INDICE DEL VOLUME.
Parte seconda.
RIVOLUZIONE MONDIALE, GUERRA CIVILE E TERRORE
1. Il Comintern in azione (di Stéphane Courtois e Jean-Louis Panné)
La rivoluzione in Europa
Comintern e guerra civile
Dittatura, criminalizzazione degli oppositori e repressione all'interno del Comintern
Il Grande terrore colpisce il Comintern
Il terrore all'interno dei partiti comunisti
La caccia ai trotzkisti
Antifascisti e rivoluzionari stranieri vittime del terrore nell'URSS
Guerra civile e guerra di liberazione nazionale
2. L'ombra dell'N.K.V.D. in Spagna (di Stéphane Courtois e Jean-Louis Panné)
3. Comunismo e terrorismo (di Rémi Kauffer)
Appena salito al potere Lenin sognava di propagare l'incendio rivoluzionario all'Europa e a tutto il resto del mondo. Questo sogno, che rispondeva innanzi tutto al celebre slogan del "Manifesto del Partito comunista" di Marx del 1848, «Proletari di tutto il mondo, unitevi!», venne tutt'a un tratto a corrispondere anche a una necessità impellente: la rivoluzione bolscevica sarebbe rimasta al potere e si sarebbe sviluppata solo con la protezione, il sostegno e l'avvicendamento di altre rivoluzioni nei paesi più avanzati. Lenin pensava soprattutto alla Germania, con il suo proletariato ben organizzato e le sue enormi potenzialità industriali. Questa necessità congiunturale si trasformò ben presto in un vero e proprio progetto politico: la rivoluzione mondiale.
In un primo tempo gli avvenimenti parvero dare ragione al leader bolscevico. La disgregazione degli imperi di Germania e di Austria- Ungheria, seguita alla sconfitta militare che essi avevano subito nel 1918, provocò in Europa un terremoto politico accompagnato da un grande movimento rivoluzionario. Prima ancora che i bolscevichi prendessero qualsiasi iniziativa che non fosse solo verbale o propagandistica, la rivoluzione parve sorgere spontaneamente sulla scia della sconfitta tedesca e austro-ungarica.
A Berlino già nel dicembre 1918 Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht pubblicarono il programma della Lega Spartaco che, pochi giorni dopo, si staccò dal Partito socialdemocratico indipendente per fondare insieme ad altre organizzazioni il K.P.D., il Partito comunista tedesco. Ai primi di gennaio del 1919 gli spartachisti, guidati da Karl Liebknecht - che era molto più estremista di Rosa Luxemburg [1] e che, seguendo l'esempio leninista, era contrario all'elezione di un'Assemblea costituente -, tentarono un'insurrezione a Berlino, che fu repressa dai militari agli ordini del governo socialdemocratico. Arrestati, i due leader furono assassinati il 15 gennaio. Lo stesso avvenne in Baviera dove il 13 aprile 1919 un responsabile del K.P.D., Eugen Leviné, si mise a capo di una Repubblica dei consigli, nazionalizzò le banche e cominciò a formare un'armata rossa. La Comune di Monaco fu schiacciata militarmente il 30 aprile e Leviné, arrestato il 13 maggio, fu giudicato da una corte marziale, condannato a morte e fucilato il 5 giugno.
Ma l'esempio più famoso di questa ondata rivoluzionaria è l'Ungheria, un paese sconfitto che a stento si rassegnava alla cessione della Transilvania imposta dagli Alleati vincitori [2]. Quello ungherese è il primo caso in cui i bolscevichi riuscirono a esportare la loro rivoluzione. Fin dall'inizio del 1918 il partito bolscevico aveva raggruppato al proprio interno tutti i simpatizzanti non russi in una Federazione dei gruppi comunisti stranieri. Esisteva, quindi, a Mosca un gruppo ungherese, formato prevalentemente da ex prigionieri di guerra, che a partire dall'ottobre 1918 inviò una ventina di suoi rappresentanti in Ungheria. Il 4 novembre a Budapest fu fondato il Partito comunista ungherese, alla cui testa ben presto si mise Béla Kun. Fatto prigioniero durante la guerra, Kun aveva aderito entusiasticamente alla Rivoluzione bolscevica, tanto da diventare presidente della Federazione dei gruppi stranieri nell'aprile 1918. Giunto in Ungheria in novembre insieme a 80 militanti, fu eletto alla guida del Partito. Si calcola che tra la fine del 1918 e l'inizio del 1919 siano arrivati in Ungheria da 250 a 300 «agitatori» ed emissari. Grazie all'appoggio finanziario dei bolscevichi, i comunisti ungheresi furono in grado di fare propaganda e acquistare maggiore influenza. Il 18 febbraio 1919 la sede del giornale ufficiale dei socialdemocratici, la «Nepszava» (La voce del popolo), decisamente ostile ai bolscevichi, fu presa d'assalto da una folla di disoccupati e soldati mobilitati dai comunisti intenzionati a impadronirsene o a distruggere la tipografia. Intervenne la polizia e ci furono otto morti e un centinaio di feriti. Quella notte Béla Kun e il suo establishment furono arrestati. Al carcere centrale i prigionieri furono picchiati dagli agenti di polizia che volevano vendicare i colleghi uccisi durante l'assalto alla «Nepszava». Il presidente ungherese, Mih ly K rolyi, mandò il suo segretario a informarsi sulle condizioni di salute del leader comunista il quale, da quel momento in poi, beneficiò di un regime assai liberale che gli permise di continuare la propria attività e ben presto di capovolgere la situazione. Il 21 marzo, mentre era ancora in prigione, egli conseguì un'importante vittoria: la fusione del Partito comunista ungherese con il Partito socialdemocratico. Contemporaneamente le dimissioni del presidente K rolyi aprirono la strada alla proclamazione di una Repubblica dei consigli, alla scarcerazione dei comunisti detenuti e all'organizzazione, sull'esempio bolscevico, di un Consiglio di Stato rivoluzionario composto da commissari del popolo. La repubblica durò 133 giorni, dal 21 marzo al primo agosto 1919.
Fin dalla prima riunione i commissari decisero di istituire dei tribunali rivoluzionari con giudici scelti tra il popolo. In collegamento telegrafico regolare con Budapest dal 22 marzo (per un totale di 218 messaggi scambiati), Lenin, che Béla Kun aveva salutato come capo del proletariato mondiale, consigliò di fucilare alcuni socialdemocratici e piccolo borghesi. Nel messaggio di saluto agli operai ungheresi del 27 maggio 1919 giustificava così il ricorso al terrore: «Questa dittatura [del proletariato] presuppone l'uso implacabilmente duro, rapido e deciso della violenza per schiacciare la resistenza degli sfruttatori, dei capitalisti, dei grandi proprietari fondiari e dei loro tirapiedi. Chi non l'ha capito non è un rivoluzionario». Il commissario per il Commercio, M ty s R kosi, quello per gli Affari economici, Evgenij Varga, e i responsabili dei tribunali popolari si alienarono ben presto le simpatie di commercianti, impiegati e avvocati. Un proclama affisso sui muri riassumeva lo stato d'animo del momento: «Nello Stato dei proletari solo chi lavora ha il diritto di vivere!». Il lavoro divenne obbligatorio e furono espropriate prima le imprese con più di 20 operai e poi quelle con 10 o meno.
L'esercito e la polizia furono sciolti e fu istituito un nuovo esercito di volontari di provata fede rivoluzionaria. Ben presto fu organizzata una truppa del terrore del Consiglio rivoluzionario del governo nota anche con il nome di «Ragazzi di Lenin». Costoro uccisero una decina di persone, fra cui un giovane ufficiale di marina, Ladislas Dobsa, un ex primo sottosegretario di Stato, il figlio di questi, dirigente delle ferrovie, e tre ufficiali di gendarmeria. I Ragazzi di Lenin erano agli ordini di un ex marinaio, Jòzsef Czerny, che reclutava i suoi adepti tra i comunisti più radicali e soprattutto tra gli ex prigionieri di guerra che avevano preso parte alla Rivoluzione russa. Czerny si avvicinò a Szamuely, il leader comunista più radicale, in contrasto con Béla Kun; quest'ultimo arrivò a proporre lo scioglimento dei Ragazzi di Lenin. Per tutta risposta Czerny chiamò a raccolta i suoi uomini e li fece marciare sulla Casa dei soviet, dove Béla Kun ebbe l'appoggio del socialdemocratico Jòzsef Haubrich, commissario del popolo per la Guerra. Alla fine fu intavolata una trattativa e gli uomini di Czerny accettarono di entrare nel commissariato del popolo per gli Interni o di arruolarsi nell'esercito. La maggior parte di loro optò per questa seconda soluzione.
Alla testa di una ventina di Ragazzi di Lenin, Tibor Szamuely si recò a Szolnok, la prima città occupata dall'Armata rossa ungherese, e fece giustiziare numerosi notabili accusati di collaborare con i romeni, considerati nemici dal punto di vista sia nazionale (a causa della questione della Transilvania) sia politico (in quanto il regime romeno osteggiava il bolscevismo). Un liceale israelita presentatosi a chiedere la grazia per il padre fu messo a morte per avere definito Szamuely una «bestia feroce». Il capo dell'Armata rossa tentò invano di frenare l'entusiasmo terroristico di Szamuely che, a bordo di un treno che aveva requisito, viaggiava per l'Ungheria facendo impiccare i contadini recalcitranti di fronte alla collettivizzazione. Accusato di 150 omicidi, il suo vice Jòzsef Kerekes avrebbe poi confessato di avere fucilato 5 persone e di averne impiccate con le proprie mani altre 13. Il numero preciso delle esecuzioni non è mai stato accertato. Arthur Koestler sostiene che furono meno di 500, ma osserva: «Non dubito minimamente che anche il comunismo in Ungheria sarebbe a un certo punto degenerato in uno Stato totalitario di polizia, seguendo necessariamente l'esempio russo ... Ma questa conoscenza a posteriori non toglie nulla alle grandi speranze dei primi giorni di rivoluzione...». Gli storici attribuiscono ai Ragazzi di Lenin 80 delle 129 esecuzioni documentate, ma è probabile che il numero delle vittime ammonti a varie centinaia.
Con il crescere dell'opposizione e il deteriorarsi della situazione militare nei confronti delle truppe romene il governo rivoluzionario giunse persino a sfruttare l'antisemitismo. Fu affisso un manifesto che denunciava gli ebrei perché si rifiutavano di partire per il fronte: «Se non vogliono dare la vita per la santa causa della dittatura del proletariato, sterminateli!». Béla Kun fece arrestare 5000 ebrei venuti dalla Polonia in cerca di provviste: i loro beni furono confiscati, ed essi poi furono espulsi dal paese. L'ala radicale del Partito comunista ungherese chiese che Szamuely assumesse il controllo della situazione; invocava, inoltre, una notte di San Bartolomeo rossa come se fosse l'unico mezzo per fermare il degrado della situazione della Repubblica dei consigli. Czerny tentò di riorganizzare i suoi Ragazzi di Lenin. A metà luglio sulla «Nepszava» comparve un appello:
Il giorno dopo fu pubblicata una smentita ufficiale:
Le ultime settimane della Comune di Budapest furono caotiche. Béla Kun dovette far fronte a un tentativo di golpe, probabilmente ispirato da Szamuely. Il primo agosto 1919 lasciò Budapest sotto la protezione della missione militare italiana; nell'estate 1920 si rifugiò nell'URSS e, al suo arrivo, fu nominato commissario politico dell'Armata rossa sul fronte meridionale, dove si mise in luce facendo giustiziare gli ufficiali di Vrangel' che si erano arresi per aver salva la vita. Szamuely tentò di fuggire in Austria, ma fu arrestato il 2 agosto e si suicidò.
- Dittatura, criminalizzazione degli oppositori e repressione
all'interno del Comintern.
Il Comintern, se sotto la spinta di Mosca manteneva gruppi armati in
tutti i partiti comunisti esteri e preparava insurrezioni e guerre
civili contro il potere costituito dei rispettivi paesi, non trascurò
di introdurre anche al proprio interno i metodi di polizia e di
terrore in uso nell'URSS. Durante il Decimo Congresso del partito
bolscevico, che si tenne dall'8 al 16 marzo 1921 mentre le autorità
erano alle prese con la ribellione di Kronstadt, furono gettate le
basi di un regime dittatoriale all'interno dello stesso Partito.
Durante la fase di preparazione del congresso erano state proposte e
discusse non meno di otto piattaforme diverse. Questi dibattiti
rappresentavano in un certo senso le ultime vestigia della democrazia
mancata della Russia. Solo all'interno del Partito rimaneva un
surrogato di libertà di parola, destinato a non durare a lungo. Il
secondo giorno dei lavori Lenin diede il la:
Le condizioni materiali erano queste:
La complessa questione dei servizi fu subito messa in secondo piano da un fattore decisivo: sia il Comintern sia i servizi speciali dovettero rispondere all'autorità suprema del direttivo del P.C.U.S., rendendo conto del proprio operato addirittura a Stalin. Nel 1932 Martemiam Rjutin, che aveva condotto con zelo e senza scrupoli la repressione contro l'opposizione, entrò a sua volta in contrasto con Stalin. Redasse una piattaforma in cui si legge:
Già alla fine degli anni Venti il Comintern, che dipendeva finanziariamente dallo Stato sovietico, aveva perso qualsiasi possibilità di essere autonomo. Ma a questa dipendenza materiale, che aggravava quella politica, si aggiunse la dipendenza indotta dal regime di polizia.
La pressione sempre maggiore dei servizi di polizia sui militanti del Comintern fece sì che tra loro si diffondessero paura e diffidenza. La delazione rovinava i rapporti interpersonali e il sospetto invadeva le menti. C'erano due tipi di delazione: le denunce volontarie e quelle estorte con la tortura, fisica e psicologica. A volte il fattore scatenante era semplicemente la paura, ma alcuni militanti consideravano un onore denunciare i propri compagni. Il caso del comunista francese André Marty è tipico di questa furia paranoica, di questo zelo sfrenato di dimostrarsi il più vigile dei comunisti. In una lettera «strettamente riservata» indirizzata al segretario generale in carica del Comintern, Georgi Dimitrov, il 23 giugno 1937, Marty sporse una lunga denuncia contro il rappresentante dell'Internazionale in Francia, Evzen Fried, dichiarandosi stupito che non fosse ancora stato arrestato dalla polizia francese, cosa che gli pareva a dir poco sospetta....
Dello stesso genere è il seguente brano di una delle lettere indirizzate al «compagno L. P. Berija» (commissario per gli Affari interni dell'URSS) dalla bulgara Stella Blagoeva, un'oscura impiegata della sezione quadri del Comitato esecutivo del Comintern:
Arkadij Vaksberg precisa che gli archivi del Comintern contengono decine (o addirittura centinaia) di denunce, fenomeno che dimostra la decadenza morale degli uomini del Comintern o dei funzionari del P.C.U.S. Questa decadenza divenne del tutto evidente in occasione dei grandi processi contro la vecchia guardia bolscevica, che aveva dato il suo contributo all'instaurazione di un potere basato sulla menzogna assoluta.
- Il Grande terrore colpisce il Comintern.
L'assassinio di Kirov, il primo dicembre 1934, offrì a Stalin un
ottimo pretesto per passare da una repressione severa a un vero e
proprio regime di terrore, sia nel Comintern sia nel partito russo. La storia del P.C.U.S., e quindi quella del Comintern, erano
entrate in una fase nuova. Il terrore, fino a quel momento esercitato
contro la popolazione, fu esteso ai protagonisti del potere assoluto
gestito dal P.C.U.S. e dal suo onnipotente segretario generale.
Le prime vittime furono i membri dell'opposizione russa già in
carcere. Alla fine del 1935 i detenuti liberati allo scadere della
pena furono ricondotti in prigione. Parecchie migliaia di militanti
trotzkisti furono radunati nella regione di Vorkuta. Circa 500 erano
in miniera, un migliaio nel campo di Uhta-Peciora, per un totale di
parecchie migliaia nel raggio di Peciora. Il 27 ottobre 1936 1000 di
loro cominciarono uno sciopero della fame che durò 132 giorni.
- Il terrore all'interno dei partiti comunisti.
Dopo avere ripulito l'apparato centrale del Comintern, Stalin passò
alle varie sezioni dell'Internazionale comunista. La prima a subirne
le conseguenze fu quella tedesca. Oltre ai discendenti dei coloni del
Volga, militanti del Partito comunista tedesco, il K.P.D., la comunità
tedesca nella Russia sovietica comprendeva antifascisti rifugiatisi
nell'URSS e operai che avevano lasciato la Repubblica di Weimar per
partecipare all'«edificazione del socialismo». Di ciò non si tenne il
minimo conto quando cominciarono gli arresti, nel 1933. In totale, due
terzi degli antifascisti tedeschi in esilio nell'URSS furono vittime
della repressione.
Contemporaneamente ai comunisti tedeschi finirono nell'ingranaggio del terrore i quadri del Partito comunista di Palestina, molti dei quali erano emigrati in Polonia. Joseph Berger (1904-1978), ex segretario del P.C.P. dal 1929 al 1931, fu arrestato il 27 febbraio 1935 e liberato solo dopo il Ventesimo Congresso, nel 1956. Il suo è un caso eccezionale: molti altri militanti furono giustiziati o scomparvero nei campi di sterminio. Wolf Averbuch, che dirigeva una fabbrica di trattori a Rostov sul Don, fu arrestato nel 1936 e giustiziato nel 1941. La politica di eliminazione sistematica dei membri del P.C.P. o dei gruppi sionisti socialisti nell'URSS va collegata alla politica sovietica nei confronti della minoranza ebraica, esemplificata dalla costituzione di Birobidzan (il capoluogo della provincia autonoma degli ebrei nella Siberia sudorientale), i cui responsabili furono messi in stato di accusa. Il professor Josif Liberberg, presidente del Comitato esecutivo di Birobidzan, fu denunciato in quanto nemico del popolo. Dopo di lui furono eliminati gli altri quadri della regione autonoma con funzioni istituzionali. Samuil Augurskij (1884-1947) fu accusato di appartenere a un presunto Centro giudeo-fascista. L'intera sezione ebraica del partito russo (la «Evsekcija») fu smantellata. L'obiettivo era l'abbattimento delle istituzioni ebraiche proprio mentre fuori dell'URSS lo Stato sovietico cercava di procurarsi il sostegno di ebrei eminenti.
***
Uno dei gruppi più duramente colpiti fu quello dei comunisti polacchi. Nelle statistiche della repressione vengono al secondo posto, subito dopo i russi. E' vero che, contrariamente alle abitudini, il Partito comunista polacco (K.P.P.) era stato sciolto in maniera ufficiale in seguito a una frettolosa votazione del Comitato esecutivo del Comintern il 16 agosto 1938. Stalin aveva sempre giudicato con sospetto il K.P.P., ritenuto colpevole di molte e varie deviazioni. Numerosi dirigenti comunisti polacchi avevano fatto parte dell'entourage di Lenin prima del 1917 e vivevano privi di tutela giuridica nell'URSS. Nel 1923 il K.P.P. aveva preso posizione a favore di Trotsky e, alla vigilia della morte di Lenin, la direzione aveva adottato una risoluzione a favore dell'Opposizione. In seguito fu criticata per il suo «luxemburghismo». Durante il Quinto Congresso del Comintern, nel giugno-luglio del 1924, Stalin estromise i leader storici del K.P.P. - Adolf Warski, Maksimilian Walecki e Wera Kostrzewa - compiendo così un primo passo verso l'assunzione del controllo da parte del Comintern. In seguito il K.P.P. fu denunciato come focolaio di trotzkismo. Questa breve sintesi dei fatti non basta a spiegare la purga radicale che colpì il Partito, molti dirigenti del quale erano di origine ebraica. Ci fu anche la questione dell'Organizzazione militare polacca (P.O.W.) nel 1933 (si veda il contributo di Andrzej Paczkowski). Bisogna tenere presente, inoltre, che la politica del Comintern tendeva a imporre alla sezione polacca un orientamento interamente volto a indebolire lo Stato polacco a vantaggio dell'URSS e della Germania. L'ipotesi secondo cui l'eliminazione del K.P.P. sarebbe stata motivata prima di tutto dalla necessità di preparare la firma degli accordi russo-tedeschi merita, quindi, di essere presa in seria considerazione. Anche il modo in cui Stalin la affrontò è indicativo: con l'aiuto dell'apparato del Comintern fece in modo che tutte le sue vittime tornassero a Mosca, stando attento a non farsi sfuggire nessuno. Sopravvisse solo chi era detenuto in Polonia, come Wladyslaw Gomulka.
Nel febbraio 1938 l'«Internationale Presse Korrespondenz», quindicinale ufficiale del Comintern, con un articolo firmato da J. Swiecicki, mise sotto accusa tutto il K.P.P. Durante la purga iniziata nel giugno del 1937 (il segretario generale Julian Lenski, convocato a Mosca, scomparve in questo periodo) furono eliminati 12 membri del Comitato centrale, numerosi dirigenti di secondo piano e diverse centinaia di militanti. La purga si estese anche ai polacchi arruolati nelle Brigate internazionali: i responsabili politici della brigata Dombrowski, Kazimierz Cichowski e Gustav Reicher, furono arrestati non appena rientrarono a Mosca. Solo nel 1942 Stalin si rese conto della necessità di ricostituire un Partito comunista polacco, il Partito operaio polacco (P.P.R.), per farne il fulcro di un futuro governo ai suoi ordini, in contrapposizione con il governo legale in esilio a Londra.
Anche i comunisti iugoslavi dovettero subire i pesanti effetti del terrore stalinista. Dichiarato fuori legge nel 1921, il Partito comunista iugoslavo era stato costretto a ripiegare all'estero, a Vienna dal 1921 al 1936 e, quindi, a Parigi dal 1936 al 1939; ma il suo nucleo principale si costituì soprattutto a Mosca dopo il 1925. Intorno agli studenti dell'Università comunista delle minoranze nazionali, dell'Università comunista Sverdlov e della Scuola leninista internazionale si formò un primo nucleo di emigrati iugoslavi, poi rafforzato da una nuova ondata giunta in seguito all'instaurazione, nel 1929, della dittatura del re Alessandro. Negli anni Trenta risiedevano nell'URSS da 200 a 300 comunisti iugoslavi, molto presenti nelle amministrazioni internazionali, del Comintern e dell'Internazionale comunista giovanile in particolare. Per questo motivo erano evidentemente collegati al P.C.U.S.
Si fecero una cattiva reputazione per via delle numerose lotte tra le fazioni che si disputavano la direzione del K.P.J. In queste circostanze l'intervento della direzione del Comintern divenne sempre più frequente e vincolante. Verso la metà del 1925 ci fu una "cistka", un accertamento-epurazione, alla K.U.M.N.Z., dove gli studenti iugoslavi, piuttosto favorevoli all'Opposizione, osteggiavano il rettore Maria J. Frukina. Alcuni studenti furono espulsi con una nota di biasimo e quattro (Ante Ciliga, Dedic, Dragiced Eberling) arrestati e mandati in Siberia. Nel 1932 ci fu una nuova epurazione all'interno del K.P.J., che portò all'esclusione di 16 militanti.
Dopo l'assassinio di Kirov il controllo sugli emigrati politici si intensificò e nell'autunno 1936 tutti i militanti del K.P.J. furono sottoposti a un accertamento prima dell'inizio del terrore. Per quanto riguarda gli emigrati politici, il cui destino è più noto di quello dei lavoratori anonimi, abbiamo notizia dell'arresto e della scomparsa di 8 segretari e di altri 15 membri del Comitato centrale del K.P.J. e di 21 segretari delle direzioni regionali o locali. Uno dei segretari del K.P.J., Sima Markovic, che era stato costretto a rifugiarsi nell'URSS, lavorava all'Accademia delle scienze; fu arrestato nel luglio 1939 e condannato a dieci anni di lavori forzati senza il diritto di corrispondenza. Morì in prigione. Altri furono giustiziati seduta stante, come i fratelli Vujovic, Radomir (membro del Comitato centrale del K.P.J.) e Gregor (membro del Comitato centrale della gioventò); Voja Vujovic, ex responsabile dell'Internazionale comunista giovanile, che aveva solidarizzato con Trotsky nel 1927, era stato il primo a scomparire e al suo arresto fece seguito quello dei fratelli. Milan Gorkic, segretario del Comitato centrale del Partito comunista della Iugoslavia dal 1932 al 1937, fu accusato di avere creato un'organizzazione antisovietica all'interno del Comintern, diretta da Knorin e Pjatnickij.
A metà degli anni Sessanta il K.P.J. riabilitò un centinaio di vittime della repressione, ma non fu mai aperta un'inchiesta sull'accaduto. E' vero, però, che un'indagine del genere avrebbe indirettamente sollevato la questione delle vittime della repressione condotta contro i sostenitori dell'URSS in Iugoslavia dopo lo scisma del 1948 e, soprattutto, avrebbe sottolineato il fatto che l'ascesa di Tito (Josip Broz) ai vertici del Partito nel 1938 era seguita a una purga particolarmente sanguinosa. Il fatto che Tito nel 1948 si fosse messo contro Stalin non diminuiva affatto la sua responsabilità nella purga degli anni Trenta.
- La caccia ai trotzkisti.
Dopo aver decimato i ranghi dei comunisti stranieri che vivevano
nell'URSS, Stalin passò ai dissidenti che risiedevano all'estero.
L'N.K.V.D. ebbe così l'occasione di mostrare la propria potenza a
livello mondiale.
Sudoplatov ha ammesso invece di essere stato incaricato nel marzo 1939 da Berija e Stalin in persona di assassinare Trotsky. Stalin gli disse: «Trotsky dovrebbe essere eliminato entro un anno, prima che scoppi la guerra che è inevitabile», aggiungendo poi: «Riferisca direttamente al compagno Berija e a nessun altro, ma ricordi che la responsabilità di compiere la missione con successo ricade su di Lei e solo su di Lei». Ebbe inizio così una caccia spietata al capo della Quarta Internazionale, passando per Parigi, Bruxelles, gli Stati Uniti, fino a Città del Messico, dove risiedeva. Con la complicità del Partito comunista messicano, gli agenti di Sudoplatov prepararono un primo attentato, a cui Trotsky sfuggì per miracolo il 24 maggio. Grazie a Ramòn Mercader, infiltrato sotto falso nome, Sudoplatov riuscì a sbarazzarsi di Trotsky. Mercader, conquistatosi la fiducia di una militante Trotskysta, riuscì a entrare in contatto con il «vecchio». Trotsky, poco sospettoso, accettò di incontrarlo per comunicargli la sua opinione su un articolo scritto in difesa della sua figura di rivoluzionario. Mercader lo colpì alla testa con una piccozza. Ferito, Trotsky lanciò un grido. La moglie e le guardie del corpo si precipitarono su Mercader che, compiuto il suo gesto, era rimasto come paralizzato. Trotsky morì il giorno dopo.
Lev Trotsky aveva denunciato la commistione tra i partiti comunisti, le sezioni del Comintern e i servizi dell'N.K.V.D., ben consapevole del fatto che il Comintern era sotto il dominio prima della G.P.U. e poi dell'N.K.V.D. In una lettera del 27 maggio 1940 indirizzata al procuratore generale del Messico, tre giorni dopo il primo attentato di cui era stato vittima, scriveva:
Nel suo ultimo scritto, sempre a proposito del 24 maggio, tornò con dovizia di particolari sull'attentato di cui per un soffio non era rimasto vittima. Ai suoi occhi la G.P.U. (Trotsky usa sempre il nome adottato nel 1922, quando aveva rapporti con essa) era «l'organo principale del potere di Stalin», era «lo strumento del dominio totalitario» nell'URSS, da cui «uno spirito di servilismo e cinismo [che] si è diffuso in tutto il Comintern e avvelena il movimento operaio fino al midollo». Insistette a lungo su questa dimensione particolare che era determinante sotto molti aspetti nell'ambito dei partiti comunisti:
Quest'analisi, sostenuta da numerosi argomenti, era il frutto della duplice esperienza di Trotsky: quella acquisita quando era dirigente del nascente Stato sovietico e quella del proscritto inseguito in tutto il mondo dagli assassini dell'N.K.V.D., di cui oggi si conoscono con certezza i nomi. In particolare si trattava di dirigenti del dipartimento Incarichi speciali, istituito nel dicembre del 1936 da Nikolaj Ezov: Sergej Spigel'glas, che fallì; Pavel Sudoplatov (morto nel 1996) e Naum Ejtingon (morto nel 1981) che invece, grazie a numerose complicità, riuscirono nel loro intento.
Gran parte di quello che si sa sull'uccisione di Trotsky in Messico il 20 agosto 1940 deriva dalle varie indagini condotte immediatamente sul posto e poi riprese in seguito da Julièn Gorkin. Sul mandante dell'omicidio non sussistevano dubbi e il responsabile diretto era noto; tali informazioni sono state confermate di recente da Sudoplatov. Jaime Ramòn Mercader del Rio era figlio di Caridad Mercader, una comunista che lavorava da tempo per i servizi segreti e che divenne l'amante di Ejtingon. Mercader aveva avvicinato Trotsky usando il nome di Jacques Mornard, personaggio realmente esistito e morto nel 1967 in Belgio. Mornard aveva combattuto in Spagna, dove il suo passaporto probabilmente fu preso «in prestito» dai servizi sovietici. Mercader usò anche il nome e il passaporto di un certo Jacson, un canadese arruolato nelle Brigate internazionali e caduto al fronte. Ramòn Mercader morì nel 1978 all'Avana, dove Fidel Castro l'aveva invitato come consulente del ministero degli Interni. Insignito dell'ordine di Lenin per la sua azione delittuosa, fu sepolto con discrezione a Mosca.
Stalin si era sbarazzato, così, del suo ultimo avversario politico, ma non per questo la caccia ai trotzkisti ebbe fine. L'esempio francese è molto indicativo dell'atteggiamento acquisito dai militanti comunisti contro i membri delle piccole organizzazioni trotzkiste. Non è escluso che nella Francia occupata alcuni trotzkisti siano stati denunciati alla polizia francese o tedesca dai comunisti.
Nelle carceri e nei campi di prigionia francesi di Vichy, i trotzkisti furono sistematicamente emarginati. A Nontron (Dordogna) Gérard Bloch fu vittima dell'ostracismo del collettivo comunista diretto da Michel Bloch, figlio dello scrittore Jean-Richard Bloch. Detenuto nella prigione di Eysses, Gérard Bloch fu avvertito da un insegnante cattolico che il collettivo comunista del carcere aveva deciso di giustiziarlo, strangolandolo nel sonno.
In quest'atmosfera di odio indiscriminato la vicenda della «scomparsa» di quattro trotzkisti, tra cui Pietro Tresso, uno dei fondatori del Partito comunista italiano e membro del gruppo di partigiani «Wodli» nell'Alta Loira, assume un significato importante. Evasi dalla prigione di Le Puys-en-Velay insieme con alcuni compagni comunisti il primo ottobre 1943, cinque militanti trotzkisti furono «presi in carico» dal gruppo di resistenza comunista. Uno dei cinque, Albert Demazière, fu separato per caso dai compagni e fu l'unico superstite: Tresso, Pierre Salini, Jean Reboul e Abraham Sadek furono giustiziati alla fine di ottobre, dopo un processo farsa molto significativo. I testimoni e i protagonisti ancora vivi hanno riferito, infatti, che i militanti furono accusati di voler «avvelenare l'acqua del campo», un'accusa di sapore medievale che rimanda alle origini ebraiche di Trotsky (il cui figlio Sergej fu accusato della stessa cosa nell'URSS) e di almeno uno dei prigionieri dei partigiani (Abraham Sadek). Il movimento comunista dimostrava, così, di non essere esente dal peggior antisemitismo. Prima di essere uccisi, i quattro trotzkisti furono fotografati, probabilmente perché i ranghi superiori del P.C.F. potessero identificarli, e costretti a scrivere la propria biografia.
Persino nei campi di concentramento i comunisti cercavano di eliminare fisicamente gli avversari più prossimi sfruttando la propria posizione gerarchica. Marcel Beaufrère, responsabile per la regione bretone del Partito operaio internazionalista, arrestato nell'ottobre del 1943 e deportato a Buchenwald nel gennaio dell'anno successivo, era sospettato di essere trotzkista dal coordinatore capo dei blocchi (un comunista). Dieci giorni dopo un amico lo avvertì che la cellula comunista del blocco di cui faceva parte, il 39, l'aveva condannato a morte e voleva mandarlo al blocco delle cavie, dove ai prigionieri veniva inoculato il tifo. Beaufrère fu salvato in extremis dall'intervento di alcuni militanti tedeschi. Per sbarazzarsi di avversari politici, che pure erano vittime degli stessi uomini della Gestapo o delle S.S., bastava ricorrere al sistema concentrazionario nazista assegnandoli ai reparti più severi. Marcel Hic e Roland Filiƒtre, entrambi deportati a Buchenwald, furono mandati nel terribile campo di Dora, «con il consenso dei quadri del K.P.D. che svolgevano le funzioni amministrative nel campo», secondo quanto scritto da Rudolph Prager. Marcel Hic non resistette. Ancora nel 1948 Roland Filiƒtre sfuggì a un attentato sul posto di lavoro. Altre eliminazioni di militanti trotzkisti avvennero col favore della Liberazione. Mathieu Buchholz, un giovane operaio parigino del gruppo «La lutte de classe», scomparve l'11 settembre 1944. Nel 1947 il giornale del suo gruppo chiamò in causa gli stalinisti.
In Grecia il movimento trotzkista non era irrilevante. Un segretario del K.K.E., il Partito comunista greco, Pandelis Pouliopoulos, che venne fucilato dagli italiani, vi aveva aderito ancora prima della guerra. Durante il conflitto i trotzkisti entrarono individualmente nelle file del Fronte di liberazione nazionale (Ethnikò Apelevtherikò Métopo, EAM) fondato nel 1941 dai comunisti. Il generale dell'Esercito popolare di liberazione (Ellinikòs Laikòs Apelevtherikòs Str tos, ELAS), Aris Velouchiotis, fece giustiziare una ventina di dirigenti trotzkisti. Dopo la Liberazione i rapimenti di militanti trotzkisti si moltiplicarono; spesso essi venivano torturati perché rivelassero gli indirizzi dei loro compagni. Nel 1946, in un rapporto al Comitato centrale del Partito comunista, Vassilis Bartziotas parlava di 600 trotzkisti giustiziati dall'Organizzazione di tutela delle lotte popolari, l'OPLA, una cifra che verosimilmente comprende anche anarchici o socialisti dissidenti. Anche gli archeomarxisti, militanti che si erano dati un'organizzazione al di fuori del Partito comunista greco fin dal 1924, furono perseguitati e uccisi.
I comunisti albanesi non furono da meno. Dopo la fusione dei gruppi di sinistra, compresi i trotzkisti riuniti intorno ad Anastaste Loula, avvenuta nel novembre 1941, si riaccesero le divergenze fra trotzkisti e ortodossi (Enver Hoxha, Memet Chehu), sostenuti dagli iugoslavi. Nel 1943 Loula fu giustiziato in modo sommario. Dopo vari attentati alla sua vita Sadik Premtaj, un altro leader trotzkista particolarmente popolare, riuscì a raggiungere la Francia; nel maggio 1951 fu vittima di un nuovo tentativo di omicidio compiuto da Djemal Chami, un veterano delle Brigate internazionali al servizio della legazione albanese a Parigi.
In Cina era nato un embrione di movimento nel 1928, sotto la guida di Chen Duxiu, fondatore ed ex segretario del Partito comunista cinese. Nel 1935 aveva solo poche centinaia di iscritti, una parte dei quali durante la guerra contro il Giappone riuscì a entrare nell'Ottava Armata dell'Esercito popolare di liberazione. Mao Zedong li fece giustiziare e abolì i battaglioni da loro comandati. Alla fine della guerra civile furono ricercati e uccisi sistematicamente. Di molti di loro non si seppe mai più nulla.
In Indocina inizialmente la situazione era diversa. A partire dal 1933 i trotzkisti del gruppo «Tranh Dau» (la lotta) e i comunisti si allearono. L'influenza dei trotzkisti era particolarmente forte nel sud della penisola. Nel 1937 una direttiva di Jacques Duclos vietò al Partito comunista indocinese di continuare a collaborare con i militanti della Tranh Dau. Nei mesi successivi alla sconfitta giapponese un altro gruppo trotzkista, la Lega comunista internazionale (L.C.I.), acquisì un'influenza tale da preoccupare i dirigenti comunisti. Nel settembre 1945, all'arrivo delle truppe inglesi, l'L.C.I. criticò aspramente l'accoglienza pacifica che era stata loro riservata dal Vietminh, il Fronte democratico per l'indipendenza fondato nel maggio del 1941 da Ho Chi Minh. Il 14 settembre il Vietminh diede inizio a una vasta operazione contro i dirigenti trotzkisti, che non reagirono. La maggior parte di loro fu catturata e poi giustiziata. In seguito, dopo avere combattuto contro le truppe anglofrancesi, ritiratesi nella pianura dei Giunchi, furono annientati dalle truppe del Vietminh. Quest'ultimo attaccò poi i militanti della Tranh Dau. Imprigionati a Ben Suc, essi furono giustiziati quando le truppe francesi erano ormai vicine. Ta Thu Tau, il capo storico del movimento, fu poi arrestato e giustiziato nel febbraio 1946. Ho Chi Minh non aveva forse scritto che i trotzkisti «sono i traditori e le spie più infami»?.
In Cecoslovacchia il destino di Zavis Kalandra è emblematico di quello di tutti i suoi compagni. Nel 1936 egli era stato escluso dal Partito comunista cecoslovacco per avere scritto un opuscolo in cui denunciava i processi di Mosca. Entrato nella Resistenza, fu deportato dai tedeschi a Oranienburg. Arrestato nel 1949 con l'accusa di aver diretto un complotto contro la repubblica, fu sottoposto a tortura. Il processo nel quale pronunciò la sua autocritica ebbe inizio nel giugno del 1950. L'8 giugno fu condannato a morte. Su «Combat» del 14 giugno 1950 André Breton chiese a Paul Eluard di intervenire in favore di un uomo che tutti e due conoscevano da prima della guerra. Eluard rispose: «Ho troppo da fare con gli innocenti che proclamano la propria innocenza per occuparmi dei colpevoli che proclamano la propria colpevolezza». Zavis Kalandra fu giustiziato il 27 giugno successivo insieme con altri tre compagni.
- Antifascisti e rivoluzionari stranieri vittime del terrore
nell'URSS.
La decimazione del Comintern, dei trotzkisti e di altri dissidenti
comunisti costituì sì un aspetto importante del terrore comunista, ma
non fu l'unico. A metà degli anni Trenta, infatti, nell'URSS vivevano
moltissimi stranieri che, pur non essendo comunisti, erano stati
attratti dal miraggio sovietico. Molti di loro pagarono con la libertà
e spesso con la vita il loro amore per il paese dei soviet.
All'inizio degli anni Trenta i sovietici condussero una campagna di
propaganda sulla Carelia, giocata tanto sulle opportunità offerte da
questa regione di frontiera tra l'URSS e la Finlandia quanto sul
fascino esercitato dalla «costruzione del socialismo». Dalla Finlandia
emigrarono quasi 12 mila persone, cui si aggiunsero circa 5000
finlandesi provenienti dagli Stati Uniti, prevalentemente iscritti
all'Associazione (americana) dei lavoratori finlandesi, che si
trovavano in forte difficoltà a causa della disoccupazione che era
seguita alla crisi del 1929. La «febbre della Carelia» fu accentuata
dal fatto che l'Amtorg (l'agenzia commerciale sovietica) prometteva un
lavoro ben retribuito, un alloggio e il viaggio gratuito da New York a
Leningrado. Agli emigranti veniva consigliato di portare con sé tutto
ciò che possedevano.
Nel 1924 erano tra 2600 e 3750 gli iugoslavi che, trovandosi in Russia nel 1917, avevano deciso di rimanervi. A loro si erano aggiunti alcuni operai semplici e specializzati venuti dall'America e dal Canada con i loro strumenti di lavoro per partecipare all'edificazione del socialismo. Vivevano in colonie distribuite in tutto il territorio sovietico, da Leninsk a Saratov e fino a Magnitogorsk. Alcuni di loro (da 50 a 100) parteciparono ai lavori di costruzione della metropolitana di Mosca. Anche l'emigrazione iugoslava fu colpita dalla repressione. Bozidar Maslaric affermò che agli iugoslavi toccò «il destino più crudele», aggiungendo: «La maggior parte fu arrestata nel 1937-1938 e di loro non si seppe più nulla...». Era una considerazione soggettiva, basata sulla scomparsa di parecchie centinaia di emigrati. A tutt'oggi, non esistono dati definitivi sugli iugoslavi che lavorarono nell'URSS e in particolare su quelli che parteciparono alla costruzione della metropolitana moscovita e che, avendo protestato per le condizioni di lavoro, furono vittime di una dura repressione.
La spartizione della Polonia tra la Germania nazista e la Russia sovietica, decisa in segreto il 23 agosto 1939, divenne effettiva alla fine di settembre dello stesso anno. I due paesi invasori coordinarono gli interventi per assicurarsi il pieno controllo della situazione e della popolazione: Gestapo e N.K.V.D. collaboravano. Le comunità ebraiche furono divise e circa 2 milioni di persone, su un totale di 3 milioni 300 mila, si trovarono a vivere sotto il regime tedesco. Alle persecuzioni (incendio delle sinagoghe) e ai massacri fece seguito la segregazione nei ghetti: quello di Lòdz fu istituito il 30 aprile 1940 e quello di Varsavia, organizzato in ottobre, fu chiuso il 15 novembre.
Molti ebrei polacchi erano fuggiti verso est spinti dall'avanzata dell'esercito tedesco. Durante l'inverno del 1939-1940 i tedeschi non impedivano sistematicamente di varcare la nuova frontiera, ma chi ci provava doveva superare un ostacolo inatteso,
Dal dicembre 1939 al marzo 1940 questi ebrei si trovarono bloccati in una specie di "no man's land" larga un chilometro e mezzo sulla riva orientale del Bug, costretti a dormire all'addiaccio. La maggior parte ritornò nella zona tedesca.
Entrato nell'esercito polacco del generale Anders, il soldato L. C. (matricola 15015) lasciò una testimonianza di questa incredibile situazione:
Simbolicamente, Israel Joshua Singer fa morire in questa terra di nessuno il suo eroe che, diventato un nemico del popolo, è fuggito dall'URSS.
Nel marzo 1940 parecchie centinaia di migliaia di profughi - alcuni parlano di 600 mila - si videro imporre un passaporto sovietico. Il patto russo-tedesco prevedeva uno scambio di profughi. Dal momento che la situazione delle famiglie smembrate, la povertà e il terrore voluto dal regime di polizia dell'N.K.V.D. peggioravano, alcuni decisero di tornare nella parte della ex Polonia occupata dai tedeschi. Julius Margolin, che si trovava a Leopoli nell'Ucraina occidentale, riferisce che nella primavera del 1940 gli «ebrei preferivano il ghetto tedesco all'uguaglianza sovietica». A quell'epoca sembrava loro più facile lasciare il Governo generale per arrivare in un paese neutrale piuttosto che tentare la fuga passando per l'Unione Sovietica. All'inizio del 1940 cominciarono le deportazioni dei cittadini polacchi (si veda il contributo di Andrzej Paczkowski), che continuarono fino a giugno. I polacchi di tutte le confessioni furono deportati in treno verso il Nord o il Kazakistan. Il convoglio di Julius Margolin impiegò dieci giorni per arrivare a Murmansk. Da fine osservatore dell'universo concentrazionario qual era, egli scrisse:
Nell'inverno 1945-1946 il dottor Jacques Pat, segretario del Comitato operaio ebraico degli Stati Uniti, si recò in missione in Polonia per indagare sui crimini nazisti. Al suo ritorno pubblicò una serie di articoli sugli ebrei rifugiati nell'URSS sul «Jewish Daily Forwards». In base ai suoi calcoli 400 mila ebrei polacchi erano morti deportati nei campi o nelle colonie di lavoro. Alla fine della guerra in 150 mila decisero di riprendere la cittadinanza polacca per fuggire dall'URSS. Jacques Pat scrisse, dopo averne intervistati centinaia:
- Guerra civile e guerra d i liberazione nazionale.
Mentre la firma del patto russo-tedesco del settembre 1939 aveva avuto
un effetto dirompente su quasi tutti i partiti comunisti, i cui
iscritti non si rassegnavano all'abbandono da parte di Stalin della
politica antifascista, l'attacco tedesco contro l'URSS del 22 giugno
1941 riaccese immediatamente la scintilla antifascista. Già il 23
giugno il Comintern informò per radio e radiotelegramma tutte le
sezioni che era l'ora non più della rivoluzione socialista, ma della
lotta contro il fascismo e della guerra di liberazione nazionale.
L'ultimo atto di questo periodo di terrore nel movimento comunista internazionale ebbe luogo nel 1957. Imre Nagy, il comunista ungherese che aveva per breve tempo guidato la rivolta del 1956 a Budapest (si veda il contributo di Karel Bartosek), si era rifugiato nell'ambasciata iugoslava e si rifiutava di uscire, temendo di essere ucciso. Dopo una serie di tortuose manovre i sovietici riuscirono a catturarlo e decisero di processarlo in Ungheria. Ma non volendo assumersi da solo la responsabilità di questo assassinio legale, il Partito comunista ungherese approfittò della Prima Conferenza mondiale dei partiti comunisti, che si tenne a Mosca nel novembre 1957, per far votare la condanna a morte di Nagy da tutti i dirigenti comunisti presenti, fra cui Maurice Thorez e Palmiro Togliatti, con l'unica eccezione del polacco Gomulka. Nagy fu condannato a morte e impiccato il 16 giugno 1958.
NOTE
1. Nel suo ultimo articolo, pubblicato il 15 gennaio 1919 su «Die rote Fahne» (La bandiera rossa), Liebknecht diede libero sfogo a un lirismo rivoluzionario molto rivelatore: «Al rimbombo del fragoroso crollo economico, le schiere ancora dormienti di proletari si sveglieranno come al suono delle trombe del giudizio universale, e i cadaveri dei combattenti trucidati risorgeranno...» (K. Liebknecht, "Scritti politici", Milano, Feltrinelli, 1971, p. 378).
Ultima modifica 11.12.2003