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[ Archvio Marcos ]
IL MONDO DI NUOVO INCANTATO.
Il mondo di nuovo incantato Marcos e i suoi specchi
Il primo gennaio 1994, il Messico e il resto del nostro pianeta
assistevano, stupefatti, all'occupazione di città e villaggi del
Chiapas, nel Sud del paese, da parte di questi guerriglieri «usciti
dal nulla». I meno sorpresi non erano senz'altro i turisti, i quali di
certo non si aspettavano che il programma organizzato dalle agenzie di
viaggio - «in mattinata visita allo splendido mercato di San
Cristobal, la città dove scendono gli indios dei villaggi nei
dintorni» [1] - prendesse una piega simile.
Il «Messico moderno», che proprio quel giorno celebrava il suo
ingresso nel «primo mondo» [2], credeva di avere ormai chiuso con gli
indios, di averli ormai definitivamente relegati al ruolo di pezzi da
museo, di curiosità per i turisti. E i «neoindios» che si esibiscono
in danze precolombiane davanti al Templo Mayor a Città del Messico, le
folle che si riuniscono nel giorno del solstizio ai piedi della grande
piramide del sole a Teotihuac n non fanno che confermare questa
trasformazione degli indios in oggetti virtuali.
Per questa ragione l'insurrezione zapatista, quando non è stata
ricondotta alla manipolazione di un settore della popolazione indigena
a opera di attori esterni, è stata percepita per lo più come il
ritorno di un elemento messicano che era stato rimosso, la
resurrezione del «profondo Messico». I bianchi e i meticci del Chiapas
hanno rivissuto la paura ancestrale della vendetta india. La maggior
parte dei messicani e l'opinione pubblica internazionale hanno
scoperto un'immagine del paese completamente diversa da quella che il
potere aveva cercato di vendere in questi ultimi anni. Le stesse
autorità, che pure avevano avuto sentore di quello che stava per
accadere, erano incapaci di immaginare - e non erano le sole - che
all'alba del ventunesimo secolo alcuni indios potessero conferire
all'insurrezione una forza simile, una risonanza e una portata di
questo genere.
E' stato il premio Nobel per la letteratura Octavio Paz a esprimere
magistralmente l'opinione di quanti si rifiutavano di vedere
nell'insurrezione solo la rivolta di alcune comunità tradizionali,
primitive, strumentalizzabili e strumentalizzate da guerriglieri
anacronistici, da ideologi e da forze interessate a immergere il
Messico in un clima di violenza, facendo abortire il suo ingresso nel
grande mercato, nella democrazia e nella modernità.
Gli insorti non erano indios arcaici, schiacciati dalla dipendenza, e
nemmeno comparse neoindie di uno spettacolo postmoderno. Erano - sono
- indios moderni, che hanno preso le distanze dalle vecchie comunità
disgregate, e che cercano di costruire la propria storia chiedendo di
essere riconosciuti e rispettati.
L'immagine che dà il senso più elevato alla rivolta zapatista è quella
di una bambina india di quattro o cinque anni, nata e morta senza che
nessuno ne avesse notizia al di fuori della cerchia familiare:
«Paticha [versione india di Patricia] non ha mai avuto un certificato
di nascita, come dire che per lo stato non è mai esistita, e pertanto
la sua morte non è mai avvenuta». «Quando sarò grande sarò una
guerrigliera, una ribelle» aveva detto Paticha al subcomandante
Marcos, che la teneva fra le sue braccia mentre lei stava morendo di
una febbre maligna.
Ma chi è allora questo Marcos, che dà voce agli "olviados", agli
esclusi, e che si presenta come il condottiero di una guerra per il
diritto al riconoscimento, per la fine del disprezzo, e non invece per
quello che tradizionalmente è.
«Marcos non esiste, è nato morto il primo gennaio 1994» afferma
l'interessato, servendosi di una formula ambigua che evita il quesito
e sottolinea quanto siano inutili le illazioni sulla sua identità.
E queste non sono mancate. Secondo una delle storie raccontate su di
lui dagli indios del Chiapas, uno straniero (un "gringo") si sarebbe
integrato in una comunità maya, sposando una donna del luogo e avendo
da lei due gemelli prima di tornare al suo paese. Poco dopo la madre
dei bambini morì; morì anche il padre, ma dispose che i figli
frequentassero una scuola svizzera e lasciò loro i fondi necessari.
Quando i gemelli ebbero sei anni, un inviato del padre venne a
prenderli per portarli in quel lontano paese; anni dopo, uno dei
fratelli morì, mentre l'altro rientrò nella comunità, di cui sapeva
ancora parlare la lingua, e ne fu riconosciuto come suo membro.
I servizi di informazione e i media hanno attribuito a Marcos identità
più conformi ai loro fantasmi: ex guerrigliero dell'America centrale,
prete (gesuita o secolare), giornalista, avvocato, antropologo, medico
o economista, figlio di un imprenditore, figlio di Rosario Ibarra [3],
esponente del partito di opposizione della sinistra, il Partido de la
Revolucion Democr tica (P.R.D.), figlio illegittimo di un ministro
degli Interni... Così via fino al 9 febbraio 1995, quando la sua «vera
identità» fu rivelata in un discorso trasmesso per televisione dal
presidente Zedillo, che credeva in tal modo di distruggerne il mito:
un certo Rafael Sebasti n Guillén Vicente, nato nel 1957 a Tampico, in
una cattolicissima famiglia di commercianti di mobili, una «buona
famiglia» ma non appartenente alla «crema» della società residente
nella città sulla costa del Messico nordorientale, un porto al centro
di un complesso petrolifero. Alle medie Rafael Guillén era stato
allievo dei gesuiti - quelli che avevano accettato di parlarne ai
giornalisti lo descrivevano come un ottimo scolaro e un ragazzo
socievole -, avrebbe recitato in "Aspettando Godot" e girato qualche
scena di film [4], tutte cose banalissime per una persona appartenente
a quella generazione e a quel ceto sociale. Frequentando la facoltà di
filosofia dell'Universidad Nacional Autonoma Metropolitana, nel 1980
scrive una tesi ispirata a un marxismo strutturalista piuttosto
stereotipata, nella quale, come in migliaia di tesi presentate
all'epoca nelle università latinoamericane, si coglie l'influsso di
Althusser e di Poulantzas, con una spolveratina di Foucault. Avrebbe
poi insegnato per qualche tempo in un'altra università della capitale,
la UAM, Universidad Autonoma Metropolitana.
Ben pochi messicani dubitano di questa versione; quanto a Marcos, ci
scherza sopra («Non suona male, il porto è grazioso» dice ,
parlando di una città di cui MacOrlan ha celebrato i locali equivoci);
oppure, come nella conversazione che segue, smentisce di essere Rafael
Guillén. Forse nel senso che non lo è più, nel senso che Marcos è nato
dal sogno degli zapatisti e appartiene a loro. Sia o non sia Rafael
Guillén, non è certo più lo studente postsessantottino che è stato,
amante delle discussioni letterarie e filosofiche, un po' giramondo,
che trascorreva diversi mesi a Parigi. Ormai ha abbandonato tutto
questo, si è lasciato alle spalle «i morti necessari, nel senso che
bisognava andare via per tornare sotto un altro aspetto, senza più un
volto, senza nome, senza passato, ma ancora una volta in nome di quei
morti» . Del passato, i suoi discorsi e i suoi gesti hanno
conservato una forza esultante, una sensibilità e un umorismo che non
riescono a dissimulare un sottofondo di sorda angoscia.
Mentre da principio era soltanto strumentale, ormai il passamontagna
ha acquisito la funzione della maschera: occultare l'identità
personale e far nascere un'immagine nella quale possano identificarsi
i diseredati, e, ancora, tutti i messicani e chiunque sia innamorato
della giustizia, indipendentemente dalle loro diversità. «Qualunque
messicano può mettersi il passamontagna e diventare Marcos, diventare
quello che sono io.»
Il passamontagna è uno specchio offerto ai messicani («prendete uno
specchio e guardatevi») per invitarli a scoprirsi, a uscire dalla
menzogna e dalla paura, dall'alienazione. Uno specchio di fronte al
quale il paese è chiamato a interrogarsi su se stesso e sul proprio
avvenire, a ricostruirsi, a reinventarsi.
Ma Marcos esorta anche a strappare lo stagno agli specchi, a
infrangere il vetro e a passare dall'altra parte. Qui racconta come
lui stesso sia stato condotto ad attraversare lo specchio, a scoprire
l'Altro.
Nei primi anni Ottanta si stabilì nel Chiapas, insieme con alcuni
compagni; erano carichi di tutti i dogmi e di tutti i luoghi comuni
dei rivoluzionari latinoamericani dei decenni precedenti, e come altri
si sforzarono di farli entrare in testa agli indios. Questi
replicavano: «Le tue parole sono dure», e affermavano di non capire
niente di un simile gergo indigesto. Finché Marcos non cominciò ad
ascoltare gli indios, quello che dicevano e quello che non dicevano,
cominciò ad ascoltare anche i silenzi (il che però non lo ha reso
laconico) [5].
Oggi è rimasto l'unico bianco o meticcio fra i capi dell'Esercito
zapatista, ma si inserisce in una genealogia di transfughi o di
intermediari inaugurata già all'epoca della Conquista da Gonzalo
Guerrero, un soldato spagnolo che dopo essere scampato a un naufragio
si inserì in una comunità dello Yucat n, si mise alla testa di una
guerra di resistenza dei maya e cadde in battaglia contro i
conquistatori.
Tuttavia Marcos non ha cercato di diventare indio; il suo carisma, la
fiducia che si è conquistata all'interno delle comunità nascono anche
dalla distanza che ha saputo conservare. E' il prezzo che ha dovuto
pagare per essere una finestra, un ponte fra i due mondi.
IL PASSO AVANTI DEGLI ZAPATISTI
In una guerra come questa, che viene dopo la caduta del muro di
Berlino e in cui i simboli contano più delle armi, la comunicazione
più del rapporto di forze, Marcos, ancor più che il comandante
militare, è l'interprete, il portavoce degli indios in rivolta,
l'inventore di un discorso poetico-politico non riducibile alle
strategie di dominio, inafferrabile per gli apparati di potere.
Qualunque sia l'esito delle laboriose e intermittenti trattative con
il governo, qualunque sia l'epilogo delle operazioni militar-
poliziesche da cui gli zapatisti sono minacciati, quali che possano
essere gli effetti del gesto zapatista all'interno dell'antica
sinistra messicana e latinoamericana, il contributo di Marcos sarà
quello di essersi lasciato penetrare dall'esperienza e
dall'immaginazione degli indios, di aver trovato le parole per
raccontarle, e quindi, colpendo al cuore, di aver ridotto in polvere
tutte le forme di gergo politichese. Il gergo dei guerriglieri
marxisti-leninisti, che un tempo gli apparteneva, e di cui l'Ejército
Popular Revolucionario (E.P.R.), comparso in varie regioni messicane
nel 1996, costituisce una reviviscenza immiserita. Quello della
Rivoluzione messicana istituzionalizzata, con tutti i suoi stereotipi
sull'indio, ora arcaico e sottomesso, ora glorificato e divenuto
oggetto di folklore e di museo. Ma anche il linguaggio gergale, preso
a prestito, convenzionale, che usano gli stessi indios, quando si
esprimono nella lingua dominante, fosse pure nelle sue varianti
indigeniste, progressiste, rivoluzionarie.
Accresce la sorpresa, lo stupore o l'incredulità il fatto che un tale
contributo a restituire al mondo il suo incanto provenga da una
società india, distrutta e asservita cinquecento anni or sono, in
coincidenza con l'invenzione della modernità. Eppure l'insurrezione
zapatista si iscrive nella genealogia dei movimenti di liberazione
degli indios che da trent'anni vanno emergendo in tutta l'America
latina. Il movimento shuar e la rivolta degli indios della "sierra" in
Ecuador nel 1990, il katarismo boliviano, di cui il vicepresidente
Victor Hugo C rdenas è un esponente di rilievo, il Consejo Regional
Indigena del Cauca (CRIC) in Colombia, la guatemalteca Rigoberta
Menchù, premio Nobel per la pace nel 1992. Ecco alcune tra le
manifestazioni più note e più forti di questo fenomeno, le quali hanno
un punto in comune: sono portatrici di una nuova modernità, che salda
nella tensione identità e integrazione, cultura ed economia, utopia e
pragmatismo, cuore e ragione, particolare e universale. La rivolta del
Chiapas ha avuto un'eco più vasta, fin dalla sua prima comparsa, senza
dubbio perché non si è lasciata trattare come un semplice problema
locale, regionale o relativo a una minoranza, ma ha posto di punto in
bianco, e in modo spettacolare, questioni politiche e intellettuali
che oggi in tutte le società hanno un ruolo centrale.
Per uscire dall'oblio, per prendere la parola, gli zapatisti hanno
preso le armi, a differenza di quasi tutti gli altri movimenti moderni
delle comunità indigene nell'America latina e settentrionale. Ma la
guerra vera e propria è durata pochissimi giorni, dal primo al 12
gennaio 1994 ; da quella data gli insorti, evidentemente
rinunciando a porsi come obiettivo la conquista del potere attraverso
la lotta armata, esplorano le vie che li conducono verso l'invenzione
di una democrazia aperta a coloro che agiscono nella società, capace
di tener conto delle esigenze etiche e delle affermazioni di identità.
Continuando a restare armati, si servono del negoziato, delle
alleanze, dei moderni mezzi di comunicazione, con una strategia di non
violenza armata al centro della quale Marcos, esatto contrario della
figura di «eroico guerrigliero» incarnata dal Che Guevara, appare come
un lontano cugino di Gandhi, di Martin Luther King o di Tjibaou: forse
è destinato a condividerne la sorte?
Tutte le lotte per il diritto al riconoscimento sono fragili e
incerte. Quella degli indios del Chiapas esige riforme economiche,
sociali, politiche e culturali che mettono a repentaglio interessi
acquisiti, inerzie varie e anche programmi di modernizzazione
caratterizzati da forme di esclusione, come il NAFTA. Sebbene gli
zapatisti non rivendichino il potere per loro stessi, sfidano
apertamente il Partido Revolucionario Institucional (P.R.I.), il
partito-Stato che si trova alla testa del paese da circa settant'anni
[6]. La loro iniziativa ha provocato una formidabile onda d'urto, che
ha rivelato le crepe della piramide e dato il via a una serie di
sommovimenti a catena, riecheggiati nelle Borse del mondo intero e
perfino sotto le volte della Banque de France. Il P.R.I., ferito a
morte dall'insurrezione, ma anche dai rapimenti di uomini d'affari,
dai regolamenti di conti, dagli assassinii e dagli scandali al
vertice, così come dalla crisi finanziaria ed economica, non mostra
peraltro di avere esaurito le risorse repressive, le capacità di
manipolazione e cooptazione. Marcos e i suoi non si illudono, sanno
che la loro ribellione cozza con la realtà cinica e brutale della
politica messicana, da cui rischia di essere riafferrata.
L'INDIO, MODERNO EMBLEMA DELL'UNIVERSALE
La natura e il senso dello zapatismo si trovano in un protagonista
sociale e culturale (etnico) che si lancia in una sollevazione armata
e si proietta sulla scena politica. Un protagonista che, non potendo
trovare altri sbocchi alle proprie aspirazioni ed esigenze, dà vita a
un movimento armato e cerca di costruire un movimento politico civile
che non si propone di conquistare il potere.
Non si può comprendere l'impatto planetario e la portata universale di
un tale movimento se lo si riduce alla resistenza di poche comunità
del Chiapas o a un soprassalto della storia messicana recente, segnata
da forti turbolenze che forse annunciano un precipitare verso il caos.
Lo zapatismo non consiste in forme di ripiegamento sulla comunità
originaria o in reazioni di chiusura nazionalista; esso articola le
esperienze di comunità eterogenee, divise e aperte, la questione della
democrazia nazionale e il progetto di una società composta da soggetti
individuali e collettivi che "si riconoscono" e si rispettano l'un
l'altro nella diversità di ciascuno; esso lotta per un mondo dove
molti mondi abbiano il loro posto («un mundo donde quepan muchos
mundos»), un mondo uno e variegato.
Il soggetto zapatista è etnico, nazionale e universale: vuole dirsi
messicano senza cessare di essere indio, vuole un Messico in cui sia
riconosciuto ed ascoltato; è universale non già "nonostante" la
propria identità di indio, ma "appunto perché" indio.
Quasi riecheggiando Jean-Marie Tjibaou, che voleva fosse conosciuta e
rispettata «la quota di universalità» insita nella cultura della
Melanesia , Marcos afferma che proprio grazie alla sua componente
india lo zapatismo riesce sia a elaborare uno specifico linguaggio di
simboli, sia a proiettarsi sulla scena internazionale. Tale
universalità deve essere intesa in due modi. Innanzitutto nel senso
dell'etica classica, sulla scia della filosofia dei Lumi e dei diritti
dell'uomo: l'indio, discriminato, messo in minoranza, umiliato, si fa
portatore della rivendicazione di uguaglianza di ogni essere umano. Ma
anche, in modo più positivo e più ricco, l'universalità va vista nella
prospettiva dell'affermazione di un soggetto in cui si associano le
dimensioni etica ed etnica, un soggetto che ritrova l'universale nel
particolare. Nella genesi dello zapatisrno il momento decisivo è
quello in cui i guerriglieri scoprono che il loro discorso
rivoluzionario, universalista, non parla agli indios, non suscita la
minima eco, e di conseguenza che la pretesa di universalismo è
usurpata. A quel punto effettuano una conversione, si mettono ad
ascoltare l'altro, avviando così la ricomposizione del pensiero e
dell'azione collettivi nell'ottica di una politica del riconoscimento.
Mentre il soggetto dei diritti dell'uomo e del cittadino è astratto e
intercambiabile con qualsiasi altro soggetto, il soggetto che si
costruisce nello scontro e nel dialogo fra culture è al tempo stesso
singolo, particolare e universale.
Oggi l'immagine più compiuta dell'universale non è quella del
cittadino che si difende dalla mondializzazione cercando di richiudere
le brecce aperte nell'edificio dello Stato nazionale; è quella del
soggetto agente che associa la lotta contro le forze dominanti con
l'affermazione di un'identità individuale e collettiva e il
riconoscimento dell'Altro. Lo zapatismo è portatore di una triplice
istanza: politica, etica e di affermazione del soggetto, riassunta
nella sua formula prediletta: democrazia, giustizia, libertà; oppure
ancora sotto l'altro suo nome: dignità. UNA RIBELLIONE CHE VIENE DAI CONFINI. I DATI - Il Messico e gli indios .
Nella popolazione messicana gli indios costituiscono una frazione
compresa tra il 10 e il 15%, assai meno che in Bolivia, in Ecuador, in
Perù e soprattutto in Guatemala, ma sufficiente a fare del Messico il
paese con il più alto numero di indios in assoluto: fra gli otto e i
dodici milioni di persone, suddivise in cinquantasei gruppi etnici
[7].
Nel Nord, nel Centro e nella parte centroccidentale del paese, gli
indios sono rappresentati da gruppi ristretti che affermano con forza
la loro identità (gli yaqui, i tarahumara, gli huichol, i purepecha o
i tarasque...), oppure gruppi talvolta più numerosi ma con
un'affermazione di identità meno netta, e meno precisamente
distinguibili dal resto della popolazione contadina (i mazahua, gli
otomi, i mexica o i nahua...).
Nel Sud e nel Sudest gli indios costituiscono una frazione notevole
della popolazione, su scala locale o regionale; formano gruppi di
dimensioni varie, discontinui, come un patchwork ricavato in un
tessuto dalla trama mista. In particolare negli Stati del Guerrero e
di Oaxaca (tlapanechi, mixtechi, mixe, triqui, zapotechi...), dello
Yucat n e del Quintana Roo (maya dello Yucatan).
Fra questi gruppi, alcuni - per esempio gli zapotechi e i maya dello
Yucat n - si sono, in parte, da tempo inurbati, e abitano in città di
piccole o medie dimensioni. In quasi tutti i gruppi, una parte sempre
più cospicua emigra temporaneamente verso gli Stati Uniti, verso Città
del Messico e altre città dell'interno, dove molti finiscono per
stabilirsi, fondando colonie urbane indigene.
Nel Messico della Rivoluzione, poi istituzionalizzata, il problema
degli indios era considerato nella prospettiva dell'integrazione,
attraverso un processo di acculturazione e assimilazione; e si
riteneva che dovesse essere risolto dalle politiche agrarie e
dall'istruzione. Il cosiddetto «indigenismo di integrazione»,
formulato in modo sistematico nel primo Congresso indigenista
interamericano (P tzcuaro, 1940), ha avuto come strumento di
applicazione principale l'Instituto Nacional Indigenista (INI), creato
nel 1948.
Negli anni Settanta alcuni membri del governo guidato dal presidente
neopopulista Echeverria (1970-76) e di quello del successore Lopez
Portillo (1976-82) propugnavano un «nuovo indigenismo» che, per
distinguersi dal primo, si definiva «di partecipazione». La sua
attuazione portò alla nomina di un «consiglio supremo» per ciascuna
etnia e di un Consiglio nazionale dei popoli indigeni (C.N.P.I.),
nonché al reclutamento di circa trentamila istitutori bilingui.
Questi programmi contribuivano ad assicurare sovvenzioni statali alle
regioni abitate dagli indios, ma per il regime non costituivano una
priorità: frutto di una politica della compensazione, nei casi
migliori offrivano a certi gruppi ristretti una possibilità di
promozione sociale, nei peggiori un simulacro di partecipazione in una
situazione in cui le possibilità di integrazione andavano
restringendosi. In realtà si trattava di proseguire in modi nuovi una
politica di contenimento delle rivendicazioni degli indios.
Numerose organizzazioni indigene nate negli anni Settanta e Ottanta, e
fra queste la maggior parte dei «consigli etnici», sono state create
di sana pianta dalle autorità e sono rimaste nell'orbita del potere.
Tuttavia, nello stesso periodo, fra i contadini indios si sono
moltiplicate le organizzazioni «indipendenti» o «di classe», spesso
collegate all'opposizione di sinistra: per lo più effimere, ma alcune
più durevoli. Talune hanno aderito a gruppi di coordinamento su scala
nazionale, ma nella maggioranza le loro radici e il loro raggio
d'azione sono rimasti locali o regionali. L'esempio migliore è quello
della Coalicion Obrera, Campesina y Estudiantil del Istmo (COCEI), che
negli anni Ottanta guidava le lotte degli zapotechi nell'istmo di
Tehuantepec.
Nel 1992 le celebrazioni del quinto centenario della scoperta
dell'America hanno suscitato proteste e mobilitazioni che tuttavia non
hanno mai varcato i limiti di quanto il regime poteva sopportare o
riassorbire. Il governo di Salinas de Gortari aveva fatto inserire
nella Costituzione il riconoscimento delle «popolazioni indigene» e
del carattere multiculturale della nazione, estendendo, con un gesto
molto spettacolare, il programma "Solidaridad" [8] alle zone abitate
dagli indios, Chiapas compreso.
L'indigenismo ufficiale, fluttuante secondo scadenze di sei in sei
anni [9] e secondo varianti regionali, si era fino allora dimostrato
capace di assorbire o neutralizzare le rivendicazioni degli indios. Il
Messico aveva visto scoppiare aspri conflitti sociali connotati da
elementi etnici, e nascere numerose organizzazioni indigene; non si
era però mai costituito un movimento degli indios di una certa
portata.
Tuttavia la gestione burocratica e clientelare della questione etnica
aveva il fiato corto. L'assunzione di un modello neoliberista, che
avrebbe comportato la riduzione degli interventi statali, il
rallentamento dei programmi di redistribuzione e una concorrenza non
equa, contribuiva ad accentuare le spaccature e a moltiplicare gli
esclusi. L'esplosione demografica, che in città era tenuta sotto
controllo, imperversava nelle campagne e in particolare tra gli
indios.
In Messico la riforma agraria, una delle acquisizioni principali della
Rivoluzione, era iscritta nella Costituzione (1917). Nel febbraio 1992
la revisione dell'articolo relativo, il famoso articolo 27, mettendo
praticamente fine alla ripartizione delle terre e minacciando lo
smantellamento degli "ejidos" [10], chiudeva uno dei percorsi
privilegiati di clientelizzazione e cooptazione.
L'insurrezione del primo gennaio 1994 ha sorpreso e diviso le élite
intellettuali e politiche messicane: si preannunciava un'epoca nuova o
bisognava ricondurre l'episodio a un fenomeno marginale e senza
futuro, espressione dell'arretratezza degli indios, del sottosviluppo
di una regione periferica e abbandonata?
- Il Chiapas.
Per lingue (lo tzotzil, lo tzeltal, il chol e il tojolabal) e per
cultura, questi indios appartengono al gruppo dei maya [11], come i
maya dello Yucat n con i quali hanno scarsi rapporti, e come gli
indios del Guatemala, dai quali sono stati separati soltanto con
l'Indipendenza. Nei primi anni Ottanta questi ultimi si sono rifugiati
nel Chiapas a decine di migliaia, per scampare ai massacri perpetrati
dall'esercito guatemalteco.
Dieci anni dopo, con l'attenuazione dei conflitti nell'America
centrale e la prospettiva di entrare nel NAFTA, i messicani avevano
distolto lo sguardo dal confine meridionale, spostandolo su quello
settentrionale. Ma il Chiapas, dove si trovano circa la metà delle
industrie idroelettriche, ingenti risorse petrolifere, forestali e
agricole (caffè, granturco, bestiame), rimaneva una regione
strategica. Nelle ultime legislature, di sei anni ciascuna, i governi
hanno compiuto notevoli investimenti in opere pubbliche (dighe,
strade), dalle quali la maggioranza della popolazione, e in
particolare gli indios, hanno ottenuto scarso beneficio. Altrettanto
si può dire per la moltiplicazione e la polverizzazione dei crediti
concessi per programmi socioeconomici o culturali (compresi quelli di
"Solidaridad") i quali, in genere, finiscono col disperdersi nelle
paludi burocratiche e clientelari o in realizzazioni voluttuarie.
Fra tutti gli Stati del Messico, il Chiapas ha i più alti indici di
povertà; si tratta dunque di un esempio estremo delle antiche e nuove
disuguaglianze. Particolarmente grave è la questione della terra.
Circa duemila "ejidos" e comunità si spartiscono poco più di metà
della superficie agricola. Ma i terreni migliori, sotto forma di
piantagioni e immensi allevamenti, sono accaparrati da un'oligarchia
erede del passato coloniale e del diciannovesimo secolo, la quale non
è stata affatto smantellata dalla Rivoluzione messicana, ma anzi, dopo
di allora, si è conservata e rafforzata . Questi grandi
proprietari terrieri, legati al potere politico, si servono in modo
sistematico della corruzione e della violenza, appoggiandosi alle
forze dell'ordine e ricorrendo spesso a sicari (le "guardias
blancas").
Parecchie decine di migliaia di piccoli coltivatori o di contadini
senza terra sopravvivevano tradizionalmente grazie al lavoro
stagionale nelle piantagioni di caffè, cacao, banane, canna da
zucchero... Negli ultimi decenni la crescita demografica, l'estensione
dell'allevamento, il divieto di abbattimento degli alberi, la
degradazione ecologica, l'afflusso di manodopera guatemalteca a basso
costo, e dal 1989 in poi la caduta dei prezzi del caffè e della carne,
hanno reso ancora più precario l'arduo equilibrio della sussistenza.
Migliaia di richieste di assegnazioni fondiarie rimangono inevase, e
la popolazione «in eccedenza» si riversa nei quartieri della
precarietà, alla periferia dei centri abitati della regione, e nelle
zone di colonizzazione, a loro volta avviate alla saturazione: Selva
Lacandona e Las Canadas.
Fino alla prima metà del ventesimo secolo la Selva Lacandona, detta
anche Deserto della Solitudine, era popolata soltanto da qualche
centinaio di indios lacandoni, da fuggiaschi di varia origine e da
"peones" delle compagnie di sfruttamento forestale (soprattutto cedro
e mogano). Il romanziere Bruno Traven ha descritto le condizioni
miserevoli in cui vivevano e lavoravano questi dannati della giungla
. L'insediamento di coloni provenienti dalle regioni montuose del
Chiapas è diventato significativo negli anni Cinquanta, trasformandosi
in un fenomeno di massa nei decenni successivi. Nei primi anni Novanta
la Selva Lacandona (Canadas comprese) era abitata da circa
duecentoventimila persone suddivise in oltre duecento comunità. I nove
decimi di questi coloni sono indios: oltre la metà tzeltal, tojolabal,
chol e, in minor numero, tzotzil. Una minoranza, costituita da indios
e da non indios, è originaria di altri Stati del Messico.
L'ammodernamento economico e la crisi vanno di pari passo con
contrasti generazionali, dissidi sociali e culturali, conversioni
religiose. C'è un duro conflitto, spesso violento, fra i partigiani
del «nuovo corso» da un lato, che respingono l'antico diritto
consuetudinario, e dall'altro i tradizionalisti, i cacicchi e gli
indios ricchi, che in certe comunità accaparrano le terre, controllano
l'assunzione della manodopera, il commercio, i mezzi di trasporto e il
potere locale, e fanno lega con l'oligarchia "ladina" [12] e con le
autorità regionali e nazionali. La rottura dell'unanimismo e
dell'autoritarismo comunitari apre la strada alla competizione fra
cattolicesimo rinnovato, Chiese evangeliche e sette varie, intenti a
disputarsi le giovani generazioni che cercano una nuova legittimità,
una nuova comunità, ed eventualmente nuovi protettori.
In altre regioni del Messico vi sono frazioni minoritarie della Chiesa
cattolica, in maggioranza conservatrice, che a loro volta appoggiano i
processi di emancipazione degli indios. Ma soprattutto nel Chiapas,
grazie all'energia di monsignor Samuel Ruiz vescovo di San Cristobal
de Las Casas, la Chiesa cattolica, radicata principalmente fra gli
indios, ha preso in considerazione le esigenze socioeconomiche delle
popolazioni. Qui la Chiesa si è orientata verso una teologia della
liberazione indirizzata alla presa di coscienza e all'azione politica,
e che escludeva tuttavia la violenza (quanto meno da parte di figure
istituzionali). In seguito a una proposta delle autorità e dei
funzionari indigenisti, che la chiesa diocesana aveva fatto propria e
attuato, a San Cristobal si tenne un Congresso indigeno nel 1974, nel
quarto centenario della nascita di Bartolomé de Las Casas [13]. Di
fronte a quella che ben presto si rivelò come la prima manifestazione
pubblica di un emergente movimento degli indios il potere reagì in due
modi, secondo la consuetudine messicana: con la repressione e tentando
di disinnescare il movimento creando motivi di divisione e recuperando
alcuni elementi. Negli ultimi dieci anni circa ventimila individui,
neocattolici ma anche evangelici [14], sono stati scacciati dalle
regioni montuose del Chiapas - in primo luogo dalla comunità di San
Juan Chamula - da parte delle autorità tradizionali, legate al potere
politico. Gli espulsi sono andati ad accrescere il flusso
dell'emigrazione economica verso i quartieri marginali delle città e
delle zone di colonizzazione come la Selva Lacandona e Las Canadas.
Analoghe violenze, sempre in relazione a conflitti terrieri e a
dissensi all'interno delle comunità, si sono verificate in numerose
altre regioni indigene, in particolare negli Stati di Oaxaca e del
Guerrero e nella Huasteca. Ma mentre nel Centro e nel Nord del paese i
sommovimenti demografici, socioeconomici, culturali e religiosi hanno
alimentato consistenti flussi migratori verso Città del Messico o
verso gli Stati Uniti, nel Chiapas gli spostamenti si sono verificati
soprattutto all'interno dello Stato, originando così nuovi focolai di
tensione. Lo sradicamento delle popolazioni, le divisioni intestine,
la volontà di sopravvivere e di ricostituire nuove comunità hanno
formato un terreno fertile per far nascere nuovi capi e far affiorare
le lotte sociali; nel controllo delle popolazioni indigene lo Stato e
il partito al potere tendono a essere sostituiti dalle Chiese, in
particolare dalla Chiesa cattolica, le quali si sono trovate di
fronte, talvolta scontrandosi, organizzazioni dirette da militanti di
sinistra anche estrema, spesso di obbedienza maoista. Le une e le
altre hanno preparato il terreno allo zapatismo, sebbene quest'ultimo
abbia imboccato strade diverse.
In realtà l'insurrezione è nata da due impossibilità: quella della
guerriglia e quella del movimento sociale. Alcuni sopravvissuti ed
eredi delle organizzazioni di lotta armata represse e smantellate dal
potere messicano negli anni Settanta si erano ritirati nel Chiapas,
dove cercavano di tener viva la speranza in un domani rivoluzionario.
Marcos spiega con molta forza come il loro sogno si sia dileguato non
tanto a causa del contesto nazionale e internazionale, quanto a causa
dello scontro con le comunità indigene, con la cultura e le
aspirazioni degli indios. Marcos spiega anche come il movimento di
emancipazione, modernizzazione e sviluppo che negli anni Sessanta e
Settanta aveva attraversato queste comunità sia giunto al limite delle
sue possibilità nella prima metà degli anni Ottanta, e da allora abbia
cominciato a decadere, a decomporsi e a soccombere alle divisioni che
le autorità cercavano di introdurvi. Il movimento indiano armato,
lungi dall'essere la continuazione della guerriglia e la massima
espressione del movimento sociale, nasce da una duplice frattura: da
quella che Marcos chiama «la prima disfatta dell'E.Z.L.N.» da un lato,
e dall'altro dal rovesciamento di posizioni avvenuto in certi settori
delle comunità, costrette a fare i conti con i dilemmi della
modernizzazione e dello sviluppo, ed esposte alla repressione e al
razzismo.
LO SCONVOLGIMENTO DEL MONDO MAYA
Tale movimento, alimentato da energie che erano state per lungo tempo
beffate e represse, si è sviluppato in modo discontinuo, con scontri,
cesure e scosse; trae origine dalle divisioni sorte all'interno delle
comunità, dalle dissidenze e dalle conversioni, e ha prodotto sia
emigrazioni geografiche, sia lotte sociali, miglioramenti economici e
mutazioni culturali.
Lo zapatismo non ha affatto mobilitato le comunità tradizionali o i
settori tradizionali delle comunità: anzi si è sviluppato all'interno
di quelle frange della popolazione indigena che avevano rotto con la
tradizione e i tradizionalismi, e che a causa di ciò avevano dovuto
separarsi dall'antica comunità di appartenenza, e spesso abbandonarla.
Alle origini di tali spostamenti - che per migliaia di persone hanno
comportato un'espulsione - si trova un miscuglio inestricabile di
motivazioni religiose, economiche e politiche.
Nelle aree di colonizzazione della foresta, nelle cinture di miseria o
di precarietà annesse ad alcuni centri abitati, talvolta all'interno o
alla periferia della loro comunità, i dissidenti hanno costituito
comunità trasformate e acculturate, creando espressioni culturali e
nuove forme di identità. E' stato inventato così un nuovo modo di
essere indio: aperto, moderno; l'espulsione, la liquidazione della
manodopera eccedente il fabbisogno, l'esperienza dell'inutilità
economica, sociale, e quindi politica, sono state trasformate in
esperienza della libertà.
Le nuove comunità si sono emancipate dagli antichi legami di
dipendenza interni: (il sistema delle cariche, i "principales" [15],
gli sciamani, le celebrazioni comunitarie e l'alcol); e anche dai
legami di dipendenza esterni (le piantagioni, i procacciatori di
manodopera, i commercianti e i trasportatori, i cacicchi [16] e il
sistema politico). Tali comunità davano un esempio di sviluppo
endogeno, sia pure assecondato da un ristretto numero di agenti
esterni (personale ecclesiastico, membri di organizzazioni non
governative), ma senza inquadramenti né particolari aiuti statali, uno
sviluppo dovuto essenzialmente a una dinamica interna: si sono
trasformate e sviluppate grazie alla conquista delle terre,
all'allevamento e alle coltivazioni commerciali (caffè, sesamo,
chile), al ricorso al credito, agli insetticidi [17]. La fine
dell'autosufficienza e l'integrazione nel mercato si sono tradotte poi
nella moltiplicazione degli scambi in moneta, nello sgretolamento
dell'artigianato e nel consumo di manufatti industriali. Le famiglie
che negli anni Cinquanta si insediavano nel cuore della foresta si
procuravano all'esterno soltanto sale, sapone, stoffa per farsi dei
vestiti, qualche attrezzo agricolo... Quaranta o cinquant'anni dopo,
all'elenco dei prodotti acquistati si sono aggiunte decine di altre
voci: apparecchiature domestiche, abiti, scarpe, prodotti
farmaceutici, derrate alimentari, bevande e conserve, materiali da
costruzione, insetticidi eccetera (30). Per quanto relegata ai
margini, periferica, con scarsi collegamenti con i centri urbani, la
«frontiera agricola» costituiva nondimeno una società aperta al
mercato.
Nonostante gli sforzi compiuti dalle comunità per intervenire nella
commercializzazione di determinati prodotti, del caffè in particolare,
in sostanza erano i "ladinos" e gli organismi statali o parastatali a
conservare il controllo sugli scambi. In altre società di indios
dell'America latina (in Guatemala, Ecuador, Bolivia, Colombia e
Panama), ma anche in altri gruppi di indios del Messico (il caso più
vistoso è quello degli zapotechi dello Juchit n, nel vicino Stato di
Oaxaca), il motore primario del cambiamento sono state le reti di
commercianti indigeni modernizzati. Nel Chiapas, i contadini poveri e
sradicati hanno avuto un ruolo di primo piano nell'apertura alla
modernità, anche se non sono stati i soli; i commercianti indigeni
erano per lo più legati ai cacicchi, quando non erano cacicchi loro
stessi, e soltanto di recente, grazie alle espulsioni, è sorto un
settore indigeno urbanizzato che entra in concorrenza con i
commercianti "ladinos" di San Cristobal. Un'altra differenza rispetto
a processi analoghi che si sono verificati altrove in America latina
(e in particolare rispetto al fenomeno degli zapotechi) è dovuta al
fatto che solo in casi eccezionali le donne indie del Chiapas sono
state protagoniste del mutamento [18], prima che lo zapatismo
assumesse l'emancipazione femminile come uno dei suoi cavalli di
battaglia.
Nonostante i suoi limiti, il mutamento globale riguardava tutte le
sfere di attività, tutte le forme di relazioni sociali, economiche e
politiche; dagli anni Cinquanta agli anni Novanta si è esteso
progressivamente e ha finito per coinvolgere, in misura diversa, la
totalità delle comunità del Chiapas. Uno dei suoi veicoli principali è
stata la scolarizzazione, e in senso più largo l'alfabetizzazione. Ma
per cogliere con più chiarezza l'emergenza di attori sociali etnici
occorre considerare le conversioni religiose e le lotte sociali: nelle
aree di colonizzazione queste ultime si presentano in forme essenziali
ed esemplari, benché altrove - nei territori montuosi e settentrionali
del Chiapas - i conflitti siano almeno altrettanto aspri e spesso più
complessi. In tutti i casi, i cambiamenti di religione e le lotte
sociali sono due voci necessarie per comprendere la genesi dello
zapatismo.
- L'unanimismo infranto.
In Guatemala, dagli anni Trenta-Quaranta, e in Chiapas con un ritardo
di una decina d'anni, all'interno di queste comunità si verificarono
mutamenti religiosi decisivi, da un lato in relazione a un processo di
riconquista da parte della Chiesa cattolica e, dall'altro, in
relazione all'espansione delle Chiese evangeliche e delle sette.
Da parte cattolica i «convertiti» vengono ben presto seguiti e
inquadrati dall'istituzione, che tra loro sceglie e forma agenti della
pastorale, «catechisti» indigeni. La prima ondata di missionari e la
prima generazione di catechisti attuano un progetto di sistematico
sradicamento della tradizione, giudicata pagana. Dal loro punto di
vista è indispensabile spazzare via la tradizione per ottenere un
rinnovamento religioso. Le violenze fra neocattolici e
tradizionalisti, i quali talvolta si definiscono loro stessi come
«cattolici autentici», non si sono sempre limitate all'ambito
simbolico. Ancora oggi in certe comunità avvengono scontri
violentissimi fra questi due gruppi e anche con gli evangelici.
Per l'effetto combinato dell'aggiornamento operato all'interno della
Chiesa (1962: Concilio Vaticano Secondo, 1968: Conferenza episcopale
latinoamericana di Medellin in Colombia) e delle istanze provenienti
dalla popolazione, alla fine degli anni Sessanta si prepara una
svolta. Alcuni catechisti mettono in discussione l'orientamento
fondamentalmente pastorale dell'azione missionaria: «La Chiesa e la
Parola di Dio ci dicono come salvare la nostra anima; ma non sappiamo
come salvare il nostro corpo. Mentre operiamo per la salvezza nostra e
del prossimo, patiamo la fame, la malattia, la povertà e la morte».
Altri ne contestano l'etnocentrismo di stampo occidentale: «Se la
Chiesa non diventa tzeltal, non è cattolica» .
Il personaggio chiave del cambiamento è monsignor Samuel Ruiz, dal
1960 vescovo di San Cristobal, originario di Irapuato, città del
Messico centroccidentale, dove in seguito alla rivoluzione si scatenò
una sorta di Vandea messicana [19]. Il prelato, che da principio era
molto conservatore, entrando in contatto con la realtà del Chiapas e
partecipando attivamente alla Conferenza di Medellin, si convertì alla
causa dei poveri («l'opzione preferenziale per i poveri» della
teologia della liberazione). Sotto la sua guida la diocesi si adoperò
per orientare in maniera diversa il movimento di evangelizzazione,
facendo nascere una «Chiesa incarnata, con volto indigeno» .
Mentre fino allora i catechisti erano stati simili a maestri di
scuola, che facevano riecheggiare nelle comunità la dottrina dettata
dalla gerarchia, da questo momento in poi sono chiamati invece a
mettersi all'ascolto delle comunità, riconoscendo «la Parola di Dio»
nelle pratiche comunitarie dell'assemblea e nella decisione
consensuale (l'"acuerdo"): «Nella riflessione che si opera su questo
tessuto di esperienze vissute, immensamente dolorose, gli uomini, le
donne e i bambini intervengono tutti insieme, ad alta voce, alla
maniera degli indios, finché, placate le voci, nasce l'"acuerdo", che
esprime la loro visione teologica della realtà» .
La teologia della liberazione, che è nata e si è diffusa in America
latina negli anni Settanta e Ottanta, assume forme e contenuti diversi
nei vari paesi. In Guatemala, pur essendo sorta soprattutto in
ambiente indigeno, ha privilegiato l'azione economica e politica a
detrimento del contenuto culturale. Invece nel Chiapas, a parte le
varianti sorte a seconda dei momenti e dei luoghi, a seconda della
sensibilità e del percorso spirituale dei singoli missionari,
appartenenti all'una o all'altra congregazione o settore della Chiesa,
la teologia della liberazione si distingue per una decisa volontà di
indigenizzazione. L'«inculturazione», termine talvolta usato dagli
ecclesiastici, designa le forme più sistematiche assunte da tale
progetto, che si propone di versare il cristianesimo nello stampo
delle culture autoctone.
L'impresa ha avuto un tale successo, soprattutto nelle comunità di
lingua tzeltal, che si è parlato di «Chiesa indigena» e addirittura di
«Chiesa tzeltal». Il Congresso indigeno, tenuto nel 1974 sotto l'egida
del vescovado, cristallizza il nuovo orientamento del movimento di
ricristianizzazione, ma segna anche l'affacciarsi di un nuovo
mutamento: consacra il ruolo centrale della diocesi nella metamorfosi
che si sta verificando. Ma da questo momento in poi il movimento degli
indios acquisisce in varietà e complessità, e finisce per diventare la
posta in gioco e il luogo di scontro fra diverse forze sociali e
politiche. La Chiesa avrà difficoltà crescenti a tenerlo sotto la sua
tutela. Tuttavia don Samuel al quale gli indios danno il nome
affettuoso di "j'tatic" (nostro padre), riuscirà a conservare un ruolo
centrale, grazie al senso della diplomazia, alle doti politiche e al
suo carisma personale e grazie anche al contributo di varie
congregazioni religiose - gesuiti, domenicani, maristi, francescani,
suore di san Vincenzo di Paola - e all'organizzazione da lui creata
nella diocesi, in cui si associano la gerarchia e il lavoro di base,
l'accentramento e la delega. Un numero relativamente esiguo di
sacerdoti secolari e regolari, assistiti da religiose in numero due o
tre volte superiore, e sostenuti da varie migliaia di catechisti -
uomini, ma anche, sempre più spesso, donne - forma un reticolo che
copre, meglio di quanto facciano le istituzioni ufficiali, un
territorio vasto e spesso di arduo accesso. Anche se nell'ottica della
«teologia indigena» sono considerati al servizio della comunità e non
il contrario, i catechisti diventano capi sociali e politici oltre che
religiosi, formando una gerarchia che colma il vuoto lasciato dalla
disgregazione o dal rifiuto del vecchio sistema delle autorità
religiose e politiche. Il loro inserimento nelle strutture
ecclesiastiche e la conoscenza dello spagnolo li rendono gli
intermediari obbligati con il mondo esterno.
Quali che siano in proposito le parole o i silenzi di Marcos, che
tende a minimizzare questo aspetto, la Chiesa ha avuto un ruolo
determinante nel modificare le forme di organizzazione comunitaria e
nel costituire organismi intercomunitari (organizzazioni etniche
moderne); in particolare ha contribuito a formare una nuova
generazione di capi e di militanti, molti dei quali in seguito si
uniranno al movimento zapatista [20].
- Comunità, sette ed etnicità.
Il protestantesimo, nella forma «storica» della Chiesa presbiteriana,
si affaccia per la prima volta nel Chiapas ai primi del Novecento. Ma
nella seconda metà del secolo prendono uno slancio notevole,
soprattutto tra gli indios, le nuove correnti religiose come i
pentecostali e gli avventisti. Fra questa sfera d'influenza e quella
del cattolicesimo rinnovato si hanno analogie sociologiche non meno
spiccate delle tensioni e dei contrasti. La conversione implica la
frattura con la comunità tradizionale e con il vecchio sistema delle
cariche, sia che avvenga in direzione del neocattolicesimo, sia che
riguardi una qualsiasi delle nuove Chiese. La rottura è simbolica ma
spesso anche fisica: come i preti cattolici e i catechisti, i
missionari evangelici hanno accompagnato gli indios a colonizzare la
foresta, incoraggiandoli a partire e aiutandoli poi nella fase di
emigrazione e di insediamento.
Il ricorso delle comunità cattoliche di base alle assemblee di fedeli
che danno testimonianza delle loro esperienze e fanno emergere un
consenso assimilato alla volontà divina ("vox populi, vox Dei")
ricorda il funzionamento dell'assemblea pentecostale o della setta,
almeno quanto le assemblee comunitarie tradizionali. Allo stesso modo,
il fatto di reclutare nelle stesse comunità il personale ecclesiastico
intermediario (suddiaconi, diaconi...) corrisponde alla nomina di
pastori indigeni, e al tempo stesso è un modo di riformare e
trasformare il sistema tradizionale delle cariche.
Si tratti di comunità cattoliche omogenee, di gruppi evangelici o di
sette, si ha una fortissima tendenza a sostituire il vecchio
comunitarismo con il nuovo; nelle une e negli altri, comportamenti di
difesa e di ripiegamento su se stessi sono alimentati da una «visione
teologica della realtà», così come dalla lotta contro un ambiente
naturale ostile e contro le aggressioni perpetrate dai «nemici» della
comunità.
La nuova comunità si organizza su base religiosa, allontanandosi dalla
tradizione antica; tuttavia la dimensione etnica non viene liquidata,
bensì trasformata a fondo. Si assiste alla nascita di un'etnicità che
assorbe elementi dell'antico come la lingua, ma che è alimentata da
mescolanze, scambi, matrimoni intercomunitari e interetnici, e che
cerca di introdurre rapporti più paritetici con la società globale.
La mescolanza e l'apertura fanno da contrappeso alla tentazione
comunitarista; dopo aver rotto con la comunità chiusa e
ipergerarchica, l'indio scopre la comunità etnica allargata, e
attraverso la religione si ricollega a una comunità transnazionale,
che può presentarsi sotto la forma dell'istituzione cattolica, oppure
delle reti organizzate dalle Chiese evangeliche o di altre
confessioni.
Le Chiese pentecostali, la Chiesa avventista e le sette propugnano
un'ideologia che è insieme contraria al progresso e al liberismo.
Capita però che alcuni membri prendano parte a organismi e a battaglie
socioeconomiche, fra cui le mobilitazioni proclamate dai sostenitori
della teologia della liberazione, i quali sono per lo più cattolici.
Avventisti, presbiteriani, pentecostali e, in numero assai inferiore,
cattolici compongono il Consejo de Representantes Indigenas de los
Altos de Chiapas (CRIACH): ne fanno parte anche alcuni indios tzotzil
espulsi i quali si battono per poter rientrare nelle loro comunità, ma
anche per obiettivi relativi alla loro attuale posizione e condizione.
Tale organizzazione, ben inserita fra i chamulas di San Cristobal, ha
contribuito a farvi eleggere un deputato che è stato per qualche tempo
sostenuto dal Partito della rivoluzione democratica (partito di
opposizione, sorto da una scissione interna al P.R.I., che su scala
nazionale riunisce correnti populiste, socialdemocratiche e marxiste
più o meno rinnovati). L'impegno a sinistra, non raro fra gli aderenti
alle Chiese protestanti storiche (metodiste, presbiteriane...), è
tuttavia molto meno consueto fra i pentecostali. Gli evangelici
costituiscono una buona parte di quanti nella Selva Lacandona sono
refrattari allo zapatismo.
- Dalla teologia della liberazione alla liberazione senza teologia?
Ciò che rivela con la massima chiarezza tale dimensione è il fatto che
l'uscita dalle piantagioni e dalle comunità montane e l'emigrazione
nelle aree di colonizzazione siano interpretate alla luce dell'Esodo e
della ricerca della Terra Promessa, quasi una versione maya di "Let My
People Go": «Dio vuole che usciamo verso la libertà come l'antico
popolo ebraico. Gli ebrei vivevano in un paese straniero che si
chiamava Egitto. La terra non apparteneva a loro. Lavoravano come
schiavi e vivevano nella penuria. Allora Dio parlò al cuore di uno dei
"principales" e gli disse: "Ho visto le sofferenze del mio popolo, ho
udito i pianti che gli strappano i capisquadra. Io sono sceso per
liberarlo dai suoi patimenti e lo condurrò verso una terra migliore''»
.
La religiosità profonda, la sete di giustizia, la ricerca di un senso
alla propria storia, che caratterizzano il popolo maya, trovano echi
nella Bibbia, punto di riferimento prediletto sia dal
neocattolicesimo, sia dai nuovi movimenti religiosi. Sono però le
comunità neocattoliche della foresta quelle che articolano e incarnano
nel modo più completo e più estremo il discorso della teologia della
liberazione, dove la costruzione della nuova comunità è vissuta come
quella di un «uomo nuovo», di una «vita nuova» su una «terra nuova»,
del «regno di Dio sulla terra». Per la prima volta questi indios
acquistano fiducia in se stessi e sentono di decidere la propria sorte
e di esercitare la propria volontà. E la loro volontà è comune: «Tutti
formiamo un solo pensiero, un solo lavoro, un solo cuore che
custodisce una sola speranza». Come nella colonizzazione dell'Ixc n in
Guatemala, qui l'emancipazione acquista la forma di un comunitarismo
dagli accenti millenaristici; la forma di un «noi» che si afferma
distruggendo gli antichi legami di dipendenza e lottando contro un
comune avversario (lo Stato, i grandi proprietari e gli intermediari:
ossia il complesso dei "ladinos" ricchi); la forma di un "noialtri"
che, nella lotta, (ri)costruisce la propria identità e diversità .
E il fenomeno a cui assistiamo è la nascita di un soggetto collettivo.
Da questo humus germina lo zapatismo, che pure ne provoca la
divisione, ed è portatore di una dimensione religiosa senza dubbio
meno esplicita, più discreta rispetto alla teologia della liberazione.
Tuttavia gli zapatisti ereditano analoghe esigenze etiche e la stessa
ricerca di storicità.
«Noi ci liberiamo, ma senza teologia» ha risposto Marcos a un
giornalista che lo interrogava circa i suoi rapporti con la teologia
della liberazione . Nella conversazione che segue, Marcos
pronuncia più volte giudizi critici sul ruolo avuto dal cattolicesimo
nelle comunità, in particolare sottolineandone l'intolleranza
religiosa e il conservatorismo su tutto ciò che attiene alla
sessualità. Ma gli zapatisti non trattano volentieri il tema della
religione; temono che possa diventare un fattore di divisione
all'interno del movimento, e di conflitto con le istituzioni
ecclesiastiche. In particolare con don Samuel hanno rapporti
complicati, che alternano fasi di avvicinamento con periodi in cui si
tengono a distanza.
Marcos irride alle interpretazioni della propria figura in termini di
influenze religiose: «Se mi chiamo Marcos per via di san Marco
evangelista? Dio me ne scampi, no. L'ultima funzione religiosa a cui
ho partecipato è stata quella della mia prima comunione. Avevo otto
anni. Non ho studiato per diventare sacerdote, né per diventare papa,
tanto meno nunzio apostolico. Non sono un catechista, né un parroco,
niente del genere...» . Marcos combatte il sentimentalismo
religioso con l'umorismo. Nelle frequenti occasioni in cui parla della
morte e, in certi periodi, del sacrificio della vita, esclude di
proposito ogni forma di martiropatia; non vuole offrire alcun appiglio
alla metamorfosi del suo personaggio in una figura di Cristo,
sull'esempio del Che Guevara. Ciò non toglie che l'atmosfera delle
comunità zapatiste sia impregnata di una volontà etica talvolta al
limite del puritanesimo, e di una religiosità diffusa che nei momenti
critici potrebbe alimentare comportamenti messianici e millenaristici
come durante le insurrezioni degli indios avvenute in passato, o come
è accaduto in tempi più vicini a noi, durante la fase pionieristica
della colonizzazione della Selva.
- Il movimento degli indios, dall'unione alla disunione.
Modificando la propria azione, la Chiesa accompagna la dinamica intra-
intercomunitaria in cui si associano l'affermazione culturale e le
lotte socioeconomiche intorno ai problemi di terra, credito,
trasporti, diversificazione delle colture, commercializzazione del
caffè, sfruttamento del legname, istruzione, sanità, acqua potabile e
così via. Aspri motivi di conflitto mettono i coloni indigeni in
contrasto con i grandi proprietari terrieri, con i commercianti e i
trasportatori, con le società dedite allo sfruttamento del legname e
con le istituzioni ufficiali. Una delle lotte che ha suscitato più
larga mobilitazione è quella condotta dalle comunità contro
l'applicazione di un decreto promulgato nel 1972 dal governatore dello
Stato e dal presidente Echeverria, in base al quale si concedeva alle
sessantasei famiglie di indios lacandoni uno sterminato territorio
forestale (oltre seicentomila ettari) a detrimento di circa duemila
famiglie di tzeltal e chol (ventisei comunità) che vi si erano di
recente stabilite, e che in alcuni casi avevano ottenuto un attestato
di proprietà, dopo aver sbrigato varie pratiche. La decisione era
motivata con l'intento di restituire la Selva Lacandona ai suoi
«legittimi proprietari, diretti discendenti degli antichi maya» e
costituire una riserva ecologica, mentre in realtà gli scopi occulti
erano di carattere economico: ottenere il controllo delle risorse
forestali e petrolifere e del potenziale idroelettrico della zona. Nel
1977 la creazione di una «riserva della biosfera» che in parte si
sovrappone alla «comunità lacandona» e a sua volta minaccia di
espellere numerose comunità di coloni indios, suscita lo stesso genere
di reazioni. Fino allora, la lotta per l'assegnazione della terra
chiamava numerose famiglie a costituire una nuova comunità. Nella
seconda metà degli anni Settanta e nei primi anni Ottanta si aggiunge
una dimensione intercomunitaria: le comunità si uniscono per difendere
le loro terre e anche per ottenere condizioni migliori di produzione e
commercializzazione (trasporti, credito e così via) .
In questa fase la Union de Ejidos-Quiptic ta lecubtesel, «la Quiptic»
come la chiamano gli indios, integra le dimensioni economiche,
sociali, culturali e religiose tentando di fonderle insieme: perciò
Marcos ne sottolinea il carattere fondamentalista. La Quiptic si pone
come omogenea dal punto di vista etnico-linguistico (una sola lingua:
lo tzeltal), religioso (una sola religione: il cattolicesimo
rinnovato) e dell'organizzazione sociale. A coronamento del tutto,
commenta ironico il subcomandante, l'E.Z.L.N. finì per aggiungervi una
dimensione militare difensiva; vi sono tutti gli ingredienti per
costituire un comunitarismo armato.
Tuttavia la società indigena della frontiera di colonizzazione, e "a
fortiori" quella delle zone montuose, non era così omogenea né così
compatta, così impermeabile a logiche diverse, come avrebbero voluto i
seguaci della teologia della liberazione. Prima che si facessero
avanti gli zapatisti, il movimento degli indios era stato oggetto di
interessamento e di tentativi di occupazione e assoggettamento da
parte di numerose organizzazioni politiche, ufficiali, di opposizione
o di orientamento ambiguo. La Chiesa vedeva con preoccupazione
l'irruzione di simili gruppi in quella che considerava una propria
riserva di caccia, e si sentiva sprovveduta politicamente di fronte
alla «profusione di partiti politici che tenta[va]no di controllare i
processi evolutivi popolari e [a] una improvvisa irruzione di
oppositori del governo di ispirazione maoista» . Tuttavia, in
mancanza di quadri politici, la Chiesa stessa era ricorsa all'aiuto di
militanti, molti dei quali provenienti dal movimento messicano del
1968 e originari delle regioni centrali o settentrionali del paese.
Alcuni di questi avevano partecipato all'organizzazione del Congresso
indigeno, e poi alla costituzione dei primi organismi intercomunitari.
Negli ultimi anni Settanta fra i leader degli indios legati alla
diocesi e un gruppo maoista affiliato all'organizzazione, Politica
Popular-Linea Proletaria, ebbe inizio una sorta di braccio di ferro la
cui posta in gioco era il controllo della Quiptic. Successivamente
Samuel Ruiz ha dichiarato di aver introdotto lui stesso nel pollaio
quella particolare volpe . La creazione, a opera del gruppo, di
una «union de crédito», allo scopo di finanziare lo sviluppo delle
comunità, suscitò divisioni e conflitti in seguito ai quali i
dirigenti principali di Linea Proletaria furono espulsi. Con le loro
successive carriere in varie emanazioni del potere centrale questi
ultimi avrebbero convalidato le accuse di avere agito come «talpe» dei
settori del P.R.I., allo scopo di introdursi nelle comunità indigene
per costituirvi una clientela politica. Qualche anno dopo molti di
loro furono artefici del programma "Solidaridad", uno dei pezzi forti
della politica di Carlos Salinas.
La crisi della Union de Uniones, culminata nel 1982-83, provocò un
riflusso nel movimento degli indios; in tale contesto, pochi mesi dopo
l'uscita dei capi maoisti, l'E.Z.L.N., emanazione delle Fuerzas de
Liberacion Nacional (F.L.N.), stabilì il primo nucleo in una località
periferica, nel folto della Selva Lacandona (novembre 1983). Mentre i
maoisti aspiravano a mobilitare le masse, questo gruppo, di
ispirazione castrista e guevarista, pur richiamandosi alla storia
insurrezionale specifica del Messico, cominciava (o ricominciava)
secondo i più rigorosi principi della teoria dei "focos" [22]; e
soltanto nella seconda metà degli anni Novanta entra in contatto con
le comunità. In quel periodo, mentre il movimento degli indios, nelle
sue organizzazioni e nei suoi capi, doveva subire l'impatto di una
recrudescenza della repressione [23] e dell'aggravarsi dei conflitti
intestini, i guerriglieri organizzavano gruppi di autodifesa delle
comunità.
La penetrazione del movimento zapatista nella popolazione indigena va
di pari passo con la frammentazione del movimento sociale, che viene
sempre più represso, mentre il potere si adopera a cooptarne alcuni
membri, in particolare i dirigenti. Lo zapatismo è facilitato dalla
mediazione e dal sostegno di una parte del clero e di gruppi di
attivisti legati alla diocesi [24]. In un primo tempo il suo canale e
supporto principale è la Union de Uniones che nel 1988 diventa ARIC,
Asociacion Rural de Interès Colectivo . Ma ben presto la scelta
delle armi diventa motivo di discordia, esacerbando le tensioni fra
chi vuole radicalizzare la lotta per la terra e chi pensa di poter
ottenere con la trattativa condizioni più favorevoli alla produzione e
alla commercializzazione. Nell'ARIC si afferma sempre più la linea
legalitaria ed «economicista»; alla fine del decennio gli zapatisti,
esclusi dalla direzione, formano una organizzazione rivale, che si
stabilisce ne Los Altos, nel Nord dello Stato e, contemporaneamente,
nella Selva. Nel 1991 gli zapatisti formano la Alianza Nacional
Campesina Independiente Emiliano Zapata (ANCIEZ) su base nazionale.
Per un certo periodo l'ARIC e l'ANCIEZ, quest'ultima con maggior
decisione, hanno avuto un ruolo nell'«organizzare le masse», così
com'è avvenuto in Guatemala a opera del Comité de Unidad Campesina
(CUC) rispetto all'Ejército Guerrillero de los Pobres (E.G.P.).
«Dell'ANCIEZ facevano parte anche persone dell'E.Z. Era
un'organizzazione aperta, come diciamo noi, ma non poteva né trattare
né stringere accordi con il governo, come faceva l'ARIC. Era
clandestina, anche se aperta. Fu utilizzata per avvicinare un numero
più vasto di persone.» Tuttavia, i membri dell'ANCIEZ sarebbero stati
informati molto presto che lo scopo era costituire un esercito, e
quindi l'organizzazione di copertura fu abbandonata .
Il 1992, quinto centenario della scoperta dell'America, è anche l'anno
delle ultime manifestazioni civili dei settori più radicali del
movimento contadino indigeno.
- Il 7 marzo, diverse centinaia di indios chol, del Chiapas
settentrionale, intraprendono una marcia diretta alla capitale della
Repubblica [25]. Dalle autorità ottengono soltanto promesse, ma
suscitano una certa risonanza nel paese con la loro protesta contro la
repressione, la cattiva volontà e la corruzione dell'amministrazione,
contro la riforma dell'articolo 27 della Costituzione e contro il
disprezzo. I mille e più chilometri percorsi in otto settimane sono un
primo passo sulla via che conduce fuori dall'oblio.
- In diverse occasioni, e in particolare il 10 aprile, anniversario
della morte di Emiliano Zapata, migliaia di indios manifestano, in
varie località del Chiapas, sui temi già ricordati, e inoltre contro
il NAFTA, il trattato con gli Stati Uniti e il Canada, che all'epoca è
ancora soltanto in corso di negoziazione.
- il 12 ottobre una decina di migliaia di indios, per metà militanti
nell'ANCIEZ, celebrano i «cinquecento anni di resistenza» con
un'imponente marcia nelle vie di San Cristobal. Durante la sfilata
schiodano la statua di Diego de Mazariegos, fondatore nel sedicesimo
secolo della cittadina coloniale e simbolo di cinque secoli di
oppressione.
Queste azioni non manifestano tanto l'apogeo del movimento civile,
quanto la sua frattura, l'impossibilità di attenersi a una via
pacifica; a posteriori appaiono come i tre colpi che annunciano
l'entrata in scena della sollevazione armata.
- Le ragioni di una follia.
Il contesto generale in compenso è poco incoraggiante: crollo del
blocco sovietico, in Nicaragua sconfitta elettorale dei sandinisti
(febbraio 1990), accordi di pace nel Salvador (gennaio 1992) e
prospettive di pace in Guatemala. Con l'eccezione di alcuni gruppi e
individui, il personale della diocesi di San Cristobal, che aveva
vissuto da vicino i sommovimenti rivoluzionari dell'America centrale,
a questo punto sottolinea la propria distanza dagli zapatisti. In
ambito nazionale, una buona metà della popolazione si è messa a
sognare il primo mondo; molti intellettuali messicani, che un tempo
simpatizzavano con gli ideali rivoluzionari, sono ormai arrivati a
considerare il neoliberismo un orizzonte insuperabile.
Dall'esterno l'idea di un'insurrezione armata sembra pura follia;
quella di un movimento rivoluzionario radicato fra gli indios, poi,
appare addirittura inconcepibile (e tale la ritengono tuttora numerosi
osservatori, messicani o stranieri, secondo i quali gli indios
zapatisti non possono essere altro che manovrati da un agente
esterno).
In questa fase, tuttavia, non è la totalità degli indios del Chiapas,
e neppure di quelli della Selva Lacandona, ad abbracciare il progetto
dell'insurrezione. A parte le innumerevoli scissioni particolari che
incidono sulle comunità, i gruppi religiosi e le famiglie, si può
riconoscere una tendenza forte: la ribellione zapatista si è
sviluppata nello iato che separa le comunità tradizionali e le
piantagioni da certi settori deculturati, assimilati alla società
globale; essa mobilizza correnti in movimento nello spazio vuoto fra
questi due mondi, ma non in transizione dall'uno all'altro. In
particolare, questo vale nelle generazioni giovani che non hanno
conosciuto l'antico ordinamento e si vedono sbarrare le porte del
futuro.
Come in numerose rivolte analoghe, conosciute nella storia, anche
questa non riguarda gli strati più poveri e più legati alla
tradizione, ma proprio le frange che erano riuscite a strapparsi alla
povertà e a comunità semisgretolate che erano riuscite «a tirarsene
fuori» e che ora vedono minacciati o annullati i miglioramenti
ottenuti a prezzo di immensi sforzi: questa rivolta è frutto della
modernizzazione e della crisi stessa della modernità.
Liberandosi dalla morsa della vecchia comunità o della piantagione,
questi settori si sono aperti alla società, il che ha significato
emanciparsi, ma anche trovarsi in una condizione meno protetta nei
confronti dell'esterno a causa della rottura di meccanismi
clientelari. La colonizzazione e più in generale i programmi di
sviluppo delle comunità erano accompagnati - lo ricordiamo - da
un'apertura al mercato, che implica una diversificazione della
produzione, l'adozione di nuove tecniche, il ricorso al credito, la
commercializzazione; ne risulta un'economia non più del tutto
indigente ma fragile, che dipende in larga misura da fattori e agenti
esterni.
In realtà gli indios, in numero sempre maggiore, hanno adottato l'idea
dell'insurrezione armata perché lo sviluppo si è scontrato in seguito
con difficoltà o impossibilità di origine interna e di origine
esterna: la «riserva lacandona», il fiasco degli esperimenti condotti
dai maoisti, gli insuccessi di molte organizzazioni non governative
legate alla diocesi, le divisioni nella Union de Uniones-ARIC... Dal
canto suo, il potere oscilla fra vari imperativi contraddittori:
evitare che i disboscamenti dei colonizzatori distruggano del tutto la
foresta, tenere conto delle pressioni dei grandi allevatori ed
eventualmente delle istanze dei piccoli coltivatori, assicurare lo
sfruttamento o la conservazione delle materie prime. L'incoerenza
delle decisioni politiche assunte dal governo alimenta tensioni e
conflitti, che raggiungono l'apice alla fine degli anni Ottanta e al
principio del decennio successivo.
Poco dopo essere stato nominato presidente della Repubblica, Carlos
Salinas dà finalmente parziale soddisfazione alle comunità penalizzate
dalla creazione della «riserva lacandona» e dalla «riserva della
biosfera». Il Projecto Nacional de Solidaridad (Pronasol), strumento
principe della politica sociale e clientelare del nuovo presidente che
cerca di scavalcare il P.R.I., nel Chiapas e in particolare nelle
Canadas si traduce in una quantità non trascurabile di investimenti,
infrastrutture e attrezzature collettive (magazzini comunitari,
dispensari, scuole, rete stradale, camion, elettrificazione,
acquedotti, campi di pallacanestro...).
Tali benefici sono però filtrati dalla burocrazia corrotta e dalle
reti clientelari, e spesso arrivano alle comunità come gusci vuoti,
inutili o inutilizzabili (come l'impressionante ospedale costruito a
Guadalupe Tepeyac, in piena giungla, lasciato, dopo l'inaugurazione,
quasi privo di attrezzature e di personale), che contribuiscono a
esacerbare lo scontento e la frustrazione; e in ogni caso non bastano
a compensare gli effetti delle profonde evoluzioni dell'economia
nazionale e mondiale e delle scelte del governo che vanno nella stessa
direzione. In un contesto in cui il volume della popolazione dedita
all'agricoltura non diminuisce, anzi aumenta, i programmi sociali non
bastano a compensare la riduzione degli aiuti statali all'economia
contadina (soppressione dei crediti ai produttori e degli aiuti alla
commercializzazione) e il crollo dei prezzi.
In seguito al mancato rinnovo dell'accordo internazionale (1989), il
prezzo del caffè, che assicura il salario ai lavoranti stagionali
nelle piantagioni e un reddito a decine di migliaia di piccoli
piantatori in aziende familiari, fra il 1989 e il 1992 crolla a meno
della metà del valore iniziale. Anche l'allevamento, che per gran
parte dei coloni ha un ruolo chiave nel miglioramento dell'economia
contadina, entra in una grave crisi a causa delle importazioni, legali
o di contrabbando, e per l'indebitamento dei grandi allevatori. Con il
pretesto, non privo di fondamento, di lottare contro la deforestazione
del territorio, il potere centrale dello Stato e il governo federale
adottano vari provvedimenti per scoraggiare gli allevatori. Sebbene il
decreto approvato dal governo Salinas venga presentato come una misura
di carattere generale per la quale è legittimo invocare una
giustificazione ecologica, il divieto di abbattere gli alberi incide
in primo luogo su un'economia familiare che si fonda sul
disboscamento, sulla coltura dei terreni incendiati e sui fuochi di
legna per cucinare.
Ma il colpo più grave inflitto al processo di ammodernamento e di
sviluppo, l'espressione più provocatoria della «rivoluzione
neoliberista» nelle sue ripercussioni sul Chiapas, è la riforma
dell'articolo 27 della Costituzione. Si tratta di una decisione
capitale, promulgata nel febbraio 1992, che mettendo fine alla
ripartizione dei fondi agricoli e creando le condizioni per
smantellare gli "ejidos" annulla le speranze dei contadini senza terra
e degli affittuari precari di poter disporre di un podere da coltivare
in piena sicurezza. E' questo il principale detonatore
dell'insurrezione.
Nel Chiapas la riforma agraria è stata avviata con grande ritardo
negli anni Trenta, dal governo di L zaro C rdenas. In seguito i grandi
proprietari terrieri avevano ripreso il sopravvento e avevano
ricominciato a opporsi con forme ostruzionistiche. La «famiglia
chiapaneca» (così si autodefinisce l'oligarchia locale) conservava il
controllo di vasti territori, servendosi di prestanome per aggirare le
limitazioni imposte dalla legge alla proprietà fondiaria, ottenendo
l'appoggio di personaggi governativi, i quali spesso erano a loro
volta membri della «famiglia», e ricorrendo alla violenza. Dagli anni
Cinquanta in poi l'enorme fame di terre accumulata dai contadini
indios trova sfogo nella colonizzazione di Las Canadas e della Selva
Lacandona, che servivano quindi da valvola di sicurezza per i grandi
latifondisti.
Nonostante i conflitti per il possesso delle terre, o, per essere più
esatti, a causa di questi, avvenivano periodiche assegnazioni di
titoli di proprietà fondiaria, che riguardavano anche le aree di
colonizzazione, soprattutto alla vigilia delle elezioni; comunque mai
in numero adeguato a colmare un passivo fondiario [26] ancor più
aggravato dal ritmo sostenuto della crescita demografica, e tuttavia
sufficiente per mantenere viva la speranza dei diseredati. Nei primi
anni Novanta, oltre un quarto delle domande per l'assegnazione di
fondi agrari provenienti da tutto lo Stato messicano e rimaste inevase
riguardava il solo territorio del Chiapas. Con la revisione
dell'articolo 27 la riforma agraria sembrava condannata a rimanere per
sempre incompiuta.
Questa volta il sogno era davvero infranto: il sogno di insediare
nella Selva comunità autonome, emancipate dai grandi proprietari,
dagli intermediari, dai rappresentanti del potere; il sogno di una
«società malgrado lo Stato» (il potere, che aveva tergiversato e si
era dimostrato poco disponibile, quando addirittura non aveva
moltiplicato gli ostacoli, ormai minava alla base una delle condizioni
che avevano permesso di sognare la terra promessa); il sogno di
disporre di un palmo di terra senza che nessuno potesse interferire,
condizione indispensabile alla sopravvivenza e alla libertà, alla
possibilità di costruire un futuro per i figli. La terra che era stata
conquistata e resa coltivabile con tanta fatica rischiava anch'essa di
sfuggire di mano. Che cosa poteva esserci di più intollerabile?
Era normale che i politici tradizionali e i burocrati delle
amministrazioni agrarie sfruttassero per i propri obiettivi e
interessi privati l'aspirazione dei contadini a possedere le terre. I
tecnocrati che formulano le nuove strategie politiche considerano
l'attaccamento alla terra un semplice sintomo di ritardo culturale e
una causa di sottosviluppo; non si rendono conto che nel Chiapas esso
è stato motore di sviluppo e di ammodernamento della società india.
Arturo Warman, esperto della riforma agraria messicana, un tempo
difensore dei contadini e oggi appartenente agli artefici della svolta
neoliberista, non riesce a capire che la rivolta zapatista sia nata
per una dinamica interna di quella società india. A suo giudizio,
l'investimento pubblico in progetti sociali ed economici nel Chiapas
non è mai stato così ingente né ha avuto un orientamento più corretto
che sotto il governo Salinas . Questo significa volersi chiudere
in una doppia cecità; l'insurrezione deriva da un movimento profondo
che si è scontrato con la repressione e la crisi; le risorse
distribuite dallo Stato federale con il Pronasol e altri programmi
sono rimaste sotto il controllo delle autorità regionali [27] e
difficilmente potevano compensare l'aggressiva politica neoliberista.
La ribellione contro l'oblio aveva già scavato un solco molto
profondo; non poteva essere tenuta a freno da palliativi, ed era
destinata a esplodere per effetto di decisioni che chiudevano la porta
alla speranza.
Nei primi anni Novanta la crisi e la repressione avevano portato
consistenti settori della popolazione india a unirsi al movimento
armato. La riforma dell'articolo 27 li fece decidere per
l'insurrezione; così come non fu un caso che questa scoppiasse il
primo gennaio 1994, nella data in cui entrava in vigore il NAFTA. Oggi
sappiamo come si sia alzato il vento della rivolta, e come il potere
stesso abbia dato fuoco alle polveri per non aver saputo prevedere una
simile reazione. Ma un'insurrezione di questo genere non si sarebbe
potuta verificare se il movimento indio non si fosse combinato con un
altro fattore, il movimento della guerriglia, e se quest'ultimo non
avesse subito una metamorfosi. LA METAMORFOSI DELLA LOTTA ARMATA
Ennesima edizione del castro-guevarismo, dopo Cuba, dopo i movimenti
dei "focos" di guerriglia degli anni Sessanta, dopo i guerriglieri
urbani del Cono meridionale? L'ultima guerra centroamericana?
Marcos dichiara con insistenza che il movimento zapatista non ha avuto
il minimo appoggio dai guerriglieri dell'America centrale e neppure
dagli altri movimenti latinoamericani; e semmai ne ha infastidito e
irritato alcuni, in particolare quello guatemalteco, per il quale il
Messico era una base di retroguardia o un sostegno.
Simili affermazioni non esauriscono l'argomento; è compito degli
storici chiarire eventuali contatti e rapporti fra i fondatori
dell'E.Z.L.N. e Cuba e le organizzazioni rivoluzionarie
centroamericane. Ma un problema più significativo, e centrale nella
conversazione che segue, è sapere come lo zapatismo si definisca
rispetto a quei movimenti di liberazione nazionale che negli ultimi
decenni, dalla rivoluzione cubana a quella sandinista, fino all'E.P.R.
messicano, hanno segnato la storia dell'America latina.
La risposta di Marcos è duplice: riconosce una affinità e insieme
rivendica una forte originalità.
- L'ultima guerra dell'America centrale?
L'influsso dei movimenti rivoluzionari latinoamericani è palese
nell'uso di determinati simboli e in certe scelte lessicali: i colori
rosso e nero, la denominazione «esercito di liberazione nazionale».
Concetti quali il socialismo, la lotta di classe, la dittatura del
proletariato sono rimasti a lungo nei testi e nelle dichiarazioni di
vari membri o simpatizzanti dell'E.Z.L.N. prima di essere eliminati o
annacquati [29]. Le operazioni militari del gennaio 1994, in
particolare la battaglia di Ocosingo, non possono non ricordare
l'insurrezione sandinista del luglio 1979 e l'estrema offensiva
lanciata nel novembre 1989 dal Fronte Farabundo Marti nella capitale
salvadoregna, due giorni dopo la caduta del muro di Berlino [30]. Vi
sono tuttavia enormi differenze, fra le quali occupa un posto di
rilievo il carattere meno «strategico», più disperato, più suicida,
della rivolta zapatista. Quest'ultima dal punto di vista politico-
militare non regge davvero il paragone con i precedenti citati; la sua
forza, anche quella militare, è soprattutto simbolica [31].
L'E.Z.L.N. è nato nella Selva Lacandona, che prosegue in territorio
guatemalteco con l'Ixc n, dove dieci anni prima era sorto l'E.G.P.
Quando si formò il primo nucleo zapatista (novembre 1983), decine di
migliaia di indios maya, che i guerriglieri guatemaltechi
consideravano parte della propria «base sociale», si erano da poco
rifugiati in Messico per sfuggire a una campagna controinsurrezionale
di efferata crudeltà. L'E.G.P. conservava la propria influenza sui
campi profughi sorti lungo il confine; nel 1984, però, il governo
messicano smantellò i campi, deportando quasi tutti i profughi a molte
centinaia di chilometri di distanza, negli Stati del Campeche e del
Quintana Roo. Le contiguità spaziotemporali, ma anche certi caratteri
comuni nel reclutamento, nell'armamento, nel modo di presentarsi, nei
rapporti con le organizzazioni sociali (come si è visto, per qualche
tempo l'ARIC, e soprattutto l'ANCIEZ, sono state per l'E.Z.L.N. quello
che il CUC era stato per l'E.G.P.), hanno indotto diversi osservatori
a ipotizzare l'esistenza di stretti legami fra il movimento di
guerriglia del Chiapas e quello guatemalteco; e in particolare con
l'E.G.P., in quanto l'ORPA, che associava riferimenti etnici e
nazionali così come il movimento zapatista, era per altri versi più
lontana. Peraltro, tutto induce a credere a Marcos quando sostiene che
i guerriglieri guatemaltechi non vedevano di buon occhio la nascita di
un movimento armato in una regione di cui essi si servivano come luogo
di rifugio e di transito.
Senza dubbio i punti di similitudine fra i due movimenti si spiegano
piuttosto con le analogie nel contesto sociale, culturale e religioso,
e non per una diretta influenza fra le due organizzazioni, in ambito
ideologico o strategico. Entrambi riconoscevano certo una loro
affinità con il guevarismo e il sandinismo, ma il movimento
guerrigliero guatemalteco, in trent'anni di vita, e anche nella fase
in cui era penetrato in ampi settori della popolazione india delle
montagne (1979-82), non l'aveva mai rivelata in operazioni come
l'occupazione di città o di grossi centri abitati per le quali
l'E.Z.L.N. è diventato celebre. Soprattutto a partire da questo
momento, nella fase successiva al primo gennaio 1994, lo zapatismo si
colloca agli antipodi del modello negativo guatemalteco, che
costituisce una delle due esperienze di lotta armata più fallimentari
tra quelle emerse in America latina negli ultimi decenni [32].
L'insurrezione zapatista si verifica nel momento in cui il movimento
rivoluzionario sembra aver toccato il fondo, in America latina e su
scala mondiale. Tom s Borge, vicino a Fidel Castro e capo dell'ala più
leninista del sandinismo, nel 1993 pubblica un libro per esaltare
Carlos Salinas, araldo del neoliberismo e artefice dell'ingresso del
Messico nel NAFTA . Nel dicembre dello stesso anno il brillante
politologo messicano Jorge Castaneda pubblica un'opera in cui constata
la fine delle lotte armate rivoluzionarie nell'America latina .
Se guardiamo a certi suoi giudizi sui motivi della decadenza del
sistema sovietico, e su Cuba, Marcos non sembra offrire una
valutazione adeguata di quello che hanno rappresentato i regimi
comunisti. In compenso, però, ha tratto le conseguenze dalla loro
scomparsa. Il muro di Berlino ha trascinato nel suo crollo i movimenti
rivoluzionari dell'America latina, di cui quello salvadoregno ha fatto
brillare gli ultimi fuochi. Nei movimenti che sono sopravvissuti, in
Colombia o in Perù, quanto resta di ideologia marxista e di prassi
leninista è un tenue paravento che non riesce a coprire l'esercizio
violento del potere, le pratiche mafiose e la chiusura in un orizzonte
regionale o tutt'al più nazionale.
Gli zapatisti invece possono attingere alle fonti di altri due nuclei
dell'immaginario: indio e messicano.
- Viva Vot n-Zapata! Un'insurrezione sociale ed etica.
Al discorso e alle pratiche leniniste si è sostituita l'insurrezione
armata sociale e morale; si è passati dalla mobilitazione di un agente
sociale da parte di un'avanguardia politica e militare alla pratica
del segreto e della clandestinità condivisi nell'ambito della
comunità. Il movimento di guerriglia costituito da un pugno di
professionisti della rivoluzione si è trasformato in un movimento
comunitario armato, in cui i combattenti, a parte un ristretto nucleo
di quadri militari e politici, sono contadini che prendono le armi (il
più delle volte vecchi fucili malandati) per la durata
dell'insurrezione, dopo di che tornano alle proprie occupazioni
abituali, come facevano i contadini soldati di Emiliano Zapata.
Che Guevara tende progressivamente a ridursi a un punto di riferimento
etico, l'immagine del ribelle a oltranza. Viceversa, la figura di
Emiliano Zapata è più imponente e ha maggiore risonanza agli occhi dei
messicani e degli indios contadini (anche se essi sono di origine maya
e quindi periferici rispetto alla società messicana, sia in epoca
precolombiana, sia durante la colonizzazione o nel corso della
Rivoluzione).
Il modello insurrezionale di stampo messicano e il radicamento nella
comunità india hanno avuto la meglio sull'avanguardismo leninista o
guevarista. La figura centrale di riferimento diventa quella di Vot n-
Zapata, personaggio sincretico in cui si fondono due figure tutelari,
di due difensori delle terre delle comunità. Vot n, personaggio
leggendario che secondo lo storico Antonio Garcia de Leon presso
alcuni indios chiapanechi riveste appunto tale funzione, si incarna in
Zapata, l'eroe della Rivoluzione messicana, tornato questa volta con
un progetto politico nazionale, sebbene neppure oggi il suo obiettivo
sia di impadronirsi del potere. Il risultato è questa nuova - e
fragile - lega: lo zapatismo.
Negli anni Novanta il progetto di ridare vita all'esercito di Zapata e
il richiamo alla famosa Division del Norte potevano passare come
fantasticherie romantiche accarezzate da qualche intellettuale
insoddisfatto dal troppo prosaico presente messicano e ben lontano
dalle realtà del Chiapas. Marcos racconta per quali intermediari, e
partendo da quali fratture, da quali conversioni, il sogno sia stato
fatto proprio da una porzione considerevole degli indios che popolano
il Chiapas; come tale sogno abbia trovato un principio di
realizzazione nella resistenza e nella ribellione degli indios, e come
per tale incontro si sia trasformato, prima di mutare una seconda
volta dopo lo scontro con la società nazionale.
- Un movimento di antiguerriglia.
La continuità, se c'è, sarebbe semmai quella del movimento indio; ma
anche in quel caso, come si è visto, sono le divisioni e le crisi a
provocare il passaggio da un movimento di emancipazione e
modernizzazione (il movimento articolato secondo la prospettiva e
l'organizzazione del Congresso indigeno del 1974, e in seguito nel
prolungamento di questo) a un movimento insurrezionale.
Dopo il suo spettacolare disvelamento, dopo l'impatto formidabile
dell'insurrezione, quello zapatismo ha subìto a sua volta una
sconfitta, non militare, ma civile, inflitta dalla società civile e
anche dal potere (una cosa che gli zapatisti non riconoscono
volentieri) attraverso la decisione del governo di nominare un
negoziatore, nella persona di Manuel Camacho Solis, e di decretare un
armistizio. La strategia zapatista dello scontro armato è vanificata
da un lato dal rifiuto degli altri settori della società di seguire
gli zapatisti su questo terreno e, dall'altro, dal rifiuto del potere
di stare al gioco della polarizzazione: in effetti la decisione di
Salinas non si spiega tanto con una pressione esercitata dalla società
civile, quanto con il timore di ripercussioni internazionali e con la
volontà di salvare il proprio progetto e la propria immagine.
Così lo zapatismo si trova bloccato nel suo slancio; facendo irruzione
sulla scena nazionale, il movimento zapatista scopre un paese
diversissimo da quello che aveva immaginato, e ciò lo destabilizza.
Comincia quindi una conversione che ancora non si è compiuta, la
trasformazione del movimento armato in un soggetto politico; compare
un «neozapatismo» o, se si vuole, un terzo zapatismo, che era già
contenuto, in nuce, nel precedente.
Il progetto politico-militare ha lasciato il posto a un movimento
comunitario armato che cerca esso stesso di trasformarsi in movimento
civile. In questa fase, cominciata nel 1994 e tuttora in corso,
persistono le dimensioni della resistenza e della rivolta armata; ma
la violenza è contenuta, dominata e mirata allo scopo di far nascere
una forza civile, che non avrebbe tanto il fine di rovesciare la
piramide del potere, quanto di inventare un sistema e una cultura
politica al servizio della società, della base.
Alcuni mesi dopo l'insurrezione, Jorge Castaneda confermava la sua
tesi sull'eclisse delle lotte armate rivoluzionarie e vedeva nello
zapatismo un movimento di carattere squisitamente politico:
«L'esercito zapatista non è una trasfigurazione messicana dell'eroico
guerrigliero; i suoi membri sono eroici, ma non sono guerriglieri»
[33]. Non che si voglia dispiacere a Marcos, ma gli stessi zapatisti
sembrano sforzarsi di dare ragione a Castaneda. Lo zapatismo non è,
non è più, un movimento di guerriglia; neppure una «guerriglia con
altri mezzi» . E' un movimento armato (poveramente) che dice no
alla guerra, alla teoria dei "focos" dei suoi iniziatori guevaristi,
ma anche alla guerra popolare prolungata cara ai maoisti, e persino
alla guerra insurrezionale proclamata nella sua prima dichiarazione
pubblica. Mettendo da parte le dispute ideologiche e strategiche, ciò
che i movimenti di guerriglia rivoluzionaria latinoamericani degli
ultimi decenni avevano in comune, tutti, senza eccezione, era
l'obiettivo di conquistare il potere statale con le armi.
Gli zapatisti di oggi dichiarano di voler scomparire come
organizzazione di lotta armata, e di non volere per sé nessuna
posizione di potere; ciò li avvicina agli zapatisti del primo
Novecento: ma lo Zapata che popola il loro immaginario non può bastare
a definire una proposta adeguata al Messico del ventunesimo secolo.
Alla luce delle passate esperienze, è relativamente facile individuare
il progetto politico-militare iniziale dell'E.Z.L.N. attraverso un
meccanismo di similitudini e differenze. Allo stesso modo, è possibile
analizzare il cocktail zapatista, emerso d'un tratto il primo gennaio
del 1994; si può addirittura capire che l'insurrezione, nata
dall'incontro fra un'organizzazione rivoluzionaria e un movimento
comunitario, abbia avuto mire e portata nazionali; ma qual è il
progetto dello zapatismo successivo al 1994?
DEMOCRAZIA, COMUNITA' E NAZIONE
Non si può scartare l'ipotesi di una regressione, di un ritorno
dell'ideologia e delle antiche pratiche rivoluzionarie, stemperate
nell'esperienza dell'alterità: ma questo comporterebbe il fallimento
dello zapatismo, il segno che quanti erano partiti alla ricerca di un
nuovo continente hanno fatto naufragio, e sono stati recuperati da
quello che ancora sussiste dei vecchi apparati, dagli specialisti dei
viaggi su percorsi segnalati, organizzati sulle rotte del potere.
Gli zapatisti, infatti, invitano a lanciarsi nell'avventura, a mollare
gli antichi ormeggi senza avere nessuna certezza né della meta, né dei
mezzi per raggiungerla. «Benvenuta l'indeterminatezza» proclama
Marcos, e subito si riprende: non si può pretendere di diventare un
movimento sociale e politico, e nello stesso tempo rimanere ancorati a
una posizione estetica.
Nonostante una certa vaghezza, lasciando da parte evoluzioni,
fluttuazioni, sfumature e contraddizioni, il pensiero e l'azione del
neozapatismo si articolano intorno ad alcuni interrogativi forti,
riguardanti il potere, la democrazia, il sistema politico, la società
civile, la comunità, la nazione, la comparsa di un soggetto nuovo.
- Le questioni sollevate dal potere.
Secondo Marcos, fin dalle origini l'E.Z.L.N. avrebbe preso le distanze
dal progetto di impadronirsi del potere; a quanto egli dice, gli
zapatisti, anche quando sognavano ancora la rivoluzione socialista,
non pensavano di essere destinati a esserne le levatrici, e men che
meno gli artefici o i beneficiari; speravano che un giorno altri
avrebbero fatto la rivoluzione e di poter dare, per quanto li
riguardava, il loro contributo.
La caratterizzazione india, l'«inculturazione» del movimento (in
Messico come altrove, è raro che gli indios aspirino a impadronirsi
del potere statale), il crollo dei punti di riferimento rivoluzionari
esterni e il rifiuto della società civile di intraprendere il cammino
dell'insurrezione hanno sconvolto i progetti degli zapatisti. La
prospettiva di distruggere il potere attuale con la lotta armata e di
edificare il socialismo è scomparsa dall'orizzonte. Come l'hanno
sostituita? E l'hanno sostituita?
Proponendosi di creare un ramo civile - il Fronte zapatista di
liberazione nazionale - il movimento zapatista nega di voler far
nascere un partito politico, e i candidati a far parte di tale
organizzazione devono rinunciare a cercare di procurarsi cariche
elettive o nomine governative, a qualsiasi livello. «Perché dovremmo
essere un partito politico? Non ce ne sono già abbastanza? Non
riescono a capire che un movimento politico possa non essere
interessato al potere politico?» .
Ma che cosa è un soggetto politico che non cerca il potere? E' forse
possibile prenderlo sul serio (soprattutto quando è esso stesso a
rifugiarsi nell'umorismo e nell'autoironia)? Agli occhi delle
autorità, degli uomini politici «realisti», del sistema politico nel
suo complesso, compresa la sinistra di Stato, spesso gli zapatisti
appaiono idealisti, teneri sognatori. L'Esercito popolare
rivoluzionario li definisce «poeti-guerriglieri». «La politica»
afferma questo movimento «serio» di guerriglieri «non è la
continuazione della poesia con altri mezzi.» Non è stato lo stesso
Marcos a definire un poema la presa di San Cristobal?
Come si fa a cambiare la politica senza prendere il potere? La volontà
di conciliare radicalismo e apertura spesso induce gli zapatisti ad
assumere, in politica, posizioni esitanti e confuse. Tuttavia da
questa tensione nascono la loro originalità e inventiva. Troppo spesso
i tentativi di riforma o di rivoluzione sono precipitati nel mimetismo
e nella cooptazione, o hanno dato vita a poteri più mostruosi di
quelli che pretendevano di sostituire. Octavio Paz, che insieme con
altri chiede agli zapatisti di «rientrare nel gioco» («Se Marcos e i
suoi partigiani, nel Chiapas e nel resto del paese, vogliono
sopravvivere come forza politica, devono trasformarsi in un nuovo
partito politico o associarsi a uno di quelli già esistenti») (4), sa
meglio di chiunque altro che i progressi della democrazia e del
riconoscimento di nuovi soggetti sono sempre preparati dai dissidenti;
Paz può anche capire che Marcos esiti a inoltrarsi su un terreno che
soprattutto nel Messico è viziato e minato. Ma è altrettanto vero che
la tentazione della purezza può condurre all'impotenza e alimentare
utopie assassine e suicide.
Da quando si è innestato nelle comunità, lo zapatismo è un movimento
che ha per obiettivo l'uscita dal «Deserto della Solitudine» e
l'apertura di un varco sulla scena nazionale, pur continuando a
coltivare la base india (le radici, la radicalità). Nella difficile
ricerca del «passaggio a nordovest» da parte degli insorti del Sudest
messicano, si associano l'affermazione di un ideale di democrazia
comunitaria, l'istanza di apertura del sistema politico e l'appello
alla ricomposizione della nazione.
- Comandare obbedendo alla parola comune.
«Quando l'E.Z.L.N. era solo un'ombra che si trascinava tra la nebbia e
l'oscurità delle montagne, quando giustizia, libertà e democrazia non
erano che parole. Appena un sogno che gli anziani delle nostre
comunità, veri guardiani delle parole dei nostri morti, ci avevano
affidato nel momento esatto in cui il giorno cede il passo alla notte,
quando l'odio e la morte iniziavano a crescere nei nostri petti,
quando quasi non era più rimasta speranza. Quando i tempi si
ripetevano, senza via d'uscita, senza un domani, quando più niente era
giusto, hanno parlato gli uomini leali, i senza volto, quelli che si
muovono nella notte, quelli che sono la montagna e hanno detto:
Gli zapatisti offrono molteplici varianti del tema della democrazia
comunitaria. Marcos, riecheggiando i compagni indios, afferma: «Si
dovrebbe pretendere ... che le strutture giuridiche federali, statali
e municipali si sottomettano al nostro governo perché noi siamo più
avanti nel campo delle conquiste democratiche di quanto non lo sia la
forma di governo che le autorità ci propongono» ; con questa
dichiarazione il subcomandante si riferisce essenzialmente alla sfera
locale, ma talvolta gli zapatisti danno ad affermazioni analoghe una
portata più generale. Nelle conversazioni che seguono, tuttavia,
Marcos si mostra più riservato, e talvolta nettamente critico, circa
la pratica del consenso ("acuerdo"), mentre il comandante Tacho ne
tesse le lodi.
In che cosa consiste una simile «democrazia comunitaria»? Può essere
generalizzata al complesso della società messicana? Non è forse una
pericolosa utopia? Il movimento zapatista è in sé democratico nel suo
funzionamento interno e nei suoi rapporti con le popolazioni delle sue
zone di influenza?
Secondo una versione semplificata e idealizzata, nelle comunità indie
tradizionali le decisioni sarebbero prese in assemblea, dopo lunghe
discussioni. In realtà le forme comunitarie di governo sono tutt'altro
che democratiche. Il fatto che dalle assemblee scaturisca una «parola
comune» non vieta che le decisioni sulle questioni essenziali siano
prese da singoli individui o da piccoli gruppi. Il sistema di governo
consueto può definirsi una gerontocrazia maschile: un sistema di
autorità (il sistema delle cariche) gerarchico e verticista, dominato
dai "principales" e dagli sciamani, e manovrato dai cacicchi che
assicurano il collegamento con il sistema politico nazionale. La
pratica del consenso comunitario si accompagna a forme di violenza
simbolica e spessissimo di violenza fisica; esclude la dissidenza,
l'astensione, il conflitto, e inoltre vieta la partecipazione delle
donne al dibattito e alle decisioni [35].
Non è da simili comunità che nasce il movimento zapatista, sebbene gli
accada di idealizzare la «consuetudine» (la tradizione) o di rimanere
piuttosto sul vago a questo proposito. In sostanza le sue basi
appartengono a settori indigeni che hanno rotto con la tradizione,
oppure sono fuggiti da un altro sistema chiuso, quello delle
piantagioni. Abbiamo visto come in tal modo si siano costituite nuove
comunità, compattate intorno a una volontà collettiva che spesso è
intollerante nei confronti delle opinioni dei singoli o delle
minoranze («quello che va bene per il più gran numero va bene per
tutti»), ma alla quale è sottesa l'esigenza di estendere la
partecipazione al maggior numero di persone, l'esigenza
dell'uguaglianza e dell'autonomia. I "principales" e gli sciamani
hanno perduto potere; i consigli degli anziani sono stati sostituiti
da autorità elette dalla comunità nella generazione dei catechisti,
degli uomini dai venti ai quarant'anni.
Per creare una società libera non basta emanciparsi dai legami di
dipendenza interni ed esterni, e nelle nuove comunità la pratica del
consenso può rivelarsi soffocante quanto il modello autoritario
tradizionale. Marcos imputa la mancanza di democrazia nelle comunità
pionieristiche della Selva con le esigenze imperative della
sopravvivenza, alla necessità, negli anni dell'esodo e
dell'insediamento, di porsi come un corpo compatto di fronte alle
aggressioni dello Stato, dei grandi proprietari e degli intermediari.
Lo zapatismo stesso, rafforzando l'autoritarismo del consenso con
quello delle armi, ha manifestato una forte tendenza al comunitarismo,
e qualche difficoltà a gestire, anzi ad accettare, punti di vista
diversi o contrari ai propri. Per scongiurare tale rischio, Marcos
propugna l'estensione del voto, la partecipazione delle donne e la
possibilità di tener conto delle opinioni minoritarie, non solo per la
costituzione di un pensiero e di un sentimento comuni, come si dice
nel testo citato sopra, ma per realizzare una democrazia che riconosca
la legittimità dei vari punti di vista e del conflitto. Marcos afferma
che per diventare democratiche le comunità devono aprirsi alla società
globale e confrontarsi con modalità di consultazione e di formulazione
delle decisioni diverse da quelle a loro consuete. Lo zapatismo stesso
si democratizza e diventa fattore di democratizzazione nella misura in
cui si inserisce in questo movimento e contribuisce ad accelerarlo. Il
suo affacciarsi sulla scena nazionale nel 1994 ha rappresentato una
svolta decisiva anche sotto questo aspetto; ma la democrazia non è
compatibile con la guerra, e Marcos riconosce che lo zapatismo potrà
essere democratico soltanto quando sarà convertito in un soggetto
politico nell'ambito della società civile [36].
L'ideale zapatista di una democrazia pluralista presume quindi la
convergenza di due movimenti: la democratizzazione delle comunità
attraverso il confronto con gli altri settori della società civile
messicana; e quella della società nazionale, ispirata al principio del
"mandar obedeciendo" e condizionata da una profonda riforma del
sistema politico, in cui sia compreso il riconoscimento delle forme
comunitarie di elezione e rappresentanza.
- Aprire il campo della politica.
Tuttavia, far saltare il meccanismo di identificazione fra Stato e
P.R.I. è soltanto la condizione minima, necessaria ma non sufficiente,
della democratizzazione. Se è vero che nel Messico postrivoluzionario
il potere si è sempre appoggiato su un partito praticamente unico, non
si è mai appiattito del tutto su di esso. La chiave di volta del
sistema è il presidente: Carlos Salinas aveva cominciato l'impresa, se
non di frantumare il P.R.I., almeno di ridurne il potere e
l'influenza. Si sono pensate altre formule, più o meno autoritarie
rispetto a quella del partito-Stato o del presidente onnipotente, e si
è cominciato a sperimentarle. Da un lato assistiamo ai progressi di un
multipartitismo che per il momento è ancora contenuto e controllato:
il P.R.I. tende sempre più a lasciare posti di sindaco, di governatore
e, in casi più eccezionali, frazioni del potere federale, nelle mani
dell'opposizione di destra, rappresentata dal Partido de Accion
Nacional (PAN) o, più raramente, in quelle dell'opposizione di
sinistra riunita nel Partito della rivoluzione democratica; d'altro
lato i militari, che sotto il governo assoluto del P.R.I. erano
relegati in secondo piano, oggi occupano sempre più spesso posizioni
di potere.
Gli zapatisti continuano a reclamare un «governo di transizione alla
democrazia» e l'apertura dello spazio politico. Non respingono (non
respingono più) le istituzioni e i soggetti esistenti, salvo quelli
che considerano eletti in modi fraudolenti: a differenza di Salinas,
Zedillo non viene denunciato come illegittimo e usurpatore. Chiedono
che si accettino altre regole del gioco, che venga lasciato posto a
soggetti e prassi diversi, e in primo luogo alla «società civile»,
ovvero all'insieme delle associazioni e organizzazioni indipendenti
dal potere e dai partiti.
Lo zapatismo vuole essere un movimento che agisce dall'esterno sulle
componenti del sistema politico, propugnando il dialogo senza altre
condizioni che quelle poste dagli interlocutori: «Noi rispettiamo
quelli che ci rispettano. Noi non apriamo la porta a coloro che ci
disprezzano». Dal 1994 fino alla riforma elettorale del 1996, che
precisa le regole di un limitato multipartitismo [37], il dibattito
politico è stato in buona parte attraversato dalla questione del
Chiapas, e Marcos immagina (sbagliando?) che per le elezioni
legislative del luglio 1997 i candidati verranno a chiedere agli
zapatisti il sigillo morale che a loro manca.
Lo sforzo di trovare un equilibrio fra radicalismo e apertura,
percettibile nei rapporti fra zapatismo e soggetti politici nazionali,
si nota anche nelle fluttuazioni, esitazioni e mancanza di tratti
definiti che lo zapatismo manifesta sulla scena politica locale e
regionale. Tradizionalmente il Chiapas esprimeva un elettorato legato
mani e piedi al partito al potere. Miguel de la Madrid e Carlos
Salinas, candidati ufficiali alla presidenza della Repubblica
rispettivamente nel 1982 e nel 1988, vi hanno ottenuto le percentuali
più alte, uno schiacciante 90 per cento. Allo stesso modo il P.R.I.,
strumentalizzato dall'oligarchia regionale, non aveva avversari degni
di questo nome nelle elezioni municipali e quando si trattava di
eleggere deputati e senatori o il governatore dello Stato; le rare
velleità di emancipazione erano subito soffocate. A differenza di
quanto succede in Guatemala o nello Stato messicano di Oaxaca, il
movimento di emancipazione e di modernizzazione degli indios del
Chiapas aveva prodotto soltanto rari tentativi di occupare cariche
municipali. Un anno prima dell'insurrezione, un osservatore in visita
in un villaggio destinato a divenire feudo zapatista scriveva: «Gli
abitanti non hanno ancora preso la politica nelle proprie mani, sono
tutti passivi e non si entusiasmano per le cariche municipali» .
Le lotte vertevano principalmente su rivendicazioni economiche e
sociali, e pur contribuendo a sconvolgere i rapporti di potere
all'interno delle comunità, salvo eccezioni lasciavano intatte le
strutture ufficiali del potere. Così il movimento conservava una
relativa «invisibilità» per le istanze politiche regionali e
nazionali, agli occhi delle quali l'indio era apolitico e manovrabile
in modo essenziale e irrimediabile. Gli «indios politicizzati», di cui
Marcos sottolinea il ruolo nel costituire e sviluppare il movimento
armato degli anni Ottanta, potevano essere soltanto eccezioni, singoli
individui acculturati e manovrati da meticci «cattivi».
Il movimento zapatista ha permesso che un gran numero di indios
diventassero coscienti del fatto che per soddisfare le loro richieste
occorrevano mutamenti politici nelle strutture municipali, di ciascuno
Stato, e della Federazione messicana. Ma l'irruzione in quattro
capoluoghi nel gennaio 1994, e in seguito l'occupazione di numerosi
altri municipi nel dicembre dello stesso anno, hanno soprattutto
conferito visibilità e peso politico a soggetti che fino a quel
momento erano rimasti nell'ombra e non avevano esistenza politica.
Tali azioni hanno aperto una breccia in cui si sono insinuate diverse
espressioni del rifiuto e della dissidenza, anche in ambito
elettorale; durante le elezioni generali del 1994 e quelle municipali
del 1995 l'E.Z.L.N., secondo i luoghi e secondo i casi, ha esortato
all'astensione, a votare scheda bianca oppure un candidato
dell'opposizione, in genere il candidato del Partito della rivoluzione
democratica. Non è pertanto possibile valutare il suo peso elettorale.
Quello che tuttavia si può sostenere è che i risultati - brogli o non
brogli - sono stati inferiori alle aspettative anche se nel Chiapas la
netta affermazione dell'opposizione e la conseguente apertura di un
relativo spazio politico possono considerarsi un effetto
dell'insurrezione.
Anche se non è più il «serbatoio di voti» del P.R.I., il Chiapas è ben
lontano dall'essersi trasformato in quel «laboratorio della
democrazia» promesso da Manuel Camacho quando era delegato a trattare
per la riconciliazione e la pace.
- Rivoluzionari democratici.
Più ancora che «riformisti armati» (Jorge Castaneda), gli zapatisti
sono «rivoluzionari democratici» (Alain Touraine). Si potrebbero anche
definire sognatori realisti, o radicali pragmatici; di fatto
propugnano un radicale mutamento operato attraverso vie da inventare a
mano a mano che si procede verso l'obiettivo. Una simile posizione,
piuttosto scomoda, sconcerta i dogmatici ed elude le classificazioni.
La sinistra europea, che proietta sullo zapatismo i propri schemi, non
riesce a vederne - sia la sua cecità consapevole o inconsapevole - ciò
che lo rende originale. Le loro posizioni sulla questione del potere
allontanano gli zapatisti da ogni variante del leninismo; e se certe
correnti libertarie possono riconoscervi alcuni loro temi, e sognare
di avere nei loro confronti il ruolo che ai primi del secolo i
discepoli di Ricardo Flores Magon [38] ebbero presso Zapata, gli
anarchici radicali rimarranno inevitabilmente irritati e delusi dal
fatto che gli zapatisti lascino tanto spazio al potere, ai partiti e
agli altri soggetti politici istituzionali, in una fase transitoria di
cui non si definisce la durata... e forse anche oltre. Per non parlare
dei loro ripetuti richiami alla Costituzione e alla patria [39].
- Identità etnica e identità nazionale.
Si tratti del potere e della democrazia, delle questioni economiche
suscitate dall'ingresso nel NAFTA e dall'estensione del neoliberismo,
o del carattere indio dello zapatismo, l'identità messicana è sempre
all'ordine del giorno.
L'insurrezione scoppiata alla frontiera meridionale può essere vista
come l'effetto di un moto pendolare, prodotto dalla prospettiva di
aprire la frontiera settentrionale. A un livello più profondo induce a
chiedersi: che cosa è oggi il Messico? quale futuro ha la messicanità
nel Grande Mercato? come si può reinventare la nazione nell'epoca
dell'internazionalizzazione dell'economia e della cultura?
In Guatemala gli indios affermano sempre più la loro individualità
maya: proclamando la propria appartenenza a una cultura e a una
civiltà prestigiose, cercano di rovesciare l'immagine dell'indio,
negativa fino a questo momento. Vogliono anche dire che sono in
maggioranza, che il Guatemala è una nazione in maggioranza maya;
aspirano a integrarsi e a ottenere il riconoscimento della propria
centralità nella nazione: soltanto se la loro rivendicazione venisse
rifiutata, respinta, potrebbero sorgere tentazioni autonomiste e
separatiste che oggi sono in netta minoranza.
E' raro invece che gli indios del Chiapas mettano in risalto la loro
qualità di maya. Forse in questo risiede una delle manifestazioni
della diversa situazione dei due gruppi di popolazioni indie, di qua e
di là dal confine. Nonostante le esperienze estreme che hanno vissuto,
o a causa di queste, sotto molti aspetti gli indios guatemaltechi sono
più moderni, più avanti dei loro fratelli chiapanechi.
Ma quando si tratta di zapatisti, la mancata rivendicazione di una
specificità maya si traduce nell'insistente affermazione della propria
messicanità. Per quanto in senso culturale gli «indigeni del Sudest»,
secondo l'espressione quanto mai neutra usata da Marcos, siano più
vicini agli indios guatemaltechi che ai loro fratelli messicani, i
responsabili indigeni dell'E.Z.L.N. fanno il possibile per stringere o
rinsaldare i legami con questi ultimi, e per proclamare il proprio
attaccamento alla comunità nazionale. Gli zapatisti sono decisi a
proclamarsi messicani, indios messicani [40]. In nessuna circostanza
hanno propugnato il separatismo o l'irredentismo maya, la formazione
di una nazione su base etnica.
Nelle prime dichiarazioni si guardavano bene dal mettere in risalto il
carattere indio del movimento, per paura di alimentare dubbi circa il
loro carattere messicano. Solo in seguito la struttura decisionale del
movimento, il Comitato clandestino rivoluzionario indigeno, ha reso
note le sue esigenze propriamente indie, di natura etica, culturale,
politica: penalizzazione del razzismo, istruzione bilingue,
riconoscimento delle forme di democrazia comunitaria e del diritto
tradizionale e così via. Il tema dell'identità e i rapporti con le
altre organizzazioni indie nell'ambito del Consiglio nazionale
indigeno sono diventati sempre più importanti a mano a mano che si
allontanava la prospettiva di ottenere una risposta alle altre
richieste.
Rimane però molto vaga la rivendicazione di autonomia politica; il suo
contenuto varia in funzione delle opinioni dei consiglieri consultati
dall'E.Z.L.N. I testi si richiamano talvolta agli statuti delle
province basche e catalane, più spesso all'autogoverno delle comunità
di base. Gli zapatisti combattono la subordinazione delle comunità al
potere statale, ma diffidano di eventuali statuti speciali che
releghino gli indios, in particolare quelli del Chiapas, in una
posizione isolata. Per loro la questione indigena è una questione
nazionale centrale, considerata in una prospettiva di integrazione che
non si traduce in assimilazione: essa «non avrà soluzione senza una
trasformazione "radicale" del patto nazionale. L'unica forma di
incorporare, in maniera giusta e dignitosa, gli indigeni alla Nazione
è quella di riconoscere le caratteristiche peculiari delle loro
organizzazioni sociali, culturali e politiche. Autonomia non significa
secessione, ma integrazione delle minoranze più umiliate e dimenticate
del Messico contemporaneo . Durante la discussione degli accordi
sui diritti e la cultura degli indios (gennaio-febbraio 1996)
l'E.Z.L.N. ha respinto le proposte (sostenute da alcuni suoi
consiglieri) di un'autonomia concessa dall'alto, burocratica, come lo
statuto di autonomia della Costa atlantica del Nicaragua.
In ogni modo, lo zapatismo cerca di associare, senza confonderli,
elemento comunitario ed elemento nazionale, identità etnica e identità
nazionale, specificità india e carattere nazionale messicano. Il suo
obiettivo è tradurre nei fatti il riconoscimento del multiculturalismo
nazionale; ottenere che chi appartiene a una minoranza etnica non sia
costretto a rinunciare o a reprimere la propria identità per poter
aspirare all'uguaglianza con gli altri messicani; liberare il paese
dal razzismo; superare la barriera simbolica che incide su tutti i
rapporti sociali e impedisce che si esprima la soggettività degli
indios e di numerosi altri gruppi.
Gli zapatisti si rivolgono con insistenza non solo alle autorità ma
all'intero paese; tanto più si proclamano messicani in quanto
denunciano la propria esclusione: accusano la patria di aver
abbandonato i suoi figli, che hanno dovuto ricorrere alla violenza per
farsi presenti alla sua memoria. Si richiamano agli eroi
dell'Indipendenza, ai padri della patria e alle grandi figure della
Rivoluzione messicana, e riprendono ad agitare la bandiera nazionale
che, come dicono, era stata abbandonata nei palazzi pubblici e nei
musei. La rivolta degli esclusi si pone come leva della rinascita
nazionale [41], di un nuovo patriottismo sul quale è lecito chiedersi
se riuscirà a evitare gli eccessi nazionalistici.
La figura di Zapata e la sua traduzione maya nell'immagine di Vot n-
Zapata esprimono al tempo stesso il carattere messicano e la volontà
di sostituire il modello soffocante della «nazione azteca» con una
nazione pluralistica, in cui la base, nella sua variegata composizione
culturale, comanda il vertice.
L'irruzione del «Messico indio», che si è avuta nei territori maya del
paese con l'ingresso nel Grande Mercato, contribuirà forse ad
alimentare reazioni di chiusura nazionalista, oppure, come auspica
Marcos, inaugurerà una ridefinizione della nazione nell'età della
mondializzazione, la costruzione di una società nazionale aperta sul
mondo, all'interno della quale la volontà di vivere insieme non
annulla le differenze?
- Cittadini con le loro differenze.
In Messico l'organizzazione con cui Marcos riconosce maggiori affinità
è l'Alianza Civica [43]. Tuttavia lo zapatismo non si limita a
rivendicare pieni diritti civili per tutti i messicani e la
trasformazione del Messico in una Repubblica di cittadini, libera da
brogli elettorali, dalla corruzione e dalla violenza politica; non è
soltanto una ribellione in nome dei diritti civili.
Come Gandhi e Luther King, come Tjibaou (e anche come Mandela, ma
quest'ultimo ha percorso strade più classiche), gli zapatisti, oltre a
chiedere che gli esclusi entrino a far parte del sistema politico
(cosa che potrebbe assicurare anche un regime autoritario), chiedono
di essere riconosciuti nella propria identità e soggettività; non
vogliono essere trattati né da «cittadini come gli altri» (ideale
della democrazia formale), né da cittadini diversi dagli altri, bensì
da cittadini con le loro differenze.
Le «differenze» sociali, culturali, etniche non devono soltanto essere
tollerate come elementi accessori, o colori sovrapposti a cittadini
per altri versi intercambiabili o decisamente troppo grigi: l'identità
è importante quanto l'uguaglianza, e per diventare cittadini a tutti
gli effetti non si dovrebbe mai essere costretti a rinunciarvi, a
metterla fra parentesi o a trasformarla in elemento di folklore;
essere costretti a rimettersela in tasca nel momento in cui si entra
nella cabina elettorale.
Si tratta invece di inventare una democrazia pluralistica, arricchita
da concezioni e prassi politiche non riconosciute dal sistema attuale;
si richiede quindi, per esempio, di conciliare democrazia e comunità,
di associare democrazia diretta ed elezione di rappresentanti,
partecipazione e rappresentanza, un problema che ha un'importanza
tutt'altro che limitata al Chiapas o al Messico, una questione che
nella sua attualità e portata universale affiora in tutto il mondo
nelle forti contestazioni al sistema democratico di stampo
occidentale.
Ma l'esigenza di riconoscimento non si esaurisce nell'accesso alla
cittadinanza, sia pure rispettosa delle differenze. La cittadinanza è
una parte della risposta, ma non la totalità. Sotto queste
contestazioni, sotto le affermazioni di identità, vi sono di fatto
esigenze più profonde, più intime, che non sono pertinenti alla sfera
politica né nelle società tradizionali né in quelle moderne, ma che
riguardano l'affermazione del soggetto, individuale e collettivo, che
non si identifica nel legame con la dimensione politica. Assumendo una
posizione laterale, conservando la propria dissidenza rispetto al
sistema politico, lo zapatismo realizza la contestazione
dell'esclusivamente politico: ciò che chiama «società civile» è in
sostanza uno spazio sottratto all'influenza del potere, nel quale i
soggetti individuali e collettivi possono affermarsi.
PERICOLI E INCERTEZZE
- Una buffa pace armata.
Se si escludono le operazioni seguite all'insurrezione del gennaio
1994 e all'offensiva dell'esercito nel febbraio 1995, le autorità non
hanno manifestato grande fermezza nel ricorrere alla soluzione
militare; ma la spada di Damocle resta sospesa e può cadere in
qualsiasi momento: può darsi che si decida di soffocare la rivolta, di
compiere operazioni di commando o di far partire proiettili «fuori
controllo» diretti contro Marcos o eventuali altri capi del movimento.
Dal canto loro gli zapatisti, anche se probabilmente non hanno più la
combattività e la capacità di mobilitazione dimostrate al momento
dell'insurrezione, potrebbero essere tentati da nuove iniziative
disperate. L'azione di logoramento e i tentativi di repressione a cui
sono sottoposti possono infrangere il difficile equilibrio della non
violenza armata nel quale cercano di restare, provocando da parte loro
nuove azioni più simboliche che strategiche.
- L'assenza di intermediari politici e sociali.
Altrettanto deboli sono i legami intrecciati con certi soggetti
sociali. In un primo tempo gli zapatisti hanno goduto del favore di
vari settori del popolo e delle classi medie. Tuttavia la loro
simpatia è rimasta fluttuante, e le manifestazioni di sostegno al
movimento richiamano sempre meno partecipanti. Le organizzazioni di
contadini indios, le più combattive all'interno di un movimento
contadino molto diviso e in cui numerosi dirigenti, e soprattutto
molti militanti di base, si riconoscevano nello zapatismo, hanno a
poco a poco adottato una posizione di prudente distanza. Un'altra
organizzazione, El Barzon, che riunisce operatori economici indebitati
(agricoltori, commercianti, artigiani, piccoli industriali, esponenti
delle professioni liberali...), ha con l'E.Z.L.N. rapporti regolari ma
segnati da una relativa incomprensione reciproca [45]. I rapporti con
gli ambienti intellettuali e artistici sono oscillanti e frammentari;
ma, come osserva Marcos, l'incomprensione più grave è quella con il
mondo operaio.
La Convenzione nazionale democratica, che intendeva costituire il
primo atto di una grande riunificazione della società civile, si è
conclusa nella disunione; in seguito gli zapatisti hanno tentato di
avvicinare numerosi esponenti della società e della politica, ma con
esito scarso.
Nei loro tentativi di aprirsi, e soprattutto in quello di costituire
un fronte civile di portata nazionale, gli zapatisti si scontrano con
una barriera difficile da superare, tanto più efficace in quanto
inespressa: il razzismo. Nella sua lettera di «benvenuto nell'incubo»,
inviata al presidente Zedillo in occasione del suo insediamento,
l'E.Z.L.N. afferma che «Con una voce indigena parlano, da quel giorno
[primo gennaio 1994], uomini, donne, bambini, anziani della città e
della campagna, di diversi colori, di diverse razze, di diverse
lingue, ma di una medesima sofferenza» . In realtà sono rari i
bianchi e i meticci disposti ad andare oltre una simpatia e una
solidarietà venate di paternalismo, decisi a seguire l'esempio di
Marcos mettendosi ad ascoltare la parola e i silenzi degli indios. La
frontiera simbolica che divide la società messicana - e gli stessi
individui - segna il limite della trasformazione della cultura
politica.
- L'ultrasinistra.
Fin dalla sua comparsa l'E.P.R. ha imposto una notevole limitazione
allo spazio politico e mediatico che gli zapatisti si erano costruiti;
e questi ultimi prendono molto sul serio le sue minacce di intervento
anche nel Chiapas. La «sindrome di Chinameca» [46], che fa temere a
Marcos di dover pagare il prezzo della ribellione e sottostare alla
sorte di Emiliano Zapata, non deve far dimenticare che alcuni
personaggi come Gandhi o Tjibaou, con i quali Marcos ha in comune il
tentativo di sottrarre il proprio movimento allo scatenarsi delle
violenze, sono periti vittime di elementi estremisti appartenenti alla
loro stessa parte; e anche che il movimento dei diritti civili di
Martin Luther King è stato scavalcato dai partigiani della violenza e
della lotta per il potere, il Black Power, che in seguito si è
disintegrato.
- Il pericolo del ripiegamento sul comunitarismo.
Le comunità, sottoposte a violenta pressione, possono tendere a
riprendere certe posizioni comunitariste, di difesa dell'ultimo
quadrato zapatista nella giungla, sull'esempio delle «comunità di
popoli in resistenza» (C.P.R.) del Guatemala, dove nel corso di una
quindicina d'anni, quindicimila persone circa sono sopravvissute nella
foresta e sui monti, tagliate fuori dal resto della società, vivendo
di un'agricoltura di sopravvivenza e di aiuti internazionali, tenute
nella convinzione che i massacri ai quali erano scampate proseguissero
e che si potesse ancora vincere la guerra. L'E.Z.L.N., ripetiamolo, ha
imboccato un cammino opposto a quello dei guerriglieri guatemaltechi:
bisogna sperare che non ricada in certe bizzarrie che sono costate
care alla popolazione civile di là dal confine messicano. Respinti
nelle frontiere dalle quali erano emersi, gli zapatisti - che Marcos
ama paragonare ai cavalieri erranti - potrebbero essere condannati a
errare in quel perimetro, come gli spettri di Juan Rulfo [47].
Come si è visto, lo zapatismo è nato da una serie di fratture e
scissioni, e una parte considerevole degli indios che popolano il
Chiapas ha conservato o ha preso le sue distanze dal movimento.
L'insurrezione e i suoi strascichi hanno ancor più accentuato le
divisioni all'interno delle comunità indie, e in molti casi certi
settori che simpatizzavano con lo zapatismo se ne sono poi
allontanati. E' una china che può rivelarsi mortale. L'E.Z.L.N. sarà
giudicato in base alla capacità di gestire in modo democratico i
conflitti che emergono nella sua zona d'influenza o se non altro in
base alla capacità di realizzare forme democratiche, di elaborare le
decisioni all'interno del movimento, e al suo comportamento nei
confronti di organizzazioni e settori che non condividono la posizione
zapatista. Da questi punti di vista, finora lo zapatismo non ha
mostrato grande rispetto per le esigenze democratiche.
Contro la logica economica predominante, gli zapatisti fanno appello a
protagonisti della scena sociale e politica, trascurando quanti
operano nell'economia, come testimoniano i loro difficili rapporti con
El Barzon. L'economia è il loro principale tallone d'Achille [48].
Sono cresciuti con gli errori e i fallimenti degli operatori, interni
ed esterni, dello sviluppo avvenuto nel Chiapas negli anni Settanta-
Ottanta, ma dal canto loro non vi hanno posto rimedio: hanno tratto
vantaggio da una crisi provocata da processi che erano incapaci di
dominare. Sarebbe eccessivo accusarli di avere infranto la dinamica
economica; è comprensibile che nella prospettiva dell'insurrezione
abbiano instaurato un'economia di guerra, ma la tendenza a
eternizzarla rischia di essere loro fatale. L'inclinazione ad
accomunare nella riprovazione economia di mercato e neoliberismo può
condannare le comunità a sopravvivere in un'economia di sussistenza
ridotta al minimo e, in realtà, in larga misura assistita. Già oggi è
così. Per lo zapatismo è altrettanto vitale ricreare le condizioni di
un'economia contadina di mercato, imprenditoriale e diversificata,
come quella creata dalle prime ondate di coloni, quanto lo è
conservare l'iniziativa politica. Lo zapatismo non è in grado di
produrre un soggetto sociale e politico senza una base economica
capace di entrare in concorrenza o di accordarsi con altri soggetti
economici, così come hanno saputo fare per esempio la Coalicion
Obrera, Campesina y Estudiantil del Ismo nello Stato messicano di
Oaxaca, il Comité Regional Indigena del Cauca in Colombia, le comunità
cakchiquel e quiche in Guatemala.
- I pericoli della solidarietà.
La solidarietà mobilita una serie di circoli e imbocca numerosi
canali; in Messico quelli legati al vescovado di San Cristobal sono
stati bersaglio di denunce e di aspre polemiche. In realtà la
complessa storia dei rapporti fra l'E.Z.L.N. e la diocesi si traduce
da entrambe le parti in atteggiamenti prudenti e nella volontà di
tenersi a distanza. In compenso nel Chiapas, nel resto del Messico e
all'estero, alcuni personaggi e determinati gruppi legati alla Chiesa
cattolica o a Chiese protestanti manifestano agli zapatisti una
simpatia senza riserve. Sono questi gli ambienti in cui si trovano i
simpatizzanti meno critici delle tendenze comunitariste insite nel
movimento.
Altri circoli, che talvolta si incrociano con i precedenti tramite la
teologia della liberazione, appartengono alla sinistra o provengono da
ambienti di sinistra. In Messico, negli Stati Uniti e in Europa,
trotzkisti, anarchici, femministe, autonomisti in nome di cause
disparate riflettono sullo zapatismo le categorie e le speranze deluse
di rivoluzioni fallite o di movimenti in cerca di significato. E'
tuttavia più significativa l'attrattiva esercitata dagli zapatisti su
giovani che non hanno un passato militante, oltre che su ambienti
della cultura refrattari alle prassi e alle teorie di apparato.
La novità dello zapatismo è anche quella di sapersi sottrarre alla
compassione e al vittimismo, rifiutandosi di sfruttare il senso di
colpa dell'uomo bianco (sarà forse per questo che i paesi protestanti
dell'Europa settentrionale sono meno sensibili alla causa zapatista
rispetto ad altre situazioni di miseria e di oppressione del terzo
mondo?). Appunto perché non fa leva sulla compassione, ma al contrario
mira ad attribuire un significato all'azione collettiva, lo zapatismo
ha suscitato la risonanza e l'interesse che sappiamo.
Gli zapatisti si attorniano di circoli concentrici costituiti da
«zapatizzanti», sia pure tenendoli a distanza e proteggendo il cuore
del movimento, in modo che esso non ne sia fagocitato né soffocato.
Finora ci sono riusciti. Se il nucleo dovesse esplodere, alcuni suoi
elementi e un certo numero di membri della rete di solidarietà
verrebbero riassorbiti dalle organizzazioni politiche di stampo
classico. Lo zapatismo esiste perché riesce a sciogliere le vecchie
categorie e i vecchi schemi, e perché è in grado di trasformare coloro
che lo avvicinano in misura pari o superiore rispetto a quanto questi
ultimi riescano a trasformarlo.
Per riuscire nel suo intento deve anche ricostruire il pensiero e
l'azione politici, il che comporta sfuggire ai due principali rischi,
nei quali tutti gli altri sono compendiati, entrambi derivanti dalla
tentazione della purezza.
1. Il rischio dell'isolamento, del ripiegamento su se stessi,
dell'asfissia comunitarista. L'insurrezione del Chiapas non è una
«guerra della fine del mondo» . Ma a La Realidad e in altre
località zapatiste si respira una certa atmosfera da comunità
assediata [49], da comunità dei «puri», che per esempio comporta la
messa al bando di tutte le bevande alcoliche [50] e l'imposizione di
altre norme spartane, che impedisce i rapporti fra la popolazione
locale e i visitatori stranieri e che impone la preminenza del
discorso etico. Sono comportamenti ed espressioni che, a parte le
giustificazioni di ordine pratico, potrebbero alimentare deviazioni
verso il millenarismo e il messianismo nel caso un giorno venissero
distrutti i ponti con l'esterno. Il ponte principale è lo stesso
Marcos; è sempre lui che tiene collegate le diverse componenti del
movimento, e se dovesse scomparire o farsi da parte, non sarebbe
impossibile che il movimento esplodesse in gruppuscoli rivali, secondo
linee di scissione su base etnica e intorno a figure locali di capi.
Oppure potrebbe scivolare nelle lacerazioni intracomunitarie di cui
abbiamo già un esempio nel Chiapas settentrionale.
2. Il rischio dello scollamento, di una frattura dei nessi rispetto
alle realtà del Chiapas, di un ingresso nell'orbita «intergalattica».
Sono molti i personaggi rappresentativi di movimenti di base che sono
stati risucchiati dalle sfere eteree e sono divenuti incapaci di
toccare di nuovo terra. Marcos è consapevole di questo rischio e
finora si è rifiutato di allontanarsi dalle comunità nelle quali vive
da una decina d'anni, alle quali ha legato la propria sorte e da cui
non immagina di potersi dividere in futuro. Gli zapatisti sono
persuasi che sia necessario conservare un'articolazione fra le
dimensioni locali, nazionali e internazionali: ci riusciranno? La loro
insurrezione è nata dalla convinzione che le loro istanze (di
democrazia, di giustizia, di libertà, di dignità) non potessero
ricevere risposte su un semplice piano locale; il loro obiettivo, in
un primo tempo raggiunto in larga misura, era quello di trasferirle
sul piano nazionale. Nei momenti in cui la scena nazionale si ritira o
si richiude, per spezzare l'accerchiamento e l'isolamento gli
zapatisti fanno appello all'opinione pubblica internazionale: e qui
gli effetti sono più attenuati. Occorre che riescano a consolidare ed
estendere il loro radicamento nel Chiapas e la presenza nello spazio
pubblico del Messico se non vogliono che un «movimento di guerriglia
postmoderno» (così lo ha definito Gabriel Za‹d) diventi un movimento
virtuale.
La trasformazione del movimento comunitario armato in soggetto sociale
e politico sarà compiuta soltanto se lo zapatismo riuscirà a eludere
la strategia dell'avversario, il quale cerca, con un certo successo
nonostante quanto dicono Marcos e i suoi, di respingerlo nella
foresta, di troncarne le radici nel Chiapas e di separarlo da quei
settori della società messicana che è riuscito o che aspira a
mobilitare. Al potere messicano, e senza dubbio anche all'E.P.R., non
dispiacerebbe certo di vedere realizzata una certa logica mediatica
transnazionale che riduca gli zapatisti a essere soltanto dei
«branchés della giungla» .
- La tentazione estetica.
«Noi siamo voi.» E se di fronte non ci fosse nessuno? Se la scena
fosse vuota, se la «società civile» tanto invocata fosse pregnante ma
anche imprendibile, altrettanto difficilmente «rappresentabile» quanto
le nebbie che si addensano sui monti del Chiapas? Deluso dagli
interlocutori politici e messo di fronte all'assenza di attori
sociali, o all'eliminazione dei rari movimenti che abbiano persistito
nel Messico degli ultimi anni, nel futuro Marcos non riesce a vedersi
su una scena politica da cui il sogno sia stato bandito; non nasconde
le sue personali preferenze per altri scenari e altre forme di
espressione e di rappresentazione, letterarie, teatrali o
cinematografiche.
Partito per i monti con il "Don Chisciotte" di Cervantes (fra una
quindicina di altri libri), Marcos non si è più diviso da questo
personaggio, e moltiplica i riferimenti alla tradizione cavalleresca:
nelle favole in cui fa parlare lo scarabeo Durito; quando si presenta
a Danielle Mitterrand come «cavaliere di carta»; nei richiami
espliciti o impliciti alla leggenda del Graal.
Avendo preso le armi così come il cavaliere dalla triste figura aveva
preso la lancia per «estirpare l'ingiustizia, correre in aiuto agli
infelici e instaurare il regno della giustizia sulla terra», Marcos
non pensa affatto di rinunciare: «Da qualche parte alla fine del "Don
Chisciotte", Alonso Quijana dice: "ero pazzo, sono rinsavito". Ho
sempre voluto evitare di arrivare a quel punto. Noi dobbiamo
conservarci in questa follia fino all'ultimo momento, non dire queste
parole, non entrare nella sfera dello Stato e del conformismo» .
Certo si tratta di una figura meno cupa di quella di certi monaci
guerrieri ai quali faceva pensare Che Guevara e, per restare in campo
letterario, meno inquietante dei cavalieri erranti che attraversano la
"Leggenda dei Secoli" . Ma la tentazione della purezza non rischia
di rinchiudere Marcos, anziché nel «gigantesco labirinto di specchi»
di cui ai suoi occhi è costituita la storia contemporanea del Messico
, nel labirinto del Deserto della Solitudine? Durante l'Incontro
intergalattico, di fronte alle centinaia di persone venute da tutti i
continenti, il subcomandante conclude la conferenza sul contributo
politico dell'E.Z.L.N. dichiarandosi «sconcertato, perché ha
dimenticato come era entrato e come se ne possa uscire».
Altrove si diverte a riprendere i versi di una canzone di Joan Manuel
Serrat: «Non è che non ritorni / perché ho dimenticato / ma perché ho
perso / la strada per tornare» .
IL MONDO DI NUOVO INCANTATO PARTE DA LA REALIDAD
Con la caduta del muro di Berlino il mondo bipolare è scomparso; in
quella che era soltanto la fine della preistoria, certuni hanno visto
la fine della Storia: per alcuni trionfo, per altri cupa disfatta. I
primi celebrarono l'avvento di un mondo consegnato a un definitivo
disincanto, omogeneizzato sotto lo stendardo della democrazia liberale
e nel segno del mercato; gli altri si rassegnarono e adottarono
comportamenti da «si salvi chi può».
I meno cinici e i meno opportunisti videro nella fine del confronto
tra i blocchi un contesto favorevole all'affacciarsi di nuovi
movimenti sociali, di nuovi soggetti storici; molti si aspettavano che
emergessero nell'Est, dove il gelo era stato più terribile.
Come capita spesso, il movimento più promettente, il più ricco di
significato, sarebbe sorto dove meno lo si aspettava: in una piega del
globo, nei confini dimenticati di un paese che sembrava compiere
un'esemplare transizione dal terzo al primo mondo. In certo modo
l'insurrezione zapatista è stata davvero il «primo movimento
guerrigliero postcomunista» di cui ha parlato Carlos Fuentes. Ma,
ancor più esattamente, si è trasformata in un'antiguerriglia.
- Dal movimento sociale alla lotta armata.
L'insurrezione zapatista è un'illustrazione di quanto si è detto.
Nella Selva Lacandona e nell'insieme del Chiapas gli indios
conducevano lotte che si erano intensificate dagli anni Cinquanta in
poi; nel loro agire erano fattori di modernità (anche se le vie di
ammodernamento che hanno imboccato si sono rivelate senza uscita) e di
democrazia (sia pure attraverso itinerari che non erano sempre
democratici).
Il loro movimento, invisibile al Messico e al resto del mondo, era
nato dalla dissidenza, dalla divisione, dallo strappo;
l'emancipazione, la nascita del soggetto erano il frutto del movimento
nei due sensi del termine: dell'emigrazione e della mobilitazione.
Quando è stato impedito lo sviluppo del movimento, una parte della
dissidenza india ha scelto la lotta armata; ovvero, tale scelta le è
stata imposta dalle circostanze. La logica delle armi, di cui era
portatore un nucleo di guerriglieri, è stata adottata da un settore
considerevole degli abitanti delle Canadas. Un settore, appunto:
l'insurrezione è stata motivo di nuove divisioni all'interno della
popolazione india del Chiapas.
Le prime azioni, l'insurrezione del primo gennaio e la prima
Dichiarazione zapatista potevano a giusto titolo far temere una nuova
spirale di violenza, quali se ne sono viste diverse negli ultimi
decenni in America latina; in particolare presentavano numerosi
elementi analoghi a quelli che avevano condotto alla tragedia
guatemalteca.
- Dall'insurrezione armata alla ricerca del movimento sociale.
L'energia prodotta dalle precedenti fratture si è mobilitata
nell'insurrezione; avrebbe potuto alimentare una spirale di
provocazioni e repressioni, una logica del suicidio che suscita la
logica del massacro: invece è stata frenata sull'orlo della voragine e
riorientata, tramutata in tentativo di dare vita a un nuovo soggetto,
di articolare la società civile, di ridefinire e ricomporre la sfera
politica.
La forza degli zapatisti è la non violenza, la loro originalità sta
nell'aver inventato un nuovo rapporto fra violenza e non violenza,
consistente nel tenere viva la tensione senza rimbalzare nella
violenza. La crescita di potenza di una violenza contenuta e repressa
per decenni, o meglio per secoli, si traduce in una strategia di non
violenza armata messa al servizio della produzione di significato,
dell'invenzione simbolica e politica.
«Hanno combattuto per dodici giorni, occupando per poche ore una
manciata di remote borgate messicane. Noi ci battiamo da oltre
trent'anni, controlliamo vaste regioni del territorio nazionale e
colpiamo dove vogliamo. Eppure nessuno si interessa alla nostra
attività, mentre la loro azione ha suscitato un'ondata di simpatia in
tutto il mondo.» Le amare considerazioni di un guerrigliero colombiano
illustrano una profonda differenza; come altri movimenti guerriglieri
vecchi di trent'anni, anche quello colombiano, nelle sue varianti -
comunista ortodossa, castrista e maoista - erede dell'epoca della
guerra fredda e oggi associato alla generale diffusione della
delinquenza e del crimine organizzato in Colombia, non ci dice niente.
Invece l'interesse suscitato dallo zapatismo è in diretta proporzione
alla capacità di questo movimento di creare significato.
La tensione nella quale il movimento si mantiene ne assicura
l'esemplarità e l'espressività; se dovesse allentarsi, lo zapatismo
potrebbe disintegrarsi nella violenza o nel ripiegamento comunitario.
Come dice giustamente Régis Debray, lo zapatismo è «un ritorno
all'essenziale: la resistenza» . Resistenza al neoliberismo. In
nome di che? Della comunità? Della nazione? Ma la difesa delle
comunità scivola facilmente nel comunitarismo, e quella della nazione
nel nazionalismo. Sono stati soprattutto i detrattori e gli avversari
a identificare lo zapatismo con certi comportamenti di ripiegamento,
con la reazione difensiva di alcune comunità del Chiapas, oppure con
quella, organizzata o diffusa, di settori nazionalisti messicani, che
nel grande mercato temono di perdere la propria anima.
Se lo zapatismo si riducesse a una denuncia del neoliberismo in nome
dell'umanità, seguendo d'altro canto un'interpretazione letterale
dell'intestazione data all'Incontro intergalattico, ben presto si
esaurirebbe in un umanesimo consensuale senza presa sulla realtà; nel
peggiore dei casi sarebbe una traduzione di un anacronistico rigurgito
delle antiche illusioni, nel migliore, un confuso rilancio
dell'utopia.
Lo zapatismo non è un supplemento di anima, e neppure soltanto una
resistenza. Gli indios della Selva Lacandona, ma anche quelli delle
altre regioni del Chiapas e del resto del Messico che vi si
riconoscono, non appartengono tanto a un «Messico profondo» quanto al
«Messico spezzato» che è l'essenza del Messico di questa fine secolo
. Si tratta di un movimento di ricomposizione che nasce da
un'irrimediabile lacerazione, e non di una difesa o ripresa della
tradizione. Ma si distingue anche dai movimenti nazionalisti, etnici o
religiosi che cercano di ricostruire l'identità nella modernità e
attraverso percorsi autoritari, partendo da una posizione islamica,
induista, asiaticista, pentecostalista e così via. In un'epoca in cui
l'opposizione alla mondializzazione neoliberista si esprime
soprattutto con il ripiegamento sull'identità, lo zapatismo appare
come un tentativo fra i più significativi e forti di associare
identità, modernità e democrazia, e solo così si spiega come mai abbia
trovato un'eco tanto vasta oltre i limiti delle comunità indie e di là
dai confini del Messico. Ha distrutto l'illusione che non fosse più
possibile altra forma dl politica democratica se non quella iscritta
nei flussi e riflussi della finanza; ha fatto esplodere la nube grigia
che aveva finito col ricoprire l'intero pianeta e che oscurava
l'orizzonte di tutti noi; ha aperto una breccia. Non se ne
dispiacciano i «realisti» che vivono nella loro bolla, ma gli
zapatisti ci hanno riportati a La Realidad.
Il futuro dell'insurrezione zapatista dipende da quanto il movimento
sarà capace di tradursi in azione politica e sociale. L'insurrezione è
nata da una serie di vicoli ciechi, di divisioni e fratture, e adesso
si trova di fronte a una sfida: ricomporre «un mondo in cui vi sia
posto per molti mondi», senza eliminare differenze e conflitti,
facendo anzi leva su di essi. Il vecchio ordine regionale della
tradizione, della piantagione e della dominazione dei "ladinos" è
stato frantumato dal movimento di emancipazione india e
dall'insurrezione, senza possibilità di un ritorno. Intanto prosegue
la decomposizione del sistema politico nazionale; il compito che
attende gli zapatisti non è demolire l'antica società e il vecchio
potere, ma inventare una democrazia che incorpori gli esclusi.
Il loro apporto principale è stato quello di aver dato un volto ai
senza volto, di aver fatto udire il discorso indio - la voce dei senza
voce -, di aver permesso ad alcuni bambini non meno che agli adulti di
«alzarsi ogni mattina senza dover tacere parole, senza maschere da
dover indossare per affrontare il mondo» . E' stata una giovane
india del mercato di San Cristobal de Las Casas a formulare l'omaggio
più bello che si possa fare agli zapatisti, dicendo: «Ci hanno
restituito la nostra dignità».
NOTE
2. Il primo gennaio 1994 è entrato in vigore l'Accordo di libero
scambio nordamericano che comprende gli Stati Uniti, il Canada e il
Messico. In spagnolo si chiama Tratado de Libre Comercio (T.L.C.), e
in inglese North American Free Trade Agreement (NAFTA).
3. Rosario Ibarra è la madre di un militante «scomparso» negli anni
Settanta. Ha fondato un gruppo in difesa dei prigionieri politici, e
attualmente è vicina alle posizioni zapatiste.
4. Marcos ha preferenze molto decise in materia di teatro e di
cinema. Durante il colloquio con lui sono emersi accenni alla sua
passione per vecchie dive come Brigitte Bardot in "E Dio creò la
donna" o "Il disprezzo", oppure Jane Fonda in "Barbarella". A La
Realidad si allestiscono periodicamente proiezioni pubbliche, senza la
minima preoccupazione che siano "politically correct": gli abitanti
dei villaggi si sono divertiti molto a vedere "Rambo".
5. Marcos racconta questo suo itinerario con parole precise nel
film-documentario di Tessa Brisac e Carmen Castillo, "La vera leggenda
del subcomandante Marcos" (Arte, Anabase e INA, 1995). II testo di
questa intervista è stato pubblicato in Adolfo Gilly - subcomandante
Marcos, "Discusione sobre la historia", Ciudad de México, Taurus,
1995.
6. Il Partido Revolucionario Institucional costituito nel 1929 dal
presidente Calles, e che da allora tiene le redini del potere, si è
chiamato successivamente Partido Nacional Revolucionario, Partido de
la Revolucion Mexicana e poi, a partire dal 1946, Partido
Revolucionario Institucional.
7. L'ultimo censimento (1990), secondo il quale la popolazione
india rappresenta il 7,5 per cento della popolazione totale, si basa
su un criterio linguistico restrittivo: è considerato indio chi
dichiara di parlare una lingua india. Poiché la grande maggioranza
degli indios parla anche lo spagnolo, più o meno bene, è probabile che
molti di loro siano stati contati invece come ispanofoni. Secondo
l'Istituto nazionale indigenista, che valuta la popolazione india in
oltre 8 milioni di persone, i dati del censimento devono essere
rettificati al rialzo.
8. Il Projecto Nacional de Solidaridad (Pronasol) è noto sotto il
nome di "Solidaridad" (Solidarietà).
9. In Messico il presidente della Repubblica resta in carica sei
anni, un "sexenio".
10. L'"ejido" è la comunità agraria nata dopo la Rivoluzione
messicana. Le terre, che appartengono allo Stato, sono assegnate in
usufrutto a una collettività (fino al 1992 erano inalienabili);
tuttavia i vari appezzamenti sono in sostanza coltivati per il
sostentamento del singolo. Talvolta le comunità indie hanno statuto di
"ejidos".
11. Nella Selva Lacandona si trovano inoltre alcune centinaia di
lacandoni, discendenti dei maya che trovarono rifugio nella foresta
all'epoca della colonizzazione spagnola; nel Chiapas settentrionale si
trova poi un gruppo indio non appartenente al ceppo maya, gli zoque.
12. "Ladino" è un termine utilizzato in Chiapas e in Guatemala per
indicare chi non è indio, cioè i bianchi o i meticci.
13. Bartolomé de Las Casas, domenicano, difensore degli indios
contro i misfatti dei colonizzatori spagnoli, fu per un breve periodo
(1544-46) vescovo della città che porta il suo nome: San Cristobal de
Las Casas. Come monsignor Samuel Ruiz, suo attuale successore,
incontrò una violenta opposizione da parte dell'oligarchia locale.
14. Negli ultimi decenni, le svariate correnti religiose che spesso
in America latina sono accomunate nella definizione di «evangeliche»
(protestanti, pentecostali, avventisti eccetera) hanno avuto una
notevole diffusione nel Chiapas, dove oggi sono praticate da un quinto
della popolazione, la percentuale più elevata del Messico.
15. Sistema delle cariche: organizzazione politico-religiosa
tradizionale delle comunità indie diffusa in tutta l'America centrale
(soprattutto nel Centro e nel Sud del Messico e in Guatemala). Le
massime autorità sono i "principales", gli anziani, che raggiungono il
vertice dopo aver percorso tutte le tappe.
16. I cacicchi sono i capi indigeni nelle Antille e nell'America
centromeridionale all'epoca della dominazione spagnola.
17. Lo sviluppo di queste comunità, tuttavia, non è nemmeno
paragonabile alla rivoluzione agricola che si verificò fra gli anni
Sessanta e i primi anni Settanta presso gli indios residenti nelle
regioni montuose del Guatemala, grazie all'introduzione dei concimi
chimici.
18. Fra le eccezioni si possono citare le tessitrici delle
cooperative create negli anni Settanta in collegamento con la diocesi.
Sull'oppressione della donna nel Chiapas, confronta France-Jules
Falquet, "Les femmes indiennes et la reproduction culturelle:
réalités, mythes, enjeux", in «Cahiers des Amériques Latines», 13
[Paris, IHEAL], 1992.
19. La "cristiada" fu una rivolta dei contadini (1916-29) contro il
governo anticlericale che si svolse principalmente nella parte
centroccidentale del paese.
20. Nello zapatismo si ritrovano espressioni o prassi («todo para
todos», decisione all'unanimità e non a maggioranza, votazione
distinta di uomini, donne e bambini) di cui era stata fatta esperienza
nelle comunità neocattoliche (Diocesis, op. cit., p.p. 3, 9). Il
comandante David ammette, cosa piuttosto rara fra i dirigenti
zapatisti, che l'aver preso coscienza, da parte degli indios, è in
larga misura dovuto allo «studio della Parola di Dio» («La Jornada»,
21 novembre 1996).
21. Nel periodo 1975-1993 nel Chiapas sono sorte molte altre
organizzazioni contadine, indipendenti o no. Alcune, come la
Organizacion Campesina Emiliano Zapata (OCEZ) e la Central
Independiente de Obreros Agricolas y Campesinos (CIOAC), sono
ramificazioni regionali di organizzazioni nazionali e hanno avuto un
ruolo importante nelle lotte economiche e sociali. A noi interessa
soprattutto la rete costituita da Quiptic-Union de Uniones-ARIC-
ANCIEZ, per tre ragioni. In primo luogo sono le organizzazioni che nel
Chiapas hanno dato vita al movimento contadino più complesso e più
ampio, quello che ha suscitato una più larga mobilitazione in quegli
anni, e uno dei più significativi nel paese in generale, benché non se
ne riconosca ancora l'importanza. Secondo Xochitl Leyva e Gabriel
Ascensio, alla fine degli anni Ottanta la ARIC-Union de Uniones
riuniva circa seimila famiglie, appartenenti a circa centotrenta
comunità e villaggi (op. cit., p.p. 150-51). In secondo luogo, tale
raggruppamento aveva la caratteristica di essere fondamentalmente
indio, benché vi partecipassero anche alcuni piccoli coltivatori
"ladinos"; e in terzo luogo, lo zapatismo è nato appunto dall'incontro
di questo movimento con quello dei guerriglieri.
22. Alla fine degli anni Sessanta a Monterrey, nel Nordest del
Messico, erano state create le Fuerzas de Liberacion Nacional. I
militanti appartenevano essenzialmente alla classe media ed erano per
lo più universitari, professori o studenti. Nel 1974 le forze
dell'ordine hanno distrutto le cellule dell'organizzazione a
Monterrey, oltre a un nucleo dirigente che si era insediato nel
Chiapas. La costituzione dell'E.Z.L.N., una decina di anni dopo,
sembra un rilancio di quel movimento, anche se nell'Esercito zapatista
confluirono alcuni ex membri di altri gruppuscoli politico-militari.
23. Il generale Absalon Castellanos, governatore del Chiapas dal
1982 al 1988, ha lasciato un pessimo ricordo fra gli agricoltori
indigeni. Durante l'insurrezione del gennaio 1994 è stato fatto
prigioniero dagli zapatisti. Il governo ha ottenuto la sua liberazione
come condizione per aprire un dialogo con gli zapatisti, il che è
avvenuto nel febbraio dello stesso anno.
24. Va notato però che mentre in Guatemala un manipolo di gesuiti
ha avuto parte attiva nella mobilitazione a favore della lotta armata,
nel Chiapas i principali esponenti della Compagnia di Gesù hanno
avuto, nei confronti dello zapatismo, un atteggiamento riservato, o
meglio critico.
25. La marcia è denominata "Xi'Nich" (in chol: «formica»). Secondo
i manifestanti è la risposta ai colpi sferrati dalle autorità contro
il formicaio.
26. Nel contenzioso agrario entrano in buona misura anche i
conflitti fra comunità, dovute a un'imprecisa delimitazione dei
confini fondiari o all'assegnazione contemporanea di uno stesso
terreno a diverse comunità.
27. Patrocinio Gonz lez Garrido, governatore del Chiapas dal 1988
al gennaio del 1993 e ministro degli Interni del governo federale
quando è scoppiata l'insurrezione del primo gennaio 1994, è stato
destituito dalla carica nei giorni successivi, accusato di aver fatto
ostruzionismo alla politica di modernizzazione salinista nel Chiapas.
28. La componente trotzkista alla quale pure Marcos accenna è meno
evidente in quel cocktail zapatista che si è potuto vedere
nell'esplosiva azione del 1994; in compenso, nei vari circoli di
"zapatizzanti" si contano numerosi trotzkisti o ex trotzkisti.
29. In un testo dell'ottobre 1994 Marcos vanta ancora i meriti del
materialismo storico e di Lenin come teorico (E.Z.L.N., "Documenti e
comunicati dal Chiapas insorto", vol. 2, cit., p.p. 104-10).
30. Tale somiglianza, peraltro tenue, forse ha contribuito a far
nascere negli abitanti di Ocosingo la convinzione che alla conquista
della loro città compiuta dagli zapatisti abbiano messo mano anche i
salvadoregni (Efrain Bartolomé, "Diario de guerra y algunas voces",
Ciudad de México, Joaquin Mortiz, 1995).
31. René Solis, uno dei primi giornalisti arrivati a Ocosingo,
scrive: «Almeno venticinque cadaveri di guerriglieri, con le divise
più diverse, giacevano sulla strada, alcuni fin dalla domenica, il
giorno dopo l'insurrezione, quando l'esercito aveva circondato la
città. Nel mercato parzialmente coperto in cui si erano asserragliati
gli "zapatisti", si contavano quattordici corpi, sparsi nei passaggi
fra le bancarelle rovesciate. Erano tutti giovanissimi, di tipo indio.
Molti di loro, distesi bocconi con le mani legate dietro la schiena,
evidentemente erano stati abbattuti dai soldati. Le loro "armi" erano
sparse a terra: pezzi di legno tagliati grossolanamente, sui quali in
certi casi era fissata una lama di machete o una baionetta»
(«Libération», 6 gennaio 1994).
32. L'altra esperienza è quella di Sendero Luminoso in Perù, ma si
tratta di un movimento di guerriglia d'altra natura e che, a
differenza di quello guatemalteco, è responsabile di numerosi massacri
fra la popolazione civile.
33. Jorge Castaneda, "Sorpresas te da la vida", Ciudad de México,
Aguilar, 1994, p. 46. La tesi avanzata dall'autore risulta invalidata
dall'E.P.R., l'altro movimento guerrigliero che è comparso nel giugno
1996? E' lecito dubitarne. In effetti non è impossibile che questa
organizzazione, in cui l'apparato ideologico è ridotto all'osso, si
sviluppi in forme analoghe a quelle degli attuali movimenti di
guerriglia colombiani o peruviani, con i quali condivide già
l'autoritarismo, la pratica dei sequestri a scopo di riscatto, i
sanguinosi regolamenti di conti al suo interno.
34. E.Z.L.N., "Documenti e comunicati dal Chiapas insorto", trad.
it., vol. 1, Pisa, B.F.S., 1996, p.p. 162-63. In un altro testo,
Marcos dà una definizione meno poetica, più banale ma più
soddisfacente: «Democrazia è quando i pensieri arrivano a un accordo.
Non quando tutti la pensano allo stesso modo, ma quando tutti i
pensieri, o la maggior parte di essi, cercano e trovano un accordo
comune che sia buono per la maggioranza, senza eliminare quelli che
sono meno numerosi. La parola del comando deve obbedire alla parola
della maggioranza, il bastone di comando deve avere una parola
collettiva e non obbedire alla volontà di uno solo» ("Ya Basta!",
vol. 2, Paris, Dagorno, 1996, p. 138).
35. Carlos Lenkersdorf,
pur descrivendo come ideale la «comunità di consenso», evidenzia bene
queste caratteristiche: principio di unanimità e non di maggioranza,
coercizione esercitata sull'individuo, partecipazione di tutti i
capifamiglia, esclusione delle donne.
36. Il carattere democratico delle consultazioni effettuate
dall'E.Z.L.N. fra i suoi sostenitori è limitato per alcune ragioni: il
voto, per quanto individuale, non è segreto; la decisione non è il
risultato di un vero e proprio contraddittorio; la consultazione è
limitata agli zapatisti. L'introduzione della pratica di far
partecipare i bambini alle consultazioni fin dall'età della ragione ha
più senso nella logica di un voto comunitario che in quella di un voto
individuale. In una situazione simile le consultazioni hanno esiti
plebiscitari e poco convincenti (per esempio, il 98% delle persone
consultate avrebbe votato a favore dell'insurrezione del 19 gennaio
1994, e nell'aprile-maggio del 1994 sempre il 98% avrebbe respinto le
proposte governative).
37. Dopo lunghe trattative fra i tre grandi partiti (P.R.I., PAN,
P.R.D.) e il piccolo Partito del lavoro (Partido del Trabajo, P.T.),
il P.R.I., che ha la maggioranza nel Congresso, ha fatto votare un
testo cui gli altri partiti si sono opposti, considerandolo troppo
restrittivo.
38. Ricardo Flores Magon, riformista poi diventato anarchico, ha
animato alcune delle mobilitazioni che nel 1910 sono sfociate nella
Rivoluzione messicana.
39. Régis Debray dà una definizione di Marcos abbastanza corretta:
«un libertario che pensa da patriota» («Le Monde», 14 maggio 1996).
Gli zapatisti si richiamano alla Costituzione del 1917, prodotta dalla
Rivoluzione e ancora in vigore, continuando a denunciare le
distorsioni di cui è stata oggetto e chiedendo che si formuli una
nuova Costituzione.
40. Marcos, messicano fino alla cima dei capelli, fa riferimenti
continui alla storia del suo paese, una storia che afferma di avere
appreso anche da alcuni guerriglieri suoi predecessori e che ha
insegnato egli stesso a qualche capo indio zapatista. Con una certa
fierezza ricorda l'indio tzeltal che ha letto per intero il libro di
John Womack su Emiliano Zapata (E.Z.L.N., "Documenti e comunicati dal
Chiapas insorto", vol. 1, cit., p. 102. Il libro cui si fa riferimento
è "Morire per gli indios. Storia di Emiliano Zapata", trad. it.,
Milano, Mondadori, 1977).
41. Nella sua intenzione
di ridare vita a un progetto nazionale, l'E.Z.L.N. ricorda l'M19
colombiano, che come prima iniziativa pubblica rubò la spada di
Bolivar dal museo dove essa era conservata. Si potrebbero segnalare
altre analogie fra le due organizzazioni, per esempio il senso e il
gusto per le operazioni spettacolari; c'è invece una forte diversità
per quanto riguarda la loro base sociale e il rapporto con il potere.
L'M19 era una organizzazione politico-militare di carattere
soprattutto urbano, e quando ha avuto accesso alla politica si è
disintegrata fra le manovre e gli intrighi.
42. Nessun testo, nessuna dichiarazione zapatista propone
l'accostamento - che prendo a prestito da Alain Touraine - con Martin
Luther King, e nemmeno con Gandhi, ma durante una riunione che si è
svolta nella Selva Lacandona per reazione contro il divieto di
abbattere gli alberi promulgato dal governo Salinas, un partecipante
indio (uno zapatista?) ha fatto un esplicito richiamo a Gandhi e alla
possibilità di una forma di disobbedienza civile: «Loro vogliono
affamarci. E se noi li affamassimo a nostra volta, incrociando le
braccia e rifiutando di consegnare i nostri prodotti?» (comunicazione
personale di F. J. Falquet).
43. Alianza Civica è un'associazione non governativa che si è
assunta il compito specifico di sorvegliare l'andamento delle elezioni
e organizzare consultazioni su temi di interesse generale.
44. La Cocopa è stata creata nel 1995; i suoi membri sono
rappresentanti dei principali partiti, e il suo compito è assicurare
la continuazione del dialogo per la pace e l'applicazione degli
accordi sottoscritti.
45. Il termine "el barzon" designa un pezzo dell'attacco dei buoi.
Il riferimento è a una canzone popolare della Rivoluzione messicana
che evocava il triste destino dei peones vincolati all'"hacienda"
attraverso un sistema di debiti. Gli agricoltori messicani del Nord e
del Centrovest, che nel 1993 hanno creato El Barzon, identificavano la
loro situazione debitoria e la loro dipendenza dalle banche con quella
degli antichi servi. L'organizzazione si è estesa a numerosi settori:
dalla campagna si è propagata nelle città e mette in discussione la
politica economica del governo.
46. Emiliano Zapata fu assassinato il 10 aprile 1919 a Chinameca,
in una imboscata che gli era stata tesa dall'esercito federale.
47. In "Pedro P ramo" (Torino, Einaudi, 1989), il grande scrittore
messicano Juan Rulfo (1918-86) presenta dei personaggi morti che hanno
un'identità indefinita, condannati a sopravvivere in un tempo
circolare, ai margini della storia, in un villaggio di ombre, di voci
e di mormorii che ruota su se stesso in un'atmosfera soffocante e
inaridita.
48. La riunione dedicata all'economia nell'ambito dell'Incontro
intergalattico si intitolava «Ultime notizie dell'orrore»,
un'espressione ripresa nel titolo del libro di Viviane Forrester,
"L'horreur économique", comparso in seguito (Paris, Fayard, 1996).
Soprattutto in questo campo, però, la denuncia non può prendere il
posto della progettazione.
49. Marcos conclude una lettera del 29 agosto 1996 con la formula:
«Dalle montagne di Numancia» (invece del consueto «Sudest messicano»).
50. Gli zapatisti giustificano il provvedimento con la necessità di
combattere il flagello dell'alcolismo; nel suo radicalismo una simile
decisione li avvicina alle comunità evangeliche, mentre in generale i
«nuovi cattolici» sono più moderati sull'argomento. Del resto si deve
osservare che anche Pancho Villa vietava ai suoi soldati il consumo di
bevande alcoliche.
Ultima modifica 12.12.2003
Marcos e i suoi specchi
Il passo avanti degli zapatisti
L'indio,
moderno emblema dell'universale
Una ribellione che viene dai
confini. I dati
Lo sconvolgimento del mondo maya
La metamorfosi
della lotta armata
Democrazia, comunità e nazione
Pericoli e
incertezze
Il mondo di nuovo incantato parte da La Realidad.
Figli della notte e della foresta, gli uomini e le donne zapatisti
hanno saputo porre, con forza e immaginazione superiori a qualsiasi
altro movimento, una questione fondamentale per il mondo d'oggi: come
possono combinarsi democrazia e identità?
Nella storia americana numerose insurrezioni di indios hanno avuto la
guida di un bianco o di un meticcio, ossia di mediatori indispensabili
per accedere ai segreti dei vincitori, per impossessarsi delle loro
armi e rivolgerle contro di loro; ciò non ha impedito, peraltro, che
nella maggioranza dei casi tali insurrezioni venissero soffocate nel
sangue. Anche i ribelli zapatisti dal punto di vista delle risorse
militari non sono all'altezza, e lo stesso Marcos si presenta come
antimilitarista, un "sub"comandante che obbedisce alle comunità di
villaggio e ai loro rappresentanti, il capo provvisorio di un esercito
guerrigliero che milita per la propria inutilità: «In questo senso
l'E.Z.L.N. [Ejército Zapatista de Liberacion Nacional] ha una volontà
suicida, non nel senso che vogliamo farci ammazzare, ma perché
aspiriamo a scomparire come militari» .
Per comprendere il movimento zapatista nella sua originalità e
specificità occorre mettere al centro dell'analisi l'attore
principale, che è l'indio; sbaglia chi pensa che nel movimento gli
indios siano semplici marionette, manipolate da un'organizzazione
politico-militare estranea alle comunità, dalla Chiesa o da un settore
della Chiesa, da forze politiche occulte che hanno interesse a
rallentare l'ammodernamento del Messico, a ritardarne l'ingresso nel
grande mercato; oppure, più semplicemente, strumentalizzate da un
Marcos abilissimo nel dissimulare il suo gioco sotto un linguaggio
poetico-politico e nel maneggiare i simboli, un Marcos che in
definitiva sarebbe soltanto la metamorfosi postmoderna del caudillo
latinoamericano, personaggio riassumibile nella mera sete di potere.
- Cronologia.
1821: indipendenza del Messico.
1823: partendo dal principio «meglio essere coda di leone che testa di
ratto» («m s vale ser cola de leon que cabeza de raton»), la classe
dirigente della regione decide di separare il Chiapas dal Guatemala e
di annetterlo al Messico, beninteso senza consultare la maggioranza
india della popolazione.
1861-67: intervento francese, che si conclude con la disfatta e
l'esecuzione di Massimiliano d'Austria.
1867-72: presidenza di Benito Ju rez.
1876-1911: presidenza di Porfirio Diaz.
1910-20: Rivoluzione messicana.
1917: proclamazione della Costituzione, tuttora in vigore.
1919: uccisione di Emiliano Zapata il 10 aprile.
1929: Plutarco Elias Calles, presidente dal 1924 al 1928, fonda il
Partito nazionale rivoluzionario, divenuto poi Partito della
rivoluzione messicana e infine, nel 1946, Partito rivoluzionario
istituzionale.
1934-40: presidenza di L zaro C rdenas. Nazionalizzazioni (petrolio,
ferrovie), intensificazione della riforma agraria.
1968: grandi manifestazioni studentesche a Città del Messico, che a
pochi giorni dall'apertura delle Olimpiadi si concludono con il
massacro della piazza delle Tre Culture o piazza Tlatelolco.
1970-76: presidenza di Luis Echeverria. Nuova fase di riforme
populiste, combinate con un politica repressiva.
1972: creazione della «riserva lacandona».
1974: Congresso indigeno di San Cristobal de Las Casas.
1976-82: presidenza di José Lopez Portillo, che si conclude con la
grande crisi finanziaria del 1982: il Messico in stato di insolvenza.
1982-83: arrivano nel Chiapas circa centomila profughi guatemaltechi,
in maggioranza indios, per sfuggire ai massacri che si compiono nel
loro paese.
1982-88: presidenza di Miguel de la Madrid. Comincia la politica di
ammodernamento neoliberista: priorità alle esportazioni, progressivo
disimpegno dello Stato dal settore produttivo.
1985: terremoto a Città del Messico nel mese di settembre: trentamila
morti, mezzo milione di senzatetto.
1988-94: presidenza di Carlos Salinas de Gortari, eletto con una
votazione molto discussa. Accelerazione della politica neoliberista:
attenuazione delle barriere doganali, vasto programma di
privatizzazione delle imprese pubbliche, riduzione delle sovvenzioni
ai prodotti fondamentali, massiccio afflusso di capitali (in parte
effimero), crescita vertiginosa della disoccupazione e del numero
delle "maquiladoras" (officine di montaggio per l'esportazione,
collocate soprattutto lungo il confine con gli Stati Uniti).
1989: crollo del prezzo del caffè dovuto al mancato rinnovo
dell'accordo internazionale fra i paesi produttori.
1992: con la revisione dell'articolo 27 della Costituzione messicana
si rimette in discussione la riforma agraria. Numerose manifestazioni
contro la celebrazione del quinto centenario della scoperta
dell'America.
1994.
1 gennaio: entra in vigore l'accordo di libero scambio tra i paesi
nordamericani (NAFTA) fra Stati Uniti, Canada e Messico; insurrezione
zapatista: l'E.Z.L.N. occupa diverse città del Chiapas: San Cristobal
de Las Casas, Las Margaritas, Altamirano, Ocosingo.
10 gennaio: il presidente Salinas nomina commissario per la pace e la
riconciliazione nel Chiapas Manuel Camacho Solis, allora ministro
degli Esteri, già «reggente» di Città del Messico.
12 gennaio: il governo decreta una tregua unilaterale. Manifestazione
di massa per la pace a Città del Messico.
21 febbraio-2 marzo: nella cattedrale di San Cristobal si svolgono i
colloqui fra i dirigenti dell'E.Z.L.N. (il subcomandante Marcos e
venti membri del Comité Clandestino Revolucionario Indigena, il
C.C.R.I.), il commissario per la pace Manuel Camacho e il mediatore
monsignor Samuel Ruiz, vescovo di San Cristobal.
23 marzo: Luis Donaldo Colosio, candidato del P.R.I. alla presidenza
della Repubblica, muore assassinato a Tijuana, nella Bassa California.
12 giugno: dopo aver consultato la base, l'E.Z.L.N. respinge le
proposte formulate dal governo al termine dei colloqui nella
cattedrale. Manuel Camacho rinuncia all'incarico.
6-9 agosto: nel quartier generale dell'E.Z.L.N. (Guadalupe Tepeyac) si
riunisce una Convenzione nazionale democratica.
21 agosto: il P.R.I. vince le elezioni. Ernesto Zedillo Ponce de Leon
viene eletto presidente.
28 settembre: José Francisco Ruiz Massieu, segretario generale del
P.R.I., viene assassinato a Città del Messico.
1 dicembre: Ernesto Zedillo si insedia nella carica presidenziale.
19 dicembre: gli zapatisti spezzano l'accerchiamento da parte
dell'esercito e in modo pacifico occupano numerosi comuni del Chiapas,
situati fuori dalla zona originaria del conflitto.
19-21 dicembre: crisi finanziaria, svalutazione del peso (del 40%
circa); ne deriva una recessione economica segnata dalla scomparsa di
migliaia di imprese e di un milione di posti di lavoro, con una forte
diminuzione nel tenore di vita della maggioranza della popolazione.
Nel 1995 il Fondo monetario internazionale, gli Stati Uniti e altri
paesi verranno in aiuto del Messico con prestiti per un totale di 50
miliardi di dollari, in parte garantiti dalle risorse petrolifere. Si
tratta del prestito più ingente mai concesso dalla comunità
finanziaria internazionale a un singolo paese.
In seguito il Messico ha dato segni di recupero finanziario (rimborso
anticipato dei prestiti, rientro dei capitali, bilancio commerciale
positivo) ed economico (crescita delle esportazioni, ripresa
dell'occupazione, in particolare nel settore delle "maquiladoras"). Si
aggravano però l'incertezza politica, la crisi sociale e la disparità
fra Nord e Sud del paese: tutti elementi che ostacolano il processo di
pace nel Chiapas.
1995.
9 febbraio: l'esercito lancia un'offensiva per occupare il «territorio
zapatista». Contemporaneamente il governo svela la «vera identità» di
Marcos: Rafael Sebasti n Guillén Vicente, non ancora quarantenne,
proveniente da una famiglia di commercianti di Tampico (porto sul
golfo del Messico), studente di filosofia all'UNAM, poi insegnante di
tecnica della comunicazione in un'altra università della capitale,
prima di scomparire nella clandestinità.
Aprile: riprende il dialogo fra zapatisti e governo. I negoziati
proseguiranno per mesi, e con numerose interruzioni, in un villaggio
della regione montuosa (Los Altos) del Chiapas: San Andrés Larr inzar,
ribattezzato in seguito dagli zapatisti Sacamch'en de los Pobres.
27 agosto-13 settembre: l'E.Z.L.N. organizza una consultazione
nazionale e internazionale per decidere quale seguito dare alla
propria lotta (oltre un milione di persone hanno risposto alle
domande).
1996.
1 gennaio: l'E.Z.L.N. annuncia la costituzione di un raggruppamento
civile, il Frente Zapatista de Liberacion Nacional (F.Z.L.N.).
28 giugno: prima comparsa dell'Esercito popolare rivoluzionario:
alcuni guerriglieri fanno irruzione in una manifestazione del P.R.D.
nello Stato del Guerrero, dove esattamente un anno prima era accaduto
il massacro di Aguas Blancas (17 contadini erano stati trucidati dalla
polizia mentre si avviavano a una manifestazione pacifica). Nel corso
dell'anno l'E.P.R. ha fatto sentire la propria presenza in diversi
Stati del Centro e del Sud del paese, in certi casi compiendo azioni
violente.
27 luglio-3 agosto: l'E.Z.L.N. organizza nel Chiapas un incontro
internazionale per l'umanità e contro il neoliberismo, detto anche
Incontro intergalattico.
Ottobre: la comandante Ramona prende parte al Congresso nazionale
indigeno a Città del Messico.
La risonanza, la portata e il significato dell'insurrezione zapatista
superano di gran lunga l'ambito delle comunità implicate e i confini
dello Stato del Chiapas. La forza e le modalità di questa irruzione,
del ritorno della questione india sulla scena nazionale messicana sono
state una sorpresa; grazie a una pratica antica ed efficace delle
politiche indigeniste lo Stato messicano sembrava essersi messo al
riparo dai movimenti etnici del tipo di quelli che hanno toccato altre
società latinoamericane negli ultimi decenni.
Fra gli Stati messicani il Chiapas è tra quelli con più forte presenza
di indios; circa un milione di indigeni, quasi un terzo della
popolazione, si concentra in due regioni dove costituisce una netta
maggioranza: la prima è Los Altos, la zona montuosa intorno e a nord
del centro coloniale di San Cristobal de Las Casas, l'altra è la Selva
Lacandona, terra di confine e area di colonizzazione in cui sono
riunite le pianure a oriente dello Stato e le valli che vi
confluiscono (Las Canadas).
I ribelli zapatisti sono al tempo stesso il prodotto, gli agenti e gli
attori, le vittime e i beneficiari di una rivoluzione silenziosa, di
una spinta della società indigena del Chiapas verso la modernità, lo
sviluppo e la democrazia, una spinta rimasta inavvertita dal resto
della società messicana e spesso persino dal resto della società dello
stesso Chiapas.
Nel Chiapas la questione religiosa affonda le proprie radici in una
storia precolombiana e coloniale che comprende anche il vicino
Guatemala. Sia pure divisi da un confine statale, e nonostante le
differenze linguistiche e l'appartenenza a comunità di villaggio
relativamente autonome, i maya hanno a lungo condiviso la stessa
visione del mondo, le stesse credenze e gli stessi riti, e fino a
tempi recenti erano compartecipi di una stessa tradizione, che
consisteva essenzialmente in una forma sincretica maya-cattolica, nata
in epoca coloniale. Quando il Chiapas è stato separato dal Guatemala
per essere annesso al Messico, poco dopo l'Indipendenza (1821), si è
annullata la condivisione di un destino politico senza però che fosse
distrutta l'unità culturale. Nelle due regioni, con scadenze e
modalità diverse, le politiche liberali della seconda metà
dell'Ottocento, che miravano a sottrarre alla Chiesa il potere
assoluto sulle comunità e avevano prodotto lo smembramento delle
comunità stesse, hanno portato al ritiro del clero e all'avvio degli
indios verso l'emancipazione, talvolta con ribellioni con una spiccata
connotazione religiosa. Nel Chiapas la più importante di queste
ribellioni, che nel 1867-69 scoppiò in numerosi villaggi tzotzil, era
guidata da un insegnante di sangue misto, originario di Città del
Messico. Per molti anni la Chiesa cattolica fornì un minimo di
servizi, mentre il culto rimaneva quasi esclusivamente a carico delle
comunità stesse.
Il nuovo indirizzo preso dalla Chiesa cattolica si spiega con
l'evoluzione degli indios, alla quale essa stessa contribuisce, ma si
spiega anche con la concorrenza che le fanno le Chiese evangeliche (il
protestantesimo storico, ma soprattutto i pentecostali) e millenariste
(avventisti, testimoni di Geova, mormoni).
Lasciando da parte le loro espressioni sociologiche, ideologiche o
politiche, i parallelismi e gli scontri fra il movimento di
riconquista cattolico e la penetrazione delle Chiese evangeliche e
delle sette indicano come la posta in gioco sia un problema di
significato. La competizione mette in contrasto soggetti religiosi che
cercano di occupare il vuoto lasciato dalla frantumazione della
comunità tradizionale, frantumazione che essi stessi contribuiscono ad
accelerare: la loro ambizione è restituire significato alle esperienze
individuali e collettive.
Nel 1975 una delle principali conseguenze del Congresso indigeno di
San Cristobal de Las Casas fu la creazione della Union de Ejidos-
Quiptic ta lecubtesel (espressione tzeltal che significa «La nostra
forza per la liberazione»). Questa organizzazione, che ha avuto un
ruolo centrale nella mobilitazione delle comunità indigene nelle aree
di colonizzazione [21], riunisce la maggior parte delle comunità
tzeltal delle Canadas, mentre un'altra Union de Ejidos raccoglie le
comunità tojolabal della regione. Il processo si estende a comunità
delle regioni montuose e settentrionali dello Stato. Nel 1980 nasce
una Union de Uniones Ejidales y Grupos Campesinos Solidarios de
Chiapas, che si propone di federare le organizzazioni all'epoca
indipendenti dalle istituzioni ufficiali.
La società del fronte di colonizzazione, un tempo relativamente
compatta, presenta oggi molte divisioni. La spinta verso la modernità
ha generato disuguaglianze, costrizioni, dipendenze, e gli effetti
della crisi economica accentuano la differenziazione interna e la
frammentazione. La comparsa di un soggetto politico e militare insieme
ha cristallizzato le divisioni fra settori economici, fra gruppi
sociali e fra generazioni. I giovani se ne servono per contrastare
l'autorità degli anziani, ossia dei pionieri della prima generazione,
sostituendola con la propria autorità, fondata sull'organizzazione
armata. Tali evoluzioni, di per sé, non ostacolano la nascita di un
movimento rivoluzionario; l'insurrezione germina e matura sulle
fratture delle comunità, nelle crepe della società indigena.
«Che cosa importa dove ci coglierà la morte, purché sia udito il
nostro grido di guerra...» L'auspicio (funebre) di Che Guevara sembra
ancora una volta esaudito con la comparsa dell'E.Z.L.N., che dichiara
guerra al governo messicano.
Da principio, e in certa misura fino al gennaio 1994, l'E.Z.L.N. si
iscrive nella tradizione guevarista, influenzata dalle esperienze di
Nicaragua e Salvador, corrette e arricchite dalla tradizione
insurrezionale messicana. In compenso l'E.Z.L.N. non si richiama
affatto al maoismo, sebbene alcuni suoi membri ne siano stati segnati,
e benché le organizzazioni maoiste non armate, attive nel Chiapas
negli anni Settanta e nei primi anni Ottanta, abbiano lasciato tracce
nelle forme di mobilitazione socioeconomica e nella politicizzazione
di certi settori del ceto contadino indio [28].
Come dice Marcos, fin dalle sue origini lo zapatismo rifiuta il
ricorso alla giustizia sbrigativa, alle esecuzioni sommarie
("ajusticiamientos"), agli «espropri» e ai rapimenti, spesso praticati
su larga scala da altri gruppi guerriglieri dell'America latina, e
anche da altri gruppi messicani. Nondimeno i precursori e fondatori
dell'E.Z.L.N. condividevano con gli altri movimenti guerriglieri la
cultura politica e le prassi leniniste, autoritarie, militariste e
antidemocratiche. La componente di estrazione urbana e gli indios
politicizzati appartenenti al gruppo originario dell'E.Z.L.N. erano
impregnati di concezioni e comportamenti che, pur senza scomparire del
tutto, sono passati in secondo piano a mano a mano che diminuiva il
loro peso all'interno del movimento. Mentre sfumavano i riferimenti al
movimento rivoluzionario internazionale, diventavano più netti i
riferimenti messicani, presenti fin da principio; ma soprattutto si è
accentuata la dimensione india.
Il movimento zapatista non è la continuazione o il rilancio
dell'antico movimento guerrigliero: al contrario, nasce dal fallimento
di questo, non solo dalla disfatta del movimento rivoluzionario in
America latina e altrove, ma anche da una disfatta più intima: quella
dello stesso progetto zapatista quale era stato concepito e varato nei
primi anni Ottanta dai pionieri dell'E.Z.L.N., un pugno di meticci e
di indios. Una disfatta inflitta non dal nemico, ma dovuta
all'incontro con le comunità indie: il contatto con queste ultime,
anziché convertirle alla logica dell'organizzazione politico-militare,
produce uno shock culturale il cui esito è un rovesciamento delle
gerarchie; i membri dell'antica avanguardia che sono sopravvissuti e
sono rimasti nella Selva si mettono al servizio della dinamica
dell'insurrezione india. Il secondo zapatismo, quello che si manifesta
il primo gennaio 1994, è nato da quello scacco.
Aver sostituito certe categorie, come socialismo, lotta di classe e
dittatura del proletariato, con quelle di democrazia, giustizia e
libertà non è stata un'operazione di facciata: si tratta di qualcosa
di più di una nuova formulazione, e qualcosa di meno di una frattura
rivoluzionaria. E' un passaggio. Anche nell'ambito del pensiero
politico Marcos è un traghettatore; ma mentre in ambito culturale
assicura il passaggio nei due sensi, all'andata e al ritorno, in
politica è colui che, dopo aver lasciato l'antica riva, cerca di
scoprire un mondo politico nuovo, di inventare una democrazia dove
trovino posto l'istanza etica (la giustizia) e l'aspirazione al
riconoscimento (la libertà, la dignità).
Gli zapatisti mettono al centro la politica, la questione del potere,
la questione politica nazionale; e tuttavia affermano di non aspirare
al potere in prima persona.
Tra i fondamenti di tale concezione si trova l'articolazione di due
principi: l'"acuerdo" («la parola comune») e il "mandar obedeciendo"
(«comandare obbedendo»), così formulata nel documento seguente, spesso
citato e seducente ma nel quale c'è una definizione ambigua e
discutibile della democrazia:
«La ragione e la volontà spingono le donne e gli uomini d'animo buono
a cercare e trovare la maniera migliore di governare e governarsi, ciò
che è buono per i più è buono per tutti. Ma che le voci dei meno non
tacciano, che continuino al loro posto, in attesa che il pensiero e il
cuore si accomunino in ciò che è la volontà dei più e opinione dei
meno; così gli uomini e le donne leali crescono interiormente e si
fanno grandi e non c'è forza esteriore che possa ferirli o portare i
loro passi su altre strade.
«Noi ci siamo sempre mossi in maniera che la volontà dei più
penetrasse nei cuori degli uomini e delle donne che comandano. Essi
avrebbero dovuto muoversi al passo di questa volontà maggioritaria. Se
avessero deviato da quella che era la ragione della gente, il cuore
che comanda avrebbe dovuto trasformarsi in un altro che obbedisce.
Così è nata la nostra forza sulle montagne, chi comanda obbedisca se è
leale, colui che obbedisce comandi attraverso il cuore comune degli
uomini e delle donne leali. Una parola venne da fuori affinché questo
governo potesse denominarsi, e la parola con cui è stato chiamato
questo nostro camminare che è in marcia fin da prima che le parole
camminassero, è "democrazia"» [34].
La condizione primaria della democratizzazione è lo smantellamento del
sistema del partito-Stato impostato nel 1929 dal presidente Calles, e
tuttora vigente. La prima Dichiarazione della Selva Lacandona chiedeva
la fine della «dittatura» esercitata dal Partito rivoluzionario
istituzionale e la deposizione del capo dell'esecutivo, nella
fattispecie Carlos Salinas, a opera delle «altre istanze della
Nazione».
Quanto agli zapatisti, essi non si accontentano di una correzione del
sistema, locale, regionale o nazionale, bensì aspirano a sconvolgere
la cultura politica, ossia a invertire la piramide del potere. Il loro
concetto di democrazia coincide con una società in cui il potere sia
collocato alla base e in cui le istituzioni, i rappresentanti, gli
eletti siano al servizio della base, secondo il principio del "mandar
obedeciendo".
«Saluto in lei il letterato, il diplomatico e lo scienziato, ma
soprattutto saluto il messicano» scrive Marcos allo scrittore Carlos
Fuentes , il quale da parte sua aveva dichiarato che i fatti del
Chiapas hanno «ridestato la coscienza nazionale messicana» .
Agire in politica per vie diverse da quelle classiche, non sacrificare
l'etica alla politica: lo zapatismo ha una sicura parentela con il
movimento di Gandhi e più ancora con quello per i diritti civili di
Martin Luther King [42].
Sono innumerevoli i pericoli che minacciano il movimento zapatista.
Quelli esterni sono i più visibili e quelli segnalati con maggiore
frequenza, ma non sono i soli, e soprattutto possono associarsi a
evoluzioni interne capaci di ostacolare lo sviluppo o di metterne a
repentaglio la sopravvivenza.
Nelle settimane e nei mesi seguiti all'insurrezione, il governo
messicano ha dimostrato un'agilità, una flessibilità e un senso
dell'iniziativa politica di cui si hanno pochi esempi in analoghe
situazioni sia nell'America latina sia nel resto del mondo. Ma il
processo di pace si è arenato con le turbolenze politiche ed
economiche seguite all'assassinio del candidato alla presidenza, Luis
Donaldo Colosio, avvenuto il 23 marzo 1994 . La cattiva
disposizione del governo e la diffidenza degli zapatisti hanno più
volte indotto questi ultimi a interrompere i negoziati. Il potere
alterna docce calde e fredde, si destreggia fra il dialogo e la
repressione, e pur essendo fortemente scosso, tenta di conservare il
dominio esclusivo sulla definizione dell'identità nazionale e sulla
manipolazione delle identità etniche. Da quando nel dicembre 1994
l'E.Z.L.N. ha fatto la sua comparsa in numerose municipalità del
Chiapas e da quando nel febbraio 1995 l'esercito ha ripreso possesso
del «territorio zapatista», la «buffa pace armata» si è prolungata,
come una gara di braccio di ferro, in un fronteggiarsi nel quale il
governo sembra contare sullo sfinimento della popolazione e sul fiato
corto degli zapatisti. Per rompere l'accerchiamento questi ultimi
hanno moltiplicato le iniziative politiche e simboliche. Alla
Convenzione nazionale democratica dell'agosto 1994 è seguita, un anno
dopo, l'organizzazione di una consultazione nazionale, anzi anche
internazionale, circa l'orientamento da dare allo zapatismo, con
l'Incontro intercontinentale per l'umanità e contro il neoliberismo
tenuto nel luglio-agosto 1996; quindi si è avuta la partecipazione al
Congresso nazionale indigeno a Città del Messico, nell'ottobre dello
stesso anno, di un personaggio fra i più popolari del movimento: la
"comandante" Ramona, un'india tzeltal che soffre di una grave
malattia.
Le istituzioni statali non sono l'unica fonte delle minacce incombenti
sugli zapatisti in ambito politico: le forze politiche messicane nel
loro insieme, compreso il P.R.D., erede del populismo cardenista,
rispecchiano un modello statalista e autoritario; tutte obbediscono al
principio d'inerzia (perseverare nel proprio stato) che le induce a
diffidare degli appelli all'apertura di Marcos e dei suoi. Se è vero
che molti capi dell'opposizione, e non di secondo piano, sono venuti
nel Chiapas per incontrare gli zapatisti, non sembra che ciò abbia
loro giovato nella corsa al potere, ed è soprattutto questo che li
preoccupa in primissimo luogo. La scadenza elettorale del 1997
accentua il ripiegamento su se stesso del sistema politico: a lungo
termine tale fenomeno potrebbe essergli nefasto, ma nell'immediato
rischia di accentuare l'isolamento dell'E.Z.L.N. oppure di
costringerlo a sacrificare la propria specificità e radicalità come
prezzo per entrare nel gioco politico, per tramite del suo rapporto
con la Comision de Concordia y Pacificacion (Cocopa) [44].
Il pericolo più inatteso e che a fine agosto 1996, all'epoca di queste
conversazioni, era motivo di forte preoccupazione per gli zapatisti, è
quello che sta sorgendo alla loro sinistra: il ritorno, con l'E.P.R.,
di quello che si presenta come un movimento guerrigliero
rivoluzionario ortodosso. Questi «amici che [gli] vogliono bene»
costituiscono una minaccia per lo zapatismo: in via indiretta perché
accentuano le tendenze dello Stato e del sistema politico verso
l'irrigidimento, e perché instillano nel complesso della società un
clima di paura poco favorevole all'emergere dei soggetti sociali; in
via diretta perché i guerriglieri dell'E.P.R. hanno dei conti in
sospeso con lo zapatismo e alcuni di loro sognano di riuscire a
seppellirlo, di farlo saltare in aria e di raccoglierne i pezzi.
I fattori esterni possono concatenarsi con logiche interne per
dividere e isolare il movimento; così, la tendenza degli esponenti
politici a disinteressarsi dello zapatismo si riflette nella
diffidenza di questo nei loro confronti. «Ho paura di mettere i piedi
in un campo politico melmoso, dove rischio di impantanarmi» dice
Marcos. La sua posizione è comprensibile e fondata su esperienze
deludenti, ma rischia di portarlo a sacrificare la politica in nome
dell'etica.
E' più frequente morire soffocati dai nemici che dagli amici, ma una
dipendenza eccessiva dalla solidarietà nazionale e internazionale può
condurre a uno status di assistito permanente. Il «significato» in
cambio di cibo e di uno scudo vivente: in cambio dei mezzi di
sussistenza e della protezione, lo zapatismo dà il «supplemento di
anima» che manca alle altre organizzazioni politiche e sociali del
Messico, e che soprattutto fa tragicamente difetto a chi è organizzato
o non organizzato nelle società del primo mondo.
Il talento di comunicatore e il gusto per il gioco degli specchi hanno
fatto nascere il personaggio di Marcos, assicurando in larga misura il
suo successo e quello dello zapatismo. Peraltro queste doti presentano
qualche rischio.
- La caduta del muro di Berlino e la breccia zapatista.
La guerra fredda aveva precipitato il pianeta in un'era glaciale; il
blocco comunista era nel congelatore; nel terzo mondo i movimenti di
decolonizzazione avevano prodotto scosse formidabili, ma la banchisa
comunista aveva finito col raggiungere anche i tropici, e si videro
nascere due, tre, tanti Vietnam... tutti sovietizzati.
Spesso si sentiva dire (oggi lo si sente più di rado) che la lotta
armata è il punto d'arrivo delle lotte sociali, il loro compimento, la
loro espressione più perfetta. E' vero l'esatto contrario. Si ricade
nella violenza quando il movimento sociale è impallidito, si trova in
un vicolo cieco o si decompone; e questo moto di rimbalzo precipita la
distruzione del movimento e dei soggetti sociali che vi agiscono.
Invece, dopo essere stati bloccati nel loro slancio da reazioni che
non si aspettavano, da parte della società civile e di determinati
settori governativi, gli zapatisti si sono svincolati dall'ingranaggio
bellico e hanno tentato di trovare una via d'uscita politica.
1. In questi termini una prestigiosa rivista francese di sinistra
presentava alla vigilia dell'insurrezione la tappa in Chiapas
all'interno di un «circuito eccezionale in Messico e Guatemala». La
città coloniale di San Cristobal de Las Casas venne occupata dagli
zapatisti.