Paul Mattick 1971
L'esistenza di indici di profitto medi, che la concorrenza stabilisce in funzione della domanda e dell'offerta, fa sì che per il capitalista abbia poca importanza che il suo capitale sia investito nella produzione, nella circolazione o nelle due sfere contemporaneamente. Per lui non si pone il problema del lavoro produttivo o improduttivo. Così i lavoratori dal canto loro non si chiedono se sono impiegati in modo produttivo o improduttivo. Nell'uno e nell'altro caso, infatti, la loro esistenza dipende sempre dalla vendita della propria forza-lavoro. A causa della divisione capitalistica del lavoro, ogni grande categoria professionale riceve un diverso salario. I lavoratori si fanno concorrenza anzitutto per trovare lavoro, e poi per ottenere gli impieghi meglio retribuiti e meno duri. E' come se il capitale lasciasse alla concorrenza tra i lavoratori di fissare le condizioni proprie alla riproduzione della forza-lavoro.
L'accumulazione del capitale si accompagna alla concorrenza tra capitali da una parte, tra lavoratori dall'altra, e a un confronto permanente tra padronato e operai riguardante il livello dei salari e quindi dei profitti. Questi diversi fattori si accavallano e s'influenzano reciprocamente. I rispettivi interessi economici assumono agli occhi dei capitalisti e dei lavoratori l'aspetto di interessi di classe. I, primi non affrontano i lavoratori separatamente, e questi ultimi non fronteggiano il capitale nel suo insieme. Lo Stato e l'ideologia capitalistici servono a garantire l'interesse collettivo dei capitalisti mantenendo i rapporti di produzione esistenti. Quanto all'interesse collettivo dei lavoratori, esso deve, se vuole spuntarla, prevalere sulla concorrenza che questi si fanno tra loro e non può oltrepassare i limiti loro imposti dalla dipendenza del lavoro dal capitale. Questo si applica bene sia al lavoro produttivo che a quello improduttivo.
Quando Marx parla dello sviluppo della coscienza di classe proletaria, lo fa sulla base non della distinzione tra i due tipi di lavoro, ma dei cambiamenti che intervengono nei rapporti di classe mentre continua l'accumulazione del capitale e aumenta quindi la divisione della società in due grandi classi con una progressiva proletarizzazione delle masse. E' per questo che si può leggere nel Capitale: "Con la diminuzione costante del numero dei magnati che usurpano o monopolizzano tutti i vantaggi di questo processo di trasformazione, crescono la miseria, l'oppressione, la schiavitù, la degradazione, lo sfruttamento, ma anche la ribellione della classe operaia che sempre più s'ingrossa ed è disciplinata, unita e organizzata dal meccanismo stesso della produzione capitalistica. Il monopolio del capitale diviene un ostacolo per il modo di produzione che e cresciuto e ha prosperato con esso e sotto i suoi auspici. La socializzazione del lavoro e la centralizzazione dei mezzi di produzione raggiungono un punto in cui diventano incompatibili coi loro involucro capitalistico. Ed esso viene spezzato. L'ultima ora della proprietà capitalistica e suonata. Gli espropriativi sono a loro volta espropriati"[7].
Così tutto portava a credere che i lavoratori, "educati, uniti e organizzati dal processo di produzione capitalistico", avrebbero preso coscienza sia del loro sfruttamento e della loro situazione di classe che della possibilità che si offriva loro di abolire i rapporti di produzione capitalistici. L'attività collettiva di migliaia di lavoratori all'interno della fabbrica e la necessità di doversi continuamente difendere dal capitalista e dai suoi delegati non potevano non avere ripercussioni sulla loro coscienza. Di qui all'organizzazione degli operai in partiti e in sindacati come pure alla comparsa di una coscienza di classe, il passo era breve. Benché quest'ultima non fosse propria soltanto dei lavoratori impegnati nella produzione, essa era destinata a manifestarsi in modo particolare tra di essi, poiché è in fabbrica che lo sfruttamento capitalistico si fa più chiaramente sentire e la lotta contro di esso assume gli aspetti più promettenti. Di fatto, la lotta tra Capitale e Lavoro si svolse per lungo tempo esclusivamente nella sfera della produzione.
Non bisognerebbe però concludere che il carattere produttivo del lavoro ed esso solo sia all'origine di questa forma di coscienza di classe e che il lavoro improduttivo renda più difficile, o quanto meno ne ostacoli, la formazione. Nella sfera della circolazione come nell'altra, il processo di concentrazione capitalistico ha l'effetto di riunire larghe masse di lavoratori, schiudendo loro delle possibilità di azione che non sono per nulla inferiori a quelle dei lavorativi produttivi. Così si sono visti i primi organizzarsi e dare vita a movimenti di sciopero esattamente come i secondi. La coscienza di classe, quando si esprime attraverso lotte economiche, caratterizza dunque allo stesso modo entrambe le categorie di lavoratori.
La nascita della coscienza di classe e da mettersi in relazione alla situazione di classe dei lavoratori, e non al posto particolare loro assegnato nel quadro della divisione capitalistica del lavoro, anche se essa si e manifestata di preferenza nei lavoratori produttivi piuttosto che negli altri. Per sapere se i lavorativi improduttivi hanno la possibilità di formarsi una coscienza di classe che si possa in qualche modo paragonare a quella dei lavorativi produttivi, bisogna anzitutto definire ciò che essa esattamente è. Se avere una coscienza di classe significa rendersi conto dei rapporti di produzione capitalistici e difendere i propri interessi contro il capitale, bisogna ammettere che questa coscienza esiste in entrambi i casi. I lavorativi delle due categorie si considerano come una classe contrapposta ai capitalisti - anche se essi non fanno ricorso al concetto di classe - e cercano di salvaguardare i loro interessi di fronte al capitale. Finora né gli uni nè gli altri si sono chiesti come bisognerebbe fare per crearsi uno spazio maggiore nel rapporto tra capitale e lavoro. La loro "coscienza di classe" si colloca sul terreno del capitalismo, ed e inutile insistere sulla idea che essi si fanno della loro condizione sociale, visto che essi sono oggettivamente costretti a far valere i loro interessi economici in funzione dei rapporti di classe esistenti.
La coscienza di classe rivoluzionaria che mira ad abbattere il sistema capitalista è di tutt'altro genere. Produttivi o no, i lavoratori sono dappertutto. Del resto, quando in tempi di crisi sociale certi settori delle masse lavoratrici d'Europa mossero all'assalto dell'ordine costituito, ciò era dovuto alla crisi, non al carattere produttivo del loro lavoro; inoltre, a fianco di queste masse figuravano altri elementi provenienti da diverse categorie sociali. Si potrà inoltre osservare che se, al di là delle rivendicazioni immediate, il movimento operaio dei primordi fece del socialismo il suo scopo finale, vi rinunciò ben presto. Perciò i lavorativi produttivi possono essere considerati a questo riguardo come i detentori esclusivi della coscienza di classe. Certamente essi possono giungervi in tempi di crisi, ma lo stesso vale per altre categorie della popolazione lavoratrice.
7. Kart Marx, Il Capitale, I, 3