, la bega tra il potere esecutivo e il legislativo: ma di fronte alle velleità di restaurazione degli orleanisti e legittimisti riuniti, Bonaparte difende il titolo del suo potere di fatto, la repubblica; di fronte alle velleità di Bonaparte, il partito dell'ordine difende il titolo del suo dominio collettivo, la repubblica; di fronte agli orleanisti i legittimisti e di fronte ai legittimisti gli orleanisti difendono lo status quo, la repubblica. Tutte queste frazioni del partito dell'ordine, di cui ciascuna ha in petto il proprio re e la propria restaurazione, fanno valere a vicenda, di fronte alle velleità di usurpazione e di supremazia dei loro rivali, il dominio collettivo della borghesia, la forma entro cui le rivendicazioni particolari rimangono neutralizzate e riservate: la repubblica.

Come Kant fa della repubblica, come unica forma razionale dello Stato, un postulato della ragion pratica, la cui realizzazione non verrà mai raggiunta, ma il cui raggiungimento si deve continuamente tener presente tendendo ad esso come a un fine, così consideravano questi monarchici la monarchia [18].

Così la repubblica costituzionale, uscita dalle mani dei repubblicani borghesi come vuota formula ideologica, diventava nelle mani dei monarchici coalizzati una forma piena di contenuto e di vita. E Thiers diceva il vero ben più ch'egli non sospettasse, quando esclamava: "Siamo noi monarchici i veri sostegni della repubblica costituzionale".

La caduta del ministero della coalizione, l'avvento del ministero dei commessi ha anche un altro significato. Il suo ministro delle finanze si chiamava Fould. Fould ministro delle finanze voleva dire l'abbandono ufficiale della ricchezza nazionale francese alla Borsa, voleva dire gestione del patrimonio dello Stato per mezzo della Borsa e nell'interesse della Borsa. Con la nomina di Fould , l'aristocrazia finanziaria annunciava nel "Moniteur" la propria restaurazione. Questa restaurazione era il complemento necessario delle altre restaurazioni, che formano altrettanti anelli nella catena della repubblica costituzionale.

Luigi Filippo non aveva mai osato fare ministro delle finanze un vero loup-cervier (lupo di Borsa). Come la sua monarchia era l'appellativo ideale per il dominio dell'alta borghesia, così gli interessi privilegiati dovevano, nei suoi ministeri, portare nomi ideologicamente disinteressati. Fu la repubblica borghese che spinse dappertutto in primo piano ciò che le diverse monarchie, la legittimista come l'orleanista, avevano tenuto nascosto nello sfondo. Essa fece scendere sulla terra ciò che quelle avevano messo nei cieli. Al posto dei nomi dei santi, pose i nomi propri borghesi degli interessi dominanti di classe.

Tutta la nostra esposizione ha mostrato come la repubblica, a partire dal primo giorno della sua esistenza, non abbattesse, ma consolidasse l'aristocrazia finanziaria. Ma le concessioni che si facevano a quest'ultima erano un destino a cui ci si sottometteva, senza il proposito di suscitarlo. Con Fould l'iniziativa del governo tornò a cadere nelle mani dell'aristocrazia finanziaria.

Si chiederà come la borghesia coalizzata potesse sopportare e tollerare il dominio della finanza che sotto Luigi Filippo riposava sull'esclusione e sulla subordinazione delle restanti frazioni borghesi.

La risposta è semplice.

Anzitutto l'aristocrazia finanziaria stessa forma una parte di importanza preponderante della coalizione monarchica, il cui potere governativo collettivo si chiama repubblica. Non sono forse i capi e le capacità degli orleanisti gli antichi alleati e complici dell'aristocrazia finanziaria? Ed essa stessa non è forse la falange aurea dell'orleanismo? Per ciò che riguarda i legittimisti, già sotto Luigi Filippo essi avevano praticamente preso parte a tutte le orge delle speculazioni delle Borse, delle miniere e delle ferrovie. In generale il legame della grande proprietà fondiaria con l'alta finanza è un fatto normale. Ne è prova l'Inghilterra, ne è prova persino l'Austria.

In un paese come la Francia, dove l'entità della produzione nazionale è enormemente inferiore all'entità del debito nazionale, dove la rendita dello Stato costituisce l'oggetto più ragguardevole della speculazione e la Borsa il mercato principale per l'impiego del capitale che voglia essere utilizzato in modo improduttivo, in un paese siffatto una massa innumerevole di gente di tutte le classi borghesi o semiborghesi deve essere interessata al debito dello Stato, al gioco di Borsa, alla finanza. Tutti questi partecipanti subalterni non trovano essi i loro naturali appoggi e i loro capi nella frazione che difende questi interessi nella misura più colossale, nella loro totalità?

Qual è la causa del fatto che il patrimonio dello Stato cade nelle mani dell'alta finanza? E l'indebitamento continuamente crescente dello Stato. E qual è la causa dell'indebitamento dello Stato? È la permanente eccedenza delle sue spese sulle sue entrate, sproporzione che è nello stesso tempo la causa e l'effetto del sistema di prestiti di Stato.

Per sfuggire a questo indebitamento lo Stato deve limitare le proprie spese, cioè semplificare l'organismo governativo, ridurlo, governare il meno possibile, impiegare meno personale possibile, entrare il meno possibile in rapporto con la società borghese. Questa via era impossibile per il partito dell'ordine, i cui mezzi di repressione, il cui intervento ufficiale a nome dello Stato, la cui onnipresenza a mezzo di organi dello Stato, dovevano necessariamente aumentare a misura che da un maggior numero di punti venivano minacciati il suo dominio e le condizioni di esistenza della sua classe. Non si può diminuire la gendarmeria nella misura in cui aumentano gli attacchi alle persone e alle proprietà.

Oppure lo Stato deve cercare di evitare i debiti e arrivare a un momentaneo, ma transitorio equilibrio del bilancio, facendo pesare imposte straordinarie sulle spalle delle classi più ricche. Per sottrarre la ricchezza nazionale allo sfruttamento della Borsa, il partito dell'ordine avrebbe dovuto sacrificare la propria ricchezza sull'altare della patria? Non era così stupido!

Senza un rivolgimento totale dello Stato francese, dunque, non era possibile nessun rivolgimento del bilancio francese dello Stato. Con questo bilancio l'indebitamento dello Stato è una necessità, e con l'indebitamento dello Stato è una necessità il dominio del commercio dei debiti dello Stato, il dominio dei creditori dello Stato, dei banchieri dei cambiavalute, dei lupi della Borsa. Solo una frazione del partito dell'ordine aveva preso parte diretta all'abbattimento dell'aristocrazia finanziaria, gli industriali. Non parliamo dei medi, dei piccoli industriali; parliamo dei principi della fabbrica, i quali sotto Luigi Filippo avevano costituito una larga base dell'opposizione dinastica. Il loro interesse consiste indubbiamente nella diminuzione dei costi di produzione, dunque nella diminuzione delle imposte che entrano nei costi di produzione; cioè nella diminuzione dei debiti dello Stato, i cui interessi si trasformano nelle imposte; cioè nell'abbattimento dell'aristocrazia finanziaria.

In Inghilterra - e i più grandi industriali francesi sono piccoli borghesi in confronto coi loro rivali inglesi - troviamo davvero gli industriali, un Cobden, un Bright, alla testa della crociata contro la banca e l'aristocrazia di Borsa. Perché non in Francia? In Inghilterra domina l'industria, in Francia l'agricoltura. In Inghilterra l'industria ha bisogno del libero scambio, in Francia del dazio protettivo, del monopolio nazionale accanto agli altri monopoli. L'industria francese non domina la produzione francese; perciò gli industriali francesi non dominano la borghesia francese. Per far trionfare i loro interessi contro le altre frazioni della borghesia, essi non possono, come gli inglesi, mettersi alla testa del movimento e in pari tempo spingere all'estremo i loro interessi di classe; devono mettersi alla coda della rivoluzione e servire gli interessi che sono in contrasto con gli interessi complessivi della loro classe. In febbraio non avevano compreso la loro posizione; febbraio li rese accorti. E chi è più direttamente minacciato dagli operai che il datore di lavoro, il capitalista industriale? Così accadde necessariamente che l'industriale divenisse in Francia un membro dei più fanatici del partito dell'ordine. La riduzione del suo profitto per opera della finanza, che cosa è mai in confronto con l'abolizione del profitto per opera del proletariato?

In Francia il piccolo borghese fa ciò che dovrebbe normalmente fare il borghese industriale; l'operaio fa ciò che normalmente sarebbe il compito del piccolo borghese; e il compito dell'operaio, chi lo assolve? Nessuno. In Francia, non viene assolto, viene proclamato. Questo compito non viene assolto in nessun luogo entro i limiti della nazione; la guerra di classe in seno alla società francese si allarga in una guerra mondiale, in cui le nazioni muovono l'una contro l'altra. Quel compito non incomincerà a essere assolto se non nel momento in cui da una guerra mondiale il proletariato sarà spinto alla testa del popolo che domina il mercato mondiale, alla testa dell'Inghilterra. La rivoluzione che quivi troverà non già la sua fine, bensì il suo inizio di organizzazione, non sarà una rivoluzione di breve respiro. La attuale generazione rassomiglia agli ebrei, che Mosè condusse attraverso il deserto. Non solamente deve conquistare un nuovo mondo: deve perire, per far posto agli uomini nati per un nuovo mondo.

Ma ritorniamo a Fould.

Il 14 novembre 1849 Fould salì alla tribuna dell'Assemblea nazionale ed espose il suo sistema finanziario: apologia del vecchio sistema Fiscale! Mantenimento dell'imposta sul vino! Ritiro dell'imposta sul reddito di Passy!

Neanche Passy era un rivoluzionario: era un vecchio ministro di Luigi Filippo. Apparteneva ai puritani della forza di Dufaure e ai più intimi confidenti di Teste, capro espiatorio della monarchia di luglio [19]. Anche Passy aveva lodato il vecchio sistema fiscale e raccomandato il mantenimento dell'imposta sul vino, ma aveva, contemporaneamente, strappato il velo al disavanzo dello Stato. Egli aveva dimostrato la necessità di una nuova imposta, dell'imposta sul reddito, ove non si volesse la bancarotta dello Stato. Fould, che aveva raccomandato a Ledru-Rollin la bancarotta dello Stato, raccomandò alla Legislativa il disavanzo dello Stato. Promise economie il cui mistero fu più tardi rivelato nella diminuzione delle spese, per esempio, per circa sessanta milioni e nell'aumento del debito fluttuante per circa duecento milioni: giochi di bussolotti nell'aggruppare le cifre e nell'esporre la resa dei conti, e che concludevano tutti, in definitiva, con nuovi prestiti.

Sotto Fould l'aristocrazia finanziaria naturalmente non agì accanto alle restanti frazioni borghesi rivali in modo così svergognato come sotto Luigi Filippo. Ma il sistema era lo stesso: continuo aumento dei debiti, dissimulazione del disavanzo. E col tempo, poi, il vecchio banditismo di Borsa si sfogò ancora più liberamente. Ne fanno prova la legge sulla ferrovia di Avignone, le misteriose oscillazioni dei valori di Stato di cui per un momento parlò tutta Parigi, infine le disgraziate speculazioni di Fould e di Bonaparte sulle elezioni del 10 marzo [20].

Con la restaurazione ufficiale dell'aristocrazia finanziaria, il popolo francese doveva presto trovarsi davanti a un nuovo 24 febbraio [21].

La Costituente, in un accesso di misantropia contro la propria erede, aveva abolito l'imposta sul vino per l'anno del Signore 1850. Con l'abolizione di vecchie imposte non si potevano pagare debiti nuovi. Créton, un cretino del partito dell'ordine, aveva proposto il mantenimento dell'imposta sul vino ancor prima dell'aggiornamento dell'Assemblea legislativa. Questa proposta venne raccolta da Fould in nome del ministero bonapartista, e il 20dicembre 1849, anniversario della proclamazione di Bonaparte, l'Assemblea nazionale decretò il ristabilimento dell'imposta sul vino.

Il primo oratore a favore di questo ristabilimento non fu un finanziere, ma il capo dei gesuiti, Montalembert. Il suo ragionamento fu di una semplicità stringente: l'imposta è il seno materno a cui il governo si disseta. Ma il governo è tutt'uno con gli strumenti della repressione, con gli organi dell'autorità, con l'esercito, con la polizia, con gli impiegati, con i giudici, con i ministri, con i preti. L'attacco contro l'imposta è l'attacco degli anarchici contro le sentinelle dell'ordine che difendono la produzione materiale e intellettuale della società borghese dagli assalti dei vandali proletari. L'imposta è il quinto Dio, accanto alla proprietà, alla famiglia, all'ordine e alla religione. E l'imposta sul vino è indiscutibilmente una imposta e, per giunta, una imposta per nulla volgare, ma d'antica tradizione, di spirito monarchico, rispettabile. Viva l'imposta sulle bevande! Tre evviva e ancora un evviva!

Il contadino francese, quando vuole rappresentarsi il diavolo, se lo rappresenta coi tratti dell'esattore delle imposte. Dall'istante in cui Montalenbert ebbe elevato a Dio l'imposta, il contadino divenne senza Dio, ateo, e si gettò nelle braccia del diavolo, del socialismo. La religione dell'ordine l'aveva preso a gabbo, i gesuiti preso a gabbo, Bonaparte preso a gabbo. Il20dicembre 1849 aveva compromesso irrimediabilmente il 20 dicembre 1848. Il "nipote di suo zio" non era il primo della sua famiglia che era battuto dall'imposta sul vino, da questa imposta la quale, secondo l'espressione di Montalembert, è il barometro che annuncia le tempeste della rivoluzione. Il vero, il grande Napoleone dichiarò a Sant'Elena che il ristabilimento dell'imposta sul vino aveva contribuito alla sua caduta, più di ogni altra causa, perché gli aveva alienato i contadini della Francia meridionale. Oggetto preferito dell'odio popolare già sotto Luigi XIV (vedi gli scritti di Boisguillebert e di Vauban), abolita dalla prima rivoluzione, Napoleone l'aveva ripristinata nel 1808, modificandone la forma. Quando la restaurazione entrò in Francia, trottavano davanti ad essa non solo i cosacchi, ma altresì le promesse di abolizione dell'imposta sul vino. La nobiltà naturalmente non aveva bisogno di mantenere la parola alla gente tassabile senza pietà né misericordia. Il 1830 promise l'abolizione dell'imposta sul vino come aveva promesso tutto il resto. La Costituente infine, che nulla aveva promesso aveva lasciato, come si è detto, una disposizione testamentaria secondo cui l'imposta sul vino doveva scomparire il 1º gennaio 1850. E proprio dieci giorni prima del 1º gennaio 1850 la Legislativa la rimetteva in vigore così che il popolo le dava continuamente la caccia, e quando l'aveva gettata fuori dalla porta la rivedeva rientrare dalla finestra.

L'odio popolare contro l'imposta sul vino si spiega col fatto che essa riunisce in sé tutti gli elementi odiosi del sistema tributario francese. Il modo della sua riscossione è odioso, aristocratico il modo della sua ripartizione, essendo eguali le percentuali della imposta per i vini più Comuni e per i più costosi. Essa aumenta dunque in ragione geometrica in rapporto con la diminuzione del patrimonio dei consumatori: è un'imposta progressiva alla rovescia. Essa provoca quindi in modo diretto l'avvelenamento delle classi lavoratrici, come premio dell'adulterazione e contraffazione dei vini. Essa diminuisce il consumo, mentre eleva i dazi alle porte di tutte le città al di sopra di 4.000 abitanti, trasformando ogni città in un paese straniero con dazi protettivi contro il vino francese. I grandi commercianti di vino, ma più ancora i piccoli, i vinai le osterie, il cui guadagno dipende direttamente dal consumo del vino, sono altrettanti avversari dichiarati dell'imposta sul vino. E finalmente, poiché fa diminuire il consumo, l'imposta sul vino toglie alla produzione il mercato di smercio. Mentre toglie agli operai della città la possibilità di pagare il vino, toglie ai viticoltori la possibilità di venderlo. E la Francia conta una popolazione viticola di circa 12 milioni. Si concepisce quindi l'odio del popolo in generale, si concepisce in particolar modo il fanatismo dei contadini contro l'imposta sul vino. Si aggiunga che nel suo ristabilimento questi non vedevano un avvenimento isolato, più o meno accidentale. I contadini hanno un genere di tradizione storica loro particolare, che passa per eredità di padre in figlio; ora, in questa scuola di storia si andava borbottando che ogni governo, fino a che vuole ingannare i contadini, promette l'abolizione dell'imposta sul vino, e non appena ingannati i contadini, mantiene oppure rimette in vigore l'imposta sul vino. Nell'imposta sul vino il contadino riconosce il sapore del governo, la sua tendenza. Il ristabilimento dell'imposta sul vino il 20 dicembre significava: Luigi Bonaparte è come gli altri; sennonché egli non era come gli altri: era una invenzione dei contadini, i quali con i milioni di firme che coprivano le petizioni contro l'imposta sul vino, ritirarono i voti dati un anno prima al "nipote di suo zio".

La popolazione della campagna, cioè più di due terzi dell'intera popolazione francese, è composta in massima parte di cosiddetti liberi proprietari fondiari. La prima generazione liberata gratuitamente dai pesi feudali dalla rivoluzione del 1789 non aveva pagato prezzo alcuno per la terra. Ma le generazioni successive pagarono sotto forma di prezzo del terreno ciò che i loro antenati semiservi avevano pagato sotto forma di rendita, di decime, di prestazioni personali, ecc. Quanto più da una parte cresceva la popolazione, quanto più dall'altra parte aumentava la divisione della terra, tanto più rincarava il prezzo dell'appezzamento, perché diventando esso più piccolo ne aumentava la domanda. Ma nella proporzione in cui si elevò il prezzo pagato dal contadino per l'appezzamento, sia comperandolo direttamente, sia facendoselo contare come capitale dai suoi coeredi, nella stessa proporzione si elevò necessariamente l'indebitamento del contadino, cioè l'ipoteca. Il titolo di credito sulla terra si chiama infatti ipoteca, cedola di pegno sul terreno. Come sui poderi medievali si accumulavano i privilegi, così sui moderni appezzamenti le ipoteche. D'altro canto, nel sistema particellare la terra è per i suoi proprietari un semplice strumento di produzione. Ora, nella stessa misura in cui il terreno viene suddiviso, ne diminuisce la fertilità. L'applicazione delle macchine alla terra, la divisione del lavoro, i grandi lavori di bonifica del terreno, quali l'impiego di canali di scarico e d'irrigazione e simili, diventano sempre più impossibili, mentre le spese morte [22] di coltura crescono in proporzione della divisione dello strumento stesso di produzione. Tutto questo, prescindendo dal fatto che il possessore dell'appezzamento possegga o non possegga capitale. Ma quanto più cresce la divisione, tanto più il podere forma, con le sue misere scorte, ]'unico capitale del contadino particellare, tanto più viene a ridursi il capitale investito nel terreno, tanto più vengono a mancare al contadino terra, denaro e cultura per applicare i progressi dell'agronomia, e tanto più la coltivazione delle terre va deperendo. Infine, l'entrata netta diminuisce nell'egual proporzione in cui aumenta il consumo lordo, e in cui l'intera famiglia dei contadino per lo stesso possesso della terra viene esclusa da altre occupazioni, senza che tuttavia ne ritragga tanto da vivere.

Nella stessa misura, dunque, in cui la popolazione e con essa la divisione del suolo e del sottosuolo aumentano, rincara lo strumento di produzione, la terra, e ne diminuisce la fertilità, decade l'agricoltura e il contadino si indebita. E ciò ch'era effetto diventa a sua volta causa. Ogni generazione ne lascia dietro a sé un'altra più indebitata, ogni nuova generazione incomincia a condizioni più sfavorevoli e pesanti, l'ipotecamento genera l'ipotecamento, e quando al contadino vien tolta la possibilità di offrire col suo appezzamento un pegno per nuovi debiti, cioè di gravarlo di nuove ipoteche, egli cade direttamente nelle mani dell'usuraio e di tanto più enormi diventano gli interessi usurari.

Così è avvenuto che il contadino francese, sotto forma di interessi per le ipoteche vincolanti la terra, sotto forma di interessi per anticipazioni dell'usuraio non garantite da ipoteca, cede al capitalista non solo la rendita fondiaria, non solo il profitto industriale, non solo, in una parola, tutto il guadagno netto, ma persino una parte del salario del lavoro, e così precipita al livello del fittavolo irlandese: e tutto ciò sotto il pretesto di essere proprietario privato.

Questo processo è stato accelerato in Francia dal sempre crescente peso delle imposte e dalle spese giudiziarie, richieste in parte direttamente dalle formalità stesse di cui la legislazione francese circonda la proprietà fondiaria, in parte dagli innumerevoli conflitti che nascono dalla molteplicità e dall'intreccio dei confini dei piccoli fondi, in parte dalla smania di litigio dei contadini, per i quali il godimento della proprietà si riduce a far valere in modo fanatico la proprietà apparente, il diritto di proprietà

Secondo un'esposizione statistica del 1840, il prodotto lordo del suolo francese ammontava a 5.237.178.000 franchi. Ne vanno dedotti 3.552.000.000 franchi per spese di lavorazione, incluso il consumo degli uomini che lavorano. Rimane un prodotto netto di 1.685.178.000 franchi, da cui bisogna sottrarre 550 milioni per interessi ipotecari, 100 milioni per i funzionari giudiziari, 350 milioni di imposte e 107 milioni di diritti di registro, diritti di bollo, tasse ipotecarie, ecc. Rimane la terza parte del prodotto netto, 538 milioni; ripartita per capi sulla popolazione, nemmeno 25 franchi di prodotto netto. In questo calcolo non sono naturalmente contemplate né l'usura estraipotecaria né le spese per avvocati, ecc.

Si comprende quale fu la situazione dei contadini francesi, quando la repubblica ebbe aggiunto loro ancora nuovi pesi oltre gli antichi. Si vede che il loro sfruttamento differisce dallo sfruttamento del proletariato industriale ormai soltanto per la forma. Lo sfruttatore è il medesimo: il capitale. I singoli capitalisti sfruttano i contadini singoli con l'ipoteca e con l'usura, la classe capitalista sfrutta la classe dei contadini con l'imposta di Stato. Il titolo di proprietà del contadino è il talismano con cui il capitale ha potuto finora affascinarlo, il pretesto col quale finora lo ha aizzato contro il proletariato industriale. Solo la caduta del capitale può far rialzare il contadino; solo un governo anticapitalista, proletario, può spezzare la sua miseria economica, il suo degradamento sociale. La repubblica costituzionale non è che la dittatura dei suoi sfruttatori riuniti; la repubblica socialdemocratica, la repubblica rossa, è la dittatura dei suoi alleati. E la bilancia sale o scende, in proporzione ai voti che il contadino getta nell'urna elettorale. A lui stesso spetta decidere del suo destino. Così parlavano i socialisti in opuscoli, in almanacchi, in calendari, in volantini d'ogni genere. Questo linguaggio diventava più comprensibile al contadino grazie agli scritti contrari del partito dell'ordine, che a sua volta si indirizzava a lui, e con le rozze esagerazioni, con l'interpretazione e con la rappresentazione brutale degli intendimenti e dei concetti dei socialisti, trovava il vero tono adatto al contadino, eccitando la sua cupidigia del frutto proibito. Nel modo più comprensibile però parlava l'esperienza stessa fatta dalla classe dei contadini con l'uso del diritto di voto e con le delusioni che cadevano sopra di essa, l'una dopo l'altra, con precipitazione rivoluzionaria. Le rivoluzioni sono le locomotive della storia.

Il rivolgimento graduale dei contadini si manifestò cori diversi sintomi. Esso era già apparso nelle elezioni per l'Assemblea legislativa, era apparso nello stato d'assedio dei cinque dipartimenti contigui a Lione, era apparso qualche mese dopo il 13 giugno nell'elezione di un montagnardo al posto del vecchio presidente della Chambre introuvable [23] nel dipartimento della Gironda, era apparso il 20 dicembre 1849 nell'elezione di un "rosso" al posto d'un deputato legittimista defunto nel dipartimento del Gard, terra promessa dei legittimisti teatro delle più orribili infamie contro i repubblicani nel 1794 e 1795, centro del terrore bianco del 1815, ove liberali e protestanti, erano stati pubblicamente assassinati. Questo rivoluzionamento della classe più stazionaria si manifestò nel modo più evidente dopo il ristabilimento dell'imposta sul vino. Le misure e le leggi del governo durante il gennaio e il febbraio 1850 sono quasi esclusivamente dirette contro i dipartimenti e i contadini. Quale prova più stringente del progresso di questi ultimi?

Circolare d'Hautpoul, con cui il gendarme veniva nominato inquisitore del prefetto, del sottoprefetto e soprattutto del sindaco, con cui lo spionaggio veniva organizzato fino nei più nascosti ripostigli dei più remoti comuni rurali; legge contro i maestri di scuola, con cui essi, le capacità, i portavoce, gli educatori e gli interpreti della classe dei contadini, venivano assoggettati all'arbitrio dei prefetti con cui essi i proletari della classe dei letterati, venivano, come selvaggina, inseguiti, scacciati da un comune all'altro; progetto di legge contro i sindaci, con cui veniva sospesa sul capo di questi la spada di Damocle della revoca, ed essi, i presidenti dei comuni rurali, venivano ad ogni listante posti contro il presidente della repubblica e il partito dell'ordine; ordinanza che trasformava le 17 divisioni militari di Francia in quattro pascialik e regalava la caserma e il bivacco ai francesi come salotto nazionale; legge sull'istruzione [24], con cui il partito dell'ordine proclamava che l'incoscienza e il violento abbrutimento della Francia erano condizione della sua esistenza sotto il regime del suffragio universale: che cos'erano tutte queste leggi e misure? tentativi disperati di riconquistare i dipartimenti e i contadini dei dipartimenti al partito dell'ordine.

Considerati come repressione erano mezzi miserabili, che venivano a rivolgersi contro lo scopo stesso a cui tendevano. Le grandi misure, quali il mantenimento dell'imposta sul vino, l'imposta dei 45 centesimi, lo sdegnoso rigetto delle petizioni dei contadini per la restituzione del miliardo, ecc., tutti questi scoppi di tuono legislativi avevano colpito la classe dei contadini una volta per sempre, con colpi in grande, che partivano dal centro; le leggi e le misure sopraindicate facevano dell'attacco e della resistenza il tema generale e quotidiano delle conversazioni in ogni capanna, inoculavano la rivoluzione in ogni villaggio, trasportavano la rivoluzione nelle province e la rendevano contadina.

D'altro lato, questi progetti di Bonaparte e l'approvazione data loro dall'Assemblea, non dimostrano l'unità dei due poteri della repubblica costituzionale non appena si tratta di repressione della anarchia, cioè di tutte le classi che si rivoltano contro la dittatura borghese? Non aveva Soulouque, immediatamente dopo il suo aspro messaggio, assicurato la Legislativa della sua devozione all'ordine, facendo seguire immediatamente il messaggio di Carlier, di questa caricatura lurida, volgare di Fouché, come Luigi Bonaparte stesso era la piatta caricatura di Napoleone?

La legge sull'istruzione ci mostra l'alleanza dei giovani cattolici coi vecchi volterriani. Poteva il dominio dei borghesi riuniti essere altra cosa che il dispotismo coalizzato della restaurazione gesuitica e della monarchia di luglio libera pensatrice? Le armi che, nel reciproco combattimento pel supremo dominio tra le due frazioni della borghesia, ognuna di queste aveva distribuito in mezzo al popolo contro l'altra, non dovevano esse nuovamente venir strappate dalle mani del popolo, dopo che questo si era posto contro la loro dittatura riunita? Nulla aveva indignato il bottegaio parigino più della civettuola ostentazione del gesuitismo, nemmeno il rigetto dei concordats à l'amiable.

Frattanto continuavano le collisioni tra le diverse frazioni del partito dell'ordine, come tra l'Assemblea nazionale e Bonaparte. Non piacque all'Assemblea nazionale che Bonaparte, subito dopo il suo colpo di Stato, dopo aver costituito un proprio ministero bonapartista, chiamasse dinanzi a sé gli invalidi della monarchia, ora nominati prefetti, e ponesse loro come condizione della loro carica l'agitazione anticostituzionale per la sua rielezione a presidente; non le piacque che Carlier festeggiasse la propria entrata in funzione sopprimendo un club legittimista, che Bonaparte fondasse un proprio giornale, "Le Napoléon", il quale scopriva al pubblico le segrete cupidigie del presidente, mentre i suoi ministri dovevano smentirle sul palcoscenico della Legislativa; non le piacque l'arroganza di mantenere il ministero a dispetto dei parecchi suoi voti di sfiducia; né il tentativo di guadagnare il favore dei sottufficiali con un supplemento giornaliero di quattro soldi, e il favore del proletariato con un plagio dei "Mystères" di Eugène Sue, con una banca di prestiti sull'onore; non le piacque infine l'impudenza con cui si faceva proporre dai ministri la deportazione ad Algeri degli insorti di giugno superstiti, allo scopo di riversare addosso alla Legislativa l'impopolarità all'ingrosso, mentre il presidente si riservava la popolarità al dettaglio, col mezzo di singoli atti di grazia. Thiers lasciò cadere parole minacciose di "colpi di Stato" o di "colpi di testa", e la Legislativa si vendicò di Bonaparte, respingendo qualunque disegno di legge egli presentasse a favore di se stesso, e mettendosi a indagare con rumorosa diffidenza se, in quelli da lui proposti nell'interesse comune, egli non aspirasse a fare uso del rafforzamento del potere esecutivo a profitto del potere personale di Bonaparte. In una parola, essa si vendicò con la cospirazione del disprezzo.

Il partito dei legittimisti, da parte sua, vedeva con dispetto gli orleanisti più autorevoli impadronirsi nuovamente di quasi tutti i posti e crescere la centralizzazione, mentre esso cercava, per principio, la propria salute nella decentralizzazone. E aveva ragione. La controrivoluzione aveva violentemente centralizzato, aveva cioè predisposto il meccanismo della rivoluzione. Mediante il corso forzoso delle banconote, aveva persino centralizzato l'oro e l'argento della Francia nella Banca di Parigi, procurando così alla rivoluzione un tesoro di guerra bello e pronto.

Gli orleanisti, infine, vedevano con dispetto contrapporre il principio invadente della legittimità al loro principio bastardo [25], mentre essi erano continuamente ignorati e malmenati, come moglie borghese del nobile consorte.

Abbiamo visto i contadini, i piccoli borghesi, i ceti medi in generale, schierarsi a poco a poco accanto al proletariato, spinti a entrare in aperto contrasto con la repubblica ufficiale, trattati da questa come avversari. Rivolta contro la dittatura borghese; necessità di una trasformazione della società, mantenimento delle istituzioni repubblicane democratiche così come degli organi motori di questa trasformazione, concentrazione intorno al proletariato come alla forza rivoluzionaria decisiva: questi sono i tratti caratteristici comuni del cosiddetto partito della socialdemocrazia, del partito della repubblica rossa. Questo partito dell'anarchia, come lo battezzarono gli avversari, era una coalizione di interessi diversi non meno del partito dell'ordine. Dalla più piccola riforma del vecchio disordine sociale fino al sovvertimento del vecchio ordine sociale, dal liberalismo borghese fino al terrorismo rivoluzionario: tali sono gli estremi, che formano il punto di partenza e il punto di arrivo del partito dell'"anarchia".

Abolizione dei dazi protettivi: socialismo! perché intacca il monopolio della frazione industriale del partito dell'ordine. Regolamento del bilancio dello Stato: socialismo! perché intacca il monopolio della frazione finanziaria del partito dell'ordine. Libera importazione di carni e cereali esteri: socialismo! perché intacca il monopolio della terza frazione del partito dell'ordine, della grande proprietà fondiaria. Le rivendicazioni del partito dei liberoscambisti, cioè del partito borghese più avanzato d'Inghilterra, appaiono in Francia come altrettante rivendicazioni socialiste. Volterrianismo: socialismo! perché intacca una quarta frazione del partito dell'ordine, la cattolica. Libertà di stampa, diritto d'associazione, istruzione popolare universale: socialismo, socialismo! Essi intaccano il monopolio complessivo del partito dell'ordine.

Il corso della rivoluzione aveva con tanta rapidità fatto maturare la situazione, che i riformisti d'ogni tinta, le pretese più modeste delle classi medie, erano forzati a stringersi attorno alla bandiera del partito sovversivo estremo, attorno alla bandiera rossa.

Per quanto varie, dunque, fossero le forme di socialismo delle diverse grandi sezioni del partito dell'anarchia, in relazione alle condizioni economiche e ai bisogni rivoluzionari in generale che ne derivavano per una classe o frazione di classe, vi era un punto in cui queste forme coincidevano: nell'annunciarsi come mezzi per la emancipazione del proletariato e nell'annunciare l'emancipazione del proletariato quale proprio fine. Inganno voluto per gli uni, illusione per gli altri, i quali pretendono che il mondo foggiato secondo i loro bisogni sia il mondo migliore per tutti, sia la realizzazione di tutte le esigenze rivoluzionarie e l'eliminazione di tutti i conflitti rivoluzionari.

Sotto le frasi socialiste generiche e tutte abbastanza eguali del "partito dell'anarchia" si nasconde Il socialismo del "National", della "Presse" e del "Siècle", che vuole, con maggiore o minor logica, abbattere il dominio dell'aristocrazia finanziaria, e liberare l'industria e il traffico dalle catene che sin qui li legavano. È il socialismo dell'industria, del commercio e dell'agricoltura; i loro reggenti del partito dell'ordine ne negano gli interessi in quanto non coincidono più coi loro propri monopoli privati. Da questo socialismo borghese, che naturalmente, come ogni specie bastarda di socialismo, attira a sé una parte degli operai e dei piccoli borghesi si distingue il vero socialismo piccolo borghese, il socialismo par excellence. Il capitale perseguita la classe dei piccoli borghesi soprattutto come creditore, ed essa reclama istituti di credito; il capitale la schiaccia con la concorrenza, ed essa reclama associazioni sostenute dallo Stato; il capitale la sopraffà con la concentrazione, ed essa reclama imposte progressive, limitazioni del diritto ereditario, assunzione dei grandi lavori da parte dello Stato, e altre misure che frenano forzatamente lo sviluppo del capitale. Poiché essa sogna la realizzazione pacifica del suo socialismo - salvo forse una seconda rivoluzione di febbraio di pochi giorni - è naturale che il processo storico imminente le appaia come l'applicazione di sistemi che i pensatori sociali, sia in gruppi che isolatamente, inventano o hanno inventato. Così i piccoli borghesi diventano eclettici, ossia seguaci dei sistemi socialisti esistenti, del socialismo dottrinario, che fu l'espressione teorica del proletariato solamente fino a che questo non si era ancora sviluppato fino a creare un movimento storico libero e indipendente.

Mentre così l'utopia, il socialismo dottrinario, il quale subordina il movimento complessivo a uno solo dei suoi momenti, al posto della produzione sociale comune mette l'attività cerebrale del singolo pedante, e soprattutto fantastica di eliminare la lotta rivoluzionaria delle classi e le sue necessità mediante piccoli artifici o grandi sentimentalismi; mentre questo socialismo dottrinario, il quale in fondo non fa che idealizzare la società attuale, ne accoglie un'immagine senz'ombra e vuole attuare il proprio ideale contro la realtà di essa; mentre questo socialismo viene abbandonato dal proletariato alla piccola borghesia; mentre la lotta dei diversi capi socialisti tra di loro rivela che ciascuno dei cosiddetti sistemi non è altro che la pretenziosa sottolineatura di uno dei punti della trasformazione sociale a preferenza degli altri, il proletariato va sempre più raggruppandosi intorno al socialismo rivoluzionario, al comunismo, per il quale la borghesia stessa ha inventato il nome di Blanqui. Questo socialismo è la dichiarazione della rivoluzione in permanenza, la dittatura di classe del proletariato, quale punto di passaggio necessario per l'abolizione delle differenze di classe in generale, per l'abolizione di tutti i rapporti di produzione su cui esse riposano, per l'abolizione di tutte le relazioni sociali che corrispondono a questi rapporti di produzione, per il sovvertimento di tutte le idee che germogliano da queste relazioni sociali.

I limiti della presente esposizione non concedono un ulteriore sviluppo di questo tema.

Abbiamo visto che, come nel partito dell'ordine era necessariamente spinta in primo piano l'aristocrazia finanziaria, così nel partito dell'"anarchia" il proletariato. Mentre le diverse classi unite in una lega rivoluzionaria si raggruppavano intorno al proletariato, e i dipartimenti diventavano sempre meno sicuri e la stessa Assemblea legislativa si irritava sempre più contro le pretese del Soulouque francese, le elezioni suppletive per sostituire i montagnardi proscritti del 13 giugno, lungamente ritardate e tenute in sospeso, erano imminenti.

Il governo, disprezzato dai suoi nemici, maltrattato e quotidianamente umiliato dai suoi pretesi amici, vedeva un solo mezzo per uscire dalla situazione insopportabile e insostenibile: la sommossa. Una sommossa a Parigi avrebbe permesso di proclamare lo stato d'assedio a Parigi e nei dipartimenti e di essere così padroni delle elezioni. D'altra parte gli amici dell'ordine, di fronte a un governo che avesse riportato la vittoria sull'anarchia, sarebbero stati forzati a concessioni, sotto pena di sembrare anarchici essi stessi.

Il governo si pose all'opera. Al principio del febbraio 1850, provocazioni del popolo con l'abbattimento degli alberi della libertà [26]. Invano. Se gli alberi della libertà perdettero il loro posto, il governo perdette la testa e si ritrasse, spaventato della sua stessa provocazione. L'Assemblea nazionale, però, accolse con diffidenza glaciale quest'inabile tentativo di Bonaparte di emanciparsi. Né ebbe miglior successo l'allontanamento delle corone di semprevivi dalla colonna di luglio [27]. Esso dette occasione a dimostrazioni rivoluzionarie di una parte dell'esercito, e all'Assemblea nazionale dette il pretesto di un voto di sfiducia, più o meno dissimulato, contro il ministero. Vana la minaccia della stampa governativa di soppressione del suffragio universale, di invasione dei cosacchi. Vana la sfida lanciata direttamente da d'Hautpoul alla sinistra in piena Legislativa, perché scendesse nella strada e la sua dichiarazione che il governo era pronto a riceverla D'Hautpoul non ricevette che un richiamo all'ordine del presidente, e il partito dell'ordine lasciò, con un silenzio pieno di gioia maligna, che un deputato della sinistra mettesse in burletta le velleità usurpatrici di Bonaparte. Varia finalmente la profezia di una rivoluzione per il 24 febbraio. Il governo fece sì che il 24 febbraio venisse ignorato dal popolo.

Il proletariato non si lasciò provocare a nessuna sommossa, perché aveva l'intenzione di fare una rivoluzione.

Senza lasciarsi turbare dalle provocazioni del governo, che non fecero se non accrescere la generale irritazione contro la situazione esistente, il comitato elettorale, interamente sotto l'influenza degli operai, presentò tre candidati per Parigi: de Flotte, Vidal e Carnot. De Flotte era un deportato di giugno, amnistiato da Bonaparte in uno dei suoi accessi di popolarità; era un amico di Blanqui e aveva preso parte all'attentato del 15 maggio. Vidal, conosciuto come scrittore comunista per il suo libro "Sulla ripartizione della ricchezza", era stato segretario di Louis Blanc nella commissione del Lussemburgo. Carnot, figlio dell'uomo della Convenzione che aveva organizzato la vittoria, il meno compromesso dei membri del partito del "National", ministro dell'istruzione nel governo provvisorio e nella commissione esecutiva, era una viva protesta, grazie al suo democratico progetto di legge sull'istruzione popolare, contro la legge sull'istruzione dei gesuiti. Questi tre candidati rappresentavano le tre classi alleate: alla testa l'insorto di giugno, rappresentante del proletariato rivoluzionario; accanto a lui il socialista dottrinario, rappresentante, della piccola borghesia socialista; il terzo, infine, rappresentante del partito borghese repubblicano, le cui formule democratiche avevano, di fronte al partito dell'ordine, acquistato un significato socialista, e da un pezzo perduto il significato loro proprio. Era una coalizione generale contro la borghesia e il governo, come nel febbraio. Ma questa volta il proletariato era la testa della lega rivoluzionaria.

A dispetto di tutti gli sforzi contrari, i candidati socialisti vinsero. L'esercito stesso votò per l'insorto di giugno contro il suo proprio ministro della guerra, La Hitte. Il partito dell'ordine fu come colpito dalla folgore. Le elezioni dipartimentali non riuscirono a consolarlo; esse dettero una maggioranza di montagnardi.

Le elezioni del 10 marzo 1850! Esse furono la ritrattazione del giugno 1848: massacratori e deportatori degli insorti di giugno rientravano nell'Assemblea nazionale, ma umiliati, alla coda dei deportati, e coi princípi di questi sulle labbra. Esse furono la ritrattazione del 13 giugno 1849: la Montagna proscritta dall'Assemblea nazionale rientrava nell'Assemblea nazionale, ma come araldo avanzato della rivoluzione, non più come sua condottiera. Esse furono la ritrattazione del 10 dicembre: Napoleone era stato battuto insieme col suo ministro La Hitte. La storia parlamentare di Francia conosce un solo caso analogo: la batosta di d'Haussez, ministro di Carlo X, nel 1830. L'elezione del 10 marzo 1850 fu infine la cassazione dell'elezione del 13 maggio, che aveva dato la maggioranza al partito dell'ordine. L'elezione del 10 marzo fu una protesta contro la maggioranza del 13 maggio, il 10 marzo fu una rivoluzione. Dietro alle schede elettorali vi erano i sassi del selciato.

"Il voto del 10 marzo è la guerra!" gridò Ségur d'Aguesseau, uno dei membri più avanzati del partito dell'ordine.

Col 10 marzo 1850 la repubblica costituzionale entra in una nuova fase, nella fase della sua dissoluzione. Le diverse frazioni della maggioranza sono di nuovo riunite tra loro e con Bonaparte; sono di nuovo le salvatrici dell'ordine, egli è di nuovo il loro uomo neutrale. Se si ricordano di essere monarchiche, ciò avviene soltanto perché disperano della possibilità della repubblica borghese; se egli si rammenta di essere presidente, ciò avviene ormai soltanto perché dispera di rimanere presidente.

All'elezione di de Flotte, l'insorto di giugno, Bonaparte risponde su comando del partito dell'ordine, con la nomina di Baroche a ministro dell'interno, di Baroche, l'accusatore di Blanqui e di Barbès, di Ledru-Rollin e di Guinard. All'elezione di Carnot, la Legislativa risponde approvando la legge sull'istruzione; all'elezione di Vidal, perseguitando la stampa socialista. Il partito dell'ordine cerca di dissipare la propria paura, facendo squillare le trombe della propria stampa. "La spada è sacra" grida uno dei suoi organi "i difensori dell'ordine devono prendere l'offensiva contro il partito rosso" dice un altro; "fra il socialismo e la società vi è un duello a morte, una guerra senza tregua, né pietà; in questo duello della disperazione, conviene che o l'uno o l'altra soccomba; se la società non annienta il socialismo il socialismo annienta la società", canta un terzo gallo dell'ordine. Elevate le barricate dell'ordine, le barricate della religione, le barricate della famiglia! E ora di farla finita con i 127.000 elettori di Parigi! Notte di san Bartolomeo dei socialisti! E il partito dell'ordine crede per un istante alla certezza della propria vittoria.

Nel modo più fanatico i suoi organi si scagliano contro i "bottegai di Parigi!". Il combattente dell'insurrezione parigina di giugno eletto rappresentante dai bottegai di Parigi! Questo vuole dire che un secondo giugno 1848 è impossibile; questo vuol dire che è impossibile un secondo 13 giugno 1849; questo vuol dire che l'influenza morale del capitale è spezzata; questo vuoi dire che l'Assemblea borghese non rappresenta più che la borghesia, e che la grande proprietà è perduta, perché la sua vassalla, la piccola proprietà, cerca la propria salvezza nel campo dei senza proprietà. Il partito dell'ordine ritorna naturalmente ai suoi inevitabili luoghi comuni "Maggior repressione!", esclama esso, "repressione dieci volte più dura!"; ma la sua forza di repressione è dieci volte scemata, mentre la resistenza è diventata cento volte più grande. Lo strumento essenziale della repressione, l'esercito, non deve forse venir represso esso stesso? E il partito dell'ordine dice la sua ultima parola: "Bisogna spezzare l'anello di ferro di una legalità soffocante. La repubblica costituzionale é impossibile. È con le nostre vere armi che dobbiamo combattere: dal febbraio 1848 abbiamo combattuto la rivoluzione con le sue armi e sul suo terreno, abbiamo accettato le sue istituzioni; la Costituzione è una fortezza, che protegge solamente gli assedianti, non gli assediati! Introducendoci di contrabbando nella sacra Ilio, nel ventre del cavallo di Troia, a differenza dei nostri predecessori, i grecs [28], noi non abbiamo conquistato la città nemica, ma ci siamo dati noi stessi prigionieri".

Ma la base della Costituzione è il suffragio universale. La soppressione del suffragio universale è l'ultima parola del partito dell'ordine, della dittatura borghese.

Il suffragio universale aveva dato loro ragione il 4 maggio 1848, il 20 dicembre 1848, il 13 maggio 1849, l'8 luglio 1849. Il suffragio universale dette torto a se stesso il 10 marzo 1850. Il dominio borghese come emanazione e risultato del suffragio universale, come espressione della volontà popolare sovrana, questo è il significato della Costituzione borghese. Ma dal momento in cui il contenuto di questo diritto di voto, di questo volere sovrano, non è più il dominio borghese, ha la Costituzione ancora un significato? Non è forse dovere della borghesia di regolare il diritto di voto in modo che esso abbia a volere ciò che è ragionevole, cioè il suo dominio? Il suffragio universale, sopprimendo di nuovo continuamente il potere attuale dello Stato, facendolo scaturire di nuovo dal suo seno, non viene a sopprimere ogni stabilità, a porre ad ogni istante in questione tutti i poteri vigenti, ad annullare l'autorità e minacciare di fare una autorità della stessa anarchia? Dopo il 10 marzo 1850, chi poteva ancora dubitarne?

La borghesia, respingendo il suffragio universale, del quale si era fino allora drappeggiata, dal quale aveva ricavato la propria onnipotenza, confessa apertamente: "La nostra dittatura è fino ad oggi esistita in forza della volontà popolare; ora essa deve venire consolidata contro la volontà popolare". E in modo conseguente, essa cerca i propri sostegni non più in Francia, ma fuori, all'estero, nell'invasione.

Facendo appello all'invasione, la borghesia, come una seconda Coblenza [29] insediata nella stessa Francia, risveglia contro di sé tutte le passioni nazionali. Con l'attacco al suffragio universale, essa dà alla nuova rivoluzione un pretesto generale e la rivoluzione ha bisogno di questo pretesto. Ogni pretesto particolare separerebbe le frazioni della Lega rivoluzionaria e farebbe emergere le loro differenze. Il pretesto generale, invece, stordisce le classi semirivoluzionarie, permette loro d'illudersi circa il carattere determinato della rivoluzione futura e circa le conseguenze della loro azione. Ogni rivoluzione ha bisogno di una questione dei banchetti. Il suffragio universale è la questione dei banchetti della nuova rivoluzione.

Le frazioni borghesi coalizzate sono però già condannate, quando dalla sola forma possibile del loro potere riunito, dalla forma più solida e più completa del loro dominio di classe, dalla repubblica costituzionale, si rifugiano nella forma subordinata, incompleta, più debole, della monarchia. Rassomigliano a quel vecchio che, per riacquistare la forza giovanile, si fece portare i suoi vestiti da fanciullo, cercando di ricoprirne le sue membra flosce. La loro repubblica aveva un solo merito, quello di essere la serra della rivoluzione.

Il 10 marzo 1850porta l'iscrizione:

Après moi le déluge, dopo di me il diluvio!

 

Note

1. La divinità romana che veniva rappresentata con due facce (bifronte).

2. "Entro i limiti della ragion pura" è un'espressione comunemente usata nelle sue opere maggiori dal filosofo tedesco Immanuel Kant (1724-1804), il cui problema fondamentale fu quello di stabilire quale fosse l'estensione della ragione umana ed entro quali limiti essa potesse raggiungere conoscenze realmente scientifiche ed oggettive.

3. Démocratie pacifique: organo centrale dei fourieristi; uscì a Parigi dal 1843 al 1849, diretto da Victor Considérant.

4. Applauditore a pagamento.

5. 34 deputati della Montagna furono messi sotto accusa. La Montagna, priva dei suoi capi, o arrestati o fuggiti all'estero (Ledru-Rollin, Considérant, Boichot, Rattier, F. Pyat), fu così decimata.

6. Dopo un'eroica resistenza diretta da Garibaldi, la Repubblica romana fu costretta a capitolare di fronte ai francesi il 1º luglio. Pio IX, che rientrò a Roma solo nell'aprile 1850, si fece precedere da una commissione di cardinali (il cosiddetto triumvirato rosso). Con l'aiuto dell'Oudinot e del plenipotenziario francese Corcelle, essi svolsero una vasta azione di pressione ed eliminarono qualsiasi parvenza costituzionale.

7. Le Siècle (Il secolo): quotidiano pubblicato a Parigi dal 1836; nel 1848-1849 si era schierato a favore di moderate riforme costituzionali.

8. La Presse (La stampa): quotidiano pubblicato a Parigi dal 1836, nel 1848-1849 appoggiò i repubblicani; dal 1836 al 1857 fu diretto da Emile de Girardin.

9. A Ems, località termale tedesca, viveva il pretendente al trono Enrico conte di Chambord (Enrico V), nipote dell'ex re Carlo X di Borbone, cacciato dalla rivoluzione del luglio 1830.

10. L'Henriade è un poema di Voltaire ispirato alle vicende delle guerre di religione in Francia alla fine del secolo XVII e alla conquista del trono francese da parte di Enrico IV. I panduri sono fanterie irregolari, d'origine ungherese, impiegate dall'Austria nella seconda metà del secolo XVII e nella prima metà del secolo XVIII: essi erano famosi per la loro vocazione alla violenza e al saccheggio.

11. Allusione alla storia biblica di Giuseppe, avvenente figlio di Giacobbe, venduto come schiavo al dignitario egiziano Putifarre. La moglie di questi s'invaghì di Giuseppe, il quale però la respinse fermamente. Allo stesso modo i consigli dipartimentali, imitando Giuseppe, non si lasciarono sedurre dalle sollecitazioni dei deputati del partito dell'ordine a richiedere una rapida revisione della Costituzione.

12. Tanto mutato da quello che era (riferimento al verso dell'Eneide - II, 274 - di Virgilio: "Quantum mutatus ab illo").

13. Nei dintorni di Londra viveva Luigi Filippo, fuggito dalla Francia dopo la rivoluzione di febbraio.

14. "O Cesare o Clichy": Luigi Napoleone e a pieno di debiti e l'alternativa che gli si poneva era o un colpo di Stato per restare al potere o il carcere di Clichy (la prigione per debiti parigina).

15. Nel suo Motu proprio (decreto) del 14 settembre 1849, Pio IX faceva in pari tempo delle concessioni puramente apparenti.

16. Ma su andiamo!

17. Joseph Charles Paul Napoléon (1822-1891), figlio di Gerolamo Bonaparte (ex re di Vestfalia durante l'impero napoleonico).

18. Kant intende come postulati della ragion pratica (cioè della ragione in quanto presiede all'agire morale degli uomini) la libertà, l'immortalità dell'anima e Dio, cioè tre verità non dimostrabili che egli considera indispensabili per spiegare la possibilità di tendere alla realizzazione delle leggi morali che troviamo dentro di noi.

19. L'8 giugno 1847 incominciò, davanti alla Camera dei pari, a Parigi, il processo contro Parmentier e il generale Cubières accusati di corruzione di funzionari allo scopo di ottenere la concessione di una salina, e contro il ministro dei lavori pubblici Teste, per aver partecipato alla corruzione ricevendo denaro. Il Teste tentò di suicidarsi durante il processo. Tutti vennero condannati a gravi pene pecuniarie; Teste per giunta a tre anni di carcere (nota di Engels all'edizione del 1895).

20. Il risultato di queste elezioni provocò un sensibile crollo in Borsa.

21. Cioè di fronte ad una nuova rivoluzione diretta contro l'aristocrazia finanziaria.

22. Con ciò Marx si riferisce evidentemente ai fàux-frais (costi improduttivi), che vanno dai costi di circolazione (come il tempo impiegato per le compere, le vendite, la contabilità, ecc.), ai costi di conservazione (come fabbricati, magazzini, ecc.).

23. Così si chiama nella storia la Camera dei deputati ultramonarchica e reazionaria, eletta subito dopo la seconda caduta di Napoleone (1815) (nota di Engels all'edizione del 1895).

24. La cosiddetta "legge Falloux" sull'istruzione, approvata dalla Legislativa il 15 marzo, sotto il pretesto di realizzare la libertà d'insegnamento, dava alla Chiesa francese la più ampia libertà nell'istituzione di scuole di ogni ordine e grado, riducendo il controllo statale su di esse; metteva i maestri alla mercé dei prefetti; concedeva ai membri del clero il privilegio di insegnare sostituendo i titoli universitari con una licenza rilasciata dai superiori religiosi, di esercitare un controllo sull'insegnamento impartito anche nella scuola pubblica, di sedere nel consiglio superiore dell'istruzione in rappresentanza delle associazioni religiose.

25. Infatti la dinastia da essi sostenuta, invece di poggiare le sue pretese di restaurazione sul sacro principio della legittimità, doveva poggiarle sulla rivoluzione del 1830 che l'aveva posta sul trono.

26. Si tratta di alberi simbolici piantati agli incroci e sulle piazze nel febbraio 1848. Il prefetto Carlier li fece abbattere col pretesto che ostacolavano il traffico.

27. Si tratta di una colonna commemorativa dei caduti nella rivoluzione del luglio 1830.

28. Gioco di parole: grecs significa greci, ma anche bari di professione (nota di Engels all'edizione del 1895).

29. Al tempo della Rivoluzione francese Coblenza era il centro dell'emigrazione francese controrivoluzionaria. Ma nel 1850 il centro di direzione dei controrivoluzionari, sostenitori di una politica estera che difendeva l'assetto reazionario dell'Europa stabilito dal Congresso di Vienna ed umiliava perciò il sentimento nazionale dei francesi, si trovava all'interno della stessa Francia.

 


Ultima modifica 1.5.2001