29. Lo Stato di fronte al problema genetico
30. La corruzione dello Stato
31. La corruzione municipale
32. Coercizioni e sanzioni
33. Legge e tirannia
34. Giurie e ministri di Grazia, difendeteci!
35. Obiezione di coscienza e sciopero generale
36. Saggi di antropometria
Intermezzo
37. Della fede e della condotta
38. Ribalderia collettiva
39. Il Governo dei cosiddetti grandi uomini
40. Per i critici
41. Sommario economico
42. Sommario politico
43. Sommario religioso
44. Congedo
PARTE TERZA.
29.
LO STATO DI FRONTE AL PROBLEMA GENETICO
Speriamo, comunque, che egli riesca a cavarsela e a godersi un comodo
esilio in Irlanda o in altro paese neutrale, come già fecero Luigi
Napoleone a Chislehurst e il Kaiser a Doorn. Quale razza, alla luce
del suo odierno esperimento, ci consiglierà allora di allevare? Può
darsi che egli disperi dell'intiera specie poiché le razze tutte gli
avranno fallito. Ma, dato il suo straordinario ottimismo, egli scoverà
forse l'esistenza di una via d'uscita. I nostri genetici sono
d'accordo nel riconoscere che il segreto dell'eugenetica è di
sostituire l'incrocio all'accoppiamento fra consanguinei: muta la
materia, rimane il metodo.
Il futuro dell'umanità appartiene ai bastardi e non ai levrieri,
belli, sì, ma privi di cervello. Lo stesso Fuhrer non è un puro
prussiano; dal punto di vista genealogico egli è un essere del tutto
estraneo, prescelto dalla natura a vincere. Si dice che i lavandai
cinesi in unione con le ragazze irlandesi producano una eccellente
nidiata di figli. L'albero inglese innestato su quello italiano genera
disposizione sia per gli affari in grande stile sia per le belle arti.
In Russia, dove un'intera generazione di bei signori e di belle
signore è stata costretta a fingersi figlia di lavoratori della gleba,
e dove la promiscuità fra ogni tipo di creatura è cosa naturale, la
civiltà sta facendo passi tanto lunghi da lasciarsi indietro a miglia
di distanza un'Europa dal fiato mozzo. Frattanto, nei villaggi remoti
in cui l'incrocio è reso impossibile per mancanza di forestieri, e la
popolazione è formata tutta da cugini, la razza decade e i difetti
congeniti sono comuni. Le genealogie partono da incroci esogami e
terminano ignominiosamente in una chiusa casta di consanguinei dove
parassiti generano parassiti. Lo statista deve perciò evitare ogni
forma di endogamia, sia di casta sia di nazione o colore, e dare
invece le più ampie possibilità alla naturale scelta fra i sessi.
Questo non è sempre facile; ne abbiamo una prova nel nostro vastissimo
impero. Non siamo riusciti a popolare la Nuova Zelanda nella quale,
invece delle decine di milioni di bianchi che ognuna delle sue due
isole potrebbe contenere, ne abbiamo soltanto immesso un milione e
mezzo. Quando ero a Durban, nel 1935, il ministro dei Trasporti fece
un appello per incoraggiare l'immigrazione britannica nel Sud-Africa,
allo scopo di mantenervi la nostra supremazia. L'Australia è stata da
noi considerata inabitabile fuorché in poche determinate regioni.
L'abbiamo perciò abbandonata. Nel frattempo, gli aborigeni inventori
del miracoloso "boomerang", come pure le tribù nere d'Africa, e i
maori della Nuova Zelanda, stanno moltiplicandosi con ritmo
decisamente impressionante, tanto più adesso che hanno cessato di
divorarsi tra di loro. Il vero rimedio pare essere quello della
mescolanza genetica. Nell'isola di Giamaica questa mescolanza è stata
tanto ampiamente praticata, che nel 1911, quando la visitai, alcuni
dei bianchi più civili da me incontrati avevano per padre un uomo di
colore. Nelle Hawaii, dove desideravo udire un po' di musica locale
genuina invece delle canzoni popolari inglesi e americane con le quali
i nostri turisti sono presi in giro, mi resi conto che i puri
discendenti dei vecchi abitanti delle isole Sandwich sono ora
curiosità da museo. I giapponesi soli sono endogami. Anch'essi stanno
provando in Oriente l'esperimento selettivo di Hitler, ma, se fossi un
giocatore, punterei sulla vittoria dei bastardi. In questo, come in
ogni altro settore riguardante la pubblica amministrazione, vediamo
che lo statista non è stato educato nella sfiducia vaga e generica
verso la scienza, quale parola vuota, adornata da lettera maiuscola,
ma in quella verso i naturalisti, fisiologi, biologi e filosofi
viventi, chiusi nelle loro sette battagliere di selezionisti e di
evoluzionisti (neo-darwinisti guidati ora da Julian Huxley,
bergsoniani condotti da Joseph Needham). Nemmeno contro l'Arte (con
l'A maiuscola) è stato educato lo statista, ma contro ogni scuola che
abbia per scopo preponderante la disputa su questioni concernenti
musica, pittura, scultura, letteratura, e soprattutto architettura.
Nella maggior parte dei casi l'uomo di Stato si trova del tutto
impotente se privato dell'aiuto e del consiglio di abili studiosi di
statistica non corrotti da interessi pecuniari antisociali, o sviati
da una passione più forte di quella matematica che, in alcune persone,
è la più salda e di gran lunga la più duratura di tutte le passioni.
Il matematico nato è il fagocito che la natura ha creato per divorare
il profittatore.
30.
LA CORRUZIONE DELLO STATO
Non dimentico che, non appena case e terreni fossero comprati dallo
Stato, come ho scritto nel capitolo 13, non vi sarebbero più
proprietari né tasse per loro. Il proprietario, però, pagato per
l'abbandono dei suoi beni, si troverebbe caricato d'un tratto di
danari da impiegare, e diventerebbe un capitalista, mutando tutt'al
più l'appellativo affitto in quello di reddito, ciò che non è di alcun
profitto per il proletariato. I capitalisti possono essere rimunerati,
e probabilmente lo saranno, per la cessione delle loro industrie allo
Stato, e pure i proprietari terrieri quando abbandoneranno le loro
terre; ma che cosa riuscirà a impedir loro che, con un qualsiasi
pretesto, non si mutino in pensionati a vita, se la distribuzione
della rendita, degli interessi e dei profitti è lasciata nelle loro
mani? I proprietari terrieri e i capitalisti possono essere aboliti
con relativa facilità; ma la rendita e l'interesse rimarranno a
disposizione del Governo che, controllando la produzione e i mercati,
può profittarne, se gli garba. E non potrà fare a meno di trarre
qualche profitto poiché dovrà pure assicurarsi una certa solvibilità.
La distribuzione dei profitti e delle rendite da esso ottenuti rimarrà
a sua discrezione. Facendone uso potrà pagare stipendi e pensioni
giganteschi ai membri del Parlamento, compresi i pari che sono
praticamente irriducibili sinecuristi, e istituire un sistema di
privilegi graduati che dalla nobiltà si estendano con paghe da fame al
semplice operaio, facendo sì che l'auspicato trapasso della proprietà
privata in quella pubblica risulti un mutamento in peggio.
E' del tutto secondo natura che il vecchio liberale sogni istituzioni
politiche dalle quali scaturisca automaticamente una millenaria
prosperità, e questo senza restrizione alcuna della libertà
individuale, e senza che lo Stato interferisca nelle questioni di
carattere politico e religioso. Questo suo sogno è potentemente
appoggiato dall'individualismo cristiano, il quale pone in rilievo
l'infinito valore dell'anima di ogni uomo, da Dio creata immortale e
dotata di libero arbitrio, in contrapposizione all'espediente di
autorità totalitaria su cui si appoggiano gli Stati artificiali di
questo mondo, nei quali il nostro passaggio è soltanto un breve e
peccaminoso episodio dell'eternità. Un Governo socialista può
risultare cattivo quanto qualsiasi altro tipo di Governo. L'eterna
vigilanza è il prezzo che il socialismo e la libertà devono pagare per
esistere e, a meno che questa vigilanza non sia molto illuminata, essa
può produrre parecchio male, pur partendo da ottime intenzioni. E' più
sicuro respingere ogni sistema automatico, giudicandolo un facile
schermo posto a nascondere tendenze di pigrizia politica, e
considerare invece con dovuto rispetto ogni sistema che comporti una
direzione giornaliera e riguardosa dell'individuo. La fede nella
salvezza automatica ha rovinato il capitalismo, e ha estinto il
liberalismo di Cobden; abbandonandoci a questa utopia produrremmo lo
stesso disastro nel socialismo.
La storia degli Stati costituzionali ha, in questo punto, qualcosa da
dire. Il monopolio governativo della terra e del capitale non è cosa
nuova. Virtualmente è già nella lettera della legge in vigore, dove la
proprietà terriera non poggia su alcuna base legale. La terra
appartiene tutta al re, e può essere posseduta da un privato soltanto
come proprietà passeggera donata dal monarca, il quale in qualsiasi
momento ha la facoltà di riprendersela. Il diritto per cui il sovrano
impone tasse sui suoi soggetti non è limitato da alcuna restrizione.
Egli sta attualmente confiscando i redditi dei più ricchi fra i suoi
sudditi alfine di impiegarli alla difesa del regno. Così, la completa
«espropriazione degli espropriatori», facendo del Governo l'unico
capitalista proprietario terriero e datore di lavoro, potrebbe essere
attuata con la presente legge. Enrico ottavo s'impadronì delle terre
della Chiesa, senza per questo promuovere una rivoluzione. Allo stesso
modo il Tesoro si sta ora impossessando di tutto il denaro che può
spillarci, senza provocare per questo la rovina dell'intero sistema
capitalistico. La legge è socialista, come d'altronde è nella natura
di tutte le leggi costituzionali. Perché, allora, gli attuali Governi
sono nella pratica tanto antisocialisti da far ribollire ovunque,
fuorché in Russia, il malcontento rivoluzionario?
La risposta è che tanto il re, quanto i ministri che esercitano i suoi
poteri, non sono socialisti; neppure lo sono coloro che li eleggono.
Le proprietà terriere vengono concesse a privati affinche essi ne
estraggano un profitto personale. I sovrani solevano vendere i loro
diritti di tassazione a gabellieri che spellavano senza pietà i
contribuenti. I Cancellieri dello Scacchiere, nello stabilire i loro
bilanci, danno alla tassa diretta sul reddito il valore di un ultimo
espediente da imporsi soltanto allorché ogni altra fonte di reddito
sia stata sfruttata al massimo. Quando l'iniziativa privata si rifiuta
di imbarcarsi in affari, indispensabili sì, ma giudicati di scarso
rendimento (il servizio postale, a esempio), i Governi s'impegnano
loro. Essi si guardano bene, però, dal fornire i servizi richiesti al
prezzo di costo: ne traggono invece un profitto che serve loro ad
alleggerire, o addirittura annullare, le imposte sui redditi non
sudati. Questo è accaduto per avere affidato allo Stato i mezzi di
produzione, distribuzione e scambio, lasciando di pari passo le redini
del Governo nelle mani di ministri antisocialisti, educati al concetto
che la prosperità nasce dal libero ed egoistico commercio fra privati.
Ne sono risultate povertà, schiavitù, prostituzione, e morte prematura
in sì vasta scala, da promuovere quel particolare movimento da noi
chiamato socialismo. Purtroppo, movimenti a sfondo sociale essi pure,
quali il liberalismo, l'anarchia, il sindacalismo o qualsiasi altro
credo a sfondo scettico sulla capacità dello Stato, appoggiano la tesi
del libero scambio fra privati.
Prendete il caso della vantata abolizione della schiavitù in
Inghilterra e in America. Se ho uno schiavo o un servo della gleba e
se sono responsabile del suo benessere anche nelle ore in cui non
lavora, e se la legge lo protegge contro gli abusi che potessi
compiere nei suoi riguardi, a che cosa gli servirebbe di essere
buttato sul lastrico in nome della libertà? Egli si troverebbe di
colpo nell'alternativa di dover morire di fame o vendersi come "libero
lavoratore". Crederebbe, forse, di potersi scegliere il padrone, ma
quando si trovasse davanti al dilemma: «trovar lavoro o crepar di
stenti» si avvedrebbe ben presto che è il padrone a scegliere, non
lui. All'istante in cui perde il suo signore, perde pure i diritti
inerenti allo stato di schiavitù, e allora non appena è incapace di
lavorare può finire anche sul letamaio. Quando la schiavitù insita nel
sistema feudale venne abolita in Inghilterra, le morti per stenti
sarebbero diventate innumerevoli se la regina Elisabetta non vi avesse
provveduto per mezzo della Legge sui Poveri. La rivoluzione
industriale rese la voce "morte di fame" d'uso comune nei registri
degli uffici di stato civile. Venne poi l'armistizio a conclusione
della prima guerra mondiale, e milioni di smobilitati esperti soltanto
nell'uso delle armi, induriti dalla carneficina, e abituati a mangiare
regolarmente la loro razione di carne in scatola, si trovarono
nell'impossibilità di procurarsi un impiego. Per tema di una rivolta
la Legge sui Poveri fu ampliata coll'aggiunta di sussidi, aggregando
così una massa di parassiti, miserabili e affamati, a quella dei
ricchi super-nutriti.
E' accaduto spesso che ferrovie gestite dallo Stato decadessero a un
limite scandaloso d'inefficienza. Questo soltanto perché il Governo,
invece che impiegare in riparazioni necessarie o a favore del perfetto
andamento dei servizi il danaro pagato dal pubblico per i trasporti,
lo usava per ridurre tasse. Se poi c'erano profitti, questi erano
devoluti a diminuire il prezzo delle tariffe, o a migliorare le
condizioni degli impiegati della ferrovia stessa.
Il paragone tra ferrovie statali, cioè male in arnese, e ferrovie
private inglesi o americane, paragone ben sfavorevole alle prime, è
sovente usato per screditare il progetto socialista sulla
nazionalizzazione delle nostre strade ferrate. Ciò non è molto logico,
dato che le nostre compagnie ferroviarie, tutte private e in
competizione l'una con l'altra, sono riuscite a stabilire una rete
ferroviaria così inadatta al fabbisogno del paese che è a volte meno
dispendioso spedire le nostre merci, se destinate a uno dei nostri
porti, via mare in America e da quel continente dirottarle qui,
piuttosto che inviarle direttamente a destinazione via terra. In
Italia i treni non furono mai in orario finché il Duce, reggitore
assoluto alla maniera di Luigi quattordicesimo, non li ebbe messi
sotto la tutela dello Stato. Così fece in Spagna Primo de Rivera. In
Russia, il ministro dei Trasporti Zerzinskij uccise un capostazione
troppo amante dei suoi ozi. Dato però che gli amanti dell'ozio erano
più numerosi dei Zerzinskij, il Sovièt dovette organizzare una polizia
con speciali poteri di vita e di morte prima di riuscire a stabilire
l'ordine.
Ogni servizio ferroviario statale può essere reso efficiente, attivo e
proficuo, se il ministro dei Trasporti è deciso a volerlo tale. Se
invece il Cancelliere dello Scacchiere ritiene meglio farlo diventare
un monito contro l'iniziativa di Stato, piuttosto che un esempio, egli
può molto facilmente riuscirvi. La gente non saprà rendersi conto di
ciò che accade e dichiarerà lo Stato colpevole della disfunzione
ferroviaria. Dato poi che il socialismo patrocina l'amministrazione
governativa, la gente darà la colpa anche al socialismo, perché l'idea
millenaristica che essa si è fatta di quel movimento non è giunta a
tanto da capire che uno Stato socialista, retto da spiriti corrotti e
incapaci, risulta più dannoso che non una egoistica plutocrazia.
Una cattiva amministrazione del Tesoro posta alla mercè di governanti
poco scrupolosi e scelti a casaccio (poco importa che si chiamino
socialisti o conservatori), non potrà condurre se non a una calamità
nazionale. Sappiamo tutti cosa sia un treno e, se ci prendiamo la
briga di studiarlo, potremo anche capire l'intero funzionamento
ferroviario. Nessuno, invece, intende che cosa sia la moneta. Se da un
venditore ambulante comperate mele per il valore di due pence e pagate
con una moneta d'argento di sei pence, egli vi restituirà quattro
pence di bronzo, dopo di che potrete concludere che il venditore
conosce perfettamente il meccanismo della moneta. Se poi gli domandate
da dove quelle monete provengono, egli vi risponderà che nascono dalla
Zecca. Ma se volete farvi spiegare il perché vi dona due mele gradite
al palato in cambio di due piccoli dischi di bronzo, egli rimarrà
muto. Sa tutti i Che Cosa, i Quando, i Dove, e i Come; ma non conosce
una risposta. Il governatore della Banca d'Inghilterra, nell'ultima
discussione sulla base aurea, dovette ammettere di essere incapace di
trovare una soluzione soddisfacente a questo perché fondamentale.
Immaginate, ora, che il nostro venditore ambulante diventi membro
laburista del Parlamento, fatto possibilissimo nell'attuale stato di
cose, purché egli sia dotato di una certa loquela e purché, assistendo
a comizi, o leggendo opuscoli, si sia impadronito degli argomenti
astratti a favore del socialismo e a discredito del capitalismo. Ho
condiviso il palco oratorio con parecchi di questi eloquenti
rivenditori che riscuotevano maree di applausi, sebbene la loro
pronuncia fosse alquanto trascurata. Immaginate che il vostro
venditore ambulante diventi membro del Governo, Primo Ministro o, se
volete, Duce, Fuhrer, Commissario. Cose che capitano, al giorno
d'oggi. Egli si troverà nella stupenda posizione di poter creare un
illimitato benessere con la semplice stampatura di pezzetti di carta
contrassegnati dieci scellini, una sterlina, cinque sterline, cento
sterline. Ne può stampare milioni di questi pezzetti, e dar loro corso
legale. I Governi rivoluzionari, formati di uomini privi d'esperienza
che troppo conoscono la povertà e il centesimo, e troppo poco i
milioni, si lasciano quasi sempre abbagliare da simili follie. Nessun
Governo può creare una pagnotta, un uovo, un paio di scarpe, e neppure
riparare una finestra rotta, stampando numeri su pezzi di carta. Quei
pezzi di carta possono avere valore come buoni per il pane, il burro,
le scarpe, i mattoni e per ogni altra cosa, compresi i servizi
personali che pure si possono comprare, purché esistano sul mercato
gli oggetti, o il personale, ricercati dalla domanda. Nel caso
contrario, i possessori dei buoni possono anche fischiare... Allo
stesso modo potrebbero possedere azioni di una inesistente miniera
d'oro!
Dapprincipio, le merci che una onesta moneta potrebbe pagare non
mancano del tutto. Supponete che il Governo, abituato a dare un penny
per ogni uovo che compera, ritenga di potere in qualche modo ottenere
sempre una abbondante quantità di uova a questo prezzo, e poggiando su
tale assunto emetta buoni capaci di acquistare una dozzina di uova per
ogni mezza dozzina che si trovi sul mercato: il prezzo delle uova
salirà matematicamente a due pence l'uno. Questo indisporrà il Governo
che accuserà i rivenditori di voler trar migliori profitti a mezzo del
mercato nero. Pur di combattere questo rialzo, i governanti
promulgheranno una legge sui prezzi massimi che imporrà una multa di
100 sterline, o diversi anni di prigione, o che so io, da infliggersi
a chiunque sia sorpreso a vendere uova a un prezzo superiore a quello
fissato. La polizia, però, non può far rispettare questa legge, non
avendo essa a disposizione il numero necessario di guardie, tanto più
che per ottenere un risultato ci vorrebbe una guardia per ogni negozio
e una a ogni angolo di strada. D'altra parte, la polizia può
unicamente rilevare l'infrazione alla legge quando è chiamata dalla
parte lesa. Ma se ambedue le parti si mettono d'accordo, non vi è
parte lesa, e nessuno chiama la polizia. Nulla può evitare che la
scarsità delle uova provochi un aumento del loro prezzo, tanto più se
il Governo stampa buoni in eccesso sulla disponibilità, e lascia il
traffico delle uova nelle mani della libera concorrenza e del
commercio privato. Dopo la guerra dei Quattro Anni l'affrancatura di
una lettera da Londra a Berlino costava due pence e mezzo. Da Berlino
a Londra, in moneta tedesca, si dovevano sborsare 12 sterline e mezzo.
Poiché lo stipendio dell'impiegato postale era basato su una scala
mobile, egli non ci faceva molto caso; ma chi viveva dei redditi
fissi, i pensionati, le zitelle a cui i genitori avevano provveduto
per mezzo di lasciti, i possessori di obbligazioni, i creditori
ipotecari, e i creditori tutti in genere, furono rovinati. Al momento
dell'armistizio, nel 1918, possedevo un credito di migliaia di
sterline presso editori e impresari teatrali tedeschi. La parola
d'ordine generale era allora «Fate pagare la Germania». Ho infatti
ancora il milione di marchi con cui la Germania mi pagò; valgono forse
qualche centesimo... di curiosità. La stessa cosa accadde al rublo in
Russia nel 1917, al dollaro americano dopo la Guerra Civile, ai buoni-
moneta durante la Rivoluzione francese e in centinaia di altri casi in
cui il denaro eccedette di molto i beni disponibili. Questa cattiva
condotta finanziaria dello Stato si chiama inflazione. E' una variante
della truffa all'americana. D'altra parte, i debitori si sentono
sollevati, potendo adempiere ai loro obblighi con moneta svalutata;
anche le società commerciali si alleggeriscono dei loro debiti
usufruendo di questa truffa legale. Gli speculatori lungimiranti
comprano merci con danaro svalutato e le rivendono all'estero contro
buona valuta, oppure le tengono in disparte per rimetterle sul mercato
in patria quando il Governo, non potendo più a lungo autotruffarsi,
sarà costretto a ritornare a una moneta basata sui beni reali o
sull'oro. A ogni modo, una quantità rilevante di persone approfitta di
questa truffa dello Stato. Esse incitano il Governo all'inflazione e
si oppongono in tutti i modi alla deflazione. Un anno d'inflazione è
per certuni un anno di prosperità. Il Governo che spoglia Pietro per
pagare Paolo può sempre contare sull'appoggio di Paolo.
L'inflazione, comunque, si sconfigge ben presto da sé sola. In
Germania, quando milioni e anche miliardi di marchi non potevano
comperare un uovo, o pagare il biglietto di un tram, gli uomini
d'affari forestieri stabilirono di farsi pagare in dollari americani o
in oro; questo obbligò il Governo tedesco a emettere una nuova moneta
basata sui beni disponibili. Il ritorno ai prezzi normali salva i
pensionati, ma rovina i debitori e rende la cura calamitosa quanto la
malattia, poiché ora è Paolo che viene spogliato per pagare Pietro.
Tuttavia, l'illusione della cartamoneta è irresistibile per i
finanzieri ignoranti posti al potere dalla rivoluzione e dal suffragio
universale.
L'educazione che diamo ai nostri governanti e agli elettori non serve.
Le inflazioni tedesca e russa non furono provocate da venditori
ambulanti, ma da persone che, avendo frequentato le scuole e
l'università, sapevano tutto quello che si riesce a imparar dai libri
e dagli studi finanziari. Enrico ottavo, uno degli uomini più istruiti
e compiti del suo tempo, e non certo uno sciocco, svilì il suo danaro
prima ancora che la carta moneta fosse di moda. Egli sapeva di
commettere una truffa; ma non capì che alla lunga il Tesoro non
avrebbe guadagnato nulla dalla frode, e che nel frattempo essa avrebbe
causato molte sofferenze. Forse, dopo tutto, lo capì; certo è che non
se ne curò. A quasi tre secoli di distanza un altro monarca, Luigi
quindicesimo di Francia, agì allo stesso modo e alle rimostranze
mossegli dai saggi rispose col famoso «Après moi le déluge!».
Mentre scrivo queste righe, il Governo inglese è ricorso a decreti di
razionamento dei generi di prima necessità, fissandone il prezzo
massimo, e infliggendo severe pene a chi disobbedisce (mercato nero).
Nello stesso tempo - e qui viene il nuovo - esso compensa i negozianti
per le eventuali perdite subite nell'osservanza della legge,
concedendo un sussidio. Ecco ancora un provvedimento abbastanza
intelligente; ma, poiché i sussidi devono essere pagati dai
contribuenti, compresi i negozianti, ciò che corrisponde a dare la
differenza fra il massimo prezzo autorizzato e il vero valore della
merce - valore di scarsità, cioè - l'inflazione non è affatto
sconfitta e il suo peso, invece che ricadere indirettamente sui
compratori, è portato un po' da tutti: provvedimento d'inflazione
nazionalizzata, tutto lì. I Governi privi di illusioni sulla
circolazione monetaria possono essere disonesti quanto gli altri. Il
Governo francese finanziò la prima guerra mondiale chiedendo prestiti
quando il franco valeva dieci pence. Dopo la guerra esso «svalutò» la
sua moneta e dette al franco il valore di due pence. In conseguenza di
ciò, coloro che avevano imprestato dieci pence alla Francia furono
ripagati con due e la Francia non si curò certo di chiedere scusa. Il
Governo francese si comportò come un privato il quale, essendo
fallito, si confessa insolvente e offre di pagare a sconto dei suoi
debiti quattro scellini per ogni sterlina dovuta. I francesi, che non
si sognarono neppure di fare una simile confessione, svalutarono senza
fallire. Essi ripudiarono semplicemente i quattro quinti dei loro
debiti. I sottoscrittori inglesi del prestito s'indignarono,
giudicandosi defraudati, come infatti lo erano. Il più bello fu che
l'Inghilterra, dopo essersi fatta imprestare una grossa somma dagli
Stati Uniti, ripudiò a sua volta il debito scusandosi con il fatto che
le nazioni alleate, per agevolare le quali essa aveva richiesto il
prestito, si erano comportate allo stesso suo modo. La Finlandia, che
aveva ricevuto prestiti direttamente dall'America, rimase l'unica
nazione solvente.
Possiamo dedurre da ciò che la fiducia in un Governo non dipende
soltanto dalla sua solvibilità e onestà, ma anche dal sapere i
ministri ciò che stanno facendo.
I datori di lavoro e i proprietari terrieri possono equiparare il
valore dei pubblici servizi a quello delle pensioni, sia col crescere
gli affitti, sia impiegando pensionati ai quali vengono offerti
stipendi che, addizionati alla loro pensione, siano di poco inferiori
al minimo di categoria. Quando nel creare una nuova arteria stradale o
un nuovo giardino pubblico si valorizzano proprietà private, i
proprietari equiparano l'incrementato valore dei loro beni aumentando
gli affitti. Non è necessario che i datori di lavoro e i proprietari
prendano l'iniziativa di queste transazioni. Essi devono soltanto
aspettare che i pensionati e gli stessi costruttori comincino a
litigare fra loro, chi per la terra, chi per il lavoro, offrendo
stipendi più bassi e affitti più alti. I pensionati finiscono per
regalare ai datori di lavoro il valore delle loro pensioni e i
costruttori regalano ai proprietari quello che si può chiamare
"valorizzazione senza sforzo', sebbene la valorizzazione sia in
pratica dovuta agli sforzi riuniti di tutti i contribuenti. Questa non
è corruzione colpevole; è una inevitabile automatica conseguenza della
proprietà privata sulla terra e sul capitale unita all'imposizione di
contratti privati.
Ma se lo Stato o il Municipio acquistano i terreni ove tracciare nuove
strade o giardini, omettendo di acquistare o municipalizzare le
proprietà che vengono beneficate dai lavori, se ne rendano conto o no,
essi mettono in moto la macchina di una vera corruzione. Se Stato o
Municipi pagano una pensione insufficiente o, pur dandone una
sufficiente, non la sospendono quando il pensionato accetta un lavoro
per il quale gli viene corrisposto uno stipendio inferiore al minimo
di paga, gli effetti della corruzione vengono pure automaticamente
prodotti. A questo punto, e messo di fronte a sì forte probabilità di
corruzione, il proletariato può giustamente esclamare: «E' questo,
dunque, il risultato della vostra decantata nazionalizzazione e
municipalizzazione, della confutazione della dottrina del "laisser-
faire" patrocinata dalla scuola di Manchester, delle dimostrazioni che
la società fabiana è sempre pronta a dare a favore delle economie
realizzabili in un regime d'iniziativa e di controllo di Stato, della
socializzazione dei mezzi di produzione, distribuzione e scambio?! I
capitalisti si arricchiranno maggiormente di quanto sarebbe stato loro
possibile in un regime di "laisser-faire"; gli affitti, di già troppo
onerosi, aumenteranno a nostro scapito, e a noi toccherà essere più
che mai sfruttati. Nessun ringraziamento, perciò! Al diavolo il vostro
socialismo costituzionale che promette e non mantiene! Intonate la
Marsigliese: "Aux armes, citoyens!"».
Ma la Marsigliese non salverà la situazione. Il sabotaggio e
l'assassinio, usati quali metodi di cura contro gli abusi politici,
non sono medicamenti di lunga efficacia e spesso aggravano la
malattia. Perché ne temono gli effetti, Governi corrotti riescono a
trattenersi dal condurre i loro governati alla disperazione; ma al
giorno d'oggi gran parte della corruzione è preterintenzionale e
automatica e i Governi non sanno riconoscerla né, riconoscendola,
sanno quali provvedimenti prendere. Posti di fronte a una rivolta,
essi mettono in opera la polizia, chiamano i militari alla riscossa,
dichiarano lo stato d'assedio, durante il quale ogni legge è sospesa a
eccezione della legge marziale, e ripagano gli insorti con la loro
stessa moneta. Se gli insorti, come accadde nella Rivoluzione
francese, sconfiggono il Governo, essi sapranno meno ancora che cosa
fare per migliorare le loro proprie condizioni, di ciò che non
sapessero i governanti caduti; cosicché il loro Regno del Terrore si
dimostrerà inutile quanto il terrore ufficiale che lo provocò. Il
terrore produce terrore e ancora terrore a non finire. Fouquier-
Tinville, l'amministratore ufficiale della ghigliottina, finì
decapitato; mentre già sul palco stava subendo gli improperi della
folla, egli gridò: «Credete con ciò che il pane sarà domani a miglior
prezzo?». Fu, difatti, più caro e il ridicolo ricadde sulla folla, non
su Fouquier. Nella mia Irlanda natia il sabotaggio, l'assassinio, gli
incendi dolosi e le canzoni dei soldati ebbero ognuno la loro ora
nella lotta fra gli Shinners e i soldati inglesi. Michael Collins,
l'eroe degli insorti, disse, quando gli inglesi bruciarono le
latterie: «Per ogni latteria incendiata, incendierò due case di
campagna». Egli mantenne la parola e con questo metodo riuscì,
nominalmente almeno, a fare della cattolica Irlanda uno Stato libero.
Dopo di che i cattolici irlandesi fucilarono Michael e s'impelagarono
in un pasticcio economico altrettanto intricato di quello che era
stato combinato per loro dal Governo inglese e dalle vecchie Grandi
Giurie.
Era logico: essi non possedevano esperienza alcuna delle questioni
civili, nessun concetto economico, nessuna filosofia della storia,
nessuno scopo ben definito, nessuna capacità di organizzare gli
accantonamenti di merci necessarie al commercio. Si accontentavano di
romantiche ubbie e, ben presto, incominciarono a brontolare per i
prezzi e per gli affitti più alti che mai. Le statistiche della
mortalità erano tali da atterrire l'Europa, se l'Europa non avesse
perso il donchisciottesco interesse che aveva provato per l'Irlanda ai
giorni in cui il mio paese era oppresso dall'Inghilterra invece che da
se stesso.
La morale è la medesima in tutti questi capitoli. Le aspirazioni
eroiche, la devozione incondizionata, l'impavido coraggio, lo
spargimento di sangue sono molto più dannosi che utili quando i
combattenti non sanno riconoscere ciò che va per traverso o,
riconoscendolo, ignorano come rimetterlo per dritto.
Tuttavia parecchi socialisti credono che il Governo socialista sia
incorruttibile. E', di fatto, più corruttibile di un altro, in quanto
impiega i poteri e le ricchezze dello Stato a incremento della
produzione agricola e industriale invece di lasciare che questa si
sviluppi da sola, limitandosi a garantire i servizi di polizia e altri
indispensabili, che per natura loro non possono dare profitti
commerciali o sono al di là delle risorse del capitale privato.
Naturalmente una simile estensione del potere e dell'attività statali
sfocia in una formidabile estensione di possibili abusi.
Fortunatamente nessun Governo, per quanto corrotto, può essere
completamente antisociale. Fabbricare strade attraverso le quali
ognuno cammina senza pagar pedaggio è comunismo puro e semplice,
mentre il fabbricare scarpe con cui gli stessi uomini possano andare
sulle dette strade è opera da lasciare all'iniziativa privata. In
campagna le strade e i ponti possono essere costruiti da privati, e
pagati dai pedoni mediante tasse di pedaggio, ma ben presto ciò crea
confusione. I posti di pedaggio sono una noia per coloro che non amano
essere ritardati da ripetute fermate e relativi pagamenti, e sono
inutili ai proletari che, non avendo denaro in tasca, devono sfuggire
ai posti di controllo sviando per i campi o sgattaiolando di tra le
siepi. Per questa ragione, ponti e strade sono liberi alla
circolazione: mediante le tasse si paga l'uso che se ne fa, attuando
in tal modo un'organizzazione comunista possibile soltanto quando lo
Stato è sufficientemente organizzato per intraprendere
l'amministrazione dei servizi pubblici. Gli antichi romani, che erano
grandi costruttori di strade e di ponti, lasciarono il suolo della
Britannia nel quinto secolo, da allora, fino al secolo diciannovesimo,
nessun ponte fu costruito in Inghilterra. Oggi ancora i nostri fiumi
ne scarseggiano. Per recarsi al suo ufficio, proprio nel centro di
Dublino, mio padre doveva attraversare la Liffey, varcandone uno dei
ponti con diritto di pedaggio. La tassa ammontava a mezzo penny e mio
padre per burletta si compiaceva di esclamare: «Questo ponte maledetto
mi rovinerà!».
A ogni modo, eccetto in pochi casi in cui l'iniziativa privata si
ridusse all'assurdo, come nel caso delle strade e dei ponti a
pagamento, il mondo in cui nacqui considerava sacro il principio che
il Governo non debba fare nulla di quanto l'iniziativa privata voglia
accaparrare a proprio profitto. Appena raggiunsi l'età della ragione
mi sentii pronto a discutere l'assurdità di un sistema che obbligava
mio padre a pagare mezzo penny ogni volta che il suo lavoro lo
chiamava dall'altra parte del fiume, e il ponte da attraversare non
era che uno stretto e arrugginito pontile di ferro a uso dei soli
pedoni, mentre gli era concesso di bighellonare a piacimento su bei
ponti di pietra con marciapiedi e carreggiate.
Riflettendoci su, mi resi conto che mio padre pagava mediante tasse
comunali la sua parte per le spese di manutenzione dei ponti pubblici.
La sua parte era però molto inferiore al mezzo penny imposto come
pedaggio dal ponte privato, ed era evitata la seccatura del soldino
pronto a ogni passaggio. Ecco un esempio pratico di capitalismo da una
parte e comunismo dall'altra. A poche centinaia di metri di distanza,
il comunismo forniva una superiore comodità a un prezzo inferiore.
Karl Marx e altri filosofi ebbero a occuparsi del come mai, a onta di
fatti così probanti, il comunismo debba essere aborrito e il
capitalismo considerato invece fonte di ogni prosperità. A Londra, il
medesimo problema venne sollevato da un gruppo di giovani, più o meno
della mia specie, che formarono una società chiamata «fabiana». Vi
aderii io pure, provvedendo così a fornirmi di abilissimi colleghi
capaci di riempire i vuoti lasciati nella mia cultura da una
educazione esclusivamente estetica, la quale ebbe un unico merito, un
po' istrionico, di farmi giudicare da loro idoneo a servire quale
oratore o capo popolo. Uno di essi, Sidney Webb, a me ben superiore
sia per la cultura politica, sia per l'esperienza amministrativa, e
per quella miracolosa capacità di rapida assimilazione e memoria che
distingue i Newton e i Napoleone dagli altri uomini - capacità di cui
sono totalmente privo - addusse una così poderosa valanga d'esempi a
favore dei vantaggi economici realizzabili in una oculata
amministrazione pubblica coadiuvata dai poteri governativi e dalle
risorse fiscali, che, a pochi anni di vita della società fabiana, la
politica del "laisser-faire" era già gravemente colpita e un programma
socialista si era imposto all'ultra-individualista partito liberale,
prima ancora che Gladstone fosse morto.
Questo notevole successo raggiunto dalle prime generazioni dei fabiani
mancò purtroppo il segno. Parve necessario far rappresentare in
Parlamento, da un partito nuovo e indipendente, il proletariato al cui
beneficio si mirava. Webb e io componemmo un opuscoletto intitolato
"Piano di una campagna a vantaggio del lavoro". La messa in pratica
del nostro piano richiedeva però ben più denaro di quanto ne
disponesse il nostro gruppetto di socialisti fabiani. Soltanto i
Sindacati operai sarebbero stati in grado di appoggiarlo. Webb, il
primo storico capace del Sindacato operai, spiegò le nostre teorie ai
capi del movimento, e, in uno con la fiducia, ne conquistò il
rispetto. Egli li iscrisse nel nuovo partito e persuase alcuni di loro
a chiamarsi socialisti; ma iscrizione non vuol dire conversione;
infatti, quando nel 1906 il nuovo partito vinse la sua battaglia ed
entrò a far parte del Parlamento, soppiantando tosto all'opposizione
il partito liberale, e raggiungendo il dicastero del Tesoro con un
Primo Ministro a tutta prima intransigente socialista, la vinse in
realtà quale partito laburista, soltanto nominalmente socialista.
Cosicché i suoi deputati denunciarono la rivoluzione comunista russa
con violenza paragonabile a quella dimostrata dai più codini tra i
conservatori.
Il partito conservatore ebbe agio, allora, di convincersi che nessun
mutamento rivoluzionario si sarebbe mai sviluppato sotto un Governo
laburista e adottò il capo del partito socialista, prima tanto
intransigente, quale suo capo partito. Il partito liberale promosse
una giusta legge che stabilì il salario da corrispondersi ai deputati.
Il risultato più evidente fu che la Camera dei Comuni parve sempre più
mutarsi in una casa di riposo a favore dei segretari delle Trade
Unions colpiti dai limiti d'età, segretari pronti ad adornarsi
dell'appellativo di "socialista" quando veniva loro detto di farlo, ma
che tutti ignoravano il significato di questa parola. La supposta
conversione a un socialismo costituzionale, per opera della società
fabiana, condusse a mutamenti ancora più trascurabili di quelli che si
ebbero quando Costantino convertì l'impero romano al cristianesimo. I
lauri del successo non furono assegnati alla società fabiana, bensì al
defunto Disraeli, il quale, nella sua veste di capo del partito
conservatore, si era incamminato per primo sulla via
dell'affrancamento del proletariato, ricordando che all'alba della sua
carriera la Camera dei Comuni gli aveva rifiutato il diritto di
parola. «Verrà il giorno in cui dovrete ascoltarmi» era il suo
"slogan"! Egli imparò, così, che i baluardi del conservatorismo non si
elevavano nel frivolo quartiere di Mayfair ma nella poverissima Mile
End. L'estendersi dei provvedimenti per garantire sempre maggiori
diritti al proletariato rese la situazione più precaria ancora.
L'affrancamento esteso alle donne, e il voto concesso a qualsiasi
categoria di cittadini, furono realizzazioni dei Governi oligarchici
vittoriani di Disraeli e di Gladstone, il che li fa apparire
rivoluzionari al confronto di quelli capeggiati da Baldwin o da Ramsay
MacDonald.
Il lato negativo di questo problema viene spiegato a mezzo della
generale paralisi in cui incorse il Parlamento dalla fine del
diciannovesimo secolo in poi; paralisi dovuta al trucco di Sunderland.
Altri fatti, carichi di conseguenze gravi, maturavano intanto nel
diciannovesimo secolo. Il fenomeno di un socialismo sviato in un
movimento mirante a stabilire i partiti laburisti al potere non fu
unicamente un fenomeno inglese. In Europa l'iniziativa era stata presa
dal partito social-democratico tedesco capeggiato da Wilhelm
Liebknecht e da August Bebel. Quest'ultimo, che era il più facondo
oratore d'Europa, vantò a un Gongresso Internazionale Socialista i
trionfi elettorali ottenuti dal suo partito. Jaurès, l'altrettanto
facondo capo socialista francese, rispose: «Se in Francia avessimo
tutti quei voti e tutti quei seggi, qualcosa accadrebbe». Poiché dal
punto di vista parlamentare nulla accadeva in Germania, e nemmeno
altrove, il proletariato deluso si disgustò del Governo parlamentare,
senza comprendere bene quale ne fosse la pecca. Gli anarchici, i
sindacalisti, i socialisti, e i socialisti corporativi oppressi dal
fabianesimo, sollevarono nuovamente il capo, dimostrando chiaramente
che le masse militanti cittadine eran più temute dai despoti che non i
partiti laburisti parlamentari dall'oligarchia capitalista. I
dittatori dispotici diventarono di moda con la stessa rapidità con cui
i Primi Ministri lib-laburisti furono smascherati. Pietro il Grande
che costruisce una nuova capitale sulla Nevà, Napoleone che spazza le
stalle augee, rompe catene arrugginite, prosciuga paludi, costruisce
strade di traffico internazionale e, aureolato di gloria
rivoluzionaria, si fa mecenate dei maggiori geni suoi contemporanei;
Napoleone terzo che romanizza Parigi, Mussolini che ricostruisce Roma,
un Primo de Rivera e un Hitler che tracciano strade nuove, contrastano
con l'incapacità del Parlamento britannico a costruire financo un solo
ponte sulla Severn e coll'impotenza di un Liebknecht e di un Bebel
oppressi dal tallone di Bismarck prima, e del Kaiser dopo. Nessun
Parlamento è mai riuscito ad abolire la disoccupazione che è di gran
lunga il male più temuto dal proletariato, né a trattare degnamente i
disoccupati. Il fatto più strano accadde in Russia, dove per
raggiungere un potere duraturo il socialismo e la democrazia dovettero
ingigantire l'apparato della polizia, tanto da far sembrare minuscola
quella esistente all'epoca degli zar, e questo a comprova della
saggezza con cui Ruskin, il vecchio tory, previde che la salvezza
sociale non può essere basata sul minor Governo e la maggior libertà,
bensì proprio sull'opposto. Adolf Hitler e Benito Mussolini capirono,
e prima di loro Cromwell ne aveva fatto l'esperienza, che con un
esercito modello ben pagato, e un gruppo di prefetti scelti
spalleggiati dall'esercito, essi potevano fare tutto ciò che a loro
piaceva, financo gettare nella spazzatura, vivi o morti, i
parlamentari recalcitranti. Molti credettero perciò che i dittatori,
purché lo volessero, fossero in grado di adempiere ogni loro promessa,
e i partiti parlamentari invece, volenti o no, riuscissero per natura
del tutto impotenti. Nessuna meraviglia, quindi, se i plebisciti
dettero ai dittatori maggioranze tanto cospicue. I dittatori, però,
non erano assoluti quanto può sembrare. I plutocrati, forti e ricchi
come non mai, erano pur sempre i padroni della situazione. Avevano
fatto proprio l'insegnamento ricavato dallo scacco subito dai fabiani,
e ne avevano tratto profitto. Capivano, è vero, altrettanto poco gli
ingranaggi del sistema capitalista quanto i partiti laburisti capivano
quelli del socialismo. Sapevano però che seguendo la traccia segnata
dal profitto sarebbero diventati ricchissimi, e infinitamente più
potenti, senza per questo abbisognare di cultura o conoscenza
speciali; bastava abbandonare il "laisser-faire", sostituendo alla
libera concorrenza, e al risparmio privato, l'organizzazione statale.
I fabiani avevano devoluto il guadagno a beneficio del proletariato;
ma la provvidenza divisò altrimenti, e sia la produzione sia il
risparmio dello Stato furono utili a Faraone quanto a Fabio (o
Shavius).
I dittatori saliti al potere sbandierando concetti socialisti furono
fatti segno a rivoltellate e messi ogni tanto in prigione fino a
quando non raccolsero il denaro sufficiente a creare un esercito di
nuovo modello, fornendolo di camicie nere o brune. Così, come i vecchi
fabiani finirono strumenti delle Trade Unions che pure li avevano
sfruttati per ottenere libera entrata al Parlamento, e persero ogni
consistenza politica, i dittatori divennero strumenti dei plutocrati,
per ottener quei fondi senza i quali Adolf Hitler non starebbe ora
dettando legge, ma giacerebbe sul selciato di qualche strada in
compagnia delle pallottole dei plutocrati, lanciate a turbini su di
lui.
Quando cominciai la mia carriera politica, le concessioni date dai
capitalisti allo Stato si compendiavano in quanto segue: «Via le mani
dall'industria, via dall'agricoltura, via dalle banche, dalla
navigazione, dalle miniere; via le mani da tutto, fuorché dalla
politica estera e dalla polizia istituita a protezione della proprietà
privata». Nel 1888, a un convegno dell'Associazione britannica di
Bath, dichiarai la necessità di nazionalizzare la terra. Henry
Sidwick, un professore di etica e di economia politica rinomato per la
sua immutabile pacatezza, fu tanto indignato dalla mia dichiarazione
che si mise a urlare chiamando delitto qualsiasi perorazione a favore
della nazionalizzazione terriera, delitto al quale egli non intendeva
dare l'appoggio della sua presenza. E se ne andò sbattendo
violentemente la porta. Il brutto è che mai mi riuscì a persuadere gli
amici di Sidwick non presenti della violenza dimostrata da questa
degna persona. E' che la parola "nazionalizzazione" agisce da
detonatore anche tra gli uomini più pacifici.
Oggi invece, l'ordine del capitalismo è: «Nazionalizzate ciò che
volete; municipalizzate tutto il possibile; trasformate le corti di
giustizia in corti marziali, i parlamenti e le corporazioni in
consigli di amministrazione presieduti dai vostri oratori più
popolari, purché la rendita, l'interesse e i profitti defluiscano
nelle nostre tasche con l'abbondanza di prima, e purché il
proletariato ricavi da tutto ciò quanto basti per non morir di
stenti».
Ecco il pericolo che ci minaccia oggi e che proviene dalla corruzione
del socialismo. Questa corruzione in Italia si chiama fascismo, in
Germania nazional-socialismo (abbreviato in "nazismo"), "New Deal"
negli Stati Uniti, e con rara intelligenza è rimasta priva di nome in
Inghilterra. Significa però dovunque la stessa cosa: produzione
secondo i canoni socialisti, distribuzione contraria a tali canoni. E
dalla padella si è caduti nella brace. Infatti, sebbene il fascismo
(una abbreviazione per capitalismo di Stato) abbia distribuito qua e
là alcuni sostanziali benefici al proletariato, e abbia dato uno stato
giuridico a funzionari che prima erano semplici impiegati avventizi,
sebbene abbia potenziato i pubblici servizi e predicato il culto dello
Stato (chiamato totalitarismo) che condurrà logicamente a un
socialismo genuino, esso ha prodotto una guerra mondiale in cui il
fascismo anglo-americano combatte il fascismo tedesco e italiano
perché il fascismo è internazionale, mentre i capitalisti sono ancora
fortemente nazionalisti. Infatti, se la Germania si propone di
fascistizzare il mondo sottoponendolo alla guida di Adolf Hitler e
l'Italia vuole ottenere lo stesso scopo con Benito Mussolini, i
fascisti anglo-americani si proporranno la distruzione della Germania
e dell'Italia, pur di soggiogare qualsiasi fascismo non creato da loro
e non guidato dai loro Duci. I fascisti anglo-arnericani si battono
contro lo straniero come i loro predecessori si batterono contro
Napoleone quando l'Imperatore dei francesi tentò di promuovere gli
Stati Uniti d'Europa sotto l'egida dei Bonaparte e l'amministrazione
dei marescialli imperiali, concedendo una spiccata preferenza ai
mariti delle sorelle. I fascisti sono ulteriormente divisi in due
correnti: quella che vorrebbe adattare il fascismo al vecchio sistema
parlamentare decretato dall'esperienza a prova di qualsiasi
rivoluzione, e quella che concepisce invece la necessità per il
fascismo di evolversi in nuove istituzioni, in quanto gli sarebbe
difficile svilupparsi senza un Governo efficiente e rapidamente
attivo, e si vede perciò costretta a sbarazzarsi del sistema dei
partiti immobilizzati quali sono nelle loro tradizioni, nella loro
inerzia, nei baluardi dei comitati irresponsabili e utili a chiunque
desideri seguire la routine e non sappia muoversi coi tempi.
Se i nostri miopi belligeranti si rendessero conto della situazione o
se, per lo meno, avessero studiato qualche rudimento di politica, essi
si accorderebbero contro il genuino socialismo dell'U.R.S.S. e
regolerebbero le loro divergenze dopo essersi spartita la Russia. Allo
stato attuale delle cose, i fascisti occidentali si stanno invece
accordando con la Russia per distruggere i fascisti centrali e centro-
meridionali, e con la Cina comunista per sconfiggere il Giappone
capitalista. Tali contraddizioni e confusioni finiranno per chiarirsi;
i belligeranti si allineeranno ognuno dalla parte che gli spetta:
plutocrazia contro democrazia, fascismo contro comunismo; il più bello
è che le idee socialiste si adatteranno a entrambi. Come può il
cittadino distinguere nella pratica giornaliera la differenza che
corre fra il socialismo fascista e quello comunista? Come può
accertarsi che buona parte dei redditi da lui versati a mezzo delle
imposte nelle casse dell'erario sarà industrialmente capitalizzata e
che il suo denaro gli frutterà in merci, in pubblici servizi, in
stipendi, o in tutte e tre queste cose, invece di essere regalato a
spendaccioni privilegiati che, a sue spese, saranno così messi in
grado di vivere improduttivamente nel lusso? Se poi il cittadino è
egli stesso uno dei soprannominati spendaccioni, o se, aspirando a
diventarlo, è disposto a tentar fortuna sotto la bandiera fascista,
come potrà accettare una forma di Governo che gli prometta il
contrario dei suoi desiderata?
E' impossibile rispondere a queste domande ponendo teoremi intesi a
dimostrare i maggiori meriti del vecchio liberale "laisser-faire"
capitalista, o del nuovo capitalismo fascista, o del democratico
comunismo. Quando i partiti fascisti e comunisti promuovono uguali
misure di nazionalizzazione e municipalizzazione, uguali sostituzioni
del capitale e controllo privati con quelli pubblici, tanto da
convenire entrambi sull'impossibilità di aprire una nuova miniera al
lavoro, o varare una grande nave, senza l'aiuto dello Stato; quando
contadini e braccianti sono spazzati via da un'ondata d'agricoltura
collettiva; quando nemmeno il "laisser-faire" si distingue dalla
"nuova economia politica" di Lenin del 1921 (N.E.P); quando, in breve,
i mezzi sono gli stessi e gli scopi differenti quanto il nero lo è dal
bianco, le teorie non sono d'alcun aiuto per gli elettori; questi, se
non vogliono votare all'impazzata, quasi prendessero parte a un giuoco
d'azzardo, non avranno altra via d'uscita che tentar di mettersi al
corrente delle varie forme di corruzione.
31.
LA CORRUZIONE MUNICIPALE
Teoricamente, il rimedio è semplice. Non sovraccaricare di tasse;
fornire i servizi a prezzo di costo. Praticamente, non è però così
semplice. Anche quando i municipi mantengono onestamente i loro prezzi
al più basso livello compatibile con una certa sicurezza (in commercio
si usa fare proprio l'opposto), un profitto, sia esso minimo o
massimo, si riscontra sempre. I conti sono complicati dal fatto che i
consumatori truffati e i contribuenti beneficati sono in massima parte
le stesse persone Questa mancanza di equilibrio può, è vero, produrre
vantaggi altamente desiderabili dal punto di vista del pubblico
benessere, tanto più quando riesce a sovraccaricare gli abitanti delle
strade più eleganti, favorendo coloro che vivono negli "slums".
Qualsiasi municipio può onestamente ricavare profitto dagli abbienti
per equilibrare le perdite derivate dai non abbienti. Quando ci si
trovi di fronte a dannose disuguaglianze di reddito, ogni
provvedimento mirante ad uguagliarle diventa lecito. Anche in questo
caso, simili provvedimenti si possono approvare alla sola condizione
che i municipi si rendano conto esatto di quello che fanno. Ora,
purtroppo, i più non lo sanno. Pilotati da persone esperte negli
affari privati, ma del tutto ignoranti di politica, l'assunto che in
una amministrazione, non importa se municipale o privata, il profitto
debba essere spinto al massimo, e che esso sia la prova di ogni buona
gestione, fa sì che i sostenitori del buon profitto commerciale nella
pubblica amministrazione vengano licenziati come teorici o sognatori.
Coloro che appoggiano il diritto ai profitti anche nelle
organizzazioni municipali, propongono l'esempio della posta. Essa mi
porta a destinazione lettere e cartoline e spedisce i miei telegrammi;
mentre, però, tempo addietro sborsavo un penny per le lettere, mezzo
penny per le cartoline e i miei telegrammi erano inoltrati per sei
pence, la tassa è ora rispettivamente di due pence e mezzo, due pence,
e uno scellino. Il profitto ricavato da questo aumento viene devoluto
alla diminuzione della tassa sul reddito. A me, personalmente, questo
fatto non importa in quanto spedisco, è vero, parecchie lettere,
cartoline e telegrammi, ma pago anche la tassa sul reddito. Ha
importanza, invece, per chi, possedendo un reddito troppo misero per
essere tassato, debba pagare la somma, sovente troppo elevata, di due
pence e mezzo, ogni qualvolta intenda spedire una lettera. Stando così
le cose sarebbe più giusto concedere la franchigia postale ai
proletari che direttamente non pagano tasse sui redditi
(indirettamente, la loro prestazione di lavoro insufficientemente
rimunerata è già di per se stessa una tassa) e rifarsi della perdita a
mezzo dell'imposta complementare.
Tutte queste complicazioni scompariranno se e quando un socialismo
genuino e democratico livellerà i redditi. Ci stiamo sempre più
avviando verso realizzazioni consimili: ecco perché diventerà via via
meno scusabile l'abitudine oggi invalsa del profitto tratto dalla
pubblica gestione. Allorquando il socialismo avrà raggiunto il suo
pieno sviluppo, si dovrà fornire ogni servizio a prezzo di costo,
senza maggiorazione di profitto.
Il prezzo di costo, che per un negoziante è facilmente determinabile,
non lo è altrettanto per il fabbricante. Nella prima guerra mondiale,
il disastroso fallimento dell'iniziativa privata nel rifornire di
munizioni l'esercito ci costò migliaia di vite e varie sconfitte nelle
Fiandre. Il Governo dovette scegliere allora tra il gestire
direttamente le fabbriche di munizioni o il perdere la guerra.
Decisosi per la prima alternativa, scoprì ben presto che le industrie
private stabilivano prezzi mostruosi, non soltanto perché
consideravano loro dovere verso gli azionisti e verso se stessi
ottenere i massimi profitti possibili, ma anche perché ignoravano i
particolari del costo dei loro prodotti, né d'altra parte si curavano
di saperlo, ponendo unicamente il loro impegno a far sì che i
dividendi risultassero soddisfacenti. Il Governo s'impose il dovere di
trovare per l'acquisto di ogni voce il più economico dei mercati e
costrinse le ditte private a stabilire i loro prezzi in base al minimo
ottenuto, permettendo una maggiorazione fissa dalla quale ricavare il
profitto necessario a mantenere l'industria in vita. Per la prima
volta le industrie furono costrette ad accertarsi dei loro prezzi di
costo e a tenerne conto, realizzando un tale miglioramento da farle
trovare in posizioni ben più stabili, quando vent'anni dopo scoppiò la
nuova guerra.
Dopo tutto, il costo di produzione è l'ammontare della spesa in cui
incorre il produttore per riuscire a vivere, lavorare, riprodursi,
riparando nel contempo l'usura del macchinario e degli attrezzi, e
provvedendo risparmi atti a creare nuove industrie e nuovi
esperimenti. Questo calcolo non possiede dati fissi. Varia tra sesso e
sesso, epoca ed epoca, paese e paese. Le fluttuazioni delle offerte e
delle domande sul mercato del lavoro possono deprimere tale mercato
sotto il livello del minimo necessario alla sussistenza, ciò che
l'alta mortalità infantile e l'accorciamento della media nella vita
degli adulti rendono subito evidente, oppure sollevarlo a livelli
d'abbondanza, come nell'attuale momento, in cui alcuni ragazzi
fortunati si guadagnano 12 sterline la settimana per un semplice
lavoro manuale, giornalisti un dollaro la parola per effimeri articoli
di giornali, chirurghi somme con tre zeri per operazioni che durano
un'ora, commediografi 20000 sterline per la sceneggiatura d'un film.
In pari tempo i genitori del ragazzo campano forse con un quarto di
quanto il figlio guadagna, e i mercati rigurgitano di merci fabbricate
da lavoratori cinesi e giapponesi che guadagnano un penny all'ora.
Di conseguenza, quando un municipio ricava dalla sua gestione profitti
commerciali, non sono i contribuenti i soli a protestare. All'epoca in
cui ero consigliere regionale gli spazzini ricavavano per il loro
lavoro diciotto scellini la settimana; oggi, sono pagati quattro volte
tanto. Gli impiegati organizzati in sindacati, non soltanto intascano
paghe più alte quando il loro genere di lavoro è scarso, ma nei
periodi d'abbondanza rifiutano di lasciarsi impoverire da operazioni
non controllate di domanda e di offerta e reclamano «un minimo di
paga» per poter mantenere il loro abituale livello di vita.
In base a queste considerazioni, la questione del costo di produzione
comprende pure il problema del livello di vita del lavoratore. Quale è
il più alto livello che ci sia consentito raggiungere con le nostre
attuali risorse? Quando, in base a fantastiche dicerie giornalistiche,
mi si taccia di milionario affogato nel lusso, rispondo che nessuno
chiede meno di me per vivere. Datemi un alloggio conveniente in città,
una comoda villa in campagna, più qualche ettaro di prato e di
giardino, due automobili, una per i viaggi brevi l'altra per i lunghi,
del denaro che non ha necessariamente da superare le duemila sterline,
e non troverete uomo più lieto di me sulla terra.
Questo mio dire viene classificato tra i caratteristici scherzi alla
Shaw. Mi fa ben piacere se le mie parole divertono qualcuno; soltanto
il vero scherzo sta nella mia assoluta serietà in materia. Per
riuscire a dedicarmi completamente al mio lavoro professionale sono
obbligato a farmi servire in tutto, quasi fossi un bambino. Coloro che
provvedono per me devono a loro volta ricavare un utile dai servizi
che mi procurano. Questo utile esce di tasca mia. Spero con tutto il
cuore di valere il lavoro a cui essi si sottopongono per mio e loro
beneficio. La cifra di 4000 sterline fissata da Wells come minimo
guadagno decoroso è derisa perché calcolata frutto di prodigalità da
chi la considera quale mezzo di sostentamento di una sola persona. Se
la si considera invece sotto la specie di reddito familiare guadagnato
dal cittadino con l'esercizio di una professione o di un lavoro che
occupino tutto il suo tempo lavorativo e tutta la sua energia, il riso
scomparirà, secondo il detto dell'Ecclesiaste, «come scricchiolio di
spini sotto un vaso». Coloro che mantengono una famiglia debbono
necessariamente essere liberati dalle cure casalinghe e pagare per
questo sollievo. Essi non hanno tempo per farsi gli abiti, per
abbrustolirsi il pane, per cucinarsi il cibo, per rullare i loro prati
e zappare il loro giardino, e neppure per ripulirsi le scarpe o
rifarsi il letto. Non mi dilungo poi sul fatto che essi devono
mantenere ed educare i figli e offrire gran parte dei loro guadagni ai
proprietari di casa che, in compenso, concedono loro soltanto il
permesso di vivere sulla terra, poiché questi carichi dovrebbero
essere assunti dallo Stato socialista. Abbiamo dunque per il capo
famiglia l'onere educativo e di abitazione; le 4000 sterline l'anno
dovranno servire a mantenere direttamente non soltanto una persona,
bensì anche mezza dozzina, e indirettamente, nonché parzialmente,
tutta una filza di negozi. Ecco che le 4000 sterline l'anno per
famiglia diventano al massimo 600 a testa. Questa somma può sembrare
generosa al lavoratore a cui viene richiesto di mantenere una famiglia
con 104 sterline l'anno (quando riesce ad averle); ma nessuna nazione
può vantarsi di essere altamente civile, se la maggioranza dei suoi
cittadini vive in simile stato di povertà. Bisogna provvedere a che i
guadagni familiari raggiungano le 15 sterline settimanali almeno e, in
un modo o nell'altro, è bene che l'amministrazione statale si arrangi
a produrre denaro bastevole affinché a ogni lavoratore capo famiglia
venga assicurata tale somma, poiché il livello medio di due sterline è
assolutamente intollerabile.
Questi dati hanno soltanto valore come rappresentazione numerica del
presente livello medio di vita. Certo è che un commercio a base
municipale e un'organizzazione nazionale e supernazionale riescono,
socializzando le fonti naturali della produzione, a fornire i generi
di prima necessità a prezzo di costo, e possono ridurre i prezzi al
punto che due unità di una moneta duodecimalizzata permetteranno
senz'altro di fare ciò che si usa chiamare una vita gradevole. Se, a
esempio, i trasporti fossero socializzati (sarebbe errato dirli
"liberi"), e se soltanto col richiederle si potesse ottenere la
maggior parte delle cose di cui tutti beneficiamo e che tutti usiamo,
finirebbe col venire a noia il doversi portare dietro biglietti e
monete, o l'andare alla banca tanto spesso come si suole fare adesso.
Sollevati da simili impacci, potremmo vivere tutti da signori, e
sentirci liberi dall'intollerabile noia, sovente demoralizzatrice, che
proviene dal non potersi occupare di qualche lavoro utile.
Che cosa dovrebbero dunque fare i municipi per i membri delle loro
comunità? Come sarebbe giusto tassare i vari cittadini? Quanta parte
delle imposte bisognerebbe devolvere in stipendi e quanta utilizzare
per il ribasso dei prezzi dei servizi? E' meglio sopratassare i
consumatori oppure sottotassarli a spese dell'intero corpo dei
contribuenti? Simili domande non possono essere capite, e tanto meno
possono ottenere risposta da consiglieri privi dello speciale sapere
necessario al trattamento intelligente di siffatti problemi. In una
riunione di consiglieri regionali composta di negozianti locali, osti,
costruttori, banditori d'asta, più qualche medico e un prete
metodista, venne richiesto a me, commediografo, il parere su tali
problemi, quasi credessero fosse in mio potere illuminarli di qualche
luce. I due più capaci tra noi erano un erbivendolo e un calzolaio,
che mi parvero sorpassare in accortezza la maggioranza dei membri del
parlamento. Certo è che per riuscire a essere un buon negoziante, o
meglio anche un buon oste, ci vogliono carattere e abilità. Mentre
invece chi possiede un bel gruzzolo di denaro può facilmente sedere in
parlamento senza aver mai fatto nulla di buono. I due negozianti
citati furono per me una eccellente compagnia; li rispettai per le
loro qualità e provai simpatia per loro. Membri di una municipalità
che avesse un Richelieu come sindaco, o soltanto come funzionario,
essi sarebbero riusciti a realizzare imprese notevoli a mezzo
dell'iniziativa municipale. Purtroppo, non soltanto i Richelieu non
abbondano, ma nemmeno sono immortali. In quanto a noi, privi di un
Richelieu, ci trovammo del tutto impari all'importanza del compito
affidatoci, e cioè di governare nel modo migliore un quarto di milione
di uomini. L'educazione e l'istruzione ricevute da giovani ci
rendevano capaci di lavorare per l'attuazione di profitti privati o
personali, ma erano del tutto inadatte a essere applicate a profitto
di una amministrazione pubblica. Non soltanto non potevamo risolvere
certi problemi, ma nemmeno sapevamo che esistessero. Delle varie
contingenze a cui il fluire del tempo ci poneva di fronte, non
conoscevamo che un lato solo. Da fabianista quale ero, mi rendevo
conto di parecchi interrogativi, e per qualcuno di essi avevo anche
pronta una soluzione dottrinaria. Il mio amico metodista, il fu Ensor
Walters, era in sé una forza spirituale sempre volta verso la giusta
direzione; ma, nell'insieme, eravamo altrettanto ignoranti di
questioni politiche quanto lo era la massa dei nostri elettori i quali
non avrebbero certo mai eletto una persona come me, se avessero avuto
il più vago sospetto delle mie fondamentali opinioni politiche. La
corruzione nei frangenti accennati era inconscia e automatica. La si
praticava con le migliori intenzioni del mondo, e in perfetta onestà.
Spesso, la famosa saggezza intuitiva inglese, così accuratamente
osservata e descritta dal mio amico Keyserling nel suo libro
sull'Europa di quattordici anni fa, servì da ancora di salvezza.
Keyserling, detto tra parentesi, è un barone baltico, certamente privo
delle prevenzioni che fanno di me irlandese un osservatore non sempre
sereno. Egli fondò a Darmstadt una università di saggezza della quale
avremmo avuto gran bisogno nel mio collegio elettorale di San
Pancrazio. So benissimo che la pratica e l'allenamento razionale di
cui i miei colleghi erano privi e che essi disprezzavano, menano
talvolta a gravi errori evitabili sovente con l'uso della saggezza
intuitiva. Ho sufficiente pratica e intelligenza per poter sorridere
all'illusione giacobina sull'infallibilità della ragione. L'intelletto
può prendere cantonate madornali; altrettanto però l'intuizione se
ignorante. Solo coll'aiuto di fatti esaurienti, l'intelletto e
l'intuizione potranno entrambi raggiungere qualche solida conclusione.
D'altra parte, se i fatti conosciuti sono troppo pochi, o essendo
immaginari non sono per nulla dei fatti, le deduzioni e le congetture
saranno assai zoppicanti. I fatti non conducono sempre a illazioni
ragionate. Essi possono essere causa di risentimenti vendicativi, di
dolcezze sentimentali, di speranze e paure, pregiudizi e cupidigie,
col risultato di provocare esplosioni emotive tali da obliterare la
ragione nelle menti che non posseggono la qualità innata della
serenità di giudizio e non vi sono state severamente educate. Non
basta nascere con le doti necessarie a far di noi competenti
consiglieri municipali; bisogna anche educarci ad acquisirle, quelle
doti. Non per questo la corruzione nelle amministrazioni municipali è
sempre innocente, sebbene sia in massima parte troppo infantile per
rivestire importanza. L'esperienza mi insegna che la corruzione è
lungi dall'essere sfrontatamente consapevole, dato che chi ne usa la
considera piuttosto un dono dovuto che un compromesso illecito. Mi
meraviglierei certo, e mi asterrei del credervi, se qualcuno mi
venisse a dire che un imprenditore qualsiasi, desideroso di ricevere
in appalto la costruzione di bagni, lavanderie e simili, andasse dal
presidente della commissione municipale incaricato della questione e
gli promettesse 50 sterline in cambio dell'accettazione del suo
progetto. L'appaltatore e il presidente giudicherebbero entrambi
estremamente scorretto un siffatto modo d'agire. Se vi fosse invece
una consuetudine, che acconsentisse all'appaltatore scelto di offrire
al suddetto presidente un servizio di piatti d'argento il cui costo
sarebbe implicitamente compreso nel progetto d'appalto, il presidente
potrebbe accettare con coscienza pulita, come accetterebbe un
qualsiasi provento casuale, e l'appaltatore, a cui il regalo non
costerebbe nulla, diventerebbe senz'altro persona grata al municipio e
avrebbe molta probabilità di riuscita quando vi fossero altri appalti
in vista.
Supponiamo, invece, che un'importante azienda voglia acquistare spazio
chiudendo una strada. Non verranno certo distribuiti biglietti da
dieci sterline ai consiglieri comunali. No. L'amministratore delegato
si fa eleggere in qualche carica municipale. Appena eletto acquista
popolarità tra i suoi colleghi invitandoli a banchetti esilarati da
abbondante "champagne", e mostrandosi pronto ad aderire a qualsiasi
giusta causa i consiglieri vogliano patrocinare. Ben presto il
convincimento che la strada in questione sia inutile, anzi dannosa, e
che dev'essere abolita, si farà largo. Cosicché la via si chiude, e
l'imprenditore scompare dalla vita pubblica; nessuno gli vedrà più
indossare la sua veste assessorile.
Non è però tra i consiglieri che la corruzione ha i più numerosi
aderenti; gli impiegati sono da sorvegliare. In ogni paese il
cittadino comune, indisciplinato e politicamente ineducato, non
considera il servizio pubblico come un lavoro serio che per dovere e
punto d'onore personale egli debba fare quanto meglio può senza falsi
riguardi verso terzi e verso se stesso, ma una sinecura in cui la sua
dignità ufficiale gli richiede di essere insolente verso il pubblico.
Ogni qualvolta è deluso nell'aspettativa che il suo impiego sia
un'espressione del dolce far niente, egli si crede in diritto di
pretendere un compenso dal cittadino per il quale è stato costretto a
fare qualcosa. Fin dall'alba della mia carriera propagandistica pro-
socializzazione municipale mi resi conto che questo punto di vista era
riscontrabile tanto fra i personaggi di maggior importanza quanto
nelle file dei semplici impiegati.
Una domenica mattina, mentre passeggiavo nel giardino pubblico di una
città di provincia, notai compiaciuto che il municipio aveva
provveduto uno spogliatoio per i giocatori di football e di cricket.
Entrai curioso nello spogliatoio e vi fui testimonio di un'accesa
discussione tra il custode e un giocatore di football reo di avere
omesso il rito dell'unzione palmare. Alla presenza di parecchio
pubblico, sicuro dei suoi diritti, il custode domandava al colpevole
se gli pareva giusto usufruire dello spogliatoio «senza lasciare un
regalino». Il giocatore rispondeva di non poter lasciare danaro visto
che non ne possedeva. Al che il custode di rimando: «Chi è senza
danaro non usi lo spogliatoio».
Quest'opinione parve essere condivisa dai presenti, persino dallo
stesso malfattore, il quale con tutta evidenza ignorava come un
semplice rapporto, fatto in municipio, sarebbe bastato a far
licenziare il custode, resosi colpevole di pretendere gratifiche.
Quello che nell'accaduto veramente mi turbò fu la visibile ignoranza
delle istituzioni municipali mostrata dai presenti. Senza dubbio
alcuno, parecchi dei giocatori, in gran parte poveri diavoli, avevan
già dato o stavano per dare la mancia al custode, ed erano pronti a
regalare qualche penny in nome del compagno meno abbiente; essi non
scorgevano nel fatto stesso alcunché di disonesto e di antisociale. Se
una guardia di città avesse preteso una gratifica per lasciarli
passeggiare nella via principale del luogo, essi ne avrebbero provato
scandalo. L'abitudine li conduceva a credere che, per quanto ben
illuminata, pavimentata, spazzata e sorvegliata una strada fosse, essa
lo fosse per dono di natura, per la stessa legge misteriosa che ci
gratifica della luce solare e dell'acqua piovana. Ai custodi di
spogliatoi, invece, si era sempre dato qualcosa, cosicché la richiesta
di colui di cui scrivo sembrava a tutti regolarissima. Che l'ignoranza
nelle questioni di politica ed economia sociale non sia soltanto
l'appannaggio di persone di poca cultura è dimostrato da un ridicolo
incidente avvenuto durante il periodo in cui Ramsay MacDonald fu
Presidente del Consiglio: in base a ottimi elementi, egli aveva
raccomandato un suo amico affinché gli venisse concessa una baronia.
Appena esaudito il suo desiderio, qualcuno scoprì che l'amico di cui
sopra gli aveva regalato un'automobile. Ne venne fuori un grande
scalpore, del resto comprensibile, perché un Primo Ministro non
dovrebbe accettare regali da chiunque possa aver un motivo interessato
a farglieli. Il povero Ramsay, che non essendosi mai soffermato su
simili problemi era del tutto innocente di ogni intenzione meno che
retta, si liberò subito dell'auto. Lo scalpore non si riferiva però al
vero punto debole della questione. L'agitazione dei giornali e del
pubblico era causata dalla controversia sorta sul diritto o meno per
un socialista di possedere un'automobile. Secondo alcuni un socialista
è una specie di francescano, il quale, dopo aver rinunciato agli abiti
lussuosi, vende tutto quel che possiede e ne sparge per strada il
ricavato a miglior beneficio dei poveri. Ciò farebbe supporre che, se
MacDonald non avesse professato il socialismo, gli sarebbe stato
concesso di possedere una dozzina, almeno, di macchine regalate da
preminenti persone. Anthony Trollope, noto romanziere del secolo
scorso e abile funzionario civile, aveva creduto riscontrare in
Thackeray le qualità degne di un eroe, e aveva eletto l'artista a suo
proprio modello letterario. A onta della riverenza provata per
Thackeray, Trollope non poté fare a meno di sentirsi scandalizzato
nell'assistere alla svergognata manovra operata un giorno dallo
scrittore desideroso di ottenere una sinecura.
Se un uomo del calibro mentale di un Thackeray concepiva le sinecure
come parti naturali della nostra "routine" politica, si può immaginare
quale possa essere sulla questione l'atteggiamento dei cittadini di
minore cervello. Tempo fa, un aristocratico che avesse voluto
risparmiarsi il carico di pagare una pensione al suo vecchio
maggiordomo gli procurava un posto nell'amministrazione civile (sotto-
governo, la si diceva). Lo stesso posto si offriva ai vecchi
parlamentari la cui abilità nei dibattiti era indispensabile in
Parlamento.
Alla fine, questo abuso non fu più tollerato, e venne istituita
l'attuale legge di selezione a mezzo concorsi.
Il vecchio sistema, e il concetto che il pubblico se ne fa, prevalgono
ancora nell'Europa meridionale dove s'incontrano Stati nei quali ogni
funzionario civile si appropria il salario del suo immediato
subordinato, che a sua volta agisce allo stesso modo, finché si giunge
all'ultimo gradino della scala impiegatizia su cui sta il poverello a
cui non resta nessuno da derubare. Questi, pertanto, si rifiuta di
fare il suo dovere a meno che non gli vengano corrisposte congrue
mance.
Espedienti simili non sono soltanto messi in pratica dagli impiegati
più umili. Li vediamo in uso pure fra gli alti gradi. Durante la
guerra di Crimea un rinomato appaltatore, allo stesso tempo mercante
di legname, nell'attraversare in carrozza assieme alla moglie una
città del Midland si trovò a passar di fronte a uno dei suoi depositi
in cui la legna marciva. Proprio in quei giorni i giornali avevano
reso pubbliche le sofferenze alle quali erano sottomessi i soldati al
fronte e un'ondata d'indignazione si stava riversando sul paese. La
moglie del commerciante, che aveva letto i giornali, disse: «Non si
potrebbe usare la legna per farne baracche ai soldati?». Il
commerciante accettò il suggerimento e riuscì a collocare gran parte
del suo legname presso l'esercito francese. Quando volle poi
riscuotere il prezzo del legname, si accorse che era meglio andarselo
a prendere. A Parigi fu ricevuto con molta cortesia da un ministro, il
quale gli disse che il leggero ritardo nel consegnargli il danaro
proveniva da alcune formalità ormai quasi del tutto compiute.
Ritornasse. Sembrava però che le formalità non dovessero mai aver
fine, e il commerciante ne era seriamente preoccupato, quando un
giorno incontrò un appaltatore esperto più di lui sul modo di trattare
con i Governi. Saputo l'imbarazzo in cui si trovava l'amico, gli
domandò: «Avete fatto il necessario?». «Che necessario?» si stupì il
commerciante. «Un centinaio di sterline posate distrattamente sul
tavolo del ministro e ivi dimenticate» fu la risposta.
Il commerciante seguì le istruzioni dell'amico, e ricevette l'assegno
che fin dalla sua prima visita era pronto sullo scrittoio del
ministro.
Raccontai una volta a un filosofo del Sud Europa, che una compagnia
mineraria alla ricerca di ottenere una concessione nella zona si
lamentava di aver dovuto spargere gratifiche a un esercito di persone
di poca importanza, prima di riuscire a concludere la transazione. Il
filosofo rispose che la compagnia non aveva saputo fare: una forte
somma offerta in alto avrebbe risparmiato le molteplici noie coi più
piccini. Quando ero bimbo, sentivo dire da mio nonno che nessun uomo,
nemmeno se altolocato, era capace di rifiutare un biglietto da cinque
sterline agitatogli sotto il naso. Bisogna oggi aggiornare la cifra,
sia di fronte al valore della moneta nei paesi ricchi, sia per il
mutato valore della nostra. Io però considero il detto di mio nonno
così utile e giusto, da tenerlo presente quando mi occupo di affari.
E' errato supporre che corruzione e imbrogli siano unicamente
caratteristiche dei servizi pubblici. In una plutocrazia come la
nostra, ogni strato sociale è inevitabilmente contaminato dal sistema
delle mance. Nel corso della sua esperienza di avvocato e di giudice
il primo lord Russell di Killowen aveva contratto sì forte sdegno per
il suddetto sistema e per i danni che arrecava, da farsi promotore
della legge contro le gratifiche segrete e cose del genere. Il guaio è
che simili leggi risultano di scarsa utilità, se nessuna delle parti
interessate si cura di usufruirne. Ammettiamo che i borsaioli e le
loro vittime si accordino per non chiamare la polizia: fare il
borsaiolo diventa di colpo un mestiere privilegiato, e una moltitudine
di persone per le quali la moralità è soltanto questione di abitudine
si metterà a praticare un simile lavoro. Per la stessa ragione, dato
che l'olio del palmo di mano serve da lubrificante in commercio, un
uomo d'affari avveduto deve saperne fare uso con perizia.
Circostanze di famiglia fecero sì che a sedici anni diventassi
cassiere di una importante agenzia d'affari di Dublino. Rientrava
nelle mansioni a me affidate di pagare i conti dei nostri clienti
campagnoli. Nel mio primo giorno di lavoro, dopo aver ritirato dalla
Banca il danaro necessario, decisi di fermarmi nei negozi creditori e
pagarli in contanti. Quale fu la mia sorpresa quando i negozianti mi
porsero una percentuale sull'ammontare del conto! Ero ancora
innocente, tanto che meravigliai i donatori rifiutando la mancia.
Debbo dire che il mio gesto non nasceva da scrupolo sorto all'idea di
essere pagato due volte per lo stesso lavoro, ma dallo snobismo
naturale alla mia classe, snobismo che non ammette di poter ricevere
danaro in regalo da gente addetta al negozio.
Questo accadeva prima che avessi imparato da Karl Marx come nel nostro
sistema la mancia non serva ad arrotondare la paga di colui che la
riceve, poiché, nella lotta per ottenere un impiego rimunerato da uno
stipendio sufficiente per vivere, il lavoratore chiede unicamente quel
poco necessario a non mutare il suo tenore di vita. Se l'impiego
trovato comporta l'uso di gratifiche, il lavoratore automaticamente
diminuisce le sue pretese e raggiunge a volte l'assurdo di accettare
l'impiego facendo a meno di stipendio, quando addirittura non paga il
datore di lavoro! Sovente, poi, gli tocca a sua volta dar mance: il
cameriere di un piroscafo vive in massima parte sulla generosità dei
passeggeri; egli deve però lasciar correre gratifiche nelle cucine di
bordo per affrettare il servizio e non incorrere nel rischio di
scontentare chi gli ha unto la mano. Il dar mance è virtualmente una
necessità dei sistemi a libera concorrenza. Qualche volta la legge
stessa ne rende l'uso obbligatorio; in Austria, per esempio, un
cameriere di albergo a cui non sia stata elargita la sommetta consueta
ha il diritto di trattenere il bagaglio del cliente fino a quando non
sia stato soddisfatto nelle sue pretese. In Austria, sempre, il dieci
per cento è calcolato ormai il giusto obolo, tanto che un cameriere vi
darà il resto se la moneta che gli avete messa in mano supera la
suddetta percentuale. Questo genere di convenzione libera chi dà mance
da ogni incertezza sul quanto dare; esclude, però, sia la generosità
sia la relativa gratitudine, ragione per cui in Inghilterra preferiamo
lasciare incerto l'ammontare delle mance e rendere il dono legalmente
volontario anche se in realtà non lo è sempre.
All'inglese piace essere generoso e ricevere in cambio un servizio
mosso da gratitudine; gli ci vogliono però anni di viaggi prima che
egli riesca a superare l'agonia in cui lo piomba l'incertezza del
quanto e a chi dare mance: colui che gli rende servizi non avrà mai
con lui alcuna sicurezza di ricevere un compenso adeguato alle sue
fatiche. Aggiungete a ciò che, alla lunga, coloro che ricevono mance
non stanno affatto meglio dei compagni privi di contatti personali con
i clienti, e capirete il perché i più saggi organizzatori di masse,
nel loro intento di riunire in sindacati camerieri, garzoni, autisti
di piazza e tutti coloro che per usanza ricevono gratificazioni, siano
contrari al sistema delle mance e con gioia vedrebbero gli iscritti
alle varie categorie rifiutarle altezzosamente, richiedendo invece
stipendi decorosi.
Non appena riuscii a liberarmi dal mio sportello di cassiere, mi
gettai con disperata impudenza nel mare letterario di Londra, dove ben
presto mi toccò convincermi che nessuno si sognava di pubblicare i
miei tentativi libreschi; per alcuni anni mi guadagnai da vivere
facendo il critico letterario, artistico, musicale, eccetera. Una mia
parola elogiativa aveva a quell'epoca un certo valore, ma nessun
pittore, negoziante d'arte, compositore, attore o direttore di teatro
che fosse, mi offrì mai danaro per invogliarmi a buone recensioni. Una
volta, un giovane provinciale mi mandò una pipa di marca accompagnata
da una lettera nella quale mi pregava di essere gentile con un suo
diletto fratello il quale si era votato alla carriera teatrale. Non
fumo, ma colpito da tanta fraterna devozione avrei certamente fatto
del mio meglio se mi fosse capitato di veder recitare il fratello o
se, per lo meno, non ne avessi scordato il nome. I metodi usati dagli
impresari teatrali erano meno primitivi: dopo aver acquistato i
diritti d'autore su qualche commedia straniera, e prima di decidere se
metterla in scena o no, domandavano il mio parere. Nel caso di un
giudizio favorevole mi offrivano di tradurre l'opera, e, se questo mi
garbava, di vendere dopo sei mesi per 5 sterline l'opzione dei miei
diritti di rappresentazione. Si noti bene che, se la commedia era
qualche noto lavoro forestiero, soprattutto francese, non mi sarebbe
riuscito difficile vendere l'opzione due volte all'anno, incassando
così un centinaio di sterline. Un eminente attore e capocomico si
offerse di accettare una mia commedia, e senza compromettersi per la
data della rappresentazione mi propose un anticipo sulle mie
competenze ogni qualvolta lo avessi desiderato. Nelle serate di prima,
sul palcoscenico del mio teatro aveva luogo un banchetto al quale si
giudicava un privilegio l'essere ammessi. I critici solevano ricevere
l'invito di prendervi parte appena transitavano di fronte al
botteghino del teatro. Non rifiutai mai quell'invito, che mi pareva un
cortese tributo alla mia influente posizione, ma nemmeno sedetti al
banchetto.
Nell'ambiente pittorico nessuno si sognò di offrirmi danaro in cambio
di una critica favorevole. I mercanti di quadri stabilivano il giorno
in cui ricevere la stampa prima dell'apertura delle mostre; alcuni di
loro, esperti nell'arte di ingannare i giornalisti pivellini incapaci
sovente di distinguere un Greco da un Guido Reni un Frith da un Burne-
Jones, cosicché per cavarsela lodavano unicamente i pittori eminenti,
riuscivano a dar a intendere a questi novizi del giornalismo che la
loro ultima speculazione sull'opera di un principiante era invece la
scoperta di un genio. Al mio primo apparire in uno di questi
ricevimenti stampa un famoso mercante d'arte, defunto da lungo tempo,
mi rivolse cortesemente la parola per esaltare i pregi di una mezza
dozzina di mediocri disegni esposti da un pittore sconosciuto. Lo
ascoltai con l'attenzione dovuta e gli dissi poi: «Signor..., come
potete dirmi simili sciocchezze? Valete di più». Egli, di rimando, mi
fece un cenno confidenziale; lo seguii allora nel suo studio dove
potei ammirare alcuni tesori d'arte antica, di primitivi specialmente.
Il suo principale concorrente, morto anch'egli, usava un metodo più
sottile. Egli m'invitò un giorno a vedere le ultime opere di un noto
pittore, e mi ricevette mostrando l'umore di un uomo nauseato dal
cattivo gusto imperante. «Ecco» mi disse «siete venuto anche voi a
vedere queste croste! Già, roba dipinta per gente della vostra fatta,
e a noi tocca propinarvela! Guardate qui!», e indicava un quadro
appeso al muro, in un posto poco appariscente. «Ecco un dipinto che
vale dieci volte gli altri. A voi però non interessa: se vi dicessi il
nome del pittore, dovreste confessare di non averlo mai udito
nominare. Che tocco, invece! Guardate il cielo! Ma voi signori della
stampa passate davanti a queste meraviglie senza neppure degnarle di
uno sguardo.» Naturalmente, i giornalisti che non sapevano distinguere
il gesso dal formaggio si affrettavano a dimostrare la loro competenza
esaltando il valore del genio dimenticato. A me non la diede a bere,
ma mi mancò il cuore di rovinare al vecchio uomo la gioia di credere
riuscita una commedia tanto ben congegnata. Tosto i negozianti di arte
mi qualificarono critico avveduto e tra loro e me si stabilirono quei
rapporti di piacevole cameratismo d'uso tra i critici genuini e i più
seri commercianti di quadri. Tra di noi non si facevano trucchi, tanto
che i migliori critici ignoravano in genere il mercanteggio a base
d'inganni praticato su giornalisti novellini impiegati da direttori
privi d'ogni dimestichezza con l'arte e mal tolleranti il costume che
li costringeva a non trascurarla. Rassegnati a dare a Cesare quel che
è di Cesare, essi solevano mandare i reporters più verbosi alle
gallerie d'arte, nei teatri, e all'opera, riservando i migliori per i
convegni politici e i tribunali.
A me, personalmente, nessun mercante d'arte propose mai gratifica
alcuna né, dopo i miei primi passi nel mestiere, tentò d'ingannarmi.
Rinunciai una volta, è vero, a collaborare a un importante settimanale
perché mi venne richiesto l'elogio incondizionato di pitture eseguite
dagli amici del principale; e non facessi lo schizzinoso, visto che mi
si permetteva di fare altrettanto per i miei amici. Un po' dopo
rinunciai pure a una importante collaborazione perché la proprietaria
del periodico perseverava nell'interpolare a mio nome trafiletti
laudativi di mediocri quadri di pittori di second'ordine che, all'ora
del tè, solevano invitarla nei loro studi.
L'ambiente musicale non mi premiò mai direttamente, né seppi di alcun
collega che accettasse doni interessati. All'Opera, come pure nei
teatri e in tutti i luoghi di pubblico ritrovo, era certo molto più
semplice lodare ogni cosa e passare sotto silenzio le manchevolezze,
piuttosto che attenersi a una critica obiettiva. All'Opera i miei
colleghi faciloni erano soliti dilungarsi durante gli intervalli sui
demeriti del nuovo famoso cantante italiano, la cui voce pareva quella
di uno strillone e i cui modi si erano palesati degni di un
barocciaio, tanto da mostrare proprio in quella data sera la sua
assoluta incapacità a rappresentare degnamente Manrico o Lohengrin. Il
direttore d'orchestra, poi, era tutt'al più degno di trovar posto tra
le seconde viole; i tagli inflitti allo spartito dovevano giudicarsi
imperdonabili vandalismi; con tutta evidenza non vi erano state prove
o, tutt'al più, una mezza prova; nel duetto d'amore, tenore e soprano
non si erano mostrati all'altezza dovuta. Gli strumenti a corda, i
legni, gli ottoni riproducevano ognuno per conto proprio i motivi
wagneriani tanto da rendere irriconoscibile l'insieme; i capi coristi
avevano ormai raggiunto la settima o ottava decade, non avevano quasi
voce e non imboccavano mai il centro della nota; ben inteso, si doveva
sopportarli data la loro abilità d'attacco, e così via, da una
impostura all'altra, come d'uso negli spettacoli lirici. Questo
sistema rende il teatro d'opera un inferno, sia per i compositori sia
per i critici. «Bisognerà far rilevare tutto ciò» mi dicevano i
colleghi faciloni. Ma si guardavano bene dal mettere in pratica il
suggerimento. Preferivano descrivere il fulgore dei diamanti con i
quali le signore dei grandi palchi di prima fila sfoderavano le
ricchezze dei mariti. I critici compiacenti erano d'altronde sempre
ben accolti anche a teatro completo, ciò che li obbligava a ramingare
qua e là alla ricerca d'un posto. Mi capitò di ricevere allettamenti
dall'impresario e dai cavalieri serventi della prima donna allora in
voga, con allusioni a biglietti per ogni concerto della medesima e a
qualche probabile invito in un delizioso castello nel Galles, purché
omettessi di menzionare che la diva, mal sicura ormai del suo "fa
diesis", preferiva raggiungere soltanto il "mi bemolle". Il castello
del Galles non mi ebbe suo ospite, nemmeno dopo aver chiesto
all'accompagnatore della signora in quale chiave essa cantasse: «Ah
non giunge».
L'andava proprio così. Si tolleravano i critici incorruttibili perché
i loro articoli sollevavano controversie interessando il pubblico
all'arte, terreno di sfruttamento degli impresari. Una critica
sfavorevole ma di gradita lettura costituisce migliore pubblicità che
non un noioso articolo laudativo. Senza dubbio, il timore della lingua
biforcuta del critico indipendente c'entra per qualcosa nell'autorità
e prestigio di cui lo si aureola. I critici compiacenti non sono alla
loro volta tutti corrotti; essi ignorano sovente di essere influenzati
da menti più abili delle loro; sovente, pure, non hanno abbastanza
cultura per sapere che le cose non vanno e, quando a poco a poco se la
sono fatta, la cultura, non sono abbastanza sicuri di sé o non trovano
in sé il coraggio necessario per affermare un'opinione contro
corrente.
Queste mie esperienze non hanno nulla a che fare con la corruzione
municipale. Le cito soltanto per dimostrare che un alto livello di
moralità privata non è sicura garanzia del minimo barlume di coscienza
morale nella vita pubblica. Tra i letterati, la posizione sociale e le
qualità dell'educazione ricevuta, combinate con l'ingegno che tutti si
spera possedere, vengono considerate superiori a quelle dei
commercianti e negozianti dominatori della moralità municipale.
Nessuno di noi si vergogna però di aspettar favori e accettarne da
gente sulla quale possiamo trovarci nell'obbligo di dover emettere
qualche giudizio. Benché non si prendano apertamente gratifiche in
danaro, accettiamo senza arrossire l'equivalente di abbondanti mance.
In una città italiana, il direttore dell'albergo di lusso a cui avevo
chiesto le camere mi pregò di insediarmi quale ospite d'onore, e per
tutto il tempo che mi fosse piaciuto, nel migliore appartamento del
suo albergo. In altri casi, di fronte a conti ridicolmente bassi, fui
obbligato a insistere affinché mi si facesse pagare come a chiunque
altro. E' questo un fatto d'uso comune, tanto che i più rispettabili
giornalisti lo sfruttano come cosa normale e pagano mediante articoli
laudativi. Usano altresì reclamare sconti nei negozi, libero ingresso
nei locali di divertimento, e sarebbero meravigliati se qualcuno
osasse tacciare di corruzione il loro agire. Non sono veri
delinquenti; mancano soltanto di educazione politica.
In un mondo onesto non ci si dovrebbe dipartire dall'assunto
fondamentale che la giustizia e la verità non possono essere vendute
né comperate, e che di tutti i mali commerci il negozio del falso è il
peggiore. Ogni cosa, invece, in una società commercializzata è da
vendere o comprare. Per aver venduto troppe polizze sulla vita eterna,
la Chiesa cattolica perdette metà dei suoi fedeli. I giudici, oggi,
non usano più ricevere doni dai contendenti, come si faceva una volta;
l'avvocato invece è ancora venale in quanto vende i suoi servigi al
più alto offerente, ciò che risulta un notevole svantaggio per i
miserelli dalle tasche vuote. Stando così le cose, non può certo
riuscire di sorpresa se le autorità municipali devono essere
continuamente in guardia per aiutare i loro amministrati a non pagar
più volte, con mance, gratifiche, tasse, i servizi che i funzionari
municipali hanno a piacimento il potere di rendere o meno. Essere
pagati due volte per uno stesso lavoro e un insperato guadagno a cui
pochi impiegati sanno resistere, tanto più che non è necessario
esigerlo per ottenerlo. In un tempio solenne come pochi, cioè nel
mausoleo di Napoleone a Parigi, il cui vestibolo è tappezzato di
cartelli nei quali si avverte essere severamente proibito dare mance,
ho sentito i guardiani chiedere gratifiche ad alta voce, ciò che mi
ricordò quell'altro impiegato municipale di uno spogliatoio, in un
giardino pubblico, all'epoca dei miei primi passi come predicatore di
socialismo nelle pubbliche amministrazioni. Senza dubbio alcuno, gli
impiegati al mausoleo avevano lottato per ottenere il loro posto ed
erano pagati meno dello stretto necessario.
32.
COERCIZIONI E SANZIONI
Notiamo subito che l'abbandono della tortura quale punizione, e della
pena di morte, non comportano ciò che si usa comunemente chiamare
l'abolizione della pena capitale: esse implicano cioè l'abolizione
della pena capitale in quanto punizione, ma non della sentenza di
morte. Il diritto di partecipare all'umana società non può essere
incondizionato; ecco perché è bene non sia concesso a persone inadatte
al vivere, ché, se fossero invece autorizzate a rimanere al mondo,
verrebbero sprecate altre vite utilissime, al solo scopo di tener
sotto controllo esseri nocivi. Mettiamo il caso di un uomo violento al
punto di giungere all'omicidio; non vedo quale legge morale possa
autorizzarci a trasformare il suo vicino in una guardia carceraria,
per la sola ubbia di voler tenere in vita l'assassino. Contempliamo,
ora, un'avvelenatrice, oppure una donna che abbia gettato del vetriolo
sul viso di qualcuno. E' contrario al più elementare buon senso far
sprecare la vita di una donna di buoni costumi mettendogliela al
fianco quale guardiana. Mi sembra doveroso compatire i mostri e
procurar loro una morte indolore, così come la si procura a un cane
arrabbiato. Allo stesso modo dovrebbero trattarsi tutti coloro che non
valgono il pane con cui si nutrono e sciupano la vita di chi, invece,
non soltanto vale quel suo pane, ma rimane ancora creditore verso la
comunità, come d'altra parte dovrebbe rimanerlo qualsiasi cittadino
desideroso di meritarsi il rispetto e la considerazione sociale
concessi, per ora, soltanto ai signori di una certa classe.
Ai pensatori che rovinano ogni discussione proponendo di «riformare il
criminale» dobbiamo dire, usando modi più o meno pazienti, di andare
al diavolo o di attenersi al problema. Il cattivo soggetto che può
essere riformato non è un criminale congenito e non solleva quindi
alcun problema; il nostro dovere è appunto di riformarlo. Egli farà
poi, se saremo veramente riusciti nel nostro intento, tutte le ammende
possibili per i suoi misfatti. Il problema sorge invece capitale nei
riguardi del criminale congenito che non possiede gli elementi
necessari a subire l'influenza di una riforma e che, d'altra parte,
non può essere tollerato in una società civile. Lasciamo pure che i
riformatori studino metodi adatti allo scopo: essi si accorgeranno
subito dell'assurdità che risiede nell'infliggere al colpevole pene
crudeli e spietate, e, dopo averlo bene ingiuriato ed esasperato, nel
rimetterlo in circolazione pronto a commettere nuovi delitti.
Vi è poi chi, come il "Peer Gynt" di Ibsen, teme ogni azione
irrevocabile e preferisce caricarsi di un'atrocità orribile quale è, a
mio parere, il chiudere in carcere per tutta la vita una creatura
umana, piuttosto che ucciderla, possibilmente senza farglielo sapere,
mediante anestetici.
Possiamo usare di questa fobia dell'azione responsabile, facendo
osservare agli abolizionisti che un giorno di prigione è irrevocabile
quanto la decapitazione; se ciò non bastasse a tacitarli, null'altro
potrà valere.
Eccoci giunti a una conclusione che coglierà di sorpresa i
protestanti. Quando aboliamo le punizioni e «non giudichiamo per non
essere giudicati» ammettendo che due neri non possono fare un bianco,
che Satana non riesce - e, potendolo, non lo vorrebbe comunque fare -
a scacciare Satana, e che, dopo tutto, Gesù non era l'individuo
eccentrico e poco pratico da molti finora giudicato, ci troviamo
nell'obbligo di far rivivere l'inquisizione. Avremmo gran bisogno di
una simile istituzione. Bisogna, si capisce, liberarla dalla follia
punitiva, ma per ottenere questo sarà bene preoccuparci senza indugi
di mettere l'eutanasia al servizio dei nostri Torquemada. La funzione
principale di una onesta inquisizione, quella cioè di sbarazzarsi dei
non atti a vivere, assumerà maggior urgenza quando i vecchi rimedi,
dimostratisi peggiori delle malattie, saranno aboliti. I membri di
questo tribunale supremo dovrebbero essere scelti in una lista di
giurati qualificati allo scopo, poiché la questione di vita o di
morte, sebbene abbastanza semplice nei casi di assassinio e di egoismo
spinto a tal punto da condurre ad assenza di scrupoli verso il bene
comune, può diventare difficile e sottile nei casi di tradimento e di
eresia. Ma se anche non esistesse una lista di simili giurati a cui
ricorrere, dobbiamo cercar di fare del nostro meglio valendoci di chi
abbiamo sottomano. I delitti non aspetteranno certo per svolgersi che
il tribunale ideale sia impiantato; meglio perciò accontentarci di una
qualsiasi giuria la quale varrà sempre meglio di niente. Il veneziano
Consiglio dei Dieci, il Vehmgericht, la Star Chamber, il Politburò con
la sua Cekà, la Cabala nazista con la sua Gestapo, le Ribbon Lodges, i
Ku-Klux-Klan furono e sono organismi di inquisizione; ben più semplici
e giusto sarebbe il chiamarli a questo modo, invece che glorificarli
con nomi altisonanti, come si glorificò la vecchia Inquisizione, sotto
la specie addirittura di Santo Ufficio.
Per quanto ci sia dato prevedere, le cose si svolgeranno più o meno
come segue: la polizia dovrà fissare l'eccezionalità di un caso e
presentare l'imputato ai giurati di un tribunale. Il giudice, invece
di dare esecuzione alla sentenza promulgata, riporterà il caso e il
verdetto all'inappellabile giudizio dell'Inquisizione, affinché questa
esamini se l'accusato possa rimanere in vita senza mettere in pericolo
la sicurezza della comunità. Se, a esempio, il colpevole si è sposato
diverse volte e le sue mogli sono finite tutte annegate per caso nel
bagno domestico, o bruciate nella stufa, lo si troverà un bel mattino
morto nel letto in cui si era adagiato la sera prima senza alcun
sospetto e godendo di perfetta salute.
Per quanto indolore possa essere la morte somministrata
dall'Inquisizione, ogni cittadino dovrebbe meditare sul fatto che essa
vigila in attesa di colpire i delinquenti pericolosi, incorreggibili.
Il colpevole, poi, sapendo il suo caso preso in esame
dall'Inquisizione, non sarebbe mai sicuro la sera di svegliarsi vivo
l'indomani. L'incertezza in proposito non riguarderebbe soltanto il
colpevole, ma un po' tutti, poiché il problema della maggiore o minore
attitudine a vivere potrebbe coinvolgere ognuno, prescindendo dal
fatto che un delitto sia o non sia stato commesso. Questo "memento
homo" dovrebbe produrre un senso di responsabilità sociale, che non
soltanto è oggi inesistente, ma ancora discreditato dalla chiassosa
insistenza con cui reclamiamo la nostra libertà, al confronto della
piccola voce con cui ci riferiamo convenzionalmente ai nostri doveri.
Parecchi anni addietro suggerii che dovremmo essere obbligati a
comparire ogni cinque anni di fronte a un consiglio (praticamente una
Inquisizione), al fine di giustificare la nostra esistenza, correndo
il rischio, se l'Inquisizione non fosse del tutto soddisfatta di noi,
di incappare nella pena di morte. Poco tempo fa, invece, scrissi una
commedia intitolata "The Simpleton of the Unexpected Isles", ove
terminavo con la rappresentazione del Giorno del Giudizio che
immaginavo aver luogo in una bella mattina priva di qualsiasi
manifestazione di terrore apocalittico, in cui veniva chiesto di
rispondere a un'unica domanda, e cioè: se in coscienza l'interrogato
si sentiva di asserire che faceva del suo meglio per mantenere a galla
la barca sociale. Chi si dimostrava un peso morto scompariva
misteriosamente. Debbo però confessare che nessun impresario a Londra
ha giudicato il mio soggetto abbastanza interessante da attrarre un
pubblico a pagamento.
A ogni modo non riesco a concepire una civiltà duratura priva di
questo potere di inquisizione e di un costante e generale senso di
responsabilità rivolto a sostenerlo. Null'altro può distruggere la
profonda convinzione radicata in noi, che il lavoro sia una
maledizione, il servire un atto degradante, la raffinatezza
l'inseparabile attributo dell'opulenza oziosa e improduttiva.
Tutti i casi, però, non pongono in questione il diritto di vita o meno
dell'accusato. La Dichiarazione americana d'indipendenza rivendica,
per i cittadini tutti, il diritto alla vita, alla libertà e al
conseguimento della felicità. Ma la forca e la sedia elettrica hanno
tenuto poco conto di questo diritto di vivere mentre il conseguimento
della felicità è il sistema più semplice per andare incontro alla
delusione e al suicidio, dato che la felicità è un sottoprodotto di
attività benefica e di circostanze favorevoli. Che cos'è allora la
libertà, e quanta libertà bisogna considerare? Fra la vita e la morte
non vi sono gradi intermedi, ma fra la legge e la libertà ne esistono
invece molti. Rousseau, il cui "Contratto Sociale" fu il precursore
della Dichiarazione americana, disse che gli uomini nascono tutti
liberi, proferendo a questo modo la più grossa bugia che persona sana
di mente abbia mai detta. Tutti gli uomini nascono in stato
d'impotenza, ciò che li sottopone al buon volere dei genitori e dei
tutori, e crescono per arrivare a vivere del proprio lavoro, il quale
può essere evitato solo a prezzo di rendere schiavi i propri simili.
Ogni Governo deve dire alla maggioranza dei suoi amministrati: «Lavora
o muori di fame; questa è la legge della natura». E poiché al giorno
d'oggi pochi cittadini possono trovar lavoro se non in qualche
elaborata e costosa organizzazione industriale, la cui messa in
efficienza è ben superiore alla capacità dei più, è bene che i Governi
facciano essi stessi da elargitori di lavoro. Ed ecco che il diritto
alla libertà viene distrutto, mentre giungiamo alla constatazione che,
fuori dal socialismo, libertà significa schiavitù o fame; e che col
socialismo addio libertà di vivere oziosamente sul lavoro altrui, ciò
che costituisce la principale attrattiva del capitalismo.
E' chiaro che il "Contratto Sociale" e la Dichiarazione americana sono
troppo poco considerati per essere di qualche utilità
all'Inquisizione, la quale dovrà decidere sul problema di quanta
libertà possa essere affidata a un cittadino, ammesso ch'egli sia
abbastanza utile da essere lasciato in vita. L'Inquisizione dovrà
rivedere la posizione di molteplici persone, oggi in prigione; ne
troverà certo parecchie inabili a fare un uso normale della libertà e
tuttavia capaci di lavorare per sostentarsi, purché poste sotto
speciale controllo. Queste persone sono invece lasciate alla mercé
delle crudeltà e privazioni inflitte dal nostro codice penale senza
vero riguardo alla qualità del peccatore, risultando esse pene a puro
vantaggio dei datori di lavoro: capitalisti i quali insistono
sull'utilità di porre in miserando stato i fuori legge allo scopo di
condurre i proletari ad accettare stipendi di fame e una abbietta
servitù, pur di non condividere la sorte dei malcapitati compagni. In
Russia ho visitato uno stabilimento di correzione diretto con sistemi
umanitari. Sorgeva in un fiorente centro industriale dove i carcerati,
allo spirar della pena, finivano sovente per rimanere, simili in ciò a
molti soldati i quali, benché sotto le armi godano della minima
libertà possibile, rinnovano la ferma, considerando grande sventura la
fine del servizio militare. Anche nelle prigioni britanniche i
peggiori cittadini sono spesso i migliori ospiti. Questi prigionieri
esemplari non dovrebbero essere rilasciati, ma sarebbe doveroso
trattarli con intelligente senso di umanità tanto da impedir loro di
desiderare la liberazione. Meglio ancora sarebbe se giungessero a
temerla. Al punto in cui tutti siamo, i "liberi" poveri di oggi
finirebbero per rompere i vetri delle prigioni pur di entrarvi; ma
quando la gente onesta se ne potrà stare comodamente in pace a casa
propria, questo pericolo verrà scongiurato.
Nulla può limitare l'estensione del pubblico potere sulla vita
privata, all'infuori dell'estensione del potere individuale su quello
collettivo. Se a ogni individuo fosse dato di annullare con un gesto
della mano le forze che il Governo può usargli contro, l'Uomo giudice,
trasformato dalla fantasia di Shakespeare in una scimmia irata
rivestita di temporanea autorità, non dovrebbe più causare terrore; le
sue vittime infatti, benché prive della minima autorità, diverrebbero
altrettante scimmie irate pronte a imitare un meschino sottufficiale
qualsiasi «to use his heaven for thunder, nothing but thunder» [1].
Nelle varie utopie lasciateci in dono dai nostri profeti politici,
vediamo come essi non siano stati capaci di concretare un piano di
società umana perfetta, senza conferire allo Stato, o a qualche
individuo, il potere di vita o di morte.
Il letterato Bulwer Lytton, uomo di lunga esperienza politica, ci ha
lasciato una sua Utopia intitolata "The Coming Race" [2], nella quale
ogni individuo è dotato di un innato potere chiamato "Vril", con cui
può metter fuori combattimento vuoi un drago, vuoi un dittatore o un
esercito. Di conseguenza, in quella terra purtroppo favolosa, non
esistono né draghi né dittatori, e l'orrore dell'assassinio è tale da
risultare impossibile il commetterne. H. G. Wells, invece, ha scritto
un racconto in cui la guerra è abolita grazie alla invenzione di una
bomba capace di disintegrare l'atomo in modo così decisivo, da
produrre senza indugio la decomposizione dell'universo intiero.
Qualsiasi ambizioso tenti dare quell'arma in dotazione alle sue truppe
provoca una spontanea Lega delle Nazioni, la quale con assoluta
umanità decreta la fine del malcapitato. Shakespeare, dovendo spiegare
in qualche modo la sopravvivenza del filosofo Prospero in un'isola
abitata da un solo abitante, il selvaggio Calibano, fornito del potere
di uccidere qualsiasi filosofo ponesse mai piede nel suo territorio,
dovette ridurre la personalità di Prospero a quella di un mago
volgare, procurandogli per madre la sfortunata strega-mostro Sicorace,
e facendogli da questa lasciare in dono il potere di procurare doglie
dolorosissime e fortissime febbri ai suoi nemici. Swift fornì i
governanti della sua immaginaria Laputa di una isola volante, che
potevano scagliare quale gigantesco mattarello sopra una eventuale
massa di rivoltosi.
Queste favole non illuminano la storia di luce alcuna, perché né Vril,
né magia, né isole volanti sono mai esistite, e nemmeno bombe atomiche
di siffatta potenza. L'interesse pratico di simili fantasie sta nel
notare che neppure i poeti maggiori, e i romanzieri più fantasiosi,
sono riusciti a concepire una società nella quale non sia ritenuto
necessario tenere in scacco l'istinto che conduce gli uomini a
uccidersi scambievolmente. Quando, in una serie di commedie riunite
sotto il nome di "Back to Methuselah" [3], diedi il mio contributo
all'utopia conferendo alla mente sulla forza fisica un potere
altrettanto irresistibile di quello conferito a Propero su Calibano,
dovetti pur ricorrere a un simbolo; ma, non accontentandomi di pura
fantasia perché con le utopie non si giungerà mai ad alcun risultato
pratico, m'indussi a scegliere quale stimolo capace di tenere a bada
gli uomini una forza usata comunemente, atta perciò a poter anche
subire mutamenti rivoluzionari nella sua applicazione. Questa forza si
chiama soggezione. Essa sola permette al maestro di mantenere la
disciplina fra la massa degli scolari che altrimenti, e con ogni
facilità, lo farebbero a pezzi, allo stesso modo con cui nel 1672 la
plebaglia olandese trattò de Witt. L'uomo di Stato deve saper
sfruttare il sentimento di soggezione perché esso ha da conferire
autorità non soltanto a persone superiori che già di per se stesse la
ispirano, ma anche a qualsiasi zoticone a cui abbigliamenti, seguiti,
livree e uniformi risultano essere un corredo necessario affinché
possa imporsi ai comuni mortali, diventando una specie di idolo
animato.
La reazione a questo stato di soggezione fittizia ha prodotto a tutta
prima i "Roundhead" [4], i quaccheri inglesi, e in un secondo tempo i
diplomatici americani che usano presentarsi a corte, fra altezze reali
e aristocratici rivestiti di sontuose uniformi, mentre essi non
indossano che un abito borghese e si chiamano semplicemente "Mister".
Persino questi iconoclasti sono impotenti di fronte a coloro che per
loro natura ispirano riverenza. Sono irriverente e sarcastico quanto
sia dato esserlo a un onesto pensatore: eppure ricordo che a venti
anni, in una data occasione in cui conobbi un rabbino, questi
m'incusse un tale senso di soggezione da farmi rimanere muto. Non so
trovare una causa al mio sentire: non ci eravamo mai incontrati prima,
e quel giorno scambiammo appena qualche idea, in pochi minuti di
conversazione, su ordinarie questioni d'affari. Emanava da lui un
ignoto potere magnetico, mesmerico o ipnotico che fosse, tanto che al
suo cospetto mi ridussi in uno stato di soggezione da me totalmente
ignorato fino allora, e mai più provato di poi. Di fronte al rabbino,
senza ragione alcuna, mi ero disanimato. Da quel giorno lo spirito di
osservazione e le storie lette su tribù primitive in cui la forza
vitale si disgrega all'apparire dell'invasore civile mi hanno convinto
che ogni persona vivente possiede un campo magnetico di maggiore o
minor intensità, che permette a chi è più carico di energia di
dominare chi lo è meno, o chi, a causa di timidezza eccessiva, rimane
più suscettibile alla sua influenza. Ho assegnato a questa mia
opinione un valore scientifico nella quarta parte di "Back to
Methuselah"; ma so già che i biologi non vorranno credermi fin tanto
che uno di loro non riesca a far sì che in una prova di laboratorio un
cane non provi soggezione per un porcellino d'India. Può darsi che un
giorno o l'altro un intelligente bio-fisico riesca a misurare la
suddetta energia come oggi si misura l'elettricità. Nel frattempo non
si può negarne l'esistenza, per cui ogni governante dotato di senso
pratico farebbe bene a riconoscerla e anche a sfruttarla.
Nella mia Utopia ricorsi pertanto alla Soggezione naturale e
artificiale quale mezzo grazie a cui la mia "razza a venire" teneva in
soggezione gli zoticoni. E poiché l'età è fonte naturale di rispetto,
tanto da assicurare la necessaria sottomissione dei figli ai genitori
o ai tutori, liberai la mia razza dalla morte naturale, seguendo in
ciò Weismann che suggerì essere la morte il rimedio propinato dalla
natura contro la sovrapopolazione, causa unica della caducità umana.
Non fosse per essa causa, l'uomo potrebbe essere immortale come le
amebe.
Ecco come, senza dover ricorrere ad alcuna magia, riuscii a rendere
accetta una favola in cui, grazie allo sviluppo evoluzionista delle
sole forze naturali, la saggezza si era fatta temibile sino al punto
da diventare mortale. La soggezione, difatti, ingenera scoramento e lo
scoramento, nel suo ultimo grado, significa morte.
E' chiaro che l'uomo di Stato debba tener conto sia della soggezione
naturale sia di quella artificiale, e ricorrere all'artificiale quando
la naturale non è sufficiente a mantener la disciplina popolare.
Corrispondente alla Soggezione, quale forza sociale, si riscontra il
Disprezzo, che può esso pure venir maneggiato a piacimento. Gli uomini
sono per lo più classificati dai vestiti che indossano. I nudisti
dimenticano talvolta che se il terrazziere e il re si mostrassero
attorno nudi, non fosse che per convenienza sociale il primo dovrebbe
per lo meno riprendere il suo berretto in mano e il secondo la sua
corona; questo anche se si giungesse al punto di considerare i
terrazzieri più rispettabili dei re. Il pagliaccio da circo, la cui
professione è di far la parte dell'indolente, vigliacco, ladruncolo,
ingordo, ubriacone e dispettoso, e di sollevare lo scherno in ogni sua
attività, sia questa l'inciampare, o il cadere, o il prendere botte e
calci, indossa a questo effetto un abito ridicolo e si dipinge
assurdamente il volto. Se si mettesse le uose di un decano o
l'ermellino di un giudice, sebbene con l'andar del tempo questi
ornamenti appaiano ormai ben poco meno bizzarri del multicolore
vestito con cui si acconcia il buffone, egli non riuscirebbe a far
pagliacciate, anche se le autorità glielo permettessero. Un attore che
si accinge alla parte di generale deve omettere qualche piccolo
particolare dell'usuale divisa, alfine di stabilire una frontiera, non
importa se minima, fra la realtà e il simulacro. Non è questo soltanto
un costume d'arte, ma l'applicazione al teatro della legge generale
che nega ai cittadini di usare distintivi di grado o di sesso a cui
non abbiano ufficialmente o naturalmente diritto.
Qualsiasi Governo può promuovere a volontà Soggezione e Disprezzo e
può anche abusare sia dell'una sia dell'altra cosa. Il sistema feudale
si era creato una aristocrazia usando il sistema della ereditarietà,
ciò che produsse un numero rilevante di baroni, i quali, incapaci di
incutere per loro propria natura un minimo di soggezione, furono
differenziati dai comuni mortali mediante vesti, ricchezze e rendite.
All'epoca in cui la peste ridusse di tanto il numero dei popolani da
far aumentare la paga di un umile lavoratore sino al punto di
permettere alla sua donna il lusso di comperarsi ornamenti d'argento,
l'emanazione della legge suntuaria proibì al popolino di portare
gioielli; gli insorti della Rivoluzione francese furono chiamati "sans
culottes" perché le brache, a quell'epoca, le portavano soltanto gli
aristocratici. Quando la Rivoluzione americana proclamò per tutti il
diritto alle armi, quella categoria di americani che Dickens rese
celebre con il signor Hannibal Chollop ne abusò a tal punto che i
Governi americani furono alla fine costretti a proibire a tutti il
porto della pistola, così come il Governo italiano, per la stessa
ragione, proibì molto tempo fa il porto del pugnale. Non mi è dato
oggi possedere un fucile senza aver prima ottenuto un regolare
permesso, e in tutta Europa oggi si è uccisi se trovati in possesso di
armi. Non c'è fine alle Azioni e Reazioni messe in moto all'epoca in
cui si ricorse alla soggezione artificiale per colmare la deficienza
in natura di questa qualità ritenuta necessaria.
E' certamente assurdo credere che la natura abbia commesso una
deficienza proprio in questo campo. La natura è incorreggibilmente
prodiga e produce governanti e organizzatori in misura più che
sufficiente a riempire tutte le liste delle necessarie gerarchie,
fornendo altresì un sovrappiù bastevole a facilitare ai governati il
controllo democratico degli eletti. Di questa generosa abbondanza deve
essere partecipe la popolazione intiera, dalla cui totalità risulta
poi la piccola percentuale di capi scelti per doti naturali. Inoltre,
per rendere più proficua la selezione, è necessario che cultura ed
educazione siano alla portata di tutti. Se, causa l'indigenza
proletaria, il 90 per cento della popolazione è escluso da questa
cultura, viene matematicamente escluso il 90 per cento dei possibili
governanti o organizzatori, ottenendo il risultato di dover ricorrere
al vecchio sistema che riveste d'orpello "the tenth transmitter of a
foolish face" [5] tanto per conferirgli un aspetto abbastanza
autorevole e permettergli di prender parte alla cosa pubblica dove non
saprà far altro se non quello che sempre è stato fatto.
Muoiono imperi a causa di queste finzioni; lo ricordino gli Stati
democratici, che andranno alla rovina se non vorranno rivolgere i loro
sforzi ad aprire a tutti le porte della cultura e dell'educazione; ciò
che in pratica significa uguaglianza, di guadagno per tutti. La
sanzione finale di questa uguaglianza, ora che non si crede ciecamente
a un potere divino di remissione o di condanna eterni conferita ai
sacerdoti, è il potere di vita e di morte posseduto dai Governi
secolari che mai, e per nessuna ragione, lo delegano ai duellanti. I
monarchi si abituano presto a firmare condanne a morte, specialmente
nei paesi molto popolosi. La vita umana non è certamente più sacra in
Irlanda che in Inghilterra; purtuttavia, quando ero ragazzo, in
Irlanda una esecuzione capitale avveniva forse ogni sei mesi, e per
qualche tempo costituiva il fatto saliente del giorno, rappresentato a
caratteri vistosissimi sui giornali. In Inghilterra, invece, dove si
ha una popolazione dieci volte superiore a quella dell'Irlanda, la
regina Vittoria firmava settimanalmente condanne a morte, ciò che mi
fa credere che ella non desse al fatto maggior importanza di quanta ne
ponesse per la firma di un assegno. Gilbert Chesterton, un giorno in
cui assolveva ai suoi doveri di giurato, fece osservare che
allorquando si debba ricorrere a qualche misura radicale, bisognerebbe
dar voce in capitolo a persone non di mestiere, la cui sensibilità
cioè non sia incallita del tutto ancora dall'abitudine quotidiana
all'imposizione di crudeltà.
I poteri di vita e di morte necessari alla disciplina degli Stati
civili trovano la loro più ampia applicazione nell'istituto chiamato
Guerra, mediante il quale un'intiera nazione, o un blocco di nazioni
si costituisce inquisitore internazionale, e, se stabilisce che
qualche altra nazione (o blocco di nazioni) è indegna di vivere,
procede a sterminarla. Tale decisione è naturalmente reciproca, poiché
la nazione giudicata non accetterà il verdetto, cosicché non le
rimarrà altra soluzione all'infuori di sterminare chi ha deciso di
distruggerla. Ora, i poteri di vita e di morte cominciano ad aver la
loro prima applicazione in patria; poiché gli eserciti, per poco
avessero un po' di buon senso, fraternizzerebbero gli uni con gli
altri o si darebbero alla fuga invece di accingersi a una carneficina
in cui chiunque può lasciar la pelle, se non sapessero che all'alba
chi non ha ucciso, devastato, incendiato, chi non si è comportato come
un pazzo omicida, verrà fucilato dai suoi compagni.
Tutto questo sterminio, per quanto logicamente perfetto, non produce
l'effetto desiderato. Portarlo alle estreme conseguenze diverrebbe
troppo costoso, e d'altra parte né i soldati né i cittadini lo
sopporterebbero; accadrebbe così quello che è avvenuto in Germania nel
1918. D'altronde, per sterminare una nazione è inutile perder tempo a
uccidere gli uomini che le donne possono subito rimpiazzare. Tanto
vale uccidere le donne. A onta dell'evidenza di questo ragionamento,
nessuno sterminatore ha ancora osato proporlo come obiettivo, di
guerra. Adolf Hitler, la cui fobia anti-semita superò la fobia anti-
cananita di Giosuè o il furore reciproco fra i crociati e i saraceni,
si arrestò davanti alla decisione di uccidere le donne e lasciare in
pace gli uomini.
I casi estremi servono soltanto a fissare gli estremi limiti entro cui
dobbiamo stabilire la nostra scelta. Sebbene non si possano sterminare
le nazioni nemiche, né permettere loro di invaderci e ridurci in
schiavitù, noi possiamo, anzi dobbiamo sterminare i singoli individui
e uccidere un numero bastevole di nemici da far ragionevolmente
sperare di poterli sconfiggere poi tutti, e, giuste o no, imporre le
nostre condizioni ai sopravvissuti. Non esiste, purtroppo, una legge
abbastanza perfetta in base alla quale i governanti possano decidere,
mettendo da un canto il loro giudizio personale, quando possano o
debbano uccidere.
C'è forse un altro limite al potere esercitato dallo Stato sugli
individui: le sentenze devono essere eseguite così come sono state
decretate e approvate; ma può darsi riesca impossibile trovare
l'esecutore materiale della sentenza. Finora, tuttavia, questo
pericolo non mi pare essersi avverato, ché non ricordo casi di tortura
non applicata per carenza di boia. Il rogo per donne vive,
l'esecuzione capitale dei ribelli inventata per intimidire patrioti
insorti della tempra di un William Wallace, l'uso romano della
crocifissione applicato a Gesù, il sistema trovato dai francesi per
punire i parricidi usato contro Damiens e Ravaillac, e gli orrori
messi in opra per torturare l'Anabattista Giovanni di Leyden (ho visto
appesa alla torre della cattedrale di Munster la gabbia dove i suoi
carnefici rinchiusero quel poco che dopo la tortura rimaneva di lui,
per finirlo con la fame), sembrano esaurire l'inventiva della crudeltà
umana; non si ricorda tuttavia esempio, in cui la ricerca del
volontario disposto a fare da boia per un compenso nemmeno troppo
lauto abbia causato difficoltà. Alla folla piace contemplare i
condannati a morte sulla via del supplizio. Essa si rovescia per
strada e paga somme considerevoli pur di ottenere un posto a una
finestra dalla quale osservare la macabra funzione. Dopo tutto,
un'esecuzione capitale è uno spettacolo popolare. La gente si assiepa
fuori delle mura della prigione in cui un assassino deve essere
impiccato, sebbene sappia che nulla potrà vedere dell'esecuzione. La
generazione di parigini contemporanea di san Francesco di Sales si
divertiva a contemplare i condannati le cui ossa venivano stritolate
dal supplizio della ruota, supplizio del quale l'usanza continuò nei
secoli. Sui miei vent'anni conobbi persone che ricordavano di aver
assistito a qualche cosa del genere. Di proposito mi astengo dal
parlare dei circhi equestri, sebbene oggi ancora godrei di ciò che
nella mia giovinezza chiamavo equitazione, perché non posso sopportare
di veder eseguire da animali esercizi in antitesi alla loro natura,
mentre sarei pronto a uccidere i loro allenatori purché fossi sicuro
di ottenere un'assoluzione per omicidio giustificato.
I Governi possono trar vantaggio da simili manifestazioni di ferocia
primitiva, usandone per imporsi sui loro amministrati. Ecco perché i
governanti dovrebbero essere scelti con molta cura; in ogni Stato
moderno vi è infatti un numero sufficiente di furfanti pronti a
procurare a un Governo di malfattori le forze armate alle quali i
cittadini disorganizzati non possono resistere. Le migliori coscienze
sono ben più umane dei codici penali e militari; la breccia fra gli
uni e gli altri non può essere colmata se non si affida il comando
alle nostre migliori coscienze. Finirà, altrimenti, per capitarci
quello che è avvenuto in Cina; squisita civiltà nelle classi colte, e
i criminali tagliati a pezzi per divertire la folla.
33.
LEGGE E TIRANNIA
Non intendo dire con ciò che tutte queste forme della nostra credulità
siano dannose. Noi non proponiamo di bruciare viva la "Typhoid Mary":
coloro che ne reclamavano la segregazione o la soppressione arrivavano
al massimo all'idea di una morte indolore.
Né bisogna dedurre che tutte le scoperte scientifiche siano
mistificazioni, basandosi sul fatto che oggi si crede nella scienza
altrettanto ciecamente di quanto tempo fa si credesse nel sole
fermatosi un bel giorno ad aspettare Giosuè. Quello su cui insisto è
che l'uomo di Stato non deve accettare qualsiasi sanzione
professionale di una proposta scientifica, quale prova della sua
efficacia. Può darsi che sia efficace, ma può anche darsi che non lo
sia. La chirurgia antisettica di Lister, che gli fruttò una statua a
Londra e un altare nel tempio di Esculapio, si dimostrò in pratica un
errore grossolano; ciò non di meno è bene non dimenticare l'esistenza
dei fagociti, esseri lunghi meno di un bimilionesimo di pollice che,
grazie al nuovo microscopio elettronico, possiamo ormai contemplare.
Bisogna comunque tener presente che gli errori non sono sempre del
tutto disastrosi. La chirurgia antisettica di Lister si mostrò dannosa
per il paziente e per il chirurgo ma, incidentalmente però. riuscì a
debellare la cancrena ospedaliera, imponendo una pulizia scrupolosa là
dove prima aveva regnato la pestilenza. Però, dopo aver raggiunto
questo risultato, si giunse a tali estremi che, allorquando la guerra
rinnovò l'urgenza d'interventi tempestivi e di fortuna, i feriti
sovente morivano nell'attesa che le infermiere listeriane avessero
finito di bollire l'acqua e di sterilizzare tutti i ferri. Dei
listeriani, con loro gran sorpresa, si finì per doversi sbarazzare.
Quando l'approvazione di una nuova legge richiama l'attenzione su
questioni fin allora trascurate, si provoca un mutamento che richiede
l'uso di un'accurata interpretazione. Io stesso, quale membro di un
consiglio d'igiene, ho avuto la mia parte di responsabilità
nell'imporre ai proprietari di case attrezzature igieniche che, si
scoprì poi, erano molto più dannose dei vecchi gabinetti. A ogni modo,
l'aver rivolta l'attenzione del pubblico verso un problema a lungo
trascurato per falso pudore, migliorò di tanto le statistiche di vita,
da farci credere che le nostre decantate vaschette igieniche fossero
un ritrovato miracoloso.
Scoprimmo poi di aver errato e ci rimettemmo a perseguire coloro che
non si decidevano ad abbandonare gli utensili sanitari da noi imposti
poco prima, pena una multa.
Per l'appunto in questi giorni mi capitò di udire un ministro portare
a difesa delle iniezioni anti-difteriche praticate ai bambini una
statistica che egli giudicava del tutto convincente, e cioè che dei
bimbi vaccinati uno solo era morto, mentre 418 casi letali si erano
riscontrati fra i non vaccinati. L'uomo della strada si convince
subito nel leggere questo genere di statistiche. Esse invece non
eliminano neppure il sospetto che l'inoculazione e la vaccinazione
possano essere più mortali delle malattie che dovrebbero prevenire. I
bambini vaccinati appartengono alla categoria dei figli di genitori
coscienziosi e colti i quali si prendono molto a cuore la salute della
loro prole e si preoccupano di far ispezionare una volta all'anno gli
impianti sanitari delle loro comode abitazioni. Quelli non vaccinati
sono invece i figli di genitori sbandati, o ignoranti, oppure poveri,
i quali ultimi non possono permettersi il lusso di obbedire alle
prescrizioni mediche. La mortalità infantile, in simili ambienti
sovente sovrapopolati, è sempre altissima per cause assai diverse da
quelle trattabili con vaccini o simili. Le statistiche che lumeggiano
la resistenza all'infezione fra i bimbi ben nutriti e ben alloggiati
da una parte, e dall'altra bimbi denutriti nati e cresciuti in
squallide case o appartenenti comunque a un agglomerato composto del
90 per cento di proletari, sono sempre di gran lunga a favore dei
primi. I fautori della inoculazione affermano che la differenza sta a
dimostrare il valore del loro sistema; dato questo, non vedo il perché
i gioiellieri e gli eleganti empori di West End non debbano sostenere
che il merito della minor mortalità deriva tutto dal padre, in quanto
esso possiede un orologio d'oro o un cappello a cilindro. Gli statisti
seri si guardano da simili affrettate deduzioni sottoponendo ogni
novità a un controllo sperimentale. Se dopo aver praticato a tutti i
ragazzi di Eton una puntura anti-morbo, e aver lasciato a quelli di
Harrow le sole forze naturali per combattere esso morbo, si
riscontrassero differenze notevoli di contagio a favore dei primi,
allora sì che si riuscirebbe a provare l'efficacia del farmaco, mentre
invece un paragone tra l'una di queste scuole e un'altra di un
distretto molto più povero non proverebbe altro se non che la miseria
e la sporcizia sono dannose alla salute.
Oltre a ciò, le statistiche possono essere falsificate. L'esperienza
da me fatta quale consigliere di amministrazione nella mia parrocchia
comprende l'ultima seria epidemia londinese di vaiolo. La gente si
affrettava a farsi rivaccinare e, poiché davamo mezza corona per capo
vaccinato, i medici si affrettavano a rivaccinare. Dopo poco ci capitò
di riscontrare che tra i pazienti, da noi mandati all'ospedale
contumaciale perché affetti da vaiolo, se ne trovavano alcuni già
rivaccinati. Detto e fatto, li spediamo dal contumaciale a un ospedale
di medicina ordinario, battezzando questa volta il male: eczema
pustolare o vaioloide. Di conseguenza, per parte nostra la
rivaccinazione ne uscì probante quanto mai, sebbene, a mio parere,
essa abbia provocato gravi malattie e temporanei malesseri anche fra
noi del consiglio parrocchiale. In quanto a me non mi feci
rivaccinare. Nemmeno il nostro ufficiale medico si sottopose alla
puntura, sebbene nelle sue conferenze al pubblico si mostrasse ardente
fautore della teoria di Jenner. Entrambi uscimmo indenni
dall'epidemia, ma nessuno si degnò di far figurare i nostri casi nelle
statistiche ufficiali.
Sulla scienza della diagnosi mi sono già pronunciato: dovrebbe essere
l'esatta classificazione delle cause di malattia e di morte, mentre
invece ci si accontenta di pura nomenclatura. Far apparire e
scomparire malattie è un gioco; questione di nomi. Ci è facile ridurre
1000 casi di tifo a soli 500, purché la metà di questi 1000 li
classifichiamo come enteriti.
L'ingannevole scienza sorta dal trucco che consiste nel far credere
che una semplice nomenclatura sia un'importante scoperta è così
delusiva, che chiunque veda attraverso le apparenze è tentato di
promuovere agitazioni allo scopo di indurre la legge a dichiarare
illegale l'uso di ogni parola nuova finché il suo significato non
venga chiarito da un atto parlamentare. Siccome il rimedio sarebbe
forse peggiore della stessa malattia, è una vera fortuna che i moderni
testi scientifici siano così pieni di parole nuove da diventare per lo
più illeggibili. Quando il signor A. annunzia di aver ottenuto in
laboratorio un dato risultato, e il signor B. risponde che i risultati
da lui conseguiti non sono gli stessi, da qualche parte deve pur
esservi un errore; si riesce a parare questo inconveniente definendo
importanti scoperte sia i risultati ottenuti da A. sia quelli ottenuti
da B., battezzandoli con nomi differenti e scegliendo l'appellativo
tra nomi greci possibilmente polisillabi. Ecco come i libri di testo,
mettendo da un canto la logica, acclamano quali inventori certi
messeri che non altro han scoperto all'infuori dei loro errori.
I governanti che si lasciano ingannare da simili raggiri dovrebbero
essere cancellati dalle liste elettorali.
Quando si tratta di salute pubblica o di diplomazia, l'uomo di Stato
non deve mai dimenticare che, come disse Ferdinand Lassalle, «la
menzogna è una forza europea». Nelle questioni di medicina, essa è
addirittura una forza mondiale. La pubblicità fa abbondante uso di
bugie, e questo le è permesso perché il commercio è ricco e potente,
così come lo era permesso ai principi, secondo l'insegnamento del
Machiavelli. La vaccinazione produsse un fiorente commercio di
vaccini. Più tardi la parola vaccino fu applicata a profilattici che
nulla avevano a che fare con il vaiolo e ora abbiamo una intiera
industria dedicata ai vaccini, pseudo-vaccini, sieri terapeutici,
estratti ghiandolari detti ormoni, antigeni, antitossine, in aggiunta
alle vecchie pillole, purganti, tonici, cinti elettrici e simili, i
quali tutti si vantano di prevenire o curare qualsiasi male conosciuto
o immaginato; alcuni di essi promettono persino di ringiovanire i loro
compratori e di prolungare la vita di una cinquantina d'anni.
Frammenti di greco o di latino, con l'aggiunta di suffissi in «osi», a
ina», «ax», «on», sostituiscono i vecchi nomi o ne creano di nuovi,
riuscendo a impressionare il pubblico, così come la lunga parola
Mesopotamia pare impressionare in senso religioso la gente semplice.
Noi tutti leggiamo gli avvisi di questi prodotti, comperiamo i
prodotti stessi, ci curiamo con la nostra "vis medicatrix naturae" e,
attribuendo la guarigione alla medicina, mandiamo ai fabbricanti
numerosi atti di testimonianza i quali vengono debitamente pubblicati
e talvolta debitamente pagati. Una signora di mia conoscenza ricevette
800 sterline in cambio di una lettera nella quale attribuiva la
bellezza della carnagione - e Dio sa che se ne scorgeva da lontano il
trucco a un rinomato unguento per il viso. Anche a me è stata offerta
una somma considerevole affinché mettessi le mie facoltà al servizio
di un corso educativo per corrispondenza. Non vi è dubbio che le
guarigioni sono talvolta genuine, le testimonianze disinteressate, e
che coloro che decantano i pregi di certi medicamenti sono abbastanza
onesti da averli almeno provati; ciò non toglie, però, che l'impudenza
venale di queste menzogne sia enorme.
Ora, se una menzogna è popolare, come lo sono i racconti di fate o di
miracoli, è impossibile fermarla una volta entrata in circolazione.
Per quanta autorevolezza si impieghi nello smentirla, gli ignoranti
continuano a ripeterla e i giornalisti a copiarsela l'uno con l'altro,
fintantoché cessi il bisogno di credervi. Allora, e soltanto allora,
l'inganno muore di morte naturale. Ma la morte è lenta e può anche
durare un secolo o più; di questa lentezza fanno prova le molteplici
falsità contro le quali già si lottava nella mia giovinezza, e che
oggi, alla fine della mia lunga vita, serbano tuttora il loro potere
di illusione. I governanti debbono stare in guardia contro di esse.
Possono utilizzarle a uso di governo, come faceva Cesare Borgia
(meglio non parlare dei nostri statisti contemporanei); ma se prestano
fede anch'essi all'inganno, sono perduti. Si dice che lord Melbourne,
il Virgilio della regina Vittoria quando essa era appena salita al
trono, mettesse il Gabinetto da lui presieduto con le spalle al muro
dicendo: «Poco m'importa quale maledetta bugia si abbia da dire, ma
nessuno di voi uscirà di qua se prima non ci siamo messi d'accordo di
dire tutti la medesima bugia». Prescindendo dalla verità o meno di
questa storiella, sta di fatto che anche l'uomo di Stato più onesto
deve governare dicendo al popolo ciò che è bene che esso creda, sia
questo secondo verità o meno. Se la settimana dopo il detto del
governante si mostrerà di già falso, nessuno vi farà caso in
Inghilterra, perché il popolo inglese non ricorderà mai un discorso
politico oltre l'intervallo che decorre fra il giornale del mattino e
quello della sera. Dissi una volta in pubblico (stavo facendo un
brindisi ad Albert Einstein), che la religione ha sempre ragione e la
scienza sempre torto. Lord Melbourne si sarebbe espresso in altro
modo: avrebbe detto, cioè, che i preti dicono sempre la stessa bugia e
mai l'abbandonano, mentre gli scienziati cambiano storiella ogni tanti
anni, e trascorrono gran parte del loro tempo a contraddirsi
vicendevolmente, cercando di mettere in evidenza gli errori l'un
dell'altro. In fisica astrale, per esempio, il libro della Genesi è
rimasto immutabile come roccia per quelle che sono ormai decine di
migliaia d'anni, mentre durante il semplice corso della mia vita
l'universo astronomico, che dapprincipio mi si presentava accompagnato
dal desolante vaticinio del sole in via di raffreddamento, e della
terra ricoperta di ghiacci in cui ogni forma di vita si sarebbe
inevitabilmente estinta, oggi viene più piacevolmente raffigurato:
pare che l'azione ritardatrice delle maree condurrà alla fine
all'immobilità tutti i corpi celesti, i quali si fracasseranno poi
l'un contro l'altro formando un'unica massa di inimmaginabile mole,
dotata in seguito all'urto di una temperatura tanto elevata da rendere
difficile il farsi un'idea su quale forma di vita vi potrebbe
attecchire. La legge newtoniana del movimento rettilineo deviato dalla
gravitazione è stata soppiantata dall'ipotesi della traiettoria curva,
la quale c'induce a chiederci se la più lontana stella, rivelataci dai
telescopi, non sia altro che il nostro sole rifratto tutto attorno
all'universo. Ci hanno regalato poi un universo in espansione le cui
stelle si allontanano da noi a una velocità terrificante, secondo
quanto ci viene indicato dallo spostamento del rosso sullo spettro; in
base alla stessa evidenza, ci è stato poscia dimostrato che alcune
stelle si avvicinano a noi con velocità pari a quella propria delle
stelle che da noi si allontanano, ciò che fino a nuovo ordine pare
condurci alla conclusione che un bel giorno Sirio ci urterà, simile,
salvo le dovute proporzioni, a una palla di cricket lanciata contro un
palo, riducendo l'universo a un eruttante vulcano. La conoscenza
semplicistica dell'atmosfera nella sua composizione di tre gas è stata
sconvolta dalla scoperta dell'argon con il suo seguito di nuovi gas.
Tyndall, che meravigliò il mondo annunciando com'egli riscontrasse
nella materia la promessa e la potenzialità di tutte le forme
esistenti, è dimenticato e sostituito dai fratelli De Broglie, che ci
convincono della non-esistenza della materia soppiantata ormai dal
moto.
Da un punto di vista intellettuale tutto ciò è molto divertente in
quanto dà alla scienza un certo fascino di novità, priva della quale
l'attenzione non riuscirebbe ad applicarsi a lungo senza incorrere in
una noia intollerabile; ma l'uomo di Stato non può governare senza una
fede stabile, vera o falsa che sia. Questa è la ragione per cui egli
deve limitarsi alle certezze virtuali e diffidare delle incerte
speculazioni. Alcune certezze esistono; si sa, ad esempio, che il sole
sorgerà e tramonterà pure domani, che il cittadino privo per dodici
ore di cibo e bevande diventerà pericolosamente vorace e
antifilosofico, e che, se col prolungarsi delle privazioni non si
indebolirà fino a morirne, finirà col ribellarsi e rubare. L'uomo di
Stato possiede con ciò elementi sufficientemente solidi per affrontare
con una certa sicurezza il problema agricolo. Tuttavia, senza l'aiuto
di qualche conoscenza di chimica agraria, anche le terre più fertili
s'inaridiscono, come stanno ora facendone la triste scoperta alcuni
amici miei i quali qualche anno fa avevano fattorie in America. In
Russia, con la collettivizzazione della terra e la meccanizzazione dei
metodi di coltivazione della medesima, si è raggiunto un meraviglioso
progresso; ma entrambi i sistemi finirebbero per mutare la Russia in
un deserto di Gobi, se non fossero coadiuvati dall'uso di
fertilizzanti chimici, ciò che riconduce l'uomo di Stato a fare i
conti con lo scienziato, il quale si farà un dovere di provargli che
la terra abbisogna di un concime a base di vitamine A o B o C, o X o Y
o Z. Ammetto che l'uomo di Stato troverebbe alcune difficoltà a
rispondere: «Questa è scienza; e il signor Shaw dice che la scienza
sbaglia sempre».
L'uomo di Stato si trova di continuo davanti allo stesso dilemma:
senza una stabilità governativa, che di per sua stessa natura
impedisce il naturale svolgersi di cambiamenti progressivi, egli non
riesce a governare; d'altro canto il signor Wells lo ammonisce
dicendogli che una comunità è condannata a finire, se non sa adattare
le istituzioni che la reggono ai mutamenti risultanti da invenzioni e
scoperte, comunicazioni veloci, meccanizzazione del lavoro,
distribuzione dell'elettricità, che permette alle officine di
soppiantare le fabbriche così come le fabbriche soppiantano le
industrie casalinghe, sfruttamento delle maree e uso del vapore
vulcanico, ciò che gli italiani stanno ora facendo.
Nella Nuova Zelanda per esempio esiste un soffione naturale la cui
forza sarebbe sufficiente a mettere il mondo sottosopra.
Tutto questo moltiplica la produzione di cose immangiabili, mentre le
rudimentali cognizioni agricole dei contadini mantengono la produzione
alimentare al vecchio livello; cosicché gli uomini chiedono bensì
pane, ma si offron loro tonnellate di acciaio e, come ho già detto, i
deserti del Sahara e di Gobi minacciano di distruggerci più
rapidamente di quanto fecero i ghiacciai. Il sapere sino a che punto
si possa governare secondo i dogmi conservatori, senza incorrere nel
pericolo di stagnare negando al Governo l'elasticità necessaria per
adattarsi ai mutamenti che possono avvenire in zone esterne al suo
controllo, non è dato ai Tom, Dick e Harriet qualsiasi. Soltanto i
migliori possono giungere a tanto discernimento, ed essi debbono
essere scelti a tale scopo, ed a tale scopo elencati nominativamente
in liste da consultare al momento del bisogno. Il miglioramento della
produzione, delle comunicazioni e simili, non è la sola forza che
sospinga gli uomini politici conservatori verso cambiamenti
rivoluzionari. Mentre il Sahara e il Gobi lambiscono le radici della
produzione, il cancro, il diabete e la malaria colpiscono quelle della
vita umana. Gli inebrianti e deliziosi veleni, dal gin alla cocaina,
possono demoralizzare un'intera civiltà e distruggere tribù e razze,
se il loro commercio non viene controllato. L'uomo di Stato deve
occuparsi di simili problemi ed è questa una necessità che rappresenta
un vantaggio per i mercanti di scienza, i quali impongono ai
legislatori le loro cure e i loro profilattici facendo mostra del
medesimo fanatismo con cui l'Inquisizione imponeva messe, assoluzioni,
battesimi, privilegi, sacramenti e preghiere. I laboratori scientifici
hanno le stesse camere di tortura dell'Inquisizione e pretendono di
possedere i medesimi privilegi, gli stessi poteri di legare e
sciogliere. Naturalmente, i preti e gli scienziati, da rivali che
sono, si trovano in lotta mortale per accaparrarsi in esclusiva la
formazione e il controllo delle nostre menti.
L'uomo di Stato ha le sue camere di tortura a Dartmoor e altrove.
Mentre scrivevo queste righe, due ladri stavano ricevendo 108 frustate
(nove a ogni colpo), in aggiunta alla pena di detenzione; e ora che le
sto correggendo, una recluta inferma è stata trattata con la maniera
forte in uso nell'esercito britannico, perché è sospetta di malattia
simulata, e ridotta così a mal partito da finire per morire. I
carnefici del soldato furono, è vero, condannati dalla corte marziale,
ma la sentenza è stata molto meno severa di quella che un tribunale
civile avrebbe emesso verso i borghesi, e cioè l'impiccagione. Siamo
usi a condannare dall'alto il terrorismo tedesco, eppure il
rilassamento europeo nell'applicazione delle dottrine umanitarie,
vanto del diciannovesimo secolo, ci ha talmente guastati che è
necessario ricordare al più presto come la crudeltà, sia essa
vendicativa o sadista, metta in rapida attuazione la legge di Gresham,
la quale afferma che la cattiva moneta scaccia la buona. E' legge
applicabile così alle questioni morali come a quelle monetarie.
34.
GIURIE E MINISTRI DI GRAZIA,
DIFENDETECI!
Nella costituzione britannica le due principali dispensatrici di
grazia sono la prerogativa sovrana del perdono, e la giuria. Il
sovrano ha molti altri doveri; la giuria esiste, invece, unicamente in
funzione di cuscinetto fra il cittadino e la legge. Sfortunatamente
questa funzione della giuria è generalmente male intesa, tanto che in
pratica esula spesso dallo scopo per cui fu creata. Almeno il 99 per
cento dei cittadini britannici iscritti alle liste dei giurati credono
che non appena la polizia abbia fissato lo stato di fatto, e il
giudice li abbia edotti in riguardo alla legge, essi debbano
automaticamente sapersi pronunciare sulla colpevolezza o meno
dell'imputato. Fosse realmente così, non vi sarebbe bisogno di giuria;
il caso potrebbe venir sistemato dalla polizia e dal giudice, senza
richieder la partecipazione di dodici promiscui contribuenti. Ma non è
così: la funzione della giuria è del tutto emancipata da quella della
polizia e del giudice, e ha inizio quando termina il compito di
ambedue.
Per meglio illustrare ciò, soffermiamoci a un caso popolare: un
processo per omicidio. Tom è nella gabbia, accusato dalla polizia di
avere assassinato Dick. In primo luogo la polizia deve convincere i
giurati che Dick è stato ucciso, e in un secondo tempo che è stato Tom
a ucciderlo, e che ha voluto ucciderlo. Se fallisce in questi intenti,
il processo non ha più luogo e giuria, giudice, polizia e imputato
possono fare i bagagli e andarsene. Se riesce, il giudice comincia lui
il suo compito e spiega alla giuria il significato della legge in
rapporto al caso specifico. Dopo di che la giuria è a conoscenza della
legge e dei fatti. Essa allora si ritira in disparte applicandosi
all'unico scopo per cui è stata convocata: decidere cioè se l'omicidio
intenzionale commesso da Tom in persona di Dick sia stato un atto
lodevole o malvagio, necessario o per lo meno scusabile. Si deve
impiccare Tom, o è bene chiedere al Parlamento di concedergli una
gratifica di 20000 sterline? E' egli colpevole o innocente?
A questo modo il verdetto deriva soltanto dal semplice studio dei
fatti. I dodici contribuenti, tutti correttamente informati, sia
dell'accaduto sia della legge, possono non risultare d'accordo nel
concedere a Tom una giustificazione per il suo operato. Se Dick ha
sedotto la moglie di Tom mentre Tom se ne stava combattendo per il suo
paese, essi lo assolveranno. Se Tom è un fanatico rivoluzionario e
Dick un uomo di Stato conosciuto, Tom può esser sicuro di esser
giudicato colpevole. Nel caso che la polizia non sia riuscita a
convincere la giuria della responsabilità di Tom nell'assassinio di
Dick, ma abbia presentato prove dalle quali Tom sia risultato uomo di
carattere pericoloso che meglio varrebbe tenere al sicuro o impiccare,
Tom potrà senz'altro esser riconosciuto colpevole; se però le prove di
colpevolezza sono troppo dubbie, il ministro degli Interni e il
ministro di Casa reale annulleranno probabilmente la sentenza capitale
sostituendola con quella di prigionia a vita. In ogni caso, se la
giuria invece di sottoporre il proprio cervello alle parole dei
giudici e degli avvocati è capace di un giudizio indipendente, il
verdetto sarà il frutto della somma di educazione, sentimenti,
principi morali e pregiudizi dei suoi componenti, e questo
prescindendo dai fatti e dalla legge. Sarà un atto di coscienza
condotto a termine di fronte alla possibilità di grazia.
L'emendamento necessario per dare credito ed efficacia al sistema
della giuria sarebbe quello di limitare la scelta dei giurati a
persone capaci d'intendere la missione a cui sono chiamate; ognuna di
esse dovrebbe capire la funzione della giuria e conoscere la storia
della lunga lotta da essa intrapresa per salvaguardare la propria
indipendenza di fronte alle pressioni che re e giudici volessero
esercitare. Gli emolumenti offerti ai giurati dovrebbero essere di tal
natura da far giudicare un privilegio l'esser scelti, mentre ora
questo privilegio è calcolato una disgrazia da evitarsi con ogni mezzo
possibile.
Arrossisco nel ricordare gli espedienti con cui mi riuscì di evitare
il servizio di giurato; la mia sola scusa sta nel fatto che,
giudicando del tutto errato il sistema di punizioni con il quale
usiamo trattare i nostri criminali, non sarei riuscito a mostrarmi un
buon giurato. Perché non dovrebbe essere sufficiente che il giudice
istruisca la giuria con cura sia sulle speciali funzioni che le
competono, sia sulla peculiarità della legge di cui deve occuparsi? La
ragione sta nell'ignoranza di cui le giurie miste danno prova e nella
loro debolezza di fronte all'eloquenza venale e sofistica degli
avvocati; cosicché i giudici si son convinti che qualsiasi caso sarà
sempre meglio risolto da un giudice piuttosto che dai giurati. In base
a questo assunto il giudice fa di tutto per mantenere la decisione
finale nelle sue mani e, a questo scopo, conferma la giuria
nell'errore in cui vegeta e cioè che il suo verdetto deve attenersi
alla legge e ai fatti. I nostri giudici andarono oltre in questa
direzione. Il Parlamento votò un giorno una legge conosciuta sotto il
nome di legge Fox. Essa stabiliva il diritto della giuria a emettere
un verdetto generale di colpevolezza o di innocenza, a favore o contro
il querelante e il convenuto. Voleva impedire l'abito invalso, per cui
i giurati si accontentavano di rispondere alle domande che il giudice
credeva bene di fare, lasciandogli l'intera responsabilità della
decisione ultima; intendeva pure che i giurati ascoltassero, sì, le
raccomandazioni del giudice, ma in piena libertà di accoglierle o
meno. Circa un secolo e mezzo è ormai trascorso da quando la legge è
stata promulgata, e oggi essa è praticamente così ben soppressa che,
mentre scrivo, persone del tutto innocenti, colpevoli soltanto di
alcune omissioni a norme tecniche della finanza di guerra, norme da
loro del tutto ignorate e di cui nemmeno la più scrupolosa moralità
poteva immaginar l'esistenza, han pagato fortissime multe, certe
com'erano che, con l'ammettere ciò che senz'altro giudicavano colpa,
avrebbero evitato alla corte una inutile perdita di tempo.
Quanto alla polizia, non è affar suo istruire la giuria ed esporre
all'accusato i diritti che gli competono. Il suo compito sta invece
nel convincer l'accusato di colpevolezza, usando a ciò di ogni mezzo
in suo potere, poiché è ufficialmente riconosciuto che il codice
penale serve a sventolare la bandiera della paura al fine di
dissuadere i cittadini da ogni violazione della legge; questo punto di
vista conduce alla conclusione che qualsiasi delitto, commesso o no,
deve essere punito. L'impiccagione di un innocente serve d'esempio e
incute altrettanto terrore quanto quella di un colpevole, purché il
pubblico sia convinto della colpevolezza del giustiziato. Per questo,
un commissario di polizia può esser convinto, e in piena coscienza,
che, dato un delitto, conviene giustiziare qualcuno, anche se quel
qualcuno è innocente. Il filosofo che dichiarò esser dovere di ogni
giuria mettere in stato d'accusa sia il giudice sia il colpevole
intendeva certo porre nella lista degli accusati anche la polizia. Non
appoggio questa stravaganza ma la cito, affinché serva a rammentare
che il potere concesso alla giuria di liberar l'accusato tanto dalla
polizia quanto dalla lettera della legge è la sola ragione per cui
essa giuria è stata istituita.
Al disopra della giuria troviamo il re al quale è data la facoltà di
grazia anche se la giuria ha emesso un verdetto di condanna. Nel 1876,
quando venni a Londra per la prima volta, solevo leggere la rubrica
dei delitti non per avere i brividi, ma perché porto interesse alle
questioni giuridiche. Ricordo sempre un caso in cui un uomo e una
donna erano accusati di aver ucciso la moglie dell'uomo. Lo stesso
verdetto li giudicò entrambi colpevoli e li condannò a morte. Il
ministro degli Interni ignorò verdetto e condanna, e confinò l'uomo
all'ergastolo a vita, mentre graziava la donna la quale in virtù del
momento di celebrità in cui si trovava, ottenne un buon impiego in un
bar.
A volte la pressione di talune opportunità politiche protegge il
violatore della legge senza l'aiuto di alcun sensazionale atto di
grazia. Non sarebbe per nulla illegale che un commissario di polizia
di Belfast mettesse in stato d'accusa un sacerdote cattolico colpevole
di procacciarsi denaro abusando della crudeltà altrui. Infatti, i
sacerdoti si fanno pagare per la celebrazione di messe a favore dei
defunti, valendosi della credenza che, a questo modo, le loro pene in
purgatorio verranno abbreviate. Non sarebbe dunque illegale, ma
condurrebbe a una guerra civile paragonabile alla guerra dei
trent'anni in Germania.
Sarebbe bene, però, abolire l'uso di lasciare nel codice leggi
antiquate, adducendo a scusa che a nessuno salterà mai in mente di
farle osservare. Abbiamo tuttora, contro le pratiche omosessuali e
l'apostasia, leggi che comportano pene tanto mostruose da impedire
allo stato attuale della nostra sensibilità qualsiasi verdetto
positivo da parte della giuria, e questo non per clemenza, ma perché
le punizioni prescritte sono abbominevolmente crudeli. All'epoca in
cui per il reato di alto tradimento si era puniti con la confisca dei
beni, pena che ricadeva sui discendenti dei colpevoli, la giuria
rispondeva sempre negativamente alla domanda che le veniva fatta se
l'accusato disponesse o no di qualche avere, benché sovente gli averi
risultassero consistere in interi ducati. Le leggi più barbare del
nostro codice, quali il rogo per le donne, o l'impiccagione dei
fanciulli rei di qualche furterello, sono a questo modo cadute in
disuso; ma l'arma è a doppio taglio, poiché non lascia alla giuria via
di mezzo fra condannare l'imputato a una orrenda pena, oppure
assolverlo anche in casi in cui, come diceva il duca di Wellington
riportandosi alla disciplina militare, «tutto è meglio dell'impunità».
La distinzione in uso fra assassino e massacratore, violazione di
domicilio e furto con scasso, è di un certo aiuto, ma la giuria si
trova sovente in condizioni di non potere in coscienza assolvere
l'accusato e di non sentirsi d'altra parte il coraggio necessario a
infliggergli la pena prevista dalla legge. I giurati risolvono il
problema inoltrando al sovrano una domanda di grazia, e aggiungono al
verdetto di colpa da loro emanato un appello alla clemenza.
Tutti questi espedienti provano quanto sia necessario procedere a
periodiche revisioni dello statuto. Provano altresì un bisogno più
fondamentale ancora, e cioè quello di eliminare dal nostro codice
penale la caterva di punizioni e crudeltà che vi si trova inclusa. Né
giuria né giudici né sovrano dovrebbero aver il diritto di considerare
se un colpevole ha da esser tormentato o no. Le nostre prigioni sono
inferni artificiali a cui non saprei trovare scusanti; le brutalità
fisiche usate nei campi di concentramento, o nelle camere di tortura,
diventano effimere inezie se paragonate alla routine della prigionia
descritta da Fenner Brockway dopo 28 mesi d'esperienza, e dei lavori
forzati come dal libro di Jim Prelan scritto al termine della pena,
cioè tredici anni dopo. Entrambi questi signori si sarebbero giudicati
ben felici di cavarsela con una bella fustigazione, il che, per quanto
venga giudicato selvaggio, avrebbe servito di divertimento al
pubblico.
Questa crudeltà non è né umana né inglese: è specificamente
capitalistica. In ogni complesso sociale ci incontriamo con persone
che, del tutto incapaci di vivere in una società civile, è bene
togliere di mezzo usando, s'intende, qualche mezzo indolore, e, se si
vuole, chiedendo loro perdono nel segreto dei nostri spiriti. Altre
persone riescono invece a mantenersi, e non fanno alcun male purché
poste sotto tutela di una inflessibile disciplina. E' bene far uso
della capacità di queste ultime e guidarle, tutelandole a mezzo delle
necessarie restrizioni alla loro libertà; al contempo vorrei procurar
loro la maggior felicità possibile. Questo sistema costringerebbe i
padroni ad aumentare le paghe di quel tanto necessario a far sì che i
lavoratori comuni raggiungano un livello di vita per lo meno
corrispondente a quello dei detenuti, godendo in soprappiù della
libertà vietata a questi ultimi. Se non fosse così, i più poveri fra
gli schiavi dei salari, e l'armata sempre pronta dei disoccupati, si
adoprerebbero a disubbidire alla legge al fine di barattare la loro
libertà di crepar di fame contro un soggiorno nei penitenziari. In
quanto alle merci da loro prodotte, esse riuscirebbero in breve tempo
a imporsi a ogni altra produzione sul mercato. Oltre a ciò i capitali
necessari a sovvenzionare le industrie delle case di pena non
potrebbero essere cavati che dalle tasche dei capitalisti, i quali
giungerebbero all'assurdo di finanziare se stessi e i loro
competitori. Ecco perché il regime capitalista rende necessario che le
condizioni di vita nelle prigioni siano peggiori delle condizioni dei
lavoratori, per quanto abbiette esse possano essere. All'epoca in cui
il capitalismo inglese raggiunse il culmine di sviluppo della
proprietà privata, Karl Marx disse, e con conoscenza di causa, che le
prigioni inglesi eran le più crudeli del mondo e che la caccia al
profitto intrapresa dal capitale aveva ormai assunto l'aspetto di una
lotta senza quartiere. Con tutto ciò, l'inglese non è certo il popolo
più crudele della terra. Se si riuscisse a fargli entrare nella testa
una chiara visuale della situazione, certo direbbe: «Tra un socialismo
riguardoso e un capitalismo spietato, scegliamo senz'altro il primo».
E' bene ricordare che né giurie, né costituzioni e prerogative di
grazia, sono a prova di bomba. Nei periodi di emergenza politica,
quali a esempio le rivoluzioni e le guerre, tutti gli espedienti per
render la legge più umana vengono aboliti. Ogni qualvolta il movimento
nazionalista si fa più inquieto, la parte d'Irlanda posta sotto
controllo inglese vede sospesa l'applicazione della legge dell'"habeas
corpus" (legge che sottopone l'arresto di un individuo a un giudizio
preventivo), tanto che oggi si può dire non esista più. Nell'Eire
invece (sotto gli irlandesi), un consiglio formato da cinque ufficiali
ha il diritto di far impiccare chiunque la pensi politicamente in modo
diverso dal loro. In India, il Governo inglese nemmeno s'incarica di
tenere in sospeso i processi nell'attesa del verdetto emesso dalla
giuria, tanto che si son riscontrati casi in cui persone prosciolte
dai giurati furon condannate tal quale fossero state giudicate
colpevoli. Il fatto che le elezioni non sembrino per nulla influenzate
da questi episodi d'illegittimità- nemmeno quando i partiti li
sbandierano con accompagnamento di grancassa tanto per servirsene
nella propaganda antigovernativa- dimostra l'inutilità per un corpo
elettorale ineducato e sistematicamente ingannato di esser governato
da una democrazia promiscua che nemmeno riesce a mitigare gli eccessi
più impudenti di super-potere da parte dello Stato o le più volgari
violazioni dei diritti popolari.
35.
OBIEZIONE DI COSCIENZA.
E SCIOPERO GENERALE
La peggior via d'uscita da simili difficoltà sta proprio nell'emanar
leggi seguite da un codicillo in cui si ammette l'eccezione alla
dovuta obbedienza, per coloro che in coscienza obiettano alla legge in
causa. Siccome le autorità non sono minimamente intenzionate a
esentare chiunque sia atto alle armi dall'obbligo di difendere in modo
diretto o indiretto la patria, esse interpretano a modo loro le parole
«in coscienza»; dato poi che a nessuno è concesso stabilire se
l'appellante all'esenzione è un uomo coscienzioso o no, i risultati
del suo ricorso sono imprevedibili. Un mio amico, tanto poco obiettore
di coscienza da avere seguito un corso volontario per l'addestramento
degli ufficiali, si appellò al tribunale, esponendo quale motivo della
sua obiezione, non la guerra in generale, ma quella "speciale" guerra
per cui era stato chiamato sotto le armi. Lo esentarono subito, mentre
dei convinti pacifisti cristiani appellatisi al Sermone della Montagna
furono arruolati di forza e messi in prigione. E' detto che nessun
criminale, una volta assolto, possa esser messo in giudizio sotto la
stessa accusa, e che la pena dei lavori forzati non deve oltrepassare
il termine di due anni. A onta di ciò, il disgraziato Conshy fu
ripetutamente accusato per il medesimo reato (rifiuto d'obbedienza), e
ogni volta punito con i due anni di prammatica, cosicché il suo tempo
di lavori forzati divenne pressoché perpetuo e la sua salute ne
ricevette il contraccolpo. In questo caso, l'assurda applicazione
della legge ideata a esentarlo risultò una pena a cui pochi criminali
vengono sottoposti.
L'odiosa discriminazione a cui si costringono i casi di coscienza è
però del tutto logica, poiché negare l'esistenza di un diritto e di un
dovere sociale, i quali portano a togliere di mezzo chi attenta al
pacifico sviluppo della civiltà - sia individualmente, e sono i
criminali, sia in massa, e sono gli eserciti ostili - risulta più
immediatamente pericoloso di ciò che non sarebbe un'obiezione rivolta
a un qualsiasi caso particolare in cui questo diritto e questo dovere,
benché universalmente ammessi, vadano a cozzare contro le particolari
convinzioni dell'obiettore di coscienza. Se, e non è del tutto
impossibile, le Potenze occidentali dovessero dichiarare guerra
all'U.R.S.S. - guerra del capitalismo di Stato contro il Governo
democratico - gli obiettori di coscienza si conterebbero a milioni e
la guerra non potrebbe aver luogo. Organizzare su una base sociale
astensioni avvalorate dall'intima coscienza dell'individuo mi pare
oggi il solo mezzo valido per evitare una guerra. Finora l'unico
preventivo raccomandato è lo sciopero generale, metodo fatalmente
votato all'insuccesso poiché non è che il ripetersi di un vecchio
sistema in cui l'oppresso, col semplice fatto di stendersi a terra e
morir d'inedia sui gradini di casa dell'oppressore, creda di aver
condotto questi alla ragionevolezza. Lazzaro, si sa, è predestinato a
morir di fame, ed Epulone non salterà mai un pasto; ma Lazzaro è uno
sciocco e la morte se la merita. Lo sciopero, per aver successo, deve
limitarsi a distogliere dal lavoro una sola categoria di lavoratori,
mentre le altre devono lavorare con lena, facendo anche straordinari,
se necessario, pur di mantener in vita gli scioperanti. Gli obiettori
di coscienza, invece, non s'inducono a morir di fame; essi asseriscono
il loro diritto semplicemente col rifiutare di battersi e, se sono
abbastanza numerosi, di guerre non ve ne saranno.
La prestazione obbligatoria allo Stato di alcuni servizi i quali, come
nel servizio militare, comportano alloggio, vitto, e cure mediche
statali, possono condurre a seri conflitti fra lo Stato e l'individuo.
Non facciamo che preoccuparci di essere d'un tratto dallo Stato
comandati a batterci, quand'anche la lotta non ci paresse giusta, e
dimentichiamo che, sottomettendoci, ci toccherà condividere la stanza
da letto con decine di altre persone, mangiare determinati cibi, non
importa se si confanno alla nostra natura o no, indossare determinati
abiti anche se non ci piacciono, prendere, in caso di malattia, dati
medicinali anche se nei medicinali non crediamo, e, quando viviamo in
buona salute, assoggettarci a varie specie di inoculazioni, benché si
possa essere convinti del danno che sovente arrecano. Pochi di noi si
agitano per simili questioni perché tale è l'abitudine di veder tutto
ciò deciso per noi, che più non vi facciamo caso, e seguiamo
passivamente quello che fa il nostro vicino. Siamo ormai d'idea che su
simili questioni non abbiano da esistere divergenze di opinioni.
Alcuni di noi, però, studiano questi problemi, ed è dal loro studio
che l'obiezione di coscienza si muove.
Esistono persone che, come faccio io, non bevono né birra né tè, e non
mangiano carne, selvaggina o pesce. Alcuni malati per guarire scelgono
medicinali omeopatici, altri, invece, cure allopatiche, e altri meglio
si fidano della sola natura. Gli anti-vaccinisti non sono oggi che una
tra le molteplici sette di "anti", e non soltanto mettono in pratica
il loro credo, ma ancora lo propagano e soffrono per esso con lo zelo
proprio dei martiri.
Fino a un certo punto lo Stato può modificare le disposizioni da esso
impartite, ed accontentare quelle sette. Si potrebbero preparare ranci
vegetariani e ranci a base di carne; nulla vieta di ammannire l'acqua
d'orzo assieme alla birra e al rum; si può perfino provvedere ai non
fumatori celle ben chiuse al fumo. Ma vi sono questioni per le quali
gli obiettori non trovano spirito di comprensione.
Nel diciassettesimo secolo John Bunyan rimase dodici anni in prigione
perché si ricusò di appartenere alla Chiesa d'Inghilterra. Oggi gli
obiettori come lui sono tanti che mai le prigioni riuscirebbero a
contenerli tutti, cosicché ognuno ha il diritto di appartenere
impunemente a una Chiesa, a un'altra, a nessuna. Il nuovo Conshy è
l'antico dissenziente, il quale, quando era una novità, era un
eretico. Con ciò, la moderna obbligatorietà al servizio militare è ben
peggior costrizione di quella che potesse essere l'obbligo domenicale
di andare in una chiesa piuttosto che in una cappella. All'epoca in
cui Bunyan viveva, non era certo cosa ben fatta assediare una città,
prenderla d'assalto e saccheggiarla; ma distruggere una città col
fuoco e con potenti esplosivi, riducendo incidentalmente i suoi
abitanti, senza alcuna discriminazione di sesso o di età, a frammenti
umani, come è avvenuto a Stalingrado, Kharkov, Amburgo, Colonia,
Napoli, Berlino, Coventry, Plymouth, alla vecchia Londra e un po'
ovunque, è una colpa così orrenda che, al paragone, le peggiori
malefatte perpetrate da Tilly a Magdeburgo e da Suvarov a Ismailia
appaiono atti di clemenza. Le abominazioni inglesi del 1943 si
lasciano indietro la Schrecklichkeit [6] tedesca del 1915, sebbene si
sia smesso di far uso dei gas perché gli alti esplosivi e le bombe
incendiarie sono più micidiali e distruttivi di essi. La sola scusante
che un intelletto umanitario possa trovare alla messa in opera di
simili orrori sta nel fatto che, sebbene se ne possa limitare il danno
ai soli nemici, entrambe le parti ne ricavano terrore: ciò che Londra
fece a Berlino ieri (ieri del giorno in cui scrivo), Berlino può farlo
a Londra domani. Poco tempo fa il peso delle bombe era calcolato in
libbre; ora lo si numera in tonnellate e il loro contenuto esplode più
violento, tanto che, dove una volta cadeva una casa, oggi precipita
una strada intiera. Le obiezioni di coscienza contro l'uso di simili
bombe crescono in rapporto al male che producono e vengono rafforzate
da un concetto realistico: all'epoca in cui Tilly e Suvarov
saccheggiavano una città, terminati i pochi giorni concessi alla
rapina e al massacro, rimaneva pur sempre la città quale compenso di
tante fatiche, mentre, allorché Stalingrado e Kharkov furono
riconquistate, i vincitori dovettero accontentarsi di avere in loro
possesso cumuli di macerie, cadaveri da seppellire, e prigionieri
nemici da nutrire. L'uso di esplosivi ad alta potenza non è un buon
affare; i muratori e i vetrai sarebbero tanto più proficuamente
impiegati a costruire nuove città che a rimettere in piedi le vecchie,
follemente distrutte.
Dato che le case possono essere sostituite in pochi mesi - poche
settimane se si fosse un po' più in gamba - mentre a rifare un essere
umano adulto ci vogliono vent'anni, le carneficine moderne falcidiano
in modo ben più preoccupante il numero dei lavoratori validi di quanto
non lo falcidiassero le vecchie guerre, all'epoca in cui si
massacravano principalmente i soldati, e si riteneva la guerra un
rimedio contro la sovrapopolazione, come oggi si ritengono le bombe un
mezzo spicciativo di bonifica per i quartieri più miserabili delle
città. Tilly, Suvarov, Wallenstein e Gustavo Adolfo, Marlborough, Saxe
e Wellington, conducevano i loro battaglioni al sacrificio sapendo
perfettamente che nei loro paesi l'istinto di riproduzione era sempre
pronto a rimpiazzare abbondantemente gli uomini uccisi. Oggigiorno,
invece, non si fanno discriminazioni tra militari e borghesi, bimbi e
adulti, padri e madri, e allora le madri sopravvissute hanno imparato
una tecnica che, controllando le nascite, permette loro di non fornire
ai generali nuova carne da cannone. Ho già fatto notare che le guerre
usavano scoppiare quando gli interessi degli investimenti sicuri
scendevano al 2,1/2 per cento e terminavano non appena questi
risalivano al 5 per cento, ma la guerra moderna non la si ferma tanto
semplicemente; può nel giro di una settimana sorpassare il limite
massimo del 5 per cento sfociando nell'inflazione e nella rovina.
Sebbene la guerra crei molteplici fortune e sia, finché dura,
un'ottima cura contro la disoccupazione, il commercio s'intesta a non
volerle far fronte senza una moratoria, e la moratoria, portando con
sé il controllo statale dei prezzi, la limitazione dei profitti, la
confisca dei redditi e dei sovraprofitti su una scala che i governanti
dell'epoca vittoriana non avevano nemmeno sognata, aggiunge al numero
dei soliti obiettori di coscienza la cifra degli obiettori mossi da
interessi commerciali e finanziari. Gli obiettori di coscienza non
hanno bisogno di essere una maggioranza; ad interrompere la guerra
basterebbe una minoranza bene organizzata, come bastò agli Stati Uniti
quando si volle mettere fine al proibizionismo.
Nondimeno, l'obiezione di coscienza nella sua veste d'istituzione
legale è assurda; una legge dev'essere osservata o revocata o, per lo
meno, posta nel dimenticatoio. Quale risultato della sempre più vasta
socializzazione dello Stato si finirà per imporre l'obbligatorietà al
servizio civile e, allo stesso modo in cui ogni uomo, milionario o
accattone che sia, è costretto oggi a prestar servizio militare, far
ginnastica e battersi, domani i fisicamente abili saranno costretti al
lavoro. Potrebbero gli individualisti della scuola di Manchester
sollevare il caso dell'obiezione di coscienza verso l'adozione del
servizio civile obbligatorio? Certo che lo potrebbero, e chiunque
altro con loro, se il socialismo avesse da produrre i disastri che la
guerra porta con sé e fosse perciò da tutti odiato. Poiché il
socialismo si è mostrato finora tanto produttivo quanto la guerra è
distruttiva, esso non corre alcun pericolo; ma se anche ne corresse,
il ritorno al capitalismo non sarebbe certo un buon rimedio, come un
ritorno al militarismo a oltranza non muterebbe in nulla le
manchevolezze dell'obiezione di coscienza al servizio militare in
guerra, ratificata dalla legge.
In breve, la legalizzazione dell'obiezione di coscienza è l'espediente
escogitato affinché leggi cattive diventino tollerabili, e questo per
aspettare il giorno in cui si riuscirà a farle revocare. E' in realtà
una specie di sabotaggio, e sempre significa che la legge non va.
Meglio si potrebbe raggiungere gli scopi che essa si prefigge, ponendo
le obiezioni mosse dal punto di vista cristiano sullo stesso piano di
quelle mosse da altri punti di vista.
Verrà forse il giorno in cui chi non prova un'obiezione di coscienza
contro la guerra sarà trattato come son trattati i Conshy, e anche
peggio, poiché non potrà addurre a sua difesa, come fanno i Conshy,
che, se tutti lo imitassero, il mondo sarebbe molto più prospero di
ciò che non sia al presente.
36.
SAGGI DI ANTROPOMETRIA
Non per questo abbiamo diritto di condannare tutti gli esami in massa.
Ogni sistema esaminativo può esser ridotto all'assurdo, se non
all'ignominia, a causa di errori volontari o non nell'applicazione del
metodo usato, o per la scelta di domande insulse che comportano viete
risposte sovente false. Il male sta dunque nel metodo, nelle domande e
nelle risposte, ma non nell'esame usato quale prova necessaria a
stabilire un giudizio. Il rimedio non è di abolire gli esami e
affidarsi alla sorte, proprio ora che la fortuna si è messa a far
parte delle scienze matematiche, benché si debba riconoscere che le
probabilità matematiche, dopo tutto, procurerebbero ai pubblici
servizi un maggior numero di bravi impiegatucci anziché di idioti.
D'altro canto, e per nostra fortuna, le probabilità matematiche danno
per altrettanto improbabile l'immissione in tali servizi di
superuomini (o debbo chiamarli cerebrotonici, seguendo le orme di
Aldous Huxley e del dottor Sheldon?); e Dio sa che per mantenere in
ordine un macchinario complicato quanto quello dello Stato moderno
democratico ne occorrerebbero, di cerebrotonici!
E', ahimè, estremamente pericoloso lasciar disoccupati i superuomini
politici: la disoccupazione dà loro agio di veder andare a carte
quarantotto parecchie cose che, se ne avessero il potere, essi
saprebbero rimettere a posto. Se sono uomini d'azione, presto o tardi
saranno spinti ad appellarsi agli scontenti chiedendo loro l'appoggio
necessario per tentare un colpo di Stato, rovesciare il Governo, e
salire al potere. Se invece, a mia sembianza, si trovano a essere
uomini di lettere, finiscono per impegnarsi in una propaganda di
sedizione e di rivolta ben poco raccomandabile a mantenere lo Stato in
buona salute. Voltaire, Diderot, Rousseau prepararono la strada a
Robespierre e a Napoleone. Senza Lassalle, Marx, Engels e Richard
Wagner, non sarebbero stati possibili degli Hitler e dei Mussolini; e
nemmeno dei Lenin, Stalin e Ataturk. In Inghilterra, Carlyle e Ruskin,
Wells e Shaw, Aldous Huxley e Joad, stanno spianando la via a Dio sa
chi: probabilmente a qualcuno che essi, i saggi, disapproverebbero
appieno. La democrazia deve trovar revisori più abili di quello che
non possano esserlo i suoi letterati malcontenti, o altrimenti
contenere alla meglio la loro agitazione rovinosa.
Oltre agli esami, possiamo ricorrere a particolari prove, atte esse
pure al vaglio dell'intelligenza, prove che tanto interesse hanno
suscitato nei moderni studiosi di psicologia. Sono specie di saggi di
capacità in luogo dei puri saggi di memoria, che fanno rilasciare a
tanti insegnanti e scolari mentalmente difettosi un buon certificato
abilitativo. In quanto a me, non mi è ancora occorso d'incappare in
una prova d'intelligenza che fossi capace di superare, o in un
foglietto di tesi alle quali avrei saputo rispondere, eccetto in pochi
casi in cui le mie risposte non sarebbero state quelle attese, ciò che
mi avrebbe pur valso la bocciatura. Se questo effetto su di me sia a
favore o a danno delle prove esaminative quali vengono concretate
oggi, non spetta a me dirlo.
Possediamo, poi, svariate altre prove: prove endocrine, prove del
sangue, prove batteriologiche, ed elettroniche. Gli studiosi dei
laboratori credono di essere le sole autorità scientifiche, e vanno
già immaginando il giorno in cui gli scienziati sapranno diagnosticare
un'abilità politica potenziale e, fors'anche, praticare su infanti
speciali inoculazioni che riusciranno a far di loro, all'età dovuta,
primi ministri in gamba. Finora però questi sapientoni si sono
dimostrati inesperti e politicamente irresponsabili; troppo spesso,
pure, le loro scoperte non son state altro che buchi nell'acqua,
cosicché essi non sono riusciti ad acquistarsi la fiducia necessaria
al buon esito dei loro esperimenti. A ogni modo esistono in questa
direzione alcune possibilità che è bene non sottovalutare. Lord
Samuel, per esempio, suggerì un'operazione chirurgica: nella sua
Utopia gli isolani vengono sottoposti a suture speciali che permettono
al cranio di svilupparsi in modo di lasciar maggiore spazio ai
cervelli, ciò che fa di ognuno di loro un cerebrotonico. Verrà forse
il giorno in cui la misura dei cappelli di tutti i componenti del
Governo sarà per lo meno di dieci pollici. E dire che il mio cappello
misura al massimo sette pollici, virgola otto! I biologi matematici,
impegnati a escogitar prove di attitudini professionali, sono
parecchio più interessanti e molto più intelligenti, dei
vivisezionisti. Finora però non sono andati oltre a qualche tentativo
di classificare quali soldati, meccanici, o contabili potenziali, dei
ragazzi tra gli undici anni e mezzo e i tredici e mezzo. I ministri di
Stato e i superuomini cerebrotonici non sono ancora all'altezza della
situazione, sebbene il loro linguaggio si libri in sfere per lo più
inaccessibili all'intendimento dei lettori di questo mio libro (e non
parliamo del mio!). Chiunque desideri approfondire il mistero delle
proprie regressioni o dei propri coefficienti di correlazione, saper
di più sulle proprie selezioni e misure multivariabili e univariabili,
farebbe bene ad abbonarsi al "British Journal of Psychology", che
prosegue l'opera principiata da Karl Pearson nella sua Biometrica. Le
ricerche di questi scienziati, ricerche incruenti indolori e del tutto
scevre da riflessi druidici o aztechi, non sono, a simiglianza del
lavoro fisiologico fatto in laboratorio, piene di attrattive per teste
di legno di poca fantasia. Gli statisti avveduti dovrebbero tenerle
d'occhio, perché grande utilità si potrebbe ricavare dai loro
progressi, se mai se ne otterranno.
Tanto negli ordini religiosi quanto nei partiti politici più giovani,
noviziato e disciplina operano da vaglio nella scelta dei capi, siano
essi spirituali o politici, e nelle opere di carità affinché queste
vengano svolte per puro amore del prossimo. Le suore di carità
indossano una veste antiquata ma attraente, simile a quella che in
Francia, nel sedicesimo secolo, qualsiasi donna da bene di umili
natali usava indossare. San Francesco di Sales aveva scelto
quest'abito appunto perché non avesse menomamente a dare nell'occhio
distinguendosi troppo da quello abituale a una comune popolana; oggi
esso è divenuto una delle più avvenenti uniformi del mondo. Le suore
di carità non fanno voto se non per un anno, ciò che ogni dodici mesi
permette loro, se ne hanno voglia, di tornare nel mondo quali libere
cittadine; nella congregazione non si trovano, perciò, cuori tiepidi.
In Russia, il partito comunista con le sue leggi, la sua disciplina e
le frequenti purghe, si libera pure dei cuori tiepidi. La Lega
sovietica dei Senza Dio è altrettanto ardente nell'adorazione di Marx
quanto i trappisti lo sono in quella di Cristo, ma infinitamente meno
egocentrica e più socievole. Eccoci però di nuovo in acque fonde. I
rapporti dello statista con la religione sono complicati e importanti
quanto i suoi rapporti con la scienza. Entrambe le discipline non si
accontentano di essere forze sociali dalle radici assai tenaci; esse
sono forze anche pericolose dalle quali s'irradia una luce di
speranza. Occupiamoci di esse.
Mi sono già abbastanza dilungato nell'esporre la facilità con cui pur
di avere una preparazione pappagallescamente adatta, si riesce ad
aggirare gli scogli delle licenze, e sul fatto che questo metodo
esclude i candidati migliori, quelli che non dedicano ai libri di
testo una fede supina, ma preferiscono pensare con il loro cervello.
Nelle nostre università, appena gli insegnanti ai corsi si trovano in
possesso di una qualche esperienza, essi non si sbagliano nel
giudicare quali studenti sia meglio spingere sulla via dello studio in
vista del puro sapere, e quali lasciar semplicemente arrancare verso
la laurea che, una volta ottenuta, diverrà nelle loro mani la prova
della classe sociale a cui appartengono, e sicuramente non il
certificato di una cultura più vasta di quella richiesta ai camerieri
che rifanno loro il letto nei collegi ove studiano. Qualsiasi
insegnante esperto nella professione di preparare giovani agli esami
necessari per essere ammessi alle carriere statali saprà senz'altro
scegliere tra i suoi allievi quali faranno meglio agli Affari Esteri e
quali all'Agenzia delle Imposte.
E' bensì vero che il giudizio sulla maggiore o minor probabilità per
un candidato di passare o no un esame è veramente importante solo
quando ha per scopo di riempire le file dei professori universitari e
dei funzionari statali corretti. Il giudizio tuttavia è un'attività
umana, e perciò fallibile; d'altra parte è il solo strumento a nostra
disposizione quando si siano raccolte le premesse necessarie a usarne.
E poi, se buttassimo a mare qualche sacco pieno delle nostre tesi
d'esame, ciò non servirebbe a nulla, visto che niente di meglio
abbiamo pronto. Bisognerebbe abolire l'uso del processo esaminativo
singolo, sostituendolo con una serie di prove spartite lungo un
periodo di tirocinio nel quale capaci insegnanti sottomettano i
candidati all'osservazione critica della loro esperienza, così come si
fa nell'esercito e nella marina mercantile o da guerra.
In quanto poi all'università, essa non mi pare un asilo per
scolaretti; sarebbe perciò indicato mandare per un dato periodo i suoi
aspiranti in giro per il vasto mondo a guadagnarsi di che vivere, così
come usano fare gli adulti, in modo di stabilire un ponte d'esperienza
tra gli studi scolastici e quelli universitari. I gradi accademici non
si debbono ottenere per mezzo di una abilità tecnica, come
un'abilitazione tecnica non la si ottiene con un grado accademico.
Sarebbe bene che nessuno, mai, fosse creato insegnante senza che prima
venga ben specificato in quale arte egli sia abilitato a insegnare. E'
dannoso mettere nello stesso calderone il direttore di un collegio,
persona piena di sapere ma capace a nulla, con l'uomo abile che non ha
sapere ma sa far di tutto. Per dirla con espressioni dotte, la specie
cogitiva dovrebbe essere distinta da quella conativa, non perdendo di
vista il fatto che, siccome questi due estremi non esistono nel senso
assoluto della parola, gli esseri umani non dovranno essere posti che
sui punti intermedi della curva sviluppata fra i due tipi.
Tanti sono i mezzi con cui dissodare questo nuovo terreno che vorrei
abbandonare il detto: «nel dubbio attienti a ciò che è già stato
provato», adottando invece il motto che dice: «non fare mai ciò che è
già stato fatto altre volte». Al presente ci tocca operare come meglio
si può, pur di principiare. Il compito è troppo arduo per le mie sole
forze, ma posso tentar di studiare qualche voce almeno del problema.
Deve un uomo la cui professione si risolve nel dar consigli al
pubblico essere un matematico? Sì e no. Non ripeterò mai abbastanza
che i tecnici, benché indispensabili come esperti e assessori, non
devono servir da giudici. Un Primo Ministro può benissimo non saper
fare il conto della sua lavandaia; egli deve però intendersi
abbastanza di matematica da capire che il renderne pubblico
l'insegnamento è un provvedimento più importante che una qualsivoglia
imposta sulle cipolline sottaceto. Non vorremmo certo essere governati
dalla specie di quegli uomini i quali decapitarono Lavoisier dando
come spiegazione che la repubblica non ha bisogno di chimici, o di
quegli altri che spogliarono Einstein, confinandolo all'esilio, perché
di lui capivano soltanto la sua qualità d'ebreo. Oggi, poi, a ogni più
vaga minaccia di guerra, le nostre autorità non pensano che a vuotare
il British Museum o il Royal Observatory riducendoli a uffici militari
o magazzeni, e a richiamare sotto le armi il personale addetto ai due
importantissimi istituti. Non è necessaria una speciale competenza
tecnica a salvaguardarci da simili pericoli; basta un'oncia di buon
senso, e un quarto d'ora di conversazione è sufficiente a giudicare se
un candidato possiede quest'oncia o no. Ben inteso la conversazione
non deve svolgersi in termini astratti, quei termini detti dal popolo
"belle parole", tanto più che nel campo dei termini astratti le vedute
dei nostri capi risultano tutte ineccepibili. Le belle parole sono
paragonabili alle lettere dell'alfabeto usate quali segni algebrici,
segni del tutto inutili se applicati a questioni pratiche o a
determinare quantità ben definite. Gli statisti fanno bene a trovarsi
d'accordo nell'asserire che una pinta equivale a venti once liquide;
se però ne desumessero che una pinta di latte è l'equivalenza di venti
once di gin, essi diventerebbero pericolosissimi ogni qualvolta si
trattasse dei problemi inerenti alla nutrizione dell'infanzia. Si può
essere abili quanto De Quincey e Ricardo nel capire la legge della
"rendita", e ignorare al contempo l'esistenza del problema
fondamentale che s'impone allorché si abbia a decidere quanto del
patrimonio nazionale in terra e in denaro debba essere usato per
l'agricoltura, e quanto, invece, investito nell'industria. La teoria
della rendita non getta luce alcuna su tale questione; eppure, se gli
statisti prendono una cantonata nell'applicarla, essi potran trovarsi
tra le mani una nazione di agricoltori doviziosa di campi, ma scarsa
di vanghe aratri e trattori atti a coltivarli, oppure una grande
abbondanza di utensili e macchinari e nulla da mangiare. L'uomo non fa
che muoversi fra questi due estremi. In Russia, la ricerca del punto
giusto su cui stabilirsi venne condotta tra esperimenti ed errori e fu
fonte di tali disagi, che il Governo sovietico sarebbe forse anche
naufragato se non fosse stato per la paura che i contadini provavano
all'idea di un possibile ritorno degli antichi proprietari. Il cibo si
deteriora se non viene subito consumato, mentre gli utensili durano
anche tutta una vita. Porto le mie chiavi appese a un anello che
comperai a Dublino sett'anni fa per il modico prezzo di quattro pence,
l'anello è sempre ancora atto all'uso, mentre di tutto il pane
infornato allora, o della carne macellata, nemmeno un pezzetto si
mantenne mangiabile una settimana.
Non certo meno importante della teoria sulla rendita è quella del
valore. Il pericolo qui non sta, come nel caso della rendita, nel non
aver teorie, ma nell'essere ossessionati da una teoria sbagliata, ciò
che potrebbe in special modo capitare a un devoto del socialismo
marxista. Marx dedusse la sua teoria sul valore - teoria alla quale
attribuiva grande importanza - dagli studi di economisti classici fra
cui Petty, Adam Smith e Ricardo che ritenevano di poter misurare il
valore di una merce per mezzo del lavoro necessario a produrla,
istituendo perciò il lavoro a misura del valore. Questa opinione venne
scossa da John Ruskin, il grande artista filosofo britannico,
allorquando egli indicò che il valore di scambio degli articoli
prodotti dal lavoro per essere usati in commercio non può servire da
indice al suo valore sociale, di cui sovente si trova a essere
l'opposto. Il colpo mortale alla teoria del "Lavoro-Valore" venne dato
dai matematici quando principiarono a curarsi delle scienze
economiche. Il buon senso ha sempre riconosciuto al valore di un
oggetto uno stretto rapporto con il desiderio che di questo oggetto si
prova. La teoria laburista, invece, ammetteva un valore di utilità ma
si adombrava di fronte alle sue continue variazioni, tantoché il
valore pareva incalcolabile e impossibile a misurarsi con il metro
della sua durata. I matematici si divertono al sentirsi dire che le
variabili non possono essere calcolate. Quel genere di calcoli sta per
l'appunto alla base del loro lavoro giornaliero. Essi proposero il
caso di un uomo morente di fame e di sete in un deserto. Per un primo
bicchier d'acqua e un primo grappolo di datteri quest'uomo darebbe
certo tutto quanto possiede, mentre al ventesimo bicchiere o al
ventesimo grappolo di datteri che gli venisse offerto non proporrebbe
più nemmeno un centesimo. Vero quanto questo esempio è il fatto che
ogni pagnotta sfornata dai panettieri di Londra va ad aumentare il
numero delle pagnotte già sul mercato e automaticamente vale un
pochino meno della pagnotta sfornata subito prima. I teorici laburisti
bandirono dai loro calcoli questa differenza giudicandola infinitesima
e incalcolabile. «Errore» dissero i matematici: «noi possiamo
calcolare gli infinitesimali come voi potete contare i fagioli; questa
è la nostra abilità per cui veniamo chiamati matematici puri.»
La teoria laburista è nata morta. Un Governo convinto che un
portachiave e una pagnotta debbano avere valore purché rappresentino
il medesimo numero di ore lavorative fa correre a un paese il rischio
di trovarsi un giorno inondato di portachiavi e all'asciutto di beni
mangerecci. Oggi giorno tocca ai Governi di fissare i prezzi, e i
prezzi non possono, s'intende, variare fra portachiave e portachiave,
pagnotta e pagnotta, come fa invece il loro valore. Impossibile
imporre su un mercato due prezzi differenti per lo stesso articolo,
perché mai una massaia si rassegnerà a pagar due ciò che può ottenere
per uno. I prezzi, perciò, non rispecchiano fedelmente il valore.
Alcuni beni di prima necessità come il sole, per esempio, non hanno
prezzo: la natura ce li dà gratis. I brillanti, invece, benché del
tutto inutili fino a quando non si sia saturi di ogni altro bene, sono
valutati migliaia di sterline ciascuno.
Nella pratica commerciale - e qui la teoria di Marx ha ragione quanto
quella di Ricardo - i prezzi sono in rapporto al costo di produzione
del lavoro. Questo costo varia moltissimo nel campo della stessa
produzione. A X... un pezzo di carbone costa la fatica di chinarsi a
terra, raccattarlo, portarlo alla stufa, mentre a Z... per trovarlo si
deve scavare un tunnel fino a un pozzo situato a parecchie miglia
sotto il livello del mare. Una misura di grano del tal campo costerà
una giornata di lavoro; e del tal altro, un paio d'ore. Nessuno però
coltiverà una terra arida o trasporterà in un pozzo remoto le mine
necessarie ad aprirlo, se prima la scarsità sia di grano sia di
carbone non avrà fatto rincarare il loro prezzo fino al punto di
rendere proficuo il lavoro in più necessario a produrli. Per la stessa
ragione, quando le miniere e la terra sono di proprietà privata, e i
proprietari si fanno concorrenza per accaparrarsi i clienti, sarà il
costo della produzione peggio rimunerata a fissare il prezzo delle
merci. Mentre invece un Governo a cui appartengano tutte le fattorie e
miniere, tanto le buone quanto le infruttifere, può fissare il prezzo
del carbone e del grano al medio costo di produzione dell'intiera
voce: ecco il "valore" quale lo intendeva Marx, valore assunto dai
socialisti - benché come teoria astratta l'abbiano rigettato - quale
fattore specifico e pratico del loro piano economico. Esso diminuisce
di molto il prezzo dei prodotti e permette così di dividere fra i
consumatori il maggior utile ricavato dalla terra o dalle miniere più
ricche, utile di cui oggi traggono unicamente profitto i fortunati
proprietari i quali, si capisce, sono ardenti fautori dell'uguaglianza
delle entrate purché non si tratti delle loro. Sotto il regime
capitalista le entrate degli agricoltori si equiparano con le maggiori
o minori rendite, e i lavoratori ricevono la stessa mercede, tanto se
la terra o le miniere in cui lavorano sono altamente produttive,
quanto se ripagano a mala pena il lavoro fatto. In quello stesso
regime noi consumatori paghiamo un unico prezzo per il nostro carbone
o per il nostro grano, o per qualsiasi altra merce vendibile, costi
essa un'ora di lavoro o una settimana, sborsando in tal modo un prezzo
troppo alto per i prodotti delle migliori terre o miniere, e uno
sempre troppo inadeguato per i prodotti delle terre e miniere
peggiori.
Qualsiasi aumento nel costo lavorativo della produzione finisce, dato
l'aumento delle paghe, per rendere infruttifero lo sfruttamento delle
miniere o delle terre di minor rendimento, ciò che equivale al loro
abbandono fuorché nel caso in cui tutti i minatori e gli agricoltori
si mettano a lavorare di più, sacrificando ore di riposo allo scopo di
mantenere le scorte al loro livello primitivo. Un aumento di
produttività, sia esso portato da una tecnica migliorata, da trasporti
più veloci, o che so io, farà sì che miniere e terre di ancor minor
rendimento saranno sfruttate, mentre né i prezzi diminuiranno, né le
paghe verranno aumentate, né alcun vantaggio risulterà se non ai
proprietari!
E' bene che i capi di Stati moderni retti da Governi miranti al
benessere della comunità, e non al solo scopo di proteggere gli averi
privati e la libertà dei proprietari capitalisti, studino questi
problemi e cerchino d'intenderli. Essi sono tanto più delicati, in
quanto i capitalisti ricorrono al comunismo per affidargli i vari
servizi o le industrie che non permettono un profitto, sebbene tutta
la loro vita dipenda da essi.
Vediamo quindi come sia necessario che gli statisti sappiano per lo
meno quanto Ruskin non essere i prezzi commerciali o i profitti un
indice direttamente proporzionale ai valori sociali ma, anzi, se posti
al servizio dell'interesse privato, risultare spesso inversamente
proporzionali ai medesimi. Essi dovrebbero sapere che il lavoro,
benché necessario alla loro attuazione, non può assolutamente crearli:
piuttosto, sarà il valore a creare il lavoro. Dovrebbero sapere che la
rendita, chiamata da Marx "plus-valore", lungi dal non partecipare
alla formazione del prezzo, come c'insegnano nelle università, ci
costa una parte a volte cospicua di quanto spendiamo, e non può esser
distribuita con giustizia se non fissando i prezzi al valore marxista,
cioè nazionalizzandola: misura a cui si accede unicamente se la terra
è di proprietà pubblica e non privata. Dovrebbero sapere che
l'interesse è il prezzo d'affitto del capitale, e che si deve
trattarlo alla stessa stregua. In breve, dovrebbero sapere moltissime
cose che nessuno sa se non dopo un accurato studio di economia
politica, studio giudicato un macigno dalla maggior parte degli
elettori. Sarebbe anche bene che sapessero che la vendita delle merci
al loro medio costo non soppianterà il nostro comunismo odierno,
comunismo di ponti, strade, illuminazione stradale, acqua potabile,
pompieri, polizia, refezioni scolastiche, ispezioni sanitarie,
servizio militare, eccetera, e nemmeno verrà applicato ai liquori e
agli stupefacenti.
Perché la democrazia risulti vera ed effettiva, lo Stato deve
garantire un produttivo e ben regolato impiego della mano d'opera e i
più alti salari che il paese possa permettersi; queste due premesse a
ogni buon buon Governo debbono essere riconosciute diritti
fondamentali di ogni cittadino e di ogni famiglia. Edificate su queste
basi, e ben inquadrate da leggi protettive, tanto l'impresa privata
quanto la mano d'opera assunta privatamente non possono apportare
alcun male, anzi dovrebbero rivelare nuovi orizzonti, cosicché è bene
incoraggiarle e dar loro i necessari sussidi. Ne segue che, sebbene
gli azionisti calcolino il valore commerciale delle azioni
dall'ammontare dei profitti e delle perdite da esse subiti, gli
statisti debbono misurarli dalle cifre degli uffici del registro. La
teoria dell'affitto economico o legge della rendita richiede molta
abilità nell'applicazione. Tra l'affitto ricavabile da due acri di
terra, l'uno posto nel bel mezzo della piana di Salisbury e l'altro in
Lombard Street, la differenza non è tanto grande quanto tra i profitti
di un Carnegie e quelli di un qualunque negoziante scozzese. E poiché
un appezzamento di terreno, venga esso destinato alla coltivazione del
grano o alla costruzione di una cattedrale o di un collegio, apporta
al proprietario minor lucro che se lo destinasse a impiantarvi un
totalizzatore, è più facile che un abile commerciante faccia denari
indulgendo ai vizi dell'umanità che non un inventore o un filantropo
ponendosi al servizio delle sue virtù e dei suoi bisogni. In
Inghilterra un chirurgo può guadagnarsi centinaia di sterline per
un'operazione grave, e tre sole ghinee per dire che l'intervento non è
necessario. Il medico perde il paziente che guarisce, il buon cliente
di un bar - colui, cioè, che beve più di quanto gli si confaccia - è
un cattivo cittadino, e un lattoniere previdente si adopera a non
render troppo durature le sue riparazioni. Risulta perciò disastroso,
per lo meno in vista dell'interesse pubblico, concedere a qualsiasi
individuo un guadagno pecuniario sulle malattie e sui guasti in
generale. Non dimentico, certo, che gli uomini hanno una coscienza e
non solo interessi egoistici. Le coscienze, però, dipendono dalle
opinioni e nulla è più evidente del fatto che la maggior parte
dell'umanità crede a ciò che le arreca profitto, a cui, perciò, vuole
credere. Sotto il regime della libertà di contratto e del "laisser-
faire", la nazione inglese venne rovinata e sciupata, condotta alla
fame, all'assassinio e alla prostituzione; ma poiché i fabbricanti e i
proprietari di miniere si arricchirono in un modo che allora sembrava
colossale, il "laisser-faire" divenne la religione politica della
borghesia inglese, classe, ciò non di meno, altamente coscienziosa.
L'opinione prodotta dal desiderio non è un ritrovato nuovo; il
pensiero è sempre frutto di desiderio, e non può, anzi, manifestarsi
se non suggerito da esso. Per fortuna i desideri umani includono il
desiderio evolutivo che spinge a fare il bene e ad assicurarci del
grado in cui una verità è vera. Gli uomini di Governo forniti di
scarso appetito per la verità sono pericolosi. Il "laisser-faire"
cobdeniano è un terribile esempio dell'opinione prodotta dal desiderio
dei profittatori. L'organizzazione dei sindacati operai, e le leggi a
governo dell'industria, hanno impedito che esso arrechi il danno
peggiore; esistono però ancora parecchie ditte che si rifiutano di
trattare con le camere del lavoro, non tollerano consigli di fabbrica
o di gestione, e mai impiegherebbero operai iscritti ai sindacati. Se
un venditore ambulante dimostrasse di avere uno spirito così
antiquato, certo gli si negherebbe la licenza di commercio.
Un uomo di Stato messo di fronte al ricavo dedotto da una data abilità
può tollerare il fatto o confiscarne l'uso. Se una prima donna dotata
di un'ugola estesa alle tre ottave riesce a riempire un teatro o un
salone da concerto con un pubblico che per udirla paghi una somma
variante tra una ghinea e uno scellino, essa guadagna un centinaio di
migliaia di sterline, mentre la sua cameriera non riesce a intascare
nemmeno un centinaio di migliaia di pence. Lo statista di buon senso
non si preoccupa di simili cose visto che chi dà alla cantante una
ghinea o uno scellino non s'impoverisce certo. Da parte sua la
cantante deve far scale, studiarsi le parti o le canzoni, e mantenersi
in efficienza, espletando un lavoro ben più arduo di quello a cui gran
parte degli uomini d'affari si sottopongono. Più che giusto se ella
conferisce pieno valore a denaro offertole con tanto entusiasmo! Si
compri pure anelli zibellini e vezzi di perle (purché ne trovi nei
negozi), non foss'altro che per tenersi su il morale, facilitando alla
propria fantasia il compito di ravvisarla regina del canto. Il
diritto, però, di creare una plutocrazia di prime donne o di
sconvolgere l'equilibrio dello Stato nessuno certo glielo deve
concedere, e nemmeno quello di vivere più comodamente dei suoi vicini,
anche se avesse a sua disposizione mezza dozzina di castelli. Bisogna
pure che si accontenti di un comune marito, a meno che non voglia
sposare un rivale nella persona di un tenore di grido, altrettanto
innocuo dal punto di vista sociale quanto lei. E' bene che qua e là vi
siano individui provvisti di denari da buttar via, e non solo in
castelli di pietra, ma pure in castelli in aria, importante ramo di
costruzione questo, e in cui i Governi non hanno da ficcare il naso.
Se le nostre cantanti minacciassero di combinar guai, si potrà sempre
parare il colpo con qualche sovraimposta, o per mezzo della tassa di
successione. Importa poco che la loro classe si componga di prime
donne o di pugili: il loro numero è tanto esiguo che gente siffatta
può solo recar danno a se stessa. Gracie Fields e John MacCormack,
Gene Tunney e Joe Louis, Charles Chaplin e Greta Garbo sono in grado
di ammonticchiare pile di dollari per ogni centesimo messo da parte
dal comune dei mortali e procurare gran soddisfazione ai loro tifosi,
senza che per questo qualche persona al mondo stia peggio di prima.
Perfino i pochi autori e commediografi che con la loro penna riescono
a guadagnarsi, oltre al puro e precario mantenimento, anche un po' di
companatico, possono essere lasciati in pace, non fosse che allo scopo
di tener in vita la letteratura, allettando qualcuno a farne una
professione.
Tutti questi lavoratori d'arte ricavano il loro guadagno dal sudore
della loro fronte e non da quello delle fronti altrui. Lo ricavano
divertendo, intrattenendo e coltivando gli svaghi degli industriali
loro vicini; tanto vale lasciarli liberi di trattare le loro mercedi
purché, mentre stanno costruendo o minando la loro reputazione
artistica, si assicurino loro gli ordinari diritti di impiego e svago.
Il loro valore sociale è cospicuo, ma così incalcolabile e disordinato
che il Governo può soltanto tenerli d'occhio lasciandoli liberi di
arrangiarsi a modo loro, a condizione, ben inteso, che essi si
mantengano ossequienti agli usuali ordinamenti di polizia, i quali, al
loro confronto, non han bisogno di essere applicati con soverchia
rigidezza. Il ricavo ottenuto dalle doti artistiche è, politicamente
parlando, trascurabile; ma gli statisti debbono capirne il perché, e
non vivere nella beata ignoranza della questione.
Essi debbono pur tener presente che, al disopra di una rendita media
livellatrice delle classi, qualche fortuna eccedente la norma comune
non risulta politicamente dannosa. Più che un sollazzo, essa è un
fardello, per colui che la detiene, né gli conferisce alcun potere
sugli altri individui. Oggi, il potere di A. con qualche migliaio di
sterline all'anno, su B. detentore di poche ghinee la settimana, può
risolversi in tirannia: diamo però a B. un paio di migliaia di
sterline all'anno ed egli potrà prendersi il lusso di fare uno
sberleffo ad A., anche se A. di sterline annue ne ha qualche centinaio
di migliaia. I milionari di buon senso usano scaricarsi del soverchio
denaro sulle fondazioni tipo Rockefeller o Carnegie, Pilgrim o
Nuffield, Peabody o Guinness e sui premi Nobel e simili; oppure
fabbricano cattedrali e trasformano in solidi mattoni e cemento
castelli in aria. I patrimoni dei cervelli un po' corti son tosto
dissipati e dilapidati, se non alla prima, certo alla seconda
generazione. Allorquando socialmente ci equivarremo, fruiremo tutti di
una comune uguaglianza in tutti i campi politici anche se qualcuno di
noi incorrerà nella mala fortuna di possedere cinquanta mila sterline
all'anno invece di cinquemila.
La ricchezza derivante dal commercio è lungi invece dall'essere
politicamente trascurabile. Sebbene appena il cinque per cento del
nostro popolo sappia e voglia occuparsi di affari, resta il fatto che
il cinque per cento di quaranta milioni è bastevole a formare una
classe di un paio di milioni di persone il cui immediato interesse
pecuniario è anti-sociale, visto che meno pagano la loro mano d'opera
più denaro rimane loro. E' altrettanto vero che quanto meno pagano
d'affitto ai loro proprietari di casa e ai banchieri che li
finanziano, tanto più han da spendere per conto loro; ma poiché essi
intendono stabilire sé e i figli nella categoria dei proprietari e dei
capitalisti - dei potenti, diciamo - essi buttano il loro cospicuo
peso politico sul piatto della proprietà privata. La combinazione
"proprietari abili al commercio" e "proprietari terrieri o di
capitali" impone sul proletariato una tassa così enorme, e sotto
parecchi aspetti così dannosa, che a un certo gradino di civiltà essa
diventa una minaccia al bene comune. Nel diciannovesimo secolo
l'Inghilterra raggiunse questo gradino, cosicché gli aspiranti al
Governo, i quali non siano coscienti di ciò, dovrebbero essere privati
del diritto elettorale e classificati non idonei alla pubblica cosa.
Ed eccoci ritornati al concetto per cui ogni cittadino ha il diritto
di ottenere una occupazione che gli dia i mezzi necessari al
sostentamento, questo quando l'impiego che ha non gli procura benefici
commerciali. Dato che le aziende commerciali private esistono
unicamente in vista del profitto commerciale che se ne ricava, la
difesa nazionale dal pericolo della fame dev'essere organizzata e
amministrata dallo Stato allo stesso modo di qualsiasi altra difesa
nazionale. Attualmente l'associazione tra possessori di abilità
commerciali e possessori di terreni è tanto fruttifera da permettere
il riscatto dei proletari che non può impiegare traendone profitto,
riscatto ottenuto con un sussidio il quale serve a far vivere in uno
stato di ozio e di povertà avvilente. Intanto, parecchi lavori
pubblici quali la costruzione di ponti, il tracciamento di strade, i
piani regolatori di città, il risanamento dei quartieri più poveri,
l'uso della marea e della forza vulcanica per l'incremento
dell'elettrificazione sono trascurati, e più ancora lasciati in
disparte. Chi non è capace di comprendere lo spreco e il male arrecati
da un simile sistema può, nella sua vita privata, riuscire innocuo
benché stupido, ma politicamente egli è un nemico pubblico e dovrebbe
essere inabilitato in merito.
Bisogna tenere a mente che la relativa scarsezza di capacità
commerciale non è prodotta soltanto da difetto d'ingegno affaristico,
ma pure da profonda avversione, accompagnata sovente da strapotenti
preferenze volte a occupazioni di maggior interesse. Osserviamo il
caso di Shakespeare. Egli abbandonò presto la scuola nell'intento di
aiutare il padre, commerciante assai conosciuto nella città di
Stratford. La carriera successiva del poeta sta a dimostrare che con
quel bel po' di allenamento egli avrebbe facilmente potuto prosperare
negli affari. Mosso invece da una irresistibile vocazione letteraria e
teatrale egli recise ogni legame col paese natio ed emigrò a Londra
(cosa che feci io pure), dove gli riuscì di entrare nell'ambiente
teatrale e di acquistarvi un certo nome organizzando il posteggio dei
cavalli appartenenti agli spettatori di rango. Marlowe "dalla magna
rima" era allora re tra i commediografi; ma quando poi morì,
Shakespeare di versi magni ne aveva scritti a bizzeffe, e non solo di
magni, ma anche di divertenti e pieni di senno. Egli aveva avuto
l'incarico di ricomporre commedie antiquate e trasformare in drammi
vecchi racconti, lavoro in cui riuscì tanto meravigliosamente da non
sentire mai il bisogno di operare sul suo. Difatti, una volta sola
nella sua breve vita (morì a 52 anni), inventò una storia genuina.
Scrivere divenne dunque la sua maggiore occupazione; tuttavia, aiutato
dall'esperienza acquisita in casa, egli coltivò di pari passo, o
quasi, letteratura e affari, ottenendo un ottimo successo tanto che
sui quarant'anni gli riuscì di ritornare a Stratford non più come
Shaxper il fuggitivo cacciator di frodo ma nella parte di William
Shakespeare, gentiluomo possessore di terre, di uno stemma gentilizio
e dimorante nella casa più bella e nuova della via principale. I suoi
colleghi provenivano in gran parte dai banchi universitari; i casi
della vita non li avevan costretti a far pratica nel ramo degli
affari, mentre, ahimè, li avevano indotti a scrivere in latino le
didascalie delle loro commedie, cosicché non solo conoscevan la
povertà, ma vi fu chi, a simiglianza di Chapman, il rivale numero uno
di Shakespeare, visse e morì in relativa indigenza. Se John
Shakespeare avesse potuto pagare al figlio gli studi universitari,
William, probabilmente, l'avrebbe vista brutta.
Risulta da tutto ciò che l'attrattiva per il commercio proviene dai
lucri che se ne possono ricavare, ed è tuttavia assai debole e rara se
paragonata a quella prodotta dalle arti e mestieri, dalla scienza,
dalle occupazioni all'aria aperta, le quali ultime comportano un
contatto giornaliero con i miracoli, la bellezza visiva e il poema
della natura. Non dunque la capacità di far denaro è rara, bensì il
gusto e l'egoismo necessario a riuscire. Sarebbe assurdo credere che
il Lawrence d'Arabia non avrebbe saputo fare buona prova nel lavoro
del commerciante o dello strozzino; egli, però, deliberatamente scelse
di guadagnarsi la vita prestando servizio nel più basso grado
dell'aeronautica: preferì cioè quell'umile stato agli alti comandi,
alla diplomazia o alla letteratura. Shakespeare maneggiò abilmente il
suo denaro guadagnato nel trasformare cattive commedie in buone; ma
corse il rischio di rendere quelle commedie troppo belle per essere
intese dai suoi spettatori. Dickens, nell'ultimo suo romanzo, dipinse
un carattere gretto, piccino, avido e codardo a tal punto da riuscire
a non aver altro pensiero all'infuori di quello che l'incitava a far
denari e diventare molto più ricco dei cittadini migliori di lui, per
i quali il denaro rappresentava unicamente una fastidiosa necessità.
La capacità commerciale è sovente pura avidità. Quando il commercio
fosse privato dell'appoggio proveniente dalle scorte di denaro
investibile in possesso dei proprietari e dei capitalisti, e di una
mano d'opera ignorante e bisognosa da sfruttare, esso procurerebbe
minor guadagno del lavoro manuale o meccanico specializzato. In Russia
questo è già accaduto, e da parecchio tempo anche negli Stati
capitalisti; vedi i rami del commercio minuto.
Intermezzo
Abbandono ora questo terreno relativamente solido per le mobili sabbie
dell'opinione e dell'ipotesi, trasbordando dalla fisica alla
metafisica e dalla storia naturale alla filosofia. Dalla regione delle
sequenze in cui i fatti s'inseriscono tanto regolarmente da poterli
prevedere con una certa giustezza, a quella del pensiero (cornice di
referenze) dove ci tocca sistemarli prima di averli potuti capire; dal
disordine in cui si presentano in realtà, alle leggende e ai drammi in
cui i cantastorie tentano di dar loro un senso intelligibile;
transitando, cioè, dal piano razionale su cui ogni effetto ha la sua
causa da cui precede (determinismo), alle congetture evoluzioniste,
dove il desiderio per l'effetto, a volte in assoluta antitesi con la
ragione e la prudenza, diviene esso stesso la causa, e dove fuggiamo
dalla prigione del gigante disperato per inoltrarci sul sentiero che
conduce alla Città Celeste [7].
37.
DELLA FEDE E DELLA CONDOTTA
Ciononostante qualche assioma e qualche postulato bisogna pure
accertarli: esaminatori ed esaminandi debbono a esempio convenire che
due più due fanno quattro, e che il linguaggio da usarsi deve essere
quello comune e sintattico; privato di tali accordi basilari la
convivenza umana riesce impossibile. Se l'esaminatore dice: «due più
due fan quattro; va bene?» e l'esaminato risponde: «no, non sono
d'accordo»; questi deve essere congedato perché inetto. Ma se
l'esaminatore dice: «siamo d'accordo nell'asserire che due dozzine di
uova fanno 24 uova?», e l'esaminato risponde «no, 20 uova secondo me,
perché la mia aritmetica che sarà, lo spero, l'aritmetica ufficiale
del futuro, ha basi duodecimali», la risposta dev'essere giudicata
soddisfacente. Essa prova non solo che l'esaminato conosce bene la
tavola pitagorica, ma che in sovrappiù capisce come il sistema
numerale, a simiglianza delle regole di pronuncia, sia pura
convenzione atta a subire mutamenti e migliorie. L'esaminatore non
deve però proseguire nelle sue indagini e domandare: «siete favorevole
a un mutamento dell'ordine odierno?» trattando la risposta,
affermativa o negativa che sia, in senso squalificativo. Allo stesso
modo, quando i problemi industriali e terrieri sono sul tappeto, se
l'esaminando nega che al mondo sia mai esistito qualcosa come la legge
della rendita o il Proletariato o la Guerra di Classe, o il sistema
Feudale o quello Capitalistico, lo si deve senz'altro bocciare perché
ignorante e illetterato. Se invece egli dà prova di saperne sulla
legge della rendita quanto ne sapevano Tommaso De Quincey e Henry
George, e sulla Rivoluzione Industriale altrettanto di Karl Marx, non
si deve domandargli se le conclusioni sue personali sono il
Conservatorismo di De Quincey o la Tassazione Singola di George o il
Sistema Rivoluzionario di Marx. Bisogna lasciarlo libero di addivenire
da solo a una conclusione, poiché egli dimostra di conoscere i fatti
accertati più rilevanti, e in breve sa di che si tratta.
D'altra parte la democrazia non può impegnarsi di concedere speciali
poteri a tutti coloro che riescono a provare di sapere la teoria, e
conoscere la storia e gli sviluppi dei sistemi politici di cui
avrebbero da occuparsi in caso ne fosse dato loro l'incarico. Un
esaminando può passare a gonfie vele qualsiasi prova e lasciare i
cittadini che si propone di governare nella più assoluta oscurità
sull'interrogativo se egli- o ella - sia un santo o un mascalzone, uno
sciocco o un saggio. Egli o ella possono essere intelligentissimi e
profondi in una data materia, senza provar per questo il minimo
impulso a porre questi loro doni al servizio della comunità. John
Bunyan, uno dei nostri conoscitori più autorevoli alla voce natura
umana, spietatamente relegò il "signor Ignoranza" all'inferno, non
omettendo tuttavia di chiarire che il "signor Saggio Mondano" e il
"signor Cattivo" lo avrebbero raggiunto colà, benché negli affari
fossero ben più abili di "Cristiano" o di "Fedele" o di "Speranzoso".
Parecchi uomini buoni sono risultati pessimi come governanti. Pietro
il Grande fece tanto in Russia per la civiltà, che perfino un santo
umanitario quale il suo compatriota Pietro Kropotkin ammirava di lui
questa sua passione. Tolstòi, un altro santo russo, non era capace di
cavarsela negli affari: la sua «pazzia applicata a migliorare il
mondo», così i figli chiamavano la passione del padre, lo conduceva
alla rovina nella vita privata. Akenaton, nel quattordicesimo secolo
avanti Cristo, e Amanullah, ieri, caddero in disgrazia quali monarchi
seguendo la via fatale intrapresa dal nostro pio e sempliciotto
Giacomo secondo. Luigi undicesimo di Francia, pio quanto Giacomo ma
abile, lasciò alla morte finanze fiorenti, tali da poter sopportare le
follie dei suoi successori fino a che, nuovamente all'orlo
dell'abisso, Enrico quarto le rimise in sesto. Dio sa se questo
monarca era lungi dall'esser pio, tanto che mutò religione con un
motto di spirito. La sua vita privata, imitata in ciò dal suo
nipotino, il nostro Carlo secondo, fu alquanto dissoluta. Altri
sovrani irreprensibili sono finiti in esilio, o decapitati o comunque
uccisi. Allorquando a Waterloo la disfatta di Napoleone assunse un
aspetto definitivo, Byron, il miglior cervello d'Inghilterra, si sentì
"damned sorry" [8] e Beethoven, il più nobile spirito della Germania,
"atterrito". E' che Napoleone, volgarmente ambizioso qual era, fece di
più per la Francia, anzi per l'Europa, del virtuoso abate Siéyès. Il
duca di Wellington, vincitore di Napoleone, era certo un soldato dalle
vedute molto più originali e dal carattere ben più nobile
dell'imperatore dei francesi; tuttavia era privo nella vita politica
di quel dono di previsione che conduce ad aver fede in un possibile
mutamento della natura umana, purché si provveda a migliorarne le
condizioni materiali e morali. Robert Owen possedeva, lui, il dono
della previsione e la fede, ma fuori dall'uscio delle sue fabbriche
non sapeva più trattare con il mondo. Un giorno, mentre a un comizio
stavo perorando la causa del socialismo, venni controbattuto da un
oratore il quale mi disse di aver preso la parola non perché
dissentisse dai miei argomenti o da quelli degli apostoli di Owen, ma
perché i caratteri e la condotta di questi stessi apostoli non erano
in armonia con le loro professioni.
Ne risulta che, sebbene i candidati alla vita pubblica possano essere
squalificati causa la loro ignoranza e la loro incomprensione
politica, il contrario non deve senz'altro garantirne la qualifica.
Dovrebbe, al massimo, assicurare l'iscrizione dei loro nomi fra quelli
dei cittadini ritenuti più capaci di dedicarsi all'attività politica
nei suoi vari aspetti e gradi, atti, perciò, a essere eletti. Quando
una persona qualsiasi presenta la sua candidatura a un dato posto, o
per qualche elezione, i quesiti che gli esaminatori non gli faranno
sono per l'appunto quelli che gli elettori e membri
dell'amministrazione civile vorrebbero proporgli. In un esame Adolf
Hitler batterebbe di gran lunga George Washington (il suo libro "Mein
Kampf" contiene parecchi saggi di giusta dottrina); ma poiché le sue
conclusioni includono l'egemonia tedesca, l'assoggettamento dei non
ariani, la distruzione degli ebrei, e tutto un sistema di assassinio
degli ostaggi e di terrorismo militare, apparve così poco saggio
lasciarlo in possesso del potere politico, che sulla premessa di
questa obiezione si promosse una guerra mondiale. Egli non ha mai
compiuto un atto di giustizia, né ha amato la clemenza, né lo si è
veduto camminare umilmente al seguito del suo dio. Nemmeno noi, o i
nostri alleati, abbiamo saputo far tanto, ma questa non è una ragione
per tollerare il signor Hitler: lo è, invece, per addivenire a riforme
in noi stessi e debellare lui.
I nostri governanti non debbono accontentarsi di essere colti e
capaci; li vogliamo anche buoni e retti. Per questo gli aspiranti alla
politica farebbero bene ad avere una condotta esemplare. Ma come
giudicarne? Facile risulta l'accertarsi se un esaminando ne capisce
qualcosa di questioni bancarie, o di assicurazioni, o di feudalismo, o
della precessione degli equinozi, poiché, qualunque siano le
conclusioni a cui si addiviene a loro riguardo, queste conclusioni
sono accertabili dai fatti. Il giudizio da darsi sulla condotta poggia
invece su opinioni variabilissime. Il furfante di oggi può divenire il
santo di domani. Nel secolo scorso Shelley, Tom Paine e Mary
Wollstonecraft furono messi al bando perché nemici di Dio. Oggi,
questi stessi personaggi son famosi per le loro virtù pubbliche,
benché in privato si siano comportati scandalosamente. Chi può dire
perché si è loro perdonato, perché anzi li si ammira?
Semplicemente perché le nostre nozioni di condotta esemplare privata
passano sveltissime di moda. La Chiesa cattolica romana proibisce il
matrimonio fra cugini primi e ai suoi sacerdoti nega qualsiasi
matrimonio. Nella legge mosaica un uomo deve sposare la vedova del
fratello sotto pena di incorrere nella pubblica ignominia. Nella
tragedia di Amleto, invece, il re che agisce a questo modo è tacciato
d'incesto. La legalità concessa recentemente a questo genere di
matrimoni fa sì che essi appaiano oggi convenienti e naturali,
cosicché la tragedia shakespeariana dovrebbe esser giudicata priva di
senso, se non fosse che, il re essendo pure assassino, possiamo in
ogni modo provar per lui una giusta ripulsa. In alcuni ambienti, poi,
una ben più evidente consanguineità rende obbligatorio il matrimonio.
All'epoca della nostra lotta contro Napoleone il destino
dell'Inghilterra dipendeva da due capi: Wellington e Nelson. Di
Wellington, Tennyson scriveva: «Qualsiasi azione commessa da lui venga
alla luce, egli non avrà mai da provarne vergogna». Intanto, Nelson
aveva abbandonato la moglie e condivideva quella di sir William
Hamilton; con ciò, Nelson era certo il più popolare fra i due grandi
uomini. Di Daniel O'Connell, celebre patriota irlandese e buon
cattolico, veniva sussurrato a Kerry, il suo paese natio, che non si
poteva buttare un sasso in loco senza colpire uno dei suoi figli
illegittimi. A ogni buon conto, alle signorine del secolo scorso non
era permesso di leggere, e nemmeno menzionare, Shelley o Byron, e
Parnell e Dilke furono politicamente annientati causa la loro condotta
sessuale dipartitasi da certe convenzioni.
Che dire dello straordinario caso impersonato dal mio santo omonimo,
Bernard di Clairvaux? Egli sapeva tanto bene controllare il proprio
carattere, e il carattere aveva così dolce, l'intelligenza così sicura
e gli interessi volti a scopi così divini che, sebbene fosse soltanto
un frate questuante promosso abate, gli riuscì in pieno turbolento
dodicesimo secolo di far intender ragione e pacificare baroni, predoni
e imperatori, personaggi usi tutti a guerreggiare tra loro. All'epoca
in cui studiavo la sua vita scrissi: «Usiamo imparare la storia dalle
gesta dei nostri furfanti: quando incominceremo a impararla da quella
dei nostri santi?». Il suo posto nella storia sarebbe fra i più
eminenti uomini di Stato. Se errò, come a esempio nella sua
predicazione a favore della seconda crociata, il suo errore fu del
tutto religioso, dovuto al culto del Cristo deificato peculiare alla
Chiesa a cui apparteneva. A ogni modo la sua regola di vita personale
non è da additarsi a esempio, dato che, se tutti vivessero com'egli
visse, la razza umana sarebbe tosto estinta: il suo celibato è un
delitto sociale e la sua auto-mortificazione un suicidio.
Queste ultime colpe a suo carico sollevano una questione d'importanza
vitale. Era san Bernardo un masochista suicida o non era egli
piuttosto un uomo voluttuoso, dai sani istinti volti a più alti
valori, valori del tutto diversi da quelli patrocinati da un Falstaff
o da un Anacreonte? Ci sarebbe da chiedersi se il concetto secondo cui
la virtù consiste nella negazione della propria natura - concetto
partecipatoci dallo stesso Iddio per bocca di William Law nel suo
"Serious Call" non sia altro che un tradizionale e pernicioso errore,
maliziosamente inculcato dai profittatori al fine di mantenere il
desiderio di eterna felicità delle classi più povere fisso in un altro
mondo immaginario, piuttosto che volto al socialismo e al
sindacalismo. E' l'automortificazione una virtù cristiana? San
Bernardo si ridusse volontariamente alla fame abbandonando il vino per
l'acqua, e il lusso per la povertà. Gesù invece mutò l'acqua in vino,
ricusò di digiunare, sedette a banchetto con i funzionari del Governo
di Roma e si dolse di essere chiamato ghiottone e beone per il solo
fatto di non praticare le austerità a cui Giovanni Battista si
sottoponeva. Mai, nel Vangelo, si fa cenno a un diniego del Cristo di
fronte a qualche dolcezza capitatagli fra le mani, e compatibile con
la sua vocazione. Perché, allora, san Bernardo si mise tanto d'impegno
a rifiutarsi ogni conforto, e fondò l'Ordine cistercense imponendo
disagi e astinenza a chiunque si convincesse di dover prendere il
saio? E come mai questo suo ordine raccolse tanta simpatia da riuscire
a moltiplicarsi come i funghi per tutta la cristianità e anche
altrove?
Forse è bene classificare fra i voluttuosi nati coloro che giudicano
normale una vita di negazione della propria natura, voluttuosi, e in
sovrappiù masochisti, poiché intendono di imporre il loro gusto di
autotortura a gente che avrebbe tendenze gioconde... Veramente buono è
chi è buono perché tale gli piace essere. La sua vita, per buona che
sia, diventa allora una vita di auto-affermazione, non certo di auto-
diniego: così egli è fatto, e non per merito proprio bensì del suo
fattore, lo si chiami Dio oppure Evoluzione Creatrice.
Mi è capitato di trovarmi discepolo del mio santo patrono nel
rifiutare di mangiar carne pesce e selvaggina, di fumar tabacco e
qualsiasi altro ingrediente, di stimolare in alcun modo il mio io a
mezzo di alcoli e droghe. Non vado attorno vestito di un saio, ma per
vestirmi spendo forse meno di quanto alla stessa voce spende un uomo
che fruisca della venticinquesima parte delle mie entrate. Da quasi
cinquant'anni ho a mia disposizione una rendita da me non guadagnata
che mi permetterebbe di vivere comodamente senza lavorare; eppure,
come qualsiasi proletario, faccio il mio compito giornaliero. Se la
santità consiste in questo genere di astinenze e fatiche, porrò forse
la mia candidatura per un posto nella comunione dei santi accanto a
san Bernardo o a qualsiasi altro eroe degli agiografi.
A chiarire il mio tenore di vita corre una leggenda la quale fa
derivare i miei gusti dall'educazione strettamente puritana
impartitami da fanciullo, educazione che avrebbe impresso nel mio
carattere il marchio del "Serious Call" di Law. Poche favole sono meno
consone alla verità. La sola credenza impostami nell'infanzia,
colorita di protestantesimo irlandese, poneva all'inferno al momento
della morte tutti i cattolici romani come tali, e in paradiso tutti i
protestanti purché fossero stati bravi bambini. Abbandonai questa
credenza quando le mie sottanelle si trasformarono in calzoni alla
zuava; in quanto al resto della mia educazione, essa mi veniva
impartita in una atmosfera familiare così scettica, così zingaresca e
anarchica, e basata su un punto di vista estetico, che nella mia
adolescenza mi professavo ateo e, mentre non provavo rispetto alcuno
per la S.S. Trinità, ne risentivo uno profondo e duraturo per
Michelangelo e Raffaello, per Handel, Mozart e Beethoven. Mi dedicai
alla letteratura non per entusiasmo o ambizione, ma perché l'avevo nel
sangue. Sono a ogni modo l'ultimo essere al mondo da potersi
catalogare, sia nella pratica sia nella teoria, fra gli asceti. Quando
rifiuto di bere il maraschino e accetto invece il succo di mele, posso
unicamente apparire a qualche dissennato altrettanto eroico di san
Tommaso d'Aquino o san Bernardo all'atto in cui respingevano
investiture vescovili. Fatto sta che il succo di mele mi piace molto,
mentre preferirei ingoiare petrolio piuttosto che maraschino. Non
sarebbe più semplice trovar la verità nel fatto che, poiché i due
summenzionati santi differivano nei gusti da Becket, Wolsey o
Richelieu, essi davano infinitamente meno valore alle mitre, alle
berrette scarlatte e alle ricchezze che non alla solitudine, ai
rapimenti e alla vita semplice dei monaci? Bene conoscevo Lawrence,
quello d'Arabia; so perciò che egli scelse di appartenere al più basso
rango dell'esercito, rifiutandosi di dare ordini e classificandosi
illetterato, non perché fosse umile e modesto, o comunque desideroso
di autosacrificarsi, ma perché giudicava di poter essere più libero
quale semplice aviere che non alla mensa ufficiali. Stalin superò di
gran lunga Lawrence in quanto dal nulla sociale, benché privo di un
titolo qualsiasi o di un portafoglio ministeriale, pervenne al
fastigio del potere. Soltanto molto più tardi, quando ebbe da firmare
trattati e concretare con i suoi alleati occidentali operazioni
militari, egli si trovò nell'obbligo di doversi conferire i titoli di
Primo Ministro e di Maresciallo. Bene sarebbe considerare questi casi
mantenendosi puri da ogni pregiudizio, poiché, se basato su termini
astratti, il discutere sulla rettitudine personale è una perdita di
tempo.
Concesso che san Bernardo e san Tommaso fossero irriducibili egoisti
del mio tipo, e che tutti e tre, andandocene per i fatti nostri,
abbiamo trascurato allo stesso modo gli interessi e i desiderata delle
nostre rispettive famiglie, e che sempre e a qualsiasi costo nostro o
degli altri ci siamo scelti la vita a noi più consona, perché i due
santi han fatto tanto da uccidersi di stenti e fatiche mentre erano
ancora relativamente giovani (avevano metà degli anni che ho io oggi
sulle spalle)? Non fu certo perché giudicarono di essere servi e
strumenti di Dio, poiché io mi credo servo e strumento della
Evoluzione Creatrice, e appunto per questa ragione mi permetto di
calcolarmi religioso quanto loro; religioso: individuo cioè, per cui
il mangiare, il bere e il riprodursi risultano essere necessità
fastidiose, tanto più se confrontate con l'impulso verso un più vasto
e profondo sapere, verso una più alta comprensione, verso una maggiore
capacità di controllo su se stessi e sulle proprie condizioni di vita.
Così stando le cose non vedo il perché non dovrei essere canonizzato
anch'io, e dopo tutto chissà che un giorno o l'altro, dopo la mia
morte, non lo sia.
A ogni modo una differenza esiste. San Bernardo credeva in una vita
eterna e individuale, retaggio di ogni creatura umana dopo morte. Egli
credeva che la felicità nell'altra vita, benché non certo meritata da
creature peccatrici quali siamo, ci sarebbe concessa sull'assunto che
tutte le nostre colpe sono già state espiate, e assai in anticipo,
dalle torture subite da Gesù e dalla sua morte, da quel Gesù cui Dio
aveva imposto l'obbrobrio delle nostre iniquità. Per conto mio non
credo a tanto e mi stimerei ben poco se permettessi ad alcuno di
scontare in vece mia i miei peccati. D'altra parte, l'idea che l'assai
poco soddisfacente prodotto del l'Evoluzione Creatrice contrassegnato
dalle iniziali G. B. S. debba esistere per sempre, invece di subire un
processo di spersonificazione e venir rimpiazzato da qualcosa di
meglio, non soltanto riesce ostica e intollerabile alla mia fantasia,
ma certamente a qualsiasi altra. E qui, sia nei fatti sia nella morale
da dedurne, mi trovo in aperto contrasto con l'abate di Clairvaux.
Il coraggio e l'umiltà di san Bernardo provenivano dalla sua fede per
cui si credeva servo di Dio; il mio coraggio e la mia umiltà vengono
invece dalla mia fede, di lontano imparentata con la sua, che mi fa
credere servo della Evoluzione Creatrice e rende la mia suprema
aspirazione una semplice aspirazione evolutiva. A questo punto tra me
e il mio santo patrono si stabilisce un'altra profonda differenza,
poiché egli concepiva Dio onnisciente, onnipotente, supremamente
giusto e infallibile, mentre a mio parere l'Evoluzione Creatrice
procede per mezzo di prove ed errori, fors'anzi di prove e fallimenti.
Il mondo è tanto sovraccarico di questi fallimenti che ci tocca
sprecare gran parte del nostro tempo a eliminarli per evitare di venir
eliminati a nostra volta. Non esiste così, per me, un Problema del
Male, mentre per Bernardo di Clairvaux esso è insolubile, tanto che
l'unica soluzione possibile egli la trovò nel mito del demonio in
contesa con Dio per il possesso della terra, e da Dio tollerato quale
prova della nostra virtù.
Il vantaggio del mio punto di vista, per lo meno dal lato politico, è
che non correrò mai il rischio di credere che, quale strumento
dell'Evoluzione Creatrice, io sia immune da errori mentre eseguisco la
parte del suo travaglio a me affidata. Poiché essa procede attraverso
prove ed errori, altrettanto debbo fare io. I suggerimenti da me
offerti agli uomini in questo libro sono i migliori che io possa dare
all'epoca in cui vivo e alla mia età; ma nulla impedisce che essi
siano errati. Avrei probabilmente fatto meglio a scrivere una
commedia. Un servo di Dio, invece, sebbene convinto di essere
miserabile e peccatore, è portato a credere che nell'atto in cui
mortifica la propria carne, o comunque agisce in nome dell'Ente
Supremo, egli sia nel giusto perché, indirizzato da Dio, esercita
allora la suprema autorità divina. San Bernardo, per fortuna, credeva
in un Dio di misericordia e giudicava Cristo il principe della pace.
Fu questo concetto a farlo santo. Ma è quale servitore di Dio che
Carlo Magno uccise per direttissima tutti i prigionieri di guerra che
rifiutavano di abbracciare il cristianesimo; che Torquemada divenne
uno dei più abbominevoli tiranni della storia; e che coscienziosi e
pii imperatori cristiani quali Carlo quinto e suo figlio Filippo
secondo sono oggi ancora esecrati per le crudeltà commesse nei Paesi
Bassi. Quando Samuele Butler, il vittoriano predicatore della dottrina
laodicea, ci consigliava di non prender troppo a cuore le nostre
convinzioni, egli aveva sott'occhio molti ferventi che da Carlomagno e
Robespierre a Hitler commisero atrocità chiamandole "sanzioni"
cosicché, uguale in ciò al suo grande contemporaneo norvegese Ibsen,
egli giudicava la civiltà una specie di melodramma in cui buon numero
dei furfanti sono piissimi idealisti.
Da quanto sopra, si vede come la diffidenza britannica per i servitori
di Dio, e la preferenza data ai personaggi cauti, scettici e
opportunisti quali sono i primi ministri, affonda le sue radici in un
terreno di amara esperienza. Il guaio è che un semplice opportunista
non sa creare le occasioni; egli è unicamente capace di afferrarle
quando altri le fanno nascere, e anche allora si corre pur sempre il
rischio che egli non le scorga o che addirittura le scambi per un
pericolo pubblico. Non importa se da un punto di vista intellettuale
egli si trova in testa alla lista dei candidati poiché, se oltre a
saper afferrare le occasioni non sa anche crearle senza per questo
credersi un Jehovah o un Cristo, anche se solo di cartapesta, è meglio
abbandonarlo alla vita privata.
Secondo la mia visuale del mondo lo statista deve aver qualità
religiose: è bene, però, che egli sappia liberare la sua religione da
qualsiasi elemento meno che universale. Nulla di male se concentra la
sua visione della razza umana nell'universalità della Chiesa
cattolica, purché non prenda parte decisa per il cattolicesimo
anglicano o per quello romano, e, se in biologia egli è portato a
personificare il fattore creativo in Dio, si astenga almeno dal
nazionalizzare questo fattore in Jehovah, Allah, Budda, oppure Brahma.
Soprattutto non deve aspettarsi che Dio faccia in vece sua il lavoro
per cui egli è al mondo. Deve considerarsi servitore fallibile di un
fallibile Iddio, e agire e pensare per quel suo Iddio, poiché Dio non
potendo raggiungere i Suoi scopi senza l'ausilio di mani e di
intelletti ha fatto evolvere le nostre mani e i nostri intelletti al
fine di agire e pensare per Lui: in breve, noi non siamo nelle mani di
Dio, ma Dio è nelle nostre. Un uomo di Stato non deve esclamare
impotente: «Sia fatta la volontà tua»! Deve indovinarla, questa
volontà, e tradurla in pratica. Il suo Dio non dev'essere una
perfezione reale, onnisciente e onnipotente, ma soltanto un ideale
verso cui l'Evoluzione Creatrice sta arrancando seguita dall'umanità,
la quale, per ora, è il suo tentativo meglio riuscito per quanto lungi
dall'essere soddisfacente, poiché soggetta a venir sostituita da un
momento all'altro quando l'Evoluzione Creatrice, priva di illusioni,
l'abbandonerà alle sue sole forze. Al male del mondo, che praticamente
riduce all'assurdo la bontà divina, egli deve far fronte come a un
residuato di errori, intesi in origine al bene. Può considerare eterna
la vita, purché nel trattare con i contemporanei non scordi che essi
sono effimeri e mortali, e che nell'oltretomba non godranno di
alcun'altra vita a compensarli delle ingiustizie patite in questa.
Ma sarebbe certo difficile formulare tutto ciò in un catechismo, e
stabilire quale condizione "sine qua non" alla carica di Primo
Ministro la conoscenza di tale catechismo, pretendendo in soprappiù la
fede giurata nel credo ivi esposto; si dovrebbe poi aggiungere un
articolo che decretasse atto fellone l'apostasia. E' questo il metodo
da noi oggi usato per rendere permanente il cristianesimo. La Chiesa
d'Inghilterra è riuscita a elaborare 39 articoli a questo proposito, e
nessun savio di mente riuscirà mai a crederli tutti; ciononostante,
ogni qual volta un sacerdote sta per entrare in possesso di un
beneficio ecclesiastico, e il vescovo al cospetto dell'intiera
congregazione gli chiede se crede nei 39 articoli, egli deve mentire.
Il vescovo, che a suo tempo dovette pure mentire, sa della menzogna, e
i pochi membri della congregazione a conoscenza degli articoli lo
sanno pure. E' questo il prezzo che i sacerdoti candidati a una
prebenda debbono senza alcuna logica ragione pagare per seguire la
loro vocazione, ed è decisamente un prezzo scandaloso, sebbene esso
serva ad assicurarci che il nostro clero sia abbastanza laodiceo da
saper dire in date occasioni bugie madornali, e che i quaccheri o
qualche altro molesto fanatico del genere vengano scomunicati. Una
Chiesa che non possiede abbastanza energia spirituale per recidere dal
suo rituale ogni ramo secco ed essere alla testa dei suoi seguaci,
invece di restare qualche secolo indietro a essi, non è una vera
Chiesa. Il fatto, poi, che essa non incontri difficoltà nell'ottenere
da maestri e da uomini politici di sapere più profondo del suo queste
professioni di fede sta a dimostrare la futilità dei credo, dei
catechismi, e dei giuramenti intesi quali testimonianze di condotta e
di carattere.
I partiti politici quanto le Chiese stanno a dimostrare lo stesso
fatto; i loro programmi e i loro credo sono ingoiati e rigurgitati
proprio come si usa fare con gli articoli religiosi: ministri saliti
al Governo in virtù di un più volte manifestato socialismo
intransigente usano del loro potere per fare null'altro che impedire
qualsiasi possibile mutamento; i più favoriti tra i conservatori,
quelli appartenenti alla lega della Primula, presentano alla Camera
leggi per opporsi alle quali furono eletti. Non che io li critichi per
questo: il progresso è impossibile senza mutamenti, e chi non sa
cambiar d'opinione non sarà mai capace di cambiar cosa alcuna. I
credo, gli articoli di fede e le istituzioni religiose calcificano i
nostri cervelli e li rendono inabili a mutare; sono perciò da
catalogare fra le cose dannose e, in pratica, è bene ignorarli.
Credo e istituzioni religiose servono però a porre un importante
quesito: poiché le fedi politiche possono e debbono cambiare, non
esisterebbero dunque verità eterne e immutabili? E, in caso negativo,
non dovrebbero ugualmente, statisti ed elettori, agire verso qualsiasi
assunto provvisorio, se mai c'è da agire, come fossero verità eterne?
Non diceva Voltaire che se Dio non esistesse bisognerebbe inventarlo?
E dopo molte prove ed errori nell'esercizio del potere mai raggiunto
da Voltaire, non arrivò Robespierre alle medesime conclusioni? Non
sarebbe forse bene tollerare un governante che odia la giustizia, ama
la crudeltà e calpesta orgogliosamente il proprio Iddio, poiché
l'ingiustizia, la crudeltà e l'infedeltà non solo risultano a volte
espedienti inevitabili ma anche necessità logicissime? Logica a parte,
non dovremmo noi per puro sentimento stabilire una linea divisoria tra
il male e il bene?
La risposta è, che, lo si debba o meno, la linea la tracciamo, e
sempre la tracceremo. Per quanto in cima alle liste di eleggibilità un
cittadino sia, prima di eleggerlo o nominarlo a qualche carica
dovremmo tentar di scoprire in quale punto egli abbia fissato la sua
linea di demarcazione. Ignoro, però, il metodo che possa aiutarci in
questo frangente. Un secolo fa, chiunque professasse il libero
pensiero, o sentimenti repubblicani, o anche solo di cooperazionismo,
era giudicato reprobo. Più tardi si incominciarono a tollerare i dubbi
sull'esistenza delle fiamme infernali, e sulla risurrezione: alla
stessa epoca fu concesso agli uomini di convivere con le sorelle delle
loro defunte mogli senza per questo incorrere nell'ostracismo; le
antiche leggi istituite a prevenire l'apostasia, l'oscenità e la
sedizione, benché non venissero respinte come viete, furono mitigate o
tacitamente ignorate, se non a volte addirittura soppiantate da
qualche nuova legge. Con sempre maggiore evidenza si poté osservare
che gli scettici, i ribelli e gli eretici erano sovente uomini retti e
sinceri, mentre rigidi conformisti si rivelavano spesso di nessuna
capacità all'infuori di quella dovuta a un fenomenale egoismo. Nel
fare la divisione tra candidati buoni e cattivi - e a questa
divisione, ragionevole o no, ogni elettore deve addivenire con
altrettanta inevitabilità e naturalezza quanta ne impiega nel
respirare - le classifiche non danno alcun affidamento. Molteplici
elettori britannici hanno per regola di votare contro gli ebrei, i
gesuiti, gli irlandesi appartenenti alla Chiesa cattolica, gli atei, i
socialisti, i repubblicani, i proibizionisti - e chi più ne ha più ne
metta - mentre altri partono proprio dall'opposta convinzione. Ecco le
sole divisioni di cui sono capaci e, se la loro scelta fosse fatta da
una lista, non vi sarebbe di che preoccuparsi; a ogni modo, però,
sarebbe bene privarli dei diritti elettorali.
Di solito in Inghilterra la scelta elettorale non può ancora essere
istintiva, e questo perché i nostri governanti sono per lo più eletti
da persone che non li hanno mai veduti e che nulla sanno della loro
vita intima. Le votazioni vengono perciò fatte in conformità delle
liste presentate dai vari partiti, o dei credo religiosi, o dei
pregiudizi sociali, e sotto la pressione di propagande e
sollecitazioni più o meno attive.
Oltre alla propaganda occasionale dei comizi elettorali abbiamo
l'incessante propaganda espletata dalle varie Chiese e dai movimenti
di questo o quell'indirizzo, ognuno dei quali cerca di far proseliti
tentando di persuadere il pubblico che sul proprio argomento esso solo
è autorevole, e solo detiene il segreto della eterna verità. Alcuni,
poi, si dichiarano addirittura le sole autorità esistenti, capaci a
chiarire qualsiasi soggetto. A noi tocca accettare queste pretese
poiché, visto che le decisioni debbono pur esser prese o da un
individuo o da una congrega di individui, siamo costretti, almeno per
il momento, a trattare questi "decisori" come infallibili.
Ex-cathedra, il Papa è infallibile; il Comitato giudiziario della
Camera dei Lords è infallibile; l'Accademia reale delle Belle Arti è
infallibile; il Consiglio generale di medicina è infallibile; la
Bibbia è infallibile; il Governo è infallibile; le Corti marziali dei
tribunali speciali sono infallibili; e il re non può in nessun caso
commettere male azioni. Tocca a noi giudicare della verità di queste
asserzioni sottoponendole alla luce delle migliaia di volte in cui
tutte queste autorità hanno errato e rierrato.
38.
RIBALDERIA COLLETTIVA
Per gli individui organizzati in blocchi la cosa è diversa. Se
ordinati in Stati, Chiese, professioni e compagnie commerciali, essi
non solo commettono le più orrende atrocità ma si appellano altresì al
diritto di commetterle, gloriandosene come si glorierebbero di un
trionfo nazionale. La Cristianità viene soppiantata dalla Ribalderia;
e nel regno dei ribaldi i Governi incorrono nell'obbligo di sanzionare
o escogitare, a salvezza dello Stato, malvagità dalle quali
rifuggirebbero inorriditi nella loro vita privata. Le organizzazioni
non ufficiali, se abbastanza numerose, si comportano allo stesso modo,
asserendo ognuna che i suoi interessi sono altrettanto totalitari di
quelli dello Stato. Le conquiste imperialistiche accompagnate dagli
inevitabili assedi e bombardamenti, offensivi o difensivi che siano, i
roghi di Smithfield e dell'Inquisizione, i codici penali, le crudeltà
dei laboratori di fisiologia, l'abbreviamento del corso normale della
vita dei proletari e il suo intristimento a favore dei profitti
commerciali, tutto ciò sta a provare che la morale pubblica differisce
da quella privata.
E qui c'imbattiamo in Machiavelli. Nulla gli sarebbe stato più facile
che dire a Cesare Borgia come fosse suo dovere operare con giustizia,
amare la clemenza e camminare umilmente al cospetto di Dio. Pii
consigli, tutti, ma non certo utili al Borgia che doveva, come egli
disse, «trangugiarsi l'Italia pezzo a pezzo a mo' di carciofo» al fine
di poterla unificare in un unico Stato cattolico. In questo suo
proposito Machiavelli non era peggiore di Garibaldi o di Cavour; non
peggiore di Abramo Lincoln dedicatosi a unificare gli Stati nord-
americani, di Chamberlain e Lord Randolph Churchill nell'opera
espletata per mantenere l'unione fra l'Inghilterra e l'Irlanda, di
Bismarck, il fondatore dell'unità germanica, e di Adolf Hitler che,
dopo avere per mezzo dell'Anschluss riunita l'Austria al tronco
germanico, aspirò, seguendo le orme di Napoleone, a unificare il
continente eurasiano. E' evidente che Cesare Borgia non poteva
unificare l'Italia soltanto con l'obbedire ai precetti del profeta
Micah, facendo, cioè, unicamente quanto Dio gli richiedeva. Bisognava
pur sottomettere principi ostili e creare entusiasmo in popolazioni
ignoranti e superstiziose. A Cesare Borgia interessava perciò sapere
quel che doveva fare per superare i principi in furberia e meglio
ingannare le popolazioni, badando bene a non perdere di vista le
caratteristiche di tali principi e popolazioni, e le sue proprie.
L'inganno era necessario, lo spargimento di sangue pure; il
tradimento, atto di ordinaria amministrazione, e l'ipocrisia,
naturale. Indispensabile assicurare al popolo che i soli oggetti delle
azioni politiche del Borgia erano la vittoria e l'adempimento del
voler di Dio. Machiavelli elogiava il principe per la sua sagacità
nell'intendere quanto sopra e per l'abilità con cui metteva in pratica
quanto intendeva. Perché biasimare Machiavelli per non aver mentito?
E' vero che nella sostituzione dell'ipocrisia con il candore egli
scopriva il suo gioco, ma poiché era di natura ben più profonda del
Borgia son certo che la sua intenzione era per l'appunto di scoprirlo.
Anch'io mi sono intromesso nella cosa pubblica - e oggi ancora lo
faccio sulle orme di Machiavelli - mentre scrivo questo libro. Nel
frattempo le Grandi Potenze sono impegnate a bombardare città,
silurare navi, affamare popolazioni, e minare i sette mari, azioni che
non soltanto giudico abbominevoli ma anche diaboliche. Tutto darei al
mondo affinché una legge supernazionale classificasse queste azioni
fra le più criminali che vi siano ed esse perciò venissero abbandonate
dall'uso civile, come ormai sono abbandonati il duello e la pirateria;
tuttavia le circostanze mi costringono oggi a insistere affinché tutto
questo continui e si intensifichi fin tanto che i nazisti non siano
sconfitti e il loro Fuhrer messo politicamente fuori legge. Così,
amici e nemici, siamo tutt'uno.
Nulla è più sconcertante che dover vivere con due specie di morali. Il
re di Brobdingnag giudicò Gulliver un caro amabile piccolo essere fino
a che questi non si mise a esaltargli le glorie della storia
d'Inghilterra, udite le quali il re si sentì meravigliato nel
constatare che il suo caro piccolo beniamino non era altri che un
pericoloso furfantello. Il signor Wells trovò Pavlov umano,
intelligente, simpatico e stranamente rassomigliante a me che ebbi
invece a denunciarne le mostruose crudeltà. Pavlov aveva due nature, e
forse parecchie, non soltanto nel senso che gli uomini differiscono
gli uni dagli altri e che «tutti i tipi sono necessari a formare il
mondo», ma anche nel fatto che ognuno di noi non è un singolo
carattere, bensì un fascio di caratteri. Tuttavia per fini di pubblica
utilità boicottiamo un individuo in quanto vigliacco e iscriviamo il
nome di un altro nell'albo degli eroi. La "Victoria Cross" [9] è stata
guadagnata da uomini che pure provavano un pazzo terrore dei fantasmi,
dei cani, o dei dentisti. Lawrence d'Arabia racconta di aver provato
una "fifa" tremenda, e per oltre una ventina di minuti, all'unica
battaglia in grande stile a cui assistette. Nel 1815 nessuno avrebbe
avuto la faccia tosta di fare una simile confessione. Nel 1915,
invece, pochi avevano la faccia tosta di pretendere che nessuna
apprensione li avesse mai colti quando il tiro di sbarramento nemico
si stava aggiustando sulle linee in cui si trovavano.
La difficoltà e l'incertezza nell'arte della legislatura e del Governo
si basano sul fatto che le leggi non possono esser varie quanto gli
individui. Benché non esistano due persone uguali, le leggi devon
presumere che tutti si sia congegnati allo stesso modo; benché si sia
tutti un pozzo di contraddizioni, esse si devono basare sulla coerenza
umana e fingere che tutti i matrimoni, tutte le storie d'amore, tutti
i bambini, tutti i genitori, tutte le coscienze e le capacità siano
simili, mentre in realtà differiscono quanto le impronte digitali. I
semplici legislatori delle varie professioni si trovano di fronte allo
stesso dilemma degli uomini politici. Si dice che Clifford, Allbutt,
medico famoso, abbia detto ai suoi allievi disposti attorno a un letto
d'ospedale: «Questo male, signori, è quanto usiamo chiamare
scarlattina; ma tutti i casi di scarlattina sono differenti l'uno
dall'altro». Un altro medico eminente, Bland Sutton, curava il tifo
senza propinar medicine, proprio quando una mia amica lottava contro
la stessa malattia ingoiando una mezza dozzina di differenti veleni
ordinatigli dal suo medico. Debbo dire che guarì. D'altra parte, sia
la legge sia la medicina debbono poter affermare che la scarlattina è
la scarlattina, e che per il tifo una sola cura è valida. In qualsiasi
direzione ci si volga, si finisce col trovarsi costretti a stabilire
una scelta limitativa. E' ammesso, per esempio, che il corpo medico di
un ospedale provi una nuova medicina in una corsia di bimbi (qualche
volta la maggior parte dei fanciulli muore); tuttavia non è ancora
stata approvata una legge che consideri quale attività scientifica
normale l'uccisione di infanti a scopo di ricerca scientifica.
Nei laboratori i medicinali si provano sui cani, sui topi, sulle cavie
e sulla mosca drosophila. Non siamo usi a sprecar pietà sulle mosche;
anzi le nostre leggi sanitarie si prefiggono lo sterminio delle
mosche, delle cimici, dei pidocchi e di altri insetti. Chi vive in
campagna e coltiva la terra impara tosto che una parte importante del
lavoro consiste nella lotta spietata contro volpi, conigli e
scoiattoli, benché gli scoiattoli siano creaturine veramente attraenti
e i conigli, purché bianchi, vengano considerati animali domestici. Un
maestro di scherma francese mi disse, quando seppe che non assaggio
mai carne: «Ma se non mangiamo gli animali, gli animali mangeranno
noi». A ogni modo non è mangiandoli che li terremo tutti a bada,
poiché ci rifiutiamo di mangiare i gatti come fanno i cinesi, e le
rane come i francesi, mentre i tedeschi non intendono divorar conigli
come facciamo noi e tutti gli europei ricusano di pasteggiare a
scarafaggi secondo l'usanza africana. La Chiesa cattolica romana e
qualche Chiesa indiana rifuggono in qualsiasi circostanza dal toglier
la vita a un essere umano; tra noi vi è chi obbietta all'esecuzione
capitale inflitta agli assassini, mentre rimane freddo al cospetto del
carcere a vita. Simili persone non debbon salire i gradini dell'Olimpo
politico. Uccidere è una necessità, sovente un dovere, che nessuno
Stato, per umanitario che sia, può ignorare o abbandonare alla mercé
del caso. Un genitore che trovi un cobra nel giardino in cui giocano i
suoi figlioletti ed esiti a ucciderlo non è atto ad aver cura di
bimbi. Tutti conosciamo la necessità di sterminare lupi e tigri.
Allorché uomini e donne diventano pericolosi quanto le belve bisogna
ucciderli, non per infliggere loro una punizione o per obbligarli a
espiare, ma semplicemente perché non sono adatti a vivere in una
società civile e perché la vita di gente a modo non deve venir
sprecata a tenerli in prigione. La nostra facoltà di uccidere deve
avere un gioco assai vasto: incominci con l'eliminazione degli
elementi nocivi e prosegua fino alla estinzione di una specie intera.
Bisogna che gli abolizionisti della pena capitale stabiliscano in
questo campo una linea discriminativa.
Se ci soffermiamo a considerare non soltanto gli uccelli i pesci e gli
animali in genere, ma anche gli insetti, l'alternativa di distruggere
o essere distrutti risulta terrificante. Mentre scrivo, la specie
umana è occupata nell'intento di autodistruggersi: metà della
popolazione sulla terra fa del suo meglio per distruggere l'altra metà
e, pur non riuscendovi poiché questo risultato oltrepassa la capacità
di carneficina di entrambe le parti, i morti si sommano a milioni.
Qualche anima semplice chiede perché Dio non ponga termine a tanta
distruzione. Ma in che modo potrebbe farlo?
Fossi l'Onnipotente, so benissimo come riuscirei a metter fine alla
guerra: darei vita a qualche bilione di locuste o di formiche bianche,
calandole poi d'imperio sul terreno occupato dalle truppe
belligeranti. Il giorno dopo, invece di battersi gli uni contro gli
altri, i belligeranti volgerebbero le loro capacità distruttive verso
gli eserciti di minuscole creature le quali, avanzando
disciplinatamente in innumeri ondate sui cadaveri dei loro compagni
uccisi, si porrebbero a distruggere con tale velocità ogni risorsa
alimentare umana che perfino la pallida spirocheta e le mosca anofele
verrebbero dimenticate nel terrore generale. Non avremmo allora più
semiti e anti-semiti, inglesi e tedeschi, americani e giapponesi,
proletari e padroni, democratici e plutocratici, musulmani e indù,
bianchi e neri, gialli e rossi, nemmeno irlandesi, per questo, bensì
soltanto uomini e donne uniti nella lotta affannata per il sopravvento
della vita umana in pericolo, causa la violenza di un'aggressione
conosciuta finora soltanto in piccolissimi esempi.
Siccome, però, la creazione ex-abrupto del numero necessario d'insetti
potrebbe procurare noia e confusione, non sono certo che non adotterei
un altro metodo. Supponete che domattina i giornali, al posto dei
soliti titoli sulla guerra, ne portino uno solo, stampato a grandi
caratteri, il quale annunci che le calotte polari stanno estendendosi.
Questo fenomeno è già accaduto, dopotutto, e può riprodursi sempre.
Ecco allora che i nostri imperi, i nostri grandi destini nazionali, i
gloriosi passati, le frontiere gelosamente custodite, non conterebbero
molto più di quanto oggi valgano per noi i dinosauri e i pterodattili.
Ecco il genere di cose di cui fantastico quando mi diverto a
immaginare i nostri patriotti e militaristi sgonfiati dalla tronfia
boria e nudi, alfine, in tutta la loro insipienza; ma poiché nella mia
presente attività mi sono proposto di dimostrare come l'importanza di
uccidere sia un necessario comparto della nostra attività politica e
personale, e come i nostri governanti siano costretti a ignorare il
comandamento di Mosè: «Non uccidere», per adottare quello dettato
dalla natura: «Uccidi o perisci», sono costretto ad abbandonare al
loro destino le formiche bianche e le calotte polari. Mi accontento
così di perseguitare la scelleratezza in tutti i suoi aspetti, specie
quando il Governo invece di aver forma collettiva ne ha una
individuale. E questo è un pericolo sempre ricorrente dato l'abito
inveterato che ci volge a idolatrare i grandi uomini.
39.
IL GOVERNO DEI COSIDDETTI GRANDI UOMINI
I due sistemi di cui tratto rappresentano gli irraggiungibili estremi
di un concetto, piuttosto che una inevitabile alternativa; ma, in
vista di un periodo elettorale, è bene che siano creduti tali.
«Vorreste, o libere popolazioni britanniche, votare la rinuncia alla
libertà conquistata dai vostri padri e diventare gli schiavi di un
dittatore e della sua burocrazia?» gridano i democratici. «Non ne
avete abbastanza delle scempiaggini parlamentari e dell'anarchia che
generano?» strillano invece gli idolatri. «Votate dunque per un
Governo effettivamente responsabile; votate per il nostro grande
capo.»
Nei Governi, come in ogni altra attività umana, oltre gli scopi ultimi
risultano necessari i mezzi. La saggezza ci impone di cavare tutto il
bene possibile dai governanti che abbiamo, senza indulgere a lacrimare
per quanto di meglio vorremmo ottenere. Il Governo di popolo è
un'utopia se il popolo non si sa governare da solo e vuole d'altra
parte esser governato il meno possibile ma in modo spettacolare.
Il Governo dei cosiddetti grandi uomini abbisogna di candidati capaci
i quali non si trovano sempre a portata di mano; quando lo sono,
invece, difficilmente appartengono tutti alla medesima specie. Ignazio
Paderewski venne classificato fra i grandi uomini per le sue
eccezionali doti di pianista e diventò presidente dello Stato polacco.
Napoleone assurse a un posto consimile nella sua veste di genio
militare. Io sono classificato un genio drammatico, ma nessuno mi ha
finora invitato a governare l'Impero britannico, e nemmeno, in quanto
a questo, la mia nativa Irlanda. Tanto vale suggerire che neppure
Shakespeare venne eletto imperatore della terra benché fosse «grande
non per un'epoca sola ma per tutti i tempi». Benito Mussolini e Adolf
Hitler, autoclassificatisi grandi uomini, hanno creduto bene di
prepararsi al Governo di tutte le nazioni del mondo mettendosi per
intanto a capo della loro, aiutati in ciò dall'entusiasmo dei
rispettivi connazionali. Titus Oates mise a morte in Inghilterra
parecchie persone benché il potere regale fosse detenuto da Carlo
secondo; Rasputin esercitò in Russia un'influenza dispotica perfino
sul despota ufficiale ed ereditario. Cromwell, Richelieu, Federico
Guglielmo di Prussia e suo figlio Federico il Grande, riorganizzarono
a piacimento i loro Stati usando metodi tirannici. Allo stesso modo
agì Pietro il Grande; Giulio Cesare, Gengis Khan e Attila si
guadagnarono fama di grandi uomini prima di Gesù Cristo, il quale
promise di risuscitare dalla tomba al fine di stabilire in terra il
regno dei cieli: questa promessa, sebbene incompiuta, conta ancora su
numerosi credenti.
La lista di cui sopra è lungi dall'essere completa. Semplice raccolta
di esempi, vuole dimostrare che la scorta dei grandi uomini non è
messa assieme dalla Provvidenza: presuntuosi mezzi-scemi, furfanti
ambiziosi, indesiderabili di ogni specie, hanno adulterato a tal segno
questa scorta che soltanto la reazione a simili individui è riuscita
ad avvolgere di un alone romantico la parola democrazia e a conferire
all'Anarchia il valore di un riflesso condizionato. E' bene d'altra
parte notare che queste stravaganze hanno a loro volta prodotto varie
reazioni: vedi feudalismo, oligarchia, diritto divino a favore di
monarchi e la favola ora di moda nominata totalitarismo, cioè la
completa sottomissione dell'individuo allo Stato. Tutti, a ogni modo,
democratici e anarchici quanto militaristi ed ecclesiastici,
posseggono i loro eroi, senza di cui si sentono pecorelle smarrite.
Un partito privo di capo, e uno Stato privo di governanti somigliano a
una nave senza nocchiero, cosicché il problema di fronte al quale si
sofferma il filosofo politico è quello di escogitare i vincoli atti a
tenere a bada, per lo meno moralmente, i capi. Con ogni probabilità i
francesi avevano ragione quando, per restaurare l'ordine a casa loro,
scelsero Napoleone. Egli riuscì difatti a governare con maggiore
abilità di quanta il Direttorio avesse saputo mostrarne al medesimo
scopo. Il guaio è che ben presto egli volle assicurare a sé e ai suoi
il fasto derivante da una corona regale e impose così al Papa di
riconoscerlo quale imperatore del Sacro Romano Impero. Sebbene allora
Napoleone fosse considerato lo spirito più realista del mondo, ecco
che a Sant'Elena egli si mise a litigare con sir Hudson Lowe perché
realisticamente questi gli rifiutava un titolo che più non aveva e lo
chiamava: generale Bonaparte. I pochi fedeli compagni volontari del
suo esilio dovevano star ritti in piedi alla sua presenza e dargli il
titolo di Sire, benché in realtà egli fosse ormai men che nessuno.
Quando, mercante di gloria, conobbe la bancarotta, di lui non rimase
altro che il sognatore pietoso di una impossibile restaurazione,
sognatore intento a ricostituirsi una figura morale scrivendo numerosi
volumi letti unicamente dai più diligenti tra gli studiosi di storia.
Perfino all'apice della sua fortuna egli teneva in così poco conto la
realtà da cacciar via un Volney, altro spirito decisamente realista,
perché si era mostrato favorevole al ritorno dei Borboni in Francia.
Un'altra volta in un accesso d'ira fece giustiziare il duca d'Enghien,
ciò che praticamente lo rese un assassino, mentre ai suoi nemici
Enghien morto serviva molto di più che Enghien vivo.
E' quindi giusto conferire a Napoleone le qualifiche di ambizioso,
vanaglorioso, assassino e mascalzone. Confrontato con generali
altrettanto famosi e più originali di lui, un Marlborough, un
Maresciallo di Sassonia, un Wellington, egli è ben lungi dal risultare
un gentiluomo. Confrontato al suo subordinato Bernadotte, i cui eredi
detengono tuttora il trono di Svezia, egli appare un fallito. Coloro
fra i suoi detrattori che credono l'indomabile coraggio dote
necessaria a ogni grande generale possono far rilevare che in due
occasioni della sua vita egli si sentì atterrito, tanto che nella
prima dovette la vita al fratello e nella seconda provò tale paura da
tacciare egli stesso la propria condotta di codardia. Al confronto con
l'antico compagno di scuola, e per molti anni suo segretario privato,
Bourrienne, il quale si dimise da quest'ultimo incarico dopo aver
gratificato il padrone con appellativi poco protocollari, egli appare
simile a un povero diavolo a cavallo di un destriero lanciato al
galoppo sulla via della perdizione. Difatti, oltre la rovina procurata
a se stesso con la schiacciante disfatta politico-militare, si dice
che egli abbia fatto perdere alla nazione francese qualche pollice
della sua statura causa la falcidia di giovani vite buttate via in
tante battaglie. Non sono queste che poche prove messe giù alla bell'e
meglio, ma chiunque si sentisse portato a compilare una lista più
completa potrebbe aggiungerne di ben più gravi.
Serio errore sarebbe concludere sulla base dei fatti sopra menzionati
che Napoleone non fosse un grande uomo. I fatti dimostrano unicamente
che la natura di Napoleone differiva da quella di un Dio in sembianza
umana; visto però che la qualità divina è proprio quanto i suoi fedeli
riscontravano in lui, si può tranquillamente affermare che grandi
uomini e dèi antropomorfi sono similmente frutto di pura fantasia.
Il potere non corredato del necessario carico di responsabilità, disse
lord Acton, corrompe qualsiasi uomo. A volte, vedi Nerone e
Torquemada, esso produce orrendi eccessi di crudeltà e bigotteria.
Altre volte, uomini come Cesare, Maometto, Cromwell e Washington
riescono a trarre il miglior partito possibile dal loro potere, o, per
lo meno, non il peggiore. E' doveroso confessare che, nel complesso,
l'enorme maggioranza dei governanti assoluti non ha abusato della
propria autorità. Questa maggioranza ha governato seguendo la
falsariga stabilita dalla condotta morale, legale e rituale, ciò che
risulta efficace quanto una costituzione. Il Cadi, benché
apparentemente un despota, non provoca certo rivoluzioni, seduto, come
si confà, sotto un palmizio. E' soltanto al momento in cui si tratta
di addivenire a riforme che i despoti incominciano a intorbidare le
acque e il grande uomo si fa strada. Cromwell, il birraio signorotto
campagnolo, diventa Lord Protettore; lo zar Pietro diventa Pietro il
Grande; Bonaparte, semplice tenente d'artiglieria, diventa
l'imperatore Napoleone; Kemal, subalterno anche lui, diventa
Supersultano; Mussolini, giornalista proletario, regna simile a un
Arciduca; Hitler e Stalin, entrambi di nessuna importanza sociale, si
trovano per sola legge di gravitazione a raccogliere ed esercitare un
potere di cui nemmeno sognarono gli imperatori del Sacro Romano
Impero. Fra tutti questi despoti, unicamente Cromwell con l'aiuto
della sua Bibbia, e Stalin coadiuvato dalla filosofia marxista, si
mantennero entro limiti costituzionali (seguirono cioè qualche
principio etico), tanto che essi soli riuscirono ad aver fortuna nella
loro opera di governo. Napoleone principiò la sua carriera quale
strumento giacobino della Rivoluzione francese e quale collega di
Siéyès, specialista in costituzioni; tosto però egli si liberò di
Siéyès e proseguì il suo cammino, simile in ciò al Riccardo terzo di
Shakespeare che nella sua ultima professione di fede disse: «Ci
servano le nostre forti braccia di coscienza, e le spade di legge».
Troppo poco so di Kemal Ataturk per riuscire a classificarlo; certo è
che la stabilità del suo successo e la consistenza delle sue riforme
inducono a credere sia stata la speciale quadratura del suo cervello a
servirgli da costituzione. Pietro, un terribile furfante, era fautore
della civiltà occidentale, simile in ciò al nostro Governo in India;
ora l'ideale occidentale, anche se ciecamente messo in pratica,
distoglie i governanti dal naturale egoismo e dona loro un credo. Dato
poi che di credo se ne trovano d'ogni sorta, non importa quale di essi
si scelga un uomo di governo. Ateo o affiliato alla confraternita di
Plymouth, giainista o musulmano o buddista, seguace di Confucio o di
Lao-Tse, cattolico o protestante, cattolico romano anglicano od
ortodosso, ritualista o quacchero, purché egli (o ella) militi nella
fede e non sia passivo, le regole di governo a cui si atterrà saranno
sempre extra-personali e perciò prevedibili; se poi queste regole sono
anche accettabili, atte allo scopo e popolari, con molte probabilità
esse riusciranno a durare per quanto anti-democratiche nella forma. In
poche parole, benché non si possano sempre prevedere le azioni di
questi tipi di autocrati, si può tuttavia prevedere quelle che non
faranno mai. Hitler e Mussolini hanno fallito a questo riguardo. Essi
sorsero al loro posto di preminenza perché seppero attuare alcune
riforme volute dai più, ciò che assicurò loro l'idolatria di molti; ma
poiché non posseggono un credo ben definito e intelligibile, nessuno
riesce a immaginare dove si fermeranno. Privi di un credo, al fine di
mantenere la loro supremazia si trovano costretti a nutrire i loro
adoratori di glorie militari, e i loro finanziatori di successi
commerciali. Tutto ciò non è però possibile a getto continuo.
Napoleone rimase quindici anni al suo posto di mercante di gloria; suo
nipote venti; Mussolini ventuno. Dopo solo dieci anni, a dispetto di
sbalorditive conquiste, il potere di Hitler è già malamente scosso. A
Sant'Elena, Napoleone può forse aver giudicato che per mezzo dei suoi
effimeri successi egli era riuscito a donare al suo paese maggior bene
di quanto non avessero saputo procurargliene i governanti da lui
soppiantati, e nulla impedisce che anche gli altri dittatori
giudichino allo stesso modo su quanto li riguarda. Ciò non serve però
a perdonare la futilità e la corruzione che furon causa delle loro
fortune, né lo spargimento di sangue, la distruzione e la
demoralizzazione che il mercante di gloria deve, per riuscire,
sostituire alla «grazia di nostro signor Gesù Cristo». Tutto il bene
operato dai grandi uomini avrebbe potuto veder la luce senza di loro
se i Governi o governanti che essi hanno sostituito fossero stati
efficienti o per lo meno ragionevoli.
Due altre insidie rendono poco consigliabile il governo dei grandi
uomini. La prima è che ben presto il lavoro li logora. Dopo sei anni
di fatiche Napoleone considerava finito un generale; egli stesso non
era certo il medesimo uomo a Lipsia e nemmeno a Waterloo, dopo il
forzato riposo dell'Elba, di quel che era ad Austerlitz. Tuttavia il
comando di una guerra è lavoro alquanto più semplice del governo
civile di un Impero; infatti per conseguire la vittoria si rinuncia a
qualsiasi interesse a essa opposto, a ogni salvaguardia morale o
costituzionale, mentre tutto ciò in tempo di pace funziona in pieno e
non può venir soppresso con la violenza. Negli Stati Uniti la carica
di Presidente dura quattro anni; soltanto la pressione esercitata da
una guerra o la miglior scelta fra due mali ammettono una seconda
rielezione. Dato però che quattro anni sono veramente pochini, la
rielezione diverrà probabilmente consuetudine ogni qualvolta un
Presidente avrà operato bene.
La seconda obiezione a sfavore del potere affidato alle mani di un
grande uomo sta nel fatto che questo sistema di governo diventa troppo
totalitario per risultar veramente possibile. Certo è che, se il più
capace tra gli autocrati dovesse dirigere da solo ogni attività del
suo paese, nel volgere di pochi mesi egli se ne andrebbe all'altro
mondo. Bisogna dunque che abbandoni i vari governi locali nelle mani
di piccoli autocrati scelti fra i più ossequienti suoi seguaci
piuttosto che tra i rivali più abili. E' degno di nota osservare che
all'epoca in cui il presidente degli Stati Uniti e lo zar di Russia
rappresentavano i due estremi, l'uno di un Governo responsabile,
l'altro dell'Autarchia, il credito politico e commerciale concesso al
presidente e ai suoi ministri era di gran lunga superiore a quello
goduto dallo zar e dai suoi governanti, benché ognuno di questi
godesse di tanto potere da riuscire facilmente a far radere al suolo
un'officina nel caso che la loro amante non ne avesse gradita la
vista.
Questi sono fatti, e poco c'è da dire contro la loro evidenza. Il
governo di un singolo uomo idolatrato lascia poco campo alla civiltà.
La nostra salvezza non può venire che da un consiglio di persone
provate e qualificate allo scopo, soggette quanto più è possibile alla
critica del pubblico e a periodiche - in caso di urgenza anche
sommarie - rimozioni e sostituzioni. La finalità per cui mi sono
accinto a questo libro sta appunto nel desiderio di mostrare la
necessità di liste in cui includere i qualificati alle varie
specialità e di suggerire le voci necessarie nei criteri di giudizio.
E bene non desumere da quanto scrivo che esistono Stati i quali
possano dispensarsi da qualsiasi espressione d'autorità assoluta
riconosciuta infallibile. In ogni ramo debbono aversi autorità le cui
decisioni siano conclusive; sì, dalla massaia nella sua cucina al papa
in Vaticano. Il papa, però, si riconosce unicamente infallibile quando
parla ex-cathedra, cioè in consiglio con i suoi cardinali e l'ausilio
della Biblioteca vaticana. Le considerazioni fatte da Alessandro
Borgia nel corso dei suoi assai scandalosi trascorsi sono tutt'altro
che pontificie. Papa, in Inghilterra, è il Consiglio giudiziario della
Camera dei Lords, ed è pure qualificato infallibile soltanto quando
riunito in Consiglio: le conversazioni tenute dai giudici fuori
consesso non hanno maggior valore delle vostre o delle mie parole. Non
che il papa o il Consiglio giudiziario, il Vaticano o la Camera dei
Lords siano realmente infallibili, poiché in natura non esiste cosa
alcuna che pur da lontano ci autorizzi a credere in una infallibile
autorità umana. Qualcuno deve, però, avere l'ultima parola: tutto è
lì, ma per lo meno quest'ultima parola sia pronunciata soltanto ex-
cathedra, sia l'ultima parola di un Consiglio e non di un individuo.
In un Consiglio il capo può avere, è vero, abbastanza influenza da
fare virtualmente di lui un dittatore; ma poiché nessun capo può
sapere tutto, se realmente le decisioni dipendono soltanto da lui egli
deve essere abbastanza accorto da lavorare con i suoi assessori,
vedere e ascoltare ogni parte e tenersi informato di tutti i fatti
locali. Gli assessori, però, non riescono a sostituire buoni
consiglieri: è legge naturale che mai i fatti acquistano evidenza se
non molto tempo dopo gli eventi. Gli uomini di Stato meglio informati
debbono saper indovinare a priori, dato che, come disse Wellington,
essi non potranno mai vedere quanto accade sull'altro versante del
colle.
E bene non preoccuparci esclusivamente del come guardarci da un regime
di Governi insopportabilmente cattivi poiché ve ne possono essere di
insopportabilmente buoni. Da Amenhotep quarto, re dell'antico Egitto,
ad Amanullah, khan dell'Afganistan, parecchi sono stati i monarchi,
cerebrotonici illuminati, che tentarono di imporre ai loro soggetti
riforme e nuove istituzioni troppo elevate per essere comprese. Ognuno
di loro fallì nell'intento, raccogliendo una messe di odio maggiore di
quella raccolta da Nerone e dallo zar Paolo. Quando, negli Stati
Uniti, il movimento a favore della temperanza nel bere culminò con la
legge detta del proibizionismo, i risultati ottenuti furono
soddisfacentissimi; questi risultati si stanno tuttora affermando qua
e là in Inghilterra per mezzo di associazioni locali e in tutta la
Svezia e anche altrove. Tuttavia, dall'illecito traffico degli
alcoolici sorto negli Stati Uniti a frodare la legge proibizionistica
si sviluppò un tale eccesso di criminalità che l'abolizione del
proibizionismo venne giudicata un male minore che non il mantenimento
del medesimo nella costituzione. Fossi un despota onnipotente
distribuirei le condizioni di normale vitalità in modo da procurare ai
miei soggetti una totale indipendenza dagli analgesici, intossicanti,
stimolanti, e dal tabacco, carne, pesce e selvaggina. Mi proverei pure
a ostacolare il commercio di tutti questi generi fino ad abolirlo, né
mi lascerei commuovere dalle chiacchiere sulla «libertà per ognuno di
scegliersi la propria dieta» e dalle grida di: «Meglio un'Inghilterra
ubriaca ma libera, che un'Inghilterra astemia e schiava». Il fatto è
che non aspiro a diventare uno zar britannico e nemmeno a essere
linciato: tra l'altro mi si giudica, a ragione, troppo buono per
governare una nazione povera, incapace perciò di affrontare le
difficoltà inerenti alla combinazione di povertà e bontà. Un amabile
buontempone conoscitore di whisky, di sigari e di cavalli, fornito
inoltre di esuberante energia e scarso intelletto, riuscirà sempre più
popolare di quanto potrei sperare esserlo io, e per di più non
provocherà come farei io un movimento regicida. Fossi quel tale
onnipotente despota e morissi di morte naturale, la mia dipartita
sarebbe seguita da una reazione al cui confronto quella scatenatasi
alla morte di Cromwell parrebbe un'inezia. E' bensì vero che la
licenziosità della corte inglese all'epoca della restaurazione non
toccò l'intera nazione, la quale è tuttora puritana; in quanto
all'opera moralizzatrice di Calvino e di Knox, ottima quanto quella
svolta da Cromwell, essa non andò del tutto perduta benché, omettendo
di concedere al demonio quanto gli era dovuto, essi istigassero una
reazione imponente del tutto inutile. Senza questa omissione mai
avrebbero confuso il Divino Artefice con il Principe delle Tenebre...
Eppure questi puritani filistei riuscirono a intravedere sprazzi di
luce grazie alla parola musicale della Bibbia inglese. Cromwell
riteneva immorale l'arte drammatica ma approvava l'opera. Un ministro
a cui chiedevo un giorno una dotazione in danaro a favore di una
scuola drammatica a cui mi interessavo mi rispose: «Non potreste
mettere un organo in qualche parte della scuola?». Acconsentii e
ricevetti la somma voluta. Lo stesso ministro si distinse quale capo
dell'opposizione al tentativo fatto in Parlamento di rivedere il "Book
of Common Prayer" [11], documento del tutto sorpassato in parecchie
questioni essenziali ma che, come opera d'arte, riveste ancora
l'antico fascino.
Per fortuna la Bibbia non si accontenta di essere la più alta
espressione dell'arte letteraria inglese. Molto in essa ci appare
pericoloso e barbaro, ma l'insieme tutto nella sua costante
associazione con il campo spirituale si ispira alla musica, esentando
a questo modo la più incantevole delle arti dalla dannazione in cui
incorrono le arti figurative, le quali persistono nel rappresentare
immagini a somiglianza di quanto esiste in cielo, giù in terra e sotto
nell'acqua, fino a travestire volgari istrioni con i paramenti
devoluti ai personaggi sacri.
Morale: i capi e comunque i governanti dovrebbero essere muniti di una
buona cultura estetica, così da non cadere troppo facilmente
nell'errore popolare che suole confondere l'arte ricreativa con lo
sconcio di quanto, imitandola, la prostituisce. Cromwell finì per
convincersi che, sebbene il regno dei Peccatori [12] risultasse tanto
cattivo da indurlo a decapitare re Carlo, il regno dei Santi rendeva
impossibile ogni arte di governo. Venticinque anni fa la Russia abolì
Dio, soppresse la Bibbia e fece sua la massima dell'abazia di Thélème:
«Fa' ciò che vuoi». Oggi la Russia è il paese più puritano del mondo e
non palesa il minimo segno di una controreazione.
Se dovessi scegliere fra due Governi, l'uno retto da fanatici, l'altro
da fautori di Laodiceo, darei il mio voto a quest'ultimo. A entrambi
preferisco però un Governo retto da uomini equilibrati e illuminati.
40.
PER I CRITICI
Debbo pure considerare i critici e per questo mi ripeto qui. I miei
primi passi nella carriera letteraria li feci appunto come critico, e
so benissimo che la lettura di un libro da parte del revisore dipende
dalla somma che riceverà per la sua recensione. A volte è un semplice
giudizio sulla copertina; in questo caso l'autore è fortunato perché
il giudizio suona sempre laudativo. Spero perciò anch'io in un
giudizio attraente sulla copertina del mio libro. La questione è, che
alcuni critici, essendo ben pagati, si possono permettere il lusso di
fare un esame coscienzioso. Dato però che a leggere interamente un
libro perderebbero troppo tempo, non può far loro altro che piacere se
qualcuno riassume lo scritto.
In ultimo è bene non dimenticare il lettore il quale, lui, paga per
ottenere il privilegio di leggere ciò per cui sono pagati i critici.
Egli, o ella che sia, raggiunto il trentesimo capitolo ha sovente una
tale confusione in capo che abbisogna, a ritrovar equilibrio, di un
breve riassunto il quale serva a ricordargli quanto era scritto nelle
prime pagine.
Ecco perché intendo fare un giro a volo d'uccello sui vari campi da me
sorvolati in questo mio libro.
Cinque sono i rami in cui una civiltà, specialmente se antiquata e
appesantita da superstizioni innestatesi sul suo tronco per mancanza
di cure, potature eccetera può perdersi, e cioè: l'economia, la
politica, la scienza, l'educazione, la religione. A mio parere in
tutti e cinque questi rami siamo pericolosamente in ritardo sui tempi
e finiremo a catafascio come le precedenti civiltà a nostra
conoscenza, se non ci decideremo a revisionare con una certa frequenza
le nostre istituzioni.
Sorge ora una questione: sotto quale punto di vista ci troviamo
arretrati? Per il signor Ognuno e Consorte non solo non siamo in
ritardo con i tempi, ma addirittura in notevole anticipo, e questo
perché il signor Ognuno e Consorte son tanto ignoranti e ineducati
nelle questioni economiche, politiche, scientifiche e religiose da non
sapersi autogovernare e, meno ancora, scegliersi con una certa
saggezza i propri governanti. Così, i loro mal scelti governanti li
conducono in tali pasticci che, colti dalla disperazione, i poveri
signori Chiunque cadono in balia di dittatori autonominatisi tali, i
quali tosto si corrompono nell'esercizio del potere assoluto. E qual è
l'uomo, ammettendolo incorruttibile, che sarebbe capace da solo di
maneggiare un simile potere? Presto o tardi questi despoti invecchiano
e muoiono lasciando i loro adoratori sperduti e angosciati fino a che
non sorga un nuovo avventuriero a raccogliere la sua messe di
idolatria.
La sola cura radicale a tanta ignoranza la si troverebbe in una
educazione completamente aggiornata e a portata di tutti, tecnica e
obbligatoria fino a un dato punto (si obbligano bene i ragazzi a
studiare la tavola pitagorica), e, oltre quel dato punto, volontaria
razionale ed estetica, spinta al limite dell'umana conoscenza e
capacità. Questo limite varia tanto da un individuo all'altro, che i
nostri tentativi di imporre a menti di media levatura l'istruzione
superiore senza lasciarsi guidare da un qualche concetto
discriminativo è non soltanto una perdita di tempo, ma anche una
perniciosa crudeltà. Tanto varrebbe mettere un bimbo a remare nelle
regate universitarie. D'altra parte, negarla a un Einstein o a un
Gilbert Murray significherebbe impedire il completo fiorire di qualche
genio, di valore forse inestimabile per la civiltà. Ecco perché
l'istruzione superiore dovrebbe essere alla portata di tutti e imposta
a nessuno. Gli individui né troppo né troppo poco istruiti trovano
gioiosamente il loro posto nel mondo e ammettono per primi che l'idea,
puramente teorica, patrocinata dal nostro Ministero dell'Istruzione e
dai nostri adulti suffragisti, idea per cui chiunque può essere
educato a scuola a divenire un matematico, uno scrittore di poesia
epica greca o latina, un filosofo che faccia epoca, un papa o un
primate, un competente Primo Ministro o il membro di un Governo, un
maresciallo vittorioso o un ammiraglio, un giudice di Cassazione, un
abile negoziante o un direttore di fabbrica, e con molto minor impegno
un individuo qualificato a giudicare ed eleggere tutti costoro, è una
sciocca pedanteria. Chi si dedica alla carriera del governo deve
possedere le necessarie qualità e abilità, e deve acquistare una
tecnica esecutiva pari a quella che nel loro campo possono avere un
falegname e un cuoco. Ecco perché nei loro vari gradi e incarichi i
designati a governare dovrebbero essere scelti da liste in cui fosse
iscritto soltanto chi avesse superato le prove più adatte a mostrar la
sua capacità, e non a casaccio da un elenco telefonico o da liste di
contribuenti compilate senza alcun criterio discriminativo.
La natura fornisce miracolosamente il numero necessario di individui
dotati delle più alte qualità specifiche, e li fornisce sempre in
eccesso - dando agli elettori un vasto campo di scelta il quale, solo,
rende possibile la democrazia - purché il rifornimento non ne risulti
impedito, come lo è oggi che si vuol negare ai nove decimi del popolo
la necessaria educazione. Questo speciale operato della natura viene
chiamato divina provvidenza. Da un secolo a questa parte i nostri
scienziati di professione ne negano l'esistenza o la ignorano allo
stesso modo in cui la provvidenza diabolica produttrice della nostra
percentuale di idioti viene negata dai democratici dottrinari. Questa
speciale provvidenza è invece idoleggiata dai nostri partiti
democratici, e generalmente dai nord-americani, i quali sostengono che
in politica non esiste ciò che si usa denominare specializzazione,
dato che qualsiasi maggioranza risulta in ugual modo infinitamente
saggia quanto a filosofia sociale e infallibile come elettrice.
Beninteso è questa una sciocchezza; la regola della maggioranza non è
altro che l'accettazione pacifica di una probabilità, che, nel caso in
cui i vari partiti si battessero per ottenere la supremazia, darebbe
la vittoria al partito più numeroso, non certo a quello dotato
maggiormente d'ingegno. La natura, o divina provvidenza, comunque
vogliate chiamarla, è orientata tutta verso il governo di minoranza; e
questo spiega perché i ministri competenti siano in ben più esigua
minoranza che non gli stagnini e i sarti. Non si conoscono maggioranze
professionali, e un Governo saggio è la vocazione più altamente
specializzata che vi sia. I sedicenti democratici di professione,
ignari di questi fatti, vengono nel mio libro trattati con la massima
irreverenza e nominati "pubblica calamità". Beninteso entrambe le
categorie mi rendono pan per focaccia bollandomi di "nemico delle
scienze" e "vecchio codino". Ma per quanto ci possiamo bisticciare, i
fatti sono fatti e il lettore farà bene a osservare il mondo senza
prestar attenzione ai nostri reciproci vituperi.
Passiamo, ora, ai miei sommari.
41.
SOMMARIO ECONOMICO
Tutti, lavoratori e scansafatiche, debbono dormire otto ore su
ventiquattro e riservare due altre ore per mangiare, vestirsi, lavarsi
e fare quel tanto di moto che non è possibile scaricare in nostra vece
sui cavalli, sulle automobili o sulla schiena di Sindbad il marinaio.
Vero è che dormire, mangiare, bere e moderatamente far moto sono
attività piacevoli e nessuno perciò vorrebbe farsene esentare; nessuna
legge, d'altra parte, riuscirà mai ad alterare il funzionamento
materiale di queste attività, cosicché allo statista premono soltanto
le quattordici ore rimaste libere per essere impiegate in un lavoro
produttivo e vantaggioso.
Così, dunque, schiavo come la natura lo ha creato, l'uomo deve
lavorare; senonché l'avversione per il lavoro obbligatorio è tale in
lui da spingerlo a far di tutto pur di ridurlo e accaparrarsi il
maggior tempo possibile da dedicare a far quanto gli piace: questo
tempo libero ha per nomi riposo e svago. Come il lavoro, esso è
trasferibile. Utensili, divisione del lavoro e produzione in massa,
macchine e macchinari, vapore, elettricità, pressione vulcanica usati
quali forza motrice, rendono oggi tanto produttivo il lavoro da far sì
che quattordici ore dedicate al lavoro da un solo operaio producano il
guadagno necessario a mantenere per una intiera giornata vuoi
parecchie famiglie oltre quella del lavoratore, vuoi con larghezza
regale la sola famiglia del proprietario e nell'indigenza qualche
famiglia di lavoratori, vuoi qualsiasi altro aggiustamento possibile
fra questi due estremi. Si deduce da ciò che, ove si avessero,
diciamo, quattordici milioni di lavoratori che lavorassero con la
maggior lena possibile, e si accontentassero di consumare unicamente
quanto necessita per vivere e riprodursi, un milione di famiglie
godrebbe quattordici ore al giorno di ozio, oltre a tutto il lusso
compatibile, senza aver dato alla comunità il minimo contributo di
lavoro all'infuori del travaglio a cui si sottopongono le loro donne
per mettere al mondo i figli.
Ab initio, nessuna persona sana di mente proporrebbe un simile
ordinamento di cose. L'intenzione prima di ogni società umana, tranne
nel caso di congreghe di ladroni, è stata sempre di stabilir per fermo
che chi non lavora non mangia. Ma quando, partendo dall'agricoltura,
la nostra società cominciò a progredire, il mezzo più sicuro per non
deviare da questa premessa morale apparve esser quello di concedere a
ogni uomo la proprietà della terra a cui dava le sue cure e di
istituire leggi atte a impedire a chicchessia di ricavar frutti dalla
proprietà altrui, senza previa concessione del proprietario o senza la
conferma di un atto di compera. Finché si ebbe abbastanza terra
fertile da dividere fra tutti i capifamiglia, questo sistema di cose
risultò assai soddisfacente. Ma non appena la terra migliore, e poco
dopo tutta la terra, fu divisa e le popolazioni crebbero da centinaia
a milioni di individui, proprio l'anomalia che la proprietà della
terra aveva cercato di prevenire venne da essa provocata: i
proprietari ebbero gli ozi e gli altri fecero tutto il lavoro.
Poiché nell'ordine di cose suddetto i senza terra erano schiavi con
appena quanto bastava per campare, e i proprietari avevano ben più del
necessario, il monopolio della terra creò successivamente il monopolio
del danaro risparmiato. Il danaro risparmiato rese possibile
l'attività industriale, e usato a scopo d'industria fu detto capitale.
I proprietari dell'industria si chiamarono capitalisti, gli schiavi
che non avevano danaro da cui prender nome si chiamarono proletari, e
la massa dei proletari fu il proletariato. Il monopolio del capitale
per parte di una classe sola fece pure dell'istruzione e della cultura
estetica il monopolio di una sola classe. Questi monopoli si
trasmisero da una generazione all'altra per mezzo di eredità o
lasciti, soli metodi con cui si può disporne fino a che lo Stato non
evolva in una Comune attrezzata a possedere, dirigere e amministrare
terre e industrie all'unico scopo di servire l'interesse pubblico.
Il semplice costume ereditario comporta la suddivisione della terra e
spezza il capitale in particelle sempre minori, finché a un certo
punto non vale più la pena di possedere l'uno e l'altro bene. E'
nell'intento di evitare ciò che i proprietari istituirono i diritti di
primogenitura, grazie ai quali la terra passa intatta al figlio
primogenito, dando vita a una nuova classe composta di cadetti dotati
dell'istruzione, cultura e abitudini dispendiose particolari alla loro
classe, ma privi sia di pane sia di companatico. Per guadagnarsi l'uno
e l'altro essi si dedicarono a professioni e affari, da cui, causa
l'ignoranza, il proletario si trovava escluso.
Automaticamente, senza che nessuno supponesse quanto stava accadendo,
si venne allora a formare un sistema poggiato su tre ceti: un ceto
alto, un ceto medio, e un ceto basso illetterato. Il ceto basso
superava in numero gli altri due ceti sommati assieme, ma troppo
povero e ignorante e preso alla gola per dedicarsi a una proficua
attività politica, privo di armi all'infuori dei bastoni e delle
pietre, di qualsiasi tattica eccetto gli scioperi e le sommosse, esso
non poteva far altro se non quanto gli veniva ordinato dai padroni, ed
era a mala pena pagato abbastanza da impedirgli di estinguersi in
massa, sebbene fosse decimato dalla mortalità infantile e dalla breve
vita degli adulti.
La lotta di classe nasce e perdura cronica in un simile stato di cose,
lotta in cui la classe superiore e quella media si mettono in lega
contro quella inferiore. Difatti gli uomini d'affari, che sono gli
strumenti attivi dello sfruttamento a cui è sottoposto il
proletariato, vivono accaparrandosi parte del bottino e abbandonano
l'esercizio della legislazione e della diplomazia a quei membri della
classe proprietaria a cui per capacità o fantasia piaccia dedicarvisi,
e lasciano agli altri componenti di questo ceto privilegiato l'agio di
vivere improduttivi sul cespite delle loro rendite.
Prima ancora che il sistema dei tre ceti fosse studiato nel suo
aspetto organizzativo, proteste e rivolte contro le iniquità da esso
derivanti erano all'ordine del giorno. Saggi, veggenti, profeti,
agitatori e demagoghi appartenenti a ogni ceto ne denunciarono
l'immoralità. Parecchi di loro furon martirizzati e il più conosciuto
tra questi è forse Gesù, il quale dichiarò esser più facile a un
cammello passare per la cruna di un ago, che a un ricco entrare nel
Regno dei Cieli. Avrebbe fatto anche bene a chiarire che per i ricchi
è facile essere virtuosi, mentre ai poveri ciò riesce tremendamente
difficile; ma Egli non era al corrente del sistema capitalista e,
trasportato dalla pietà verso i miseri e dal corruccio per il modo cui
era in uso trattarli, attribuiva ogni virtù ai poveri e ogni malvagità
agli abbienti. La verità è invece un poco diversa; cattivo è il povero
preso in massa, mentre in massa il ricco è migliore; ciò che sta a
dimostrare che il male da combattere e abolire non è la ricchezza,
bensì la povertà.
Verso il diciottesimo secolo il sistema capitalistico era ormai così
complicato, che per giungere a intenderlo si dovette lavorare duro. In
Francia i fisiocrati (specialmente Turgot) affrontarono il problema e
lo studiarono fino a un dato punto; lo scozzese Adam Smith riprese
l'argomento e Malthus, Ricardo e De Quincey lo condussero alla sua
finale chiarificazione. Essi riuscirono a convincere persone
intelligenti e generose come John Austin, Macaulay, Harriet Martineau,
Cobden e John Stuart Mill (quest'ultimo divenne poi socialista), che,
con tutti i suoi difetti, pienamente riconosciuti in quanto a ciò e
affrontati, il sistema delle tre classi era quanto di meglio la natura
umana potesse procurare. Il sistema venne adunque comunemente adottato
nella prima metà del diciannovesimo secolo; ma, dato che per forza di
cose ben presto lo si dovette rafforzare ovunque con provvedimenti di
marca comunista, esso è tanto discreditato in Inghilterra che l'ultimo
cobdeniano presentatosi alle elezioni non raccolse nemmeno i voti
necessari a rimettersi in tasca il deposito lasciato per l'occasione.
Tuttavia il cobdenismo ha tuttora nelle università il suo posto
d'onore tra i sistemi classici di economia politica, e probabilmente
riacquisterà per intiero il suo perduto prestigio quando una
legislazione comunista sarà finalmente riuscita a creare un paese
liberato dalla povertà e dalla schiavitù, paese in cui ogni individuo
riceva la sua parte di agio e di danaro risparmiato. Ecco, allora, che
il cobdenismo potrà tornare abbastanza vitale da render nuovamente
attuabile la ristampa dei "Saggi sulla Libertà" del Mill; da
canonizzare Benedetto Croce accanto a Karl Marx; e da dominare le
menti come ai giorni migliori di Cobden e Bright le dominava il
"Libero Scambio".
E' che il cobdenismo non riuscì mai a convincere i sociologi più
illuminati, coloro cioè che sapevano vedere oltre gli interessi della
classe cui appartenevano e conoscevano il mondo in tutte le sue
debolezze. I fatti erano troppo orrendi. Ruskin, Carlyle e Dickens non
vollero saperne delle piacevoli teorie miglioriste e di tutte le
chiacchiere sulla "spinta al progresso" (vedi Macaulay). Essi si
resero conto che il capitalismo era una strada per soli predoni e non
vollero perder tempo a studiarne la teoria; così, poiché non lo
conoscevano, non seppero trovargli un soddisfacente antidoto politico.
Sorse allora Karl Marx, un profeta che aveva letto i rapporti degli
ispettori di fabbrica, e più di qualsiasi altro conosceva le
condizioni di vita della classe lavoratrice. Essendo ebreo egli ne
soffriva come Geremia avrebbe potuto soffrirne, e, con altrettanta
foga, odiava. Educato al metodo di Hegel, seppe far suo quel tanto di
pensiero ricardiano da potergli tener testa con le stesse armi.
Ferdinand Lassalle, altro ebreo di genio, fece la stessa cosa in
Germania: i due uomini possedevano tra loro quanto mancava a Geremia,
a Gesù, a Ruskin: un'economia politica atta a tener testa a quella
insegnata da Ricardo e da Cobden. Questa economia, chiamata
socialismo, poté risolvere i problemi inerenti alla produzione in
massa e all'agio da procurarsi alle masse. A questo scopo essa
patrocinò la statizzazione della terra, il controllo e l'esercizio
delle industrie da parte dello Stato, e, sempre a opera dello Stato,
la ripartizione del prodotto fra consumo, capitale e investimento,
ponendosi così in aperto contrasto con le restrizioni cobdeniane
all'attività statale, la quale secondo questa ultima doveva unicamente
preoccuparsi di controllare la polizia, la diplomazia, l'alto clero e
proteggere il contratto privato.
L'antagonismo fra i due sistemi ha indotto qualcuno a fonderli
insieme. I socialisti fabiani apersero gli occhi ai nostri cobdeniani
di Manchester e del Midland sull'enorme impulso che le risorse
finanziarie e l'appoggio politico concesso dallo Stato possono dare
all'iniziativa commerciale. Riuscire a tanto senza riconoscere allo
Stato la qualità di proprietario terriero, o il diritto di confiscare
rendite e interessi, porta la classe capitalista a una ricchezza così
grande da permetterle tetragona ormai all'avarizia - di essere
generosa verso il proletariato, soddisfacendo così una decisiva
maggioranza di elettori. Questa politica, chiamata fascismo in Italia
e nazionalsocialismo in Germania, sta prendendo piede e sviluppandosi
sempre più in Inghilterra e nelle cosiddette democrazie occidentali
dove è rimasta innominata. Capitalismo di Stato è il suo vero nome,
ma, poiché lo si suole confondere ancora con il vecchio capitalismo
privato, i sostenitori di quest'ultimo denunciano il fascismo italiano
e tedesco quali prodotti di un terribile e malvagio sistema politico e
lo additano all'obbrobrio generale. Tutto ciò è dovuto alla presente e
generale confusione delle lingue che, poiché le teorie capitaliste,
socialiste e fasciste sono unicamente capite da pochi specialisti,
porta a erronee interpretazioni di vocaboli e a errori d'ogni sorta da
parte di uomini politici o di giornalisti i quali non sanno che si
dicano. Invece i pochi non del tutto ignoranti in materia scoprono che
nel diciannovesimo secolo il socialismo si preoccupava troppo di
abolire la povertà e troppo poco di studiare un giusto impiego per le
ore di svago e la cultura. Il suono della parola socialismo percuote
gli orecchi di questi pochi, quasi fosse un barbarismo; essi, perciò,
a socialismo sostituiscono umanismo scientifico, espressione più
comprensibile e, senza dubbio, appartenente a lingua più raffinata,
libera se non altro dall'Inumanesimo che negli ultimi cento anni è
riuscito a orrendamente imbarbarire la parola Scienza.
Nel frattempo la tirannia imposta dalla natura domina tutte le
considerazioni politiche di partito e fondamentale rimane sempre il
problema intorno alla organizzazione della società umana. E'
necessario assicurare a ognuno il massimo benessere possibile,
distribuendo fra tutti, con criterio di giustizia, il peso del lavoro
e il beneficio dell'agio. Fino a tanto che tutto questo, oltre a esser
richiesto, non verrà pure messo in pratica, tutte le costituzioni,
"slogans" da comizi e programmi politici - dai Comandamenti di Mosè e
dal Sermone della Montagna alla Carta Atlantica e al Convegno di
Teheran - avran poco più valore di bolle di sapone. Benedetto Croce ha
ragione quando insegna che la libertà è chiave alla storia; ugualmente
ragione Benito Mussolini nel chiamare la libertà un cadavere fetido.
Quanto a noi, gridiamo a gran voce di essere entrati in guerra per
difendere la democrazia, e Adolf Hitler ci risponde che la democrazia
inglese non è altro che una plutocrazia anglosemitica. Libertà e
democrazia sono due parole vuote per il cittadino che non gode di
qualche agio. Là dove il 90 per cento della popolazione deve
sobbarcarsi il peso di tutto il lavoro e rinunciare a ogni svago,
mentre il 10 per cento ha tutto lo svago e nulla del lavoro (o poco ci
manca), la libertà è un miraggio fuggevole; la Magna Carta, la
Dichiarazione dei diritti dell'uomo, la Costituzione americana, il
motto francese Libertà, Fraternità, Uguaglianza, semplici pezzi di
carta; né si riuscirebbe a congegnare qualche nuova dichiarazione dei
diritti; un simile stato di cose rende endemica la guerra di classe e,
come si è dimostrato in Spagna e in Russia, questa guerra è
tremendamente sanguinosa e distruttiva. Le vecchie qualifiche dei
partiti: democratico e repubblicano, laburista e nazionalista,
liberale e conservatore, di destra e di sinistra, reazionario e
progressivo, non sono più appropriate; bisogna invece appurare se i
candidati hanno opinioni pre - o post marxiste; se sono capitalisti,
fascisti o comunisti. Per intanto, fino a che la distribuzione del
lavoro e degli agi rimane corrotta quale è oggi, tutti i Governi,
centrali o locali che siano, agiscono quali strumenti di corruzione, e
ciò indifferentemente dalla democraticità dei principi e dei programmi
a cui si attengono.
Questo punto di vista sulla situazione economica è basilare in vista
di uno sviluppo armonico della politica moderna.
42.
SOMMARIO POLITICO
Soltanto un cosiffatto parlamento può propriamente chiamarsi Camera
dei Comuni. Non dovrebbe però essere investito del potere di emanare
leggi in quanto la capacità legislativa è tutt'altro che comune. La
natura provvede una piccolissima percentuale di persone abbastanza
fuori dal comune da esser capaci di rivedere, progettare, aggiungere
qualche articolo ai Dieci Comandamenti, o anche soltanto di provvedere
acciocché i loro precetti vengano messi in pratica con efficacia. Ma,
a meno che questa piccolissima percentuale possa essere eletta dal
popolo, e dal popolo venir rimossa, esso, non sentendosi governato da
persone scelte dalla sua libera volontà, si darà alla sedizione. Per
fortuna, ai veri bisogni la natura provvede sempre e con estrema
larghezza: nel mare, per esempio, un uovo di pesce ha una probabilità
su mille di riuscire a schiudersi; la natura, allora, mette riparo
procurando le uova a milioni; un solo Primo Ministro, o Console o
Presidente che sia, e una dozzina di ministri bastano a governare un
paese; la natura, se l'ignoranza e la miseria non ne frustrano il
normale sviluppo, ne produce a centinaia. Un popolo ben nutrito e bene
istruito possiede perciò una percentuale di buoni legislatori del
tutto sufficiente a permettergli la scelta dei suoi capi; ora, la
facoltà di scelta è quanto occorre affinché gli elettori abbiano a
portata di mano uno strumento capace di stabilire sul Governo il
necessario controllo. Per riuscire a porre in atto questa facoltà di
scelta occorre sceverare dalla massa gli individui abili, e di questi
individui mettere alla prova le capacità; dopo di che bisogna
classificarli in apposite liste, ciò che a questo riguardo, per lo
meno, renderebbe l'arte di governare una professione come tante altre.
Allora soltanto, il legislatore e l'amministratore dei beni pubblici
si troveranno a pari condizioni del sacerdote consacrato,
dell'avvocato e del dottore iscritti negli albi professionali e del
laureato. Il tribuno, anche se non registrato su qualche lista, avrà
ugualmente agio di farsi sentire alla Camera dei Comuni. Si dovrebbero
perfino considerare dei mezzi con cui eccezionalmente eludere le
limitazioni procurate dalle prove esaminatrici. Questi mezzi
potrebbero essere le lauree "ad honorem" o i titoli vari conferiti a
professionisti in "bona fide", purché la capacità degli individui così
gratificati sia stata comprovata dagli eventi; a ogni modo tali
irregolari qualifiche ed evasioni non dovrebbero essere concesse che
da governanti vagliati con il sistema delle prove. Necessario, poi, è
che le prove siano ogni tanto aggiornate ai bisogni dell'epoca; a
questo scopo è bene riesaminarle sovente e considerarle provvisorie e
mutevoli, non sacre e infallibili.
Il sistema dei partiti, quale d'uso in Inghilterra, dovrebbe venir
relegato nel dimenticatoio. Lo si escogitò due secoli e mezzo fa per
metter in vincoli la Camera dei Comuni costringendo il re a scegliersi
i ministri nel partito di maggioranza e a sciogliere il Parlamento -
ciò che infliggeva ai deputati un'elezione costosa - ogni qualvolta
questo partito era sconfitto. Ecco perché i membri del Parlamento non
votano mai sui meriti o demeriti di un provvedimento, ma sempre
sull'interrogativo se il partito al potere deve rimanere in carica o
no, ciò che fa correre ad ambe le parti il rischio di perdere i propri
seggi e, nel caso in cui il Governo fosse rovesciato, procura gravi
spese e un cumulo di guai.
Bisognerebbe, perciò, adottare in Parlamento i metodi in uso presso le
nostre municipalità dove i membri vengono eletti per un tempo fisso, e
svolgono la loro opera in comitati stabili i quali studiano i problemi
di loro pertinenza e riferiscono al consiglio comunale le conclusioni
a cui sono giunti. Queste conclusioni vengono discusse o accettate,
emendate o respinte in vista soltanto del loro valore intrinseco; ciò
ha luogo perché i membri votanti non ricavano vantaggio o svantaggio
dal voto a cui sono chiamati, e perché il ripudio di qualsiasi
provvedimento non comporta l'immediato sciogliersi della giunta con
susseguenti rielezioni, né fa decadere dall'incarico il presidente
della sezione in causa. Attualmente i consiglieri municipali si
divertono al gioco della politica dei partiti guadagnando alle proprie
vedute i compagni più bovini, coloro i quali, se privi
dell'incitamento dato da qualche caporione politico, non saprebbero
per chi votare, e alle elezioni si oppongono ai candidati
indipendenti. Per rimediare a ciò bisogna escludere dalle liste
municipali i nomi dei bovini poiché, eccettuato loro, chiunque altro
sa dare il suo parere su un qualsiasi rapporto, indipendentemente
dalle considerazioni di partito.
Parlamenti e municipalità non permeano, però, l'intiero terreno
politico, e nemmeno lo permeeranno quando, scindendosi, si
moltiplicheranno al punto che invece di un parlamento ne avremo
parecchi. I versi che il dottor Johnson inserì nel poema di Goldsmith:
sono oggi ancora d'attualità, poiché i Sindacati operai. le
Associazioni professionali, il Consiglio generale dei medici, i
vescovi, la Borsa - non parliamo poi degli imprenditori privati, dei
finanzieri e delle loro federazioni - mantengono diritti di ammissione
o di esclusione da tanti lavori atti a procurare il pane quotidiano
che l'abolizione di ogni diretto controllo governativo, ammettendo
fosse possibile, lascerebbe i nostri mezzi di sussistenza alla mercé
di organizzazioni sulle quali non abbiamo nessun controllo. Soltanto
lo spirito di corpo, chiamato in Inghilterra etichetta professionale,
serve da verificatore alle citate organizzazioni e lo spirito di corpo
può venire in conflitto con la cura da darsi al bene pubblico, così
come finisce per procurare al sacerdote un interesse nel peccato,
all'avvocato nella lite, al poliziotto nel delitto e nella
dimostrazione di colpevolezza, al dottore nella malattia, alla Borsa
nel gioco, all'impero nella povertà e nella servitù, e all'impiegato
nel compiere il minor lavoro per la miglior paga ottenibile.
Qualsiasi organizzazione di questi sistemi antisociali tende a
trasformarsi in una cospirazione contro l'interesse pubblico. E' così
che, al fine di mantenere alti gli emolumenti da ottenersi
nell'esercizio di una data professione, esse procurano scarsità nei
servizi, creando gravose difficoltà quali tirocini inutilmente
prolungati, esami su questioni tecniche superate, prove di lingue
morte e questioni accademiche di nessuna importanza. Esse oppongono
una resistenza passiva a qualsiasi tecnica nuova atta a soppiantare la
loro propria e a imporre un nuovo studio; perseguitano senza pietà
chiunque non appartenga alla loro organizzazione. Ciò che garantiscono
di abilità e di sapere è sovente immaginario; quanto all'abilità,
basta considerare che si può ottenere il più grande attestato di
capacità chirurgica senza mai aver eseguito un'operazione, e quanto al
sapere, esso è spesso puramente accademico e antiquato.
Questo lasciar liberi da qualsiasi controllo statale organi capaci in
potenza e realtà a produrre simili danni, mentre, invece, usufruiscono
di poteri e privilegi che nessuno degli Stati componenti il nostro
reame sognerebbe chiedere, è semplice follia politica; tuttavia non ce
ne preoccupiamo mentre strilliamo di indignazione contro l'orribile
tirannia messa in opera sul continente dai moderni Stati fascisti i
quali nazionalizzano gli organismi di cui sopra incamerandoli nei vari
dicasteri. Nulla risulta certo più democratico del rifiuto di creare
uno Stato professionale ponendo per base che sono i profani, cioè gli
interessati, a dover controllare politicamente le professioni, e non
le professioni i profani.
Un'organizzazione medica in cui i pazienti non abbian diritto di
parola, un clero autorizzato a vincolare e sciogliere le anime dei
congregati, una professione legale non frenata dai clienti, un sistema
industriale in cui i produttori e non i consumatori siano
rappresentati, tutto ciò produce una tirannia pericolosa quant'altre
mai. Ciononostante riteniamo normale che il clero venga controllato
dai sacerdoti, i medici dai medici, i tribunali dagli avvocati, i
proprietari dai proprietari, gli agenti di cambio dagli agenti di
cambio, i minatori dai minatori, gli ingegneri dagli ingegneri e così
via. Allo stesso modo, in caso saltasse in mente a qualcuno di
promuovere una associazione atta a controllare delitti e furti,
dovremmo trovare naturalissimo che i membri di questo consesso fossero
tutti assassini e ladri. Perfino con un organismo del Consiglio
privato quale è da noi il Comitato generale di medicina, dovetti per
anni far fuoco e fiamme prima di ottenere che i profani, in questo
caso i pazienti, vi fossero rappresentati, e quando riuscii nel mio
intento fu soltanto in grazia alla scandalosa politica di persecuzione
a scapito di chiunque ne fosse fuori, condotta dal suddetto Comitato.
Questa consuetudine non è frutto di una linea di condotta deliberata.
La sua unica ragione d'essere sta nell'organizzazione dei produttori
fatta in anticipo su quella dei consumatori. Organizzarsi risulta
assai più facile per i primi che per i secondi, poiché i primi formano
organi assai limitati il cui solo scopo è la preoccupazione di
mantenersi in vita. I consumatori, invece, che nei casi più rilevanti
sono addirittura l'intera nazione, debbono esser organizzati
nazionalmente, ciò che significa che, fino a quando l'organizzazione
sociale non sarà sviluppata al punto da render possibili organismi
nazionalizzati a questo modo, ogni consumatore se la cava come meglio
può, ragione per cui i prodotti hanno la meglio.
Nulla da fare contro di ciò, poiché nelle popolazioni - milioni di
anime, oggi, in ciascuna nazione - i gruppi organizzati, lo sappiano
essi o no, finiscono sempre per governare i gruppi disorganizzati. Lo
Stato socialista nel suo aspetto marxista è una organizzazione dei
consumatori decisi a difendersi contro i produttori organizzati.
Finché l'organizzazione dei consumatori non risulti abbastanza estesa
da dominare quella dei produttori, la differenza di ingegno
riscontrabile in natura da che mondo è mondo renderà impossibile lo
stabilizzarsi di una vera democrazia, tanto più che alcuni ingegni,
fra i più preziosi, non sono lucrativi, mentre altri, tanto inferiori
da potersi meglio annoverare fra i vizi, rendono moltissimo.
I super-poeti, i super-filosofi, i super-matematici, debbono morir di
fame o rassegnarsi a impartire i loro insegnamenti da qualche cattedra
universitaria, a giovani del tutto incapaci, bisognosi unicamente di
imparare le risposte da dare alla tesi di esame, a meno che, imitando
Morris e Richardson, essi non intendano dedicarsi saggiamente a
un'industria assicurandosi a questo modo una rendita certa. Allo
stesso tempo, individui dai progetti arditi combinati con una spiccata
tendenza affaristica fanno fortuna tanto nel commercio quanto nella
finanza. Sotto il regime capitalista le carriere non sono aperte a
tutti gli ingegni: le porte si spalancano ad alcuni, mentre di fronte
ad altri rimangono ermeticamente chiuse. Al culmine della fama William
Morris, maggiore tra i maggiori poeti del diciannovesimo secolo, mi
disse che guadagnava un centinaio di sterline all'anno con le sue
poesie. Egli viveva però nell'agiatezza, grazie ai proventi di
un'industria e di un negozio per cui produceva e vendeva mobilia e
oggetti d'arte di grande pregio artistico; ben inteso, però, i suoi
proventi non erano lauti quanto quelli dei suoi concorrenti che
commerciavano roba scadente di gusto più che comune.
Robert Browning, tassato a vista per la sua attività poetica con un
imponibile di 100 sterline annue, minacciò di abbandonare il suo paese
per parecchi anni, e difatti se ne andò. Egli viveva con i proventi
del suo reddito privato non guadagnato. Newton per il suo calcolo
infinitesimale, Einstein per la sua relatività non furono pagati tanto
quanto lo sono stato io per una sola rappresentazione di una commedia
a cui nemmeno prendevo parte. Così anche tra coloro i quali godono di
ingegno eccezionale il reddito è caratterizzato da profonde
disuguaglianze senza calcolare, poi, le disuguaglianze dovute alla
proprietà privata in terra e capitali.
L'uguaglianza del reddito fino al punto di rendere affini tutte le
sezioni della comunità è base fondamentale a ogni civiltà stabile.
Questo scopo è facilmente ottenibile poiché i geni, i santi, gli eroi,
i conquistatori, e in generale tutti i cerebrotonici, non costano per
il loro mantenimento più dei semplici Tom, Dick e Molly. Ecco una
bella smentita di quanto è comunemente detto - i nostri Tom, Dick e
Molly ne parlano certo più sovente dei nostri Omero e Pitagora - e
cioè che, se individui meno abili e più poveri di loro ricevono per il
lavoro che fanno un aumento di mercede, è giusto che essi pure vengano
pagati di più al fine di mantenere una differenza di reddito quale
sicuro segno della loro superiorità. L'educazione dovrebbe bollare di
indegnità un concetto politico tanto misero; peccato invece che la si
usi per imporlo. Prendiamo a base il tenore di vita che oggi (1943)
viene rappresentato da una rendita di qualche migliaio di sterline
annue, e diciamo che tutti i redditi guadagnati debbono salire a
questo livello. Poiché l'estrema urgenza è maggiormente risentita dai
più poveri, si dovrebbe incominciare coll'innalzare il reddito più
basso fino al gradino che gli è subito superiore; livellati così i due
gradini più bassi, innalzarli assieme al grado superiore ancora, e
così via via finché non si raggiunga la parità previamente fissata.
L'operaio specializzato lasci aumentare la paga di quello comune fino
a raggiungere la somma da lui guadagnata, e allora, ma soltanto
allora, si adoperi a salire assieme al compagno fino al gradino
superiore posto sulla scala delle paghe. Nulla gli vieta, se questo lo
soddisfa, di credersi un essere superiore e di sentirsi orgoglioso
delle sue capacità; sappia però che il manovale e il garzone muratore
sono necessari quanto lui; sappia che da un momento all'altro
l'invenzione di qualche nuova macchina può fare del manovale e del
muratore due lavoratori inutili, oppure rendere lui inutile e il
manovale necessario; sappia ancora che il benessere del suo vicino è
parte inseparabile del suo proprio benessere: il palazzo più lussuoso
diventa indesiderabile e poco sicuro se gli sorge intorno un quartiere
miserabile in cui l'aliquota delle morti sia altissima. Più di ogni
altra cosa egli deve liberarsi dall'errata nozione per cui è spinto a
credere che la lunga gamma dei valori intercorrenti fra il lavoratore
comune a un estremo e la più rara di tutte le capacità tecniche
all'altro possa trovare la sua espressione in una scala di paghe,
salari, onorari, o in qualsiasi altra espressione monetaria.
Se poi per caso dubitasse di quanto sopra, si potrebbe domandargli di
esprimere in sterline, scellini e pence la differenza che corre fra il
lavoro di un arcivescovo e quello di un allibratore, di stabilire un
giusto compenso sia per i poeti sia per i salumai.
Sta invece nella nostra capacità il rendere ben chiaro che due ore
detratte dal tempo libero di qualsiasi individuo valgono, come in ogni
altro caso, il doppio di un'ora, e variare la ripartizione dei periodi
di lavoro e di riposo, nonché, quando non si tratti di fabbriche,
uffici, servizio militare, eccetera, anche l'età in cui poter
onorevolmente andare in congedo. Nel caso di un commediografo, per
esempio.
43.
SOMMARIO RELIGIOSO
Ognuna di queste fasi è presente in modo così unilaterale e
squilibrato da aver indotto la prima Chiesa cristiana cattolica a
proibirne la lettura ai laici che non ne ricevessero l'autorizzazione;
quando, poi, la Riforma l'affidò alle mani dell'uomo comune, il
risultato fu tutta una serie di lotte religiose culminate oggi nella
guerra mondiale hitlerizzata.
In quest'ultima guerra le campagne di Giosuè per la conquista di
quanto formava il suo mondo sono ritornate di moda. Riscontriamo
un'unica differenza: il popolo eletto a conquistare ed ereditare la
terra non è stavolta l'ebraico, ma il tedesco "Herrenvolk", e le
contrade traboccanti di latte e miele da conquistarsi e passarsi a fil
di spada non sono soltanto le terre nord-africane chiamate ai tempi
antichi il paese di Cana, ma, in potenza, i cinque continenti.
Paradossale in tutto ciò è che Giosuè-Hitler, nato e cresciuto in un
ambiente assai povero, tutto dedito a quell'arte del piccolo commercio
in cui tanto temuta e risentita è la concorrenza degli ebrei e per cui
egli, Hitler, aveva scarse doti, odii Israele e sia tuttavia così
pregno di giudaismo biblico - dovuto all'influenza dei primi anni di
studio - da perseguitare gli ebrei fino allo sterminio, così come il
primo Giosuè perseguitò gli abitanti di Cana. Ciò facendo egli conduce
il suo paese alla rovina; ora, non è l'anti-semitismo a muoverlo, ma
il semitismo succhiato dalla Bibbia e rivolto contro se stesso.
Il signor Ognuno che mai per conto proprio legge la Bibbia, e, privo
di qualsiasi senso critico, ascolta ogni domenica in chiesa (se ci va,
cioè, poiché ne sta perdendo l'abitudine) quanto della Bibbia gli
viene letto durante l'Ufficio Divino, non ricaverà altro da questa mia
critica se non un severo giudizio sulla mia irreligiosità.
Probabilmente mi giudicherà degno dell'inferno, ammesso vi sia un
inferno; ora il signor Ognuno non è più sicurissimo di ciò, dato che
se fosse questo luogo una certezza per me, sarebbe, a suo riguardo,
per lo meno una probabilità.
Se dovessimo canonizzare alcune raccolte di opere letterarie, perché
ispirate in senso evoluzionistico - ed è quanto abbiamo fatto con
l'abbondante selezione di antichi scritti ebraici da noi chiamata
"Libro dei Libri" - faremmo certo meglio a canonizzare la nostra
letteratura moderna, poiché allo stesso modo di quella ebraica essa si
ispira in senso evoluzionistico, mentre si trova a essere assai più
evoluta dal lato scientifico e sociale. Nel suo aspetto religioso, la
Bibbia non ci è di nessun aiuto; ci ostacola, anzi, rendendoci del
tutto irreligiosi. Nel diciottesimo secolo Rousseau diceva:
«Sbarazzatevi dei vostri miracoli e l'umanità intera cadrà ai piedi
del Cristo»; parole dette a proposito, allora, benché egli avesse
torto; il mondo intero era ormai indifferente ai miracoli della
Bibbia, e invece di inginocchiarsi ai piedi del Cristo si
inginocchiava a quelli di Pasteur e di Pavlov, stabilendo un nuovo
canone dei miracoli: miracoli della scienza, questa volta.
Il mondo non ha, d'altra parte, buttato via le vecchie superstizioni
fondamentalistiche e il suo abito mentale. Alla fine dello scorso
secolo il pastore di anime Stewart Headlam si mise nei pasticci di
fronte ai suoi superiori per aver detto che la Chiesa avrebbe fatto
bene a seppellire la Bibbia per un centinaio d'anni, di modo che
riscoprendola si potesse giudicarla secondo il suo valore reale. Per
conto mio si dovrebbe seppellire anche il "Prayer Book", troppo saturo
di sacrifici di sangue per poter addivenire a un'utile revisione. In
quanto alle costanti ripetizioni delle parole «Per Gesù Cristo, Signor
nostro», sempre più esse ci dàn fastidio, perché sempre più la gente
si rende conto che quanto c'è di vero nel "Prayer Book" è vero anche
astrazion fatta dalla venuta del Cristo, e che il suo martirio non ci
toglie la minima responsabilità nei peccati da noi commessi. Per
esempio, benché un ladro possa redimersi diventando onesto, fino a che
non mette in pratica l'onestà rimane un ladro, e questo anche se Gesù
fosse morto le mille volte. Gesù non ha mai detto: «Peccate quanto vi
piace; il mio sangue laverà le vostre colpe». Egli ha ripetuto,
invece: «Non peccate più». Il "Prayer Book" che costantemente ci
presenta il Cristo come capro espiatorio finisce per screditarlo e
rovina l'opera civilizzatrice svolta dalla Chiesa. A questo modo il
"Prayer Book" allontana dalla Chiesa l'uomo comune, sebbene egli creda
che sarebbe forse bene andarci, e così questo miserello passa sovente
la sua domenica in maniera ben più monotona e dispendiosa di come
l'avrebbe trascorsa in una chiesa modernizzata e ispirata ai bisogni
della nostra epoca.
La Chiesa cattolica romana, più saggia della Chiesa anglicana, è
servita da sacerdoti istruiti all'uopo in modo del tutto
professionale, invece che da dilettanti gentiluomini britannici che si
distinguono dagli altri uomini per un colletto di forma leggermente
inusitata; eppure essa si trova in una posizione di minor vantaggio
ancora, poiché non ammette di esser mai caduta in errore, e si rifiuta
a ogni esperienza. Ora, al punto in cui la scienza moderna ci ha oggi
condotti, non è più lecito credere in Dio, eccetto se si voglia
ammettere che Dio nei suoi esperimenti si è a volte sbagliato. Il
mondo è pieno dei suoi errori; tocca a noi correggerli e liberarcene.
Ecco un esempio tra i più usuali: i cattolici appartenenti alla Chiesa
romana debbono tollerare che perfino i loro più cari vengano
sottoposti alla pratica della corruzione della carne, e continuano
perciò a seppellire i propri morti: la sola ragione di ciò è che la
loro Chiesa si compromise un giorno sostenendo la teoria assai
infantile per cui un corpo seppellito può risuscitare, mentre uno
bruciato no. Ciò mi ricorda uno zio il quale, credendo giunta la sua
ora e immaginando di essere portato in Paradiso, come Elia, sopra un
carro celeste, si tolse gli stivali per facilitare il trasporto. Se la
Chiesa cattolica romana intende competere con i cattolicesimi rivali e
ottenere la fede di uomini meglio istruiti di quanto non lo fosse mio
zio, essa deve innalzarsi sopra questo mediocre livello mentale e
ammettere che la legge dell'eterno mutare è la legge di Dio. Un altro
esempio ce lo dà con il suo rifiuto di ammettere il divorzio. Essa,
così, si trova costretta ad annullar matrimoni basando l'annullamento
su motivi a volte tanto futili che nemmeno il Tribunale dei divorzi
nello Stato del Dakota potrebbe trovarli validi.
I santi e i quaccheri riescono a essere religiosi pur facendo a meno
dell'ausilio di un rito, e sanno anche comporre le loro preghiere; c'è
però chi non andando in chiesa dimentica la propria religione e se ne
va all'inferno o, peggio, in guerra. Certo a lungo andare la gente
finirà per non mettere più piede in chiesa, tanto più se quanto le
viene insegnato nel luogo sacro risulta in antitesi con la ragione. Le
Sanzioni dogmatiche e i Divieti debbono essere riveduti abbastanza
sovente se si vuol mantenerli aggiornati coi tempi, evitando così un
disastroso conflitto fra dogma e pragma. Di quanto vo dicendo
purtroppo ne ho già fatto l'esperienza - il signor Ognuno saprà
trovare una morale così poco lusinghiera per tipi della mia fatta da
indurlo a mettere sotto chiave l'argenteria ogni qualvolta gliene
capiterà qualcuno per casa. So pure che egli mi apprezzerebbe meno
ancora, se scoprisse che ho abbastanza spirito religioso da aver
dedicato gran parte della vita alla fatica di ripulire alcuni "credo"
costretti nella polvere degli anni, e renderli degni di fede, poiché
son convinto che, senza l'aiuto della religione, la società si sfalda.
Una religione incredibile comporta sempre molti disagi: è questa la
ragione per cui il signor Ognuno non ama la religione, né le persone
religiose. Ero giovanissimo quando mi diedi a sostenere che gli uomini
non sono buoni in obbedienza ai Dieci Comandamenti ma al loro senso di
onore: cognizione, questa, che devo a me solo e che servì a guarirmi
dalle bugie e dai furterelli infantili.
Basandosi su ciò i miei numerosi zii conclusero che ero ateo e che
bisognava in qualche modo correre ai ripari. Ma poiché nulla fu fatto,
accettai l'epiteto di buon grado giudicandolo ben guadagnato dalle mie
qualità di integrità morale e mi sentii alla pari di Giordano Bruno e
della nobile schiera di martiri che la scienza pone su un gradino
superiore a quello su cui si suole onorare la religiosa Compagnia
degli Apostoli. Sono d'accordo anch'io nel riconoscere che, se giovani
di buona famiglia come potevamo calcolarci Shelley e io si vantano di
essere eretici e nelle università, per seguire il loro esempio, altri
giovani si riuniscono in circoli, il signor Ognuno ha ragione di
pensare che da qualche parte qualcosa non funziona. Gli eretici sono
con ogni evidenza traditori della civiltà e dovrebbero perciò venire
liquidati dall'Inquisizione (non è del tutto necessario mandarli al
rogo), la quale oggi ha cambiato nome, pur mantenendosi ugualmente
attiva, non fosse altro che nella lotta contro le eresie Thug-gee e
Vudu.
Le cose però si complicano quando l'Inquisizione è di idee antiquate,
mentre gli eretici sono aggiornati alla loro epoca. Ai tempi nostri
l'istruzione religiosa e l'abitudine di andare in chiesa hanno tanto
perduto del loro imperio sopra il signor Ognuno che le critiche da me
mosse ai "credo" non provocarono in nessun momento l'indignazione
suscitata da quelle di Shelley allo stesso proposito. Si dice infatti
che uno scandalizzatissimo inglese, avendo per caso incontrato il
poeta in un ufficio postale, gliele diede secche. In quanto a me,
essendo ospite un giorno di un circolo di Manchester, venni insultato
in modo tanto villano da uno dei membri, che mi trovai nell'obbligo di
rimproverarlo severamente per il suo comportamento così poco degno e
di avvertirlo che chi mi aveva invitato poteva anche lagnarsi di lui
alla presidenza. Egli non era rimasto urtato dal mio deciso rifiuto di
riconoscere in Jehovah un Dio, ma dall'aver io negato l'onniscienza e
l'infallibilità di Shakespeare.
Un'altra volta mi trovai presente a una riunione presieduta da un
signore che aveva dedicato l'intera vita allo scopo di combattere la
moderna eresia della sfericità della terra. Lui la terra la dichiarava
piana. Il dibattito che ne seguì fu tra i più buffi a cui abbia mai
assistito. Il conferenziere venne subito assalito dal fuoco di fila di
un'opposizione quale mai un ateo avrebbe saputo suscitare; egli, che
conosceva a memoria gli argomenti degli oppositori, pareva giocare ai
birilli con essi e, rispondendo disinvolto a quanto era creduto
irrefutabile, lanciava sferzate all'assemblea infuriata. Gli si chiese
se mai avesse osservato una nave con il cannocchiale e se mai si era
accorto che a un certo momento essa pare affondare pian piano sotto la
linea dell'orizzonte; con molta calma l'oratore replicò domandando al
contraddittore se poteva asserire di aver fatto egli stesso questa
prova. Risultò all'inchiesta che, dei presenti, soltanto l'oratore e
io avevamo un'esperienza personale di questo fenomeno di illusione
ottica. Il conferenziere proseguì dicendo: «Il mio contraddittore
confessa di aver parlato per sentito dire; ora vorrei domandargli: si
è mai egli soffermato su un ponte ferroviario e non ha veduto prima
convergere, poi congiungersi in lontananza le rotaie? Sì, vero? E
crede egli che le rotaie si congiungano veramente come pare
facciano?». Un altro contraddittore, rosso per l'ira, si alzò
gridando: «Siete capace di negare che se partite da Liverpool e vi
mettete a viaggiare sempre verso est o sempre verso ovest, ritornerete
a Liverpool?». «Si capisce che ci ritorno» disse l'oratore e con un
dito tracciò un circolo sul tavolo. Il contraddittore successivo,
sicuro di avere in mano la carta vincente, la giocò di botto: «In un
eclissi l'ombra del corpo eclissante è rotonda: come lo spiegate?». E
l'oratore: «Anche l'ombra di una teglia da focaccia, che pure viene
considerato un oggetto assai piatto, è rotonda».
Intervenni allora nella discussione per dichiarare che il
conferenziere aveva ormai ridotto al silenzio tutti i suoi oppositori,
i quali si erano accontentati di ripetere pappagallescamente una filza
di asserzioni pescate qua e là, senza mai essersi dati la pena di
verificarne la veridicità. Soggiunsi però che, da quanto avevo potuto
dedurre secondo gli argomenti offertici dal conferenziere, mi sembrava
dover concludere che la terra aveva la forma di un cilindro.
Nei giorni susseguenti mi piovvero addosso molteplici lettere
minatorie nelle quali i signori Ognuno notificavano la loro rinuncia
alla mia amicizia e chiedevano la mia espulsione da qualsiasi
associazione di gente colta e anche solamente di gente per bene.
Ritenevano che io credessi piana la terra, e che questo fosse segno
evidente della mia ignoranza e della mia delinquenza morale. Non c'era
dubbio che i miei corrispondenti mi avrebbero visto volentieri, se non
proprio legato al rogo, imprigionato almeno per un anno. Se per
quattro lustri avessi scritto l'articolo di fondo del "Libero
Pensatore", non avrei ricevuto nemmeno una cartolina d'ingiuria.
Sovente il signor Ognuno è oggi altrettanto credulone e bigotto nel
suo moderno scetticismo scientifico, di quanto suo nonno lo era nella
sua religione evangelica.
Il signor Ognuno e la sua consorte sembrano tener per certo che se
qualcuno dissente da loro su questioni a loro parere importanti essi
hanno il diritto di fargli tutto il male che vogliono, salvo bruciare
"l'eretico". Essi giudicano questi diritti giusti e naturali quanto
l'altro diritto che li spinge a infliggere tormenti inauditi a chi
viola la legge e a frustare i figli cattivi, facoltà, questa,
condivisa con i maestri di scuola. Se, a giustificazione del loro
operato, ci dicessero che i caratteri dei malandrini e dei figli di
cui sopra sono così impulsivi e violenti da poter mandare in rovina la
civiltà qualora non vi fosse lo sfogo di una valvola di sicurezza, si
potrebbe discutere con loro. Il guaio invece è che sostengono teorie
strampalate, come a esempio che due neri formano un bianco, e che il
loro "sereno agire secondo giustizia" è unicamente volto alla difesa
della società umana. Quando insisto a far loro intendere che non hanno
nessun diritto di punire chicchessia eccetto, forse, se stessi; che
Gesù nel suo insegnamento a questo proposito dava loro un buon
consiglio, e pratico per di più, e che il trattamento inflitto ai
delinquenti è diabolico, essi mi tacciano di sentimentalismo
sognatore. Ma quando soggiungo che, lungi dal simpatizzare con coloro
che vorrebbero sostituire l'ergastolo a vita alla pena capitale,
l'ergastolo a mio avviso è molto peggiore della morte, e chiedo che
gli individui dannosi, per cui più non c'è speranza di ravvedimento,
vengano liquidati nel modo più garbato possibile, essi si confondono e
perdono il bene dell'intelletto. Così fanno pure quando dopo aver
dichiarato esser la mia fede del tutto democratica chiedo la
privazione dei diritti elettorali e l'allontanamento degli uomini
politici incompetenti e sempliciotti da qualsiasi attività politica
che non sia quella di presentare le proprie lagnanze e discuterne, o
di scegliere i propri governanti fra uomini di già conosciuta e
classificata competenza.
Mi trovai una volta presente all'investitura del rettore in una
parrocchia appartenente alla Chiesa d'Inghilterra. Benché sapessi che
il vescovo avrebbe dovuto fare all'aspirante una domanda alla quale la
risposta non poteva essere che una deliberata menzogna riconosciuta
tale da ambedue le parti, e che tutti e due i contraenti dovevano
assoggettarsi alla menzogna o rinunciare alla loro vocazione,
cionondimeno provai una vera ripulsa al momento in cui questo inganno
venne perpetrato. Uno dei più chiari intelletti fra gli alti dignitari
della nostra Chiesa scrisse che, se i Trentanove Articoli (soggetti
della menzogna di cui sopra) fossero presi sul serio, la Chiesa
sarebbe unicamente composta di sciocchi, bigotti e bugiardi. Fino a
quando non avremo una Chiesa o un Governo abbastanza forti e retti da
poter abolire i Trentanove Articoli, riscrivere il "Prayer Book" e
dare alla Bibbia il suo giusto valore, non riusciremo a cavar fuori la
nostra civiltà dal pantano in cui sta affondando.
I contrasti fra Scienza e Religione ci hanno condotti nel campo della
politica a una guerra mondiale del tutto suicida. In quanto all'idea
tanto comune che una delle due deve pur avere tutte le ragioni e
l'altra tutti i torti, non posso fare a meno di chiamare ciò un
ragionare all'acqua di rose. Non è anzi nemmeno un ragionare, ma un
correre con la testa nel sacco a una conclusione priva di senso. La
nostra Religione e la nostra Scienza sono entrambe in grave torto;
eppure non in tutto hanno torto ed è nostro compito il tentar di
mondarle dagli errori e metterle il più possibile in carreggiata. Se
riuscissimo a porle entrambe sulla retta via, svanirebbero le
contraddizioni che oggi le dividono, e avremmo in una sola sintesi:
una scienza religiosa e una religione scientifica. Per intanto ci
tocca far del nostro meglio evitando con tutte le forze di sfuggire il
conflitto come, vigliaccamente, stiamo facendo.
Per lungo tempo ancora, la tendenza verso un deismo antropomorfico
rimarrà una delle ipotesi a cui ricorreranno con maggior frequenza non
solo i fanciulli ma anche parecchi adulti. La preghiera consola,
guarisce, forma la nostra anima; approvare una legge che proibisce la
preghiera come, se ne avessero il potere, vorrebbero alcuni dei nostri
secolaristi, sarebbe futile quanto crudele. Di preghiere ne abbiamo di
ogni sorta: dalle semplici suppliche dei mendicanti, e dagli
incantesimi, frutto di magia, all'opera contemplativa di chi vuol
formarsi un'anima. Abbiamo pure diverse specie di divinità a cui
rivolgerci. Un ragazzetto che assisteva alla rappresentazione della
mia "Santa Giovanna" disse al suo maestro che Gesù non gli piaceva e
che perciò non si sentiva di pregarlo, mentre avrebbe ormai potuto
indirizzare le sue preci a Giovanna. Un insegnante dell'Ulster, che
avesse per di più appartenuto alla Chiesa evangelica, gli avrebbe
probabilmente dato un bel fracco di legnate, tanto per insegnargli a
essere un buon protestante. Ma quel maestro, ben più saggio, gli disse
di pregare pure per intanto santa Giovanna, dato che ciò che conta è
la preghiera, non colui al quale si rivolge la preghiera. Per i
francescani, Francesco, non Gesù, è il Redentore; e per innumeri
cattolici e non pochi anglicani, la Madonna è colei che intercede. Per
i giainisti, Dio è l'Inconoscibile, ma nei loro templi a Bombay si
vedono ovunque immagini rappresentanti ogni specie di santi, dalle
innominate figure apportatrici di pace beatificante a immagini di
rozzi idoli con la testa di animali. Quando ero fanciullo mi era stato
insegnato che i miei compagni cattolici sarebbero andati tutti
all'inferno perché dicevano: «Ave, Maria». Al tempo stesso, al mio
contemporaneo inglese Arthur Conan Doyle, allora a Stonyhurst, si
insegnava che io sarei stato dannato perché non pregavo la Vergine. Ho
poi vissuto abbastanza per vedere la Germania mutare l'"Ave, Maria" in
"Ave, Hitler" e, ne andasse della mia vita, non riesco a convincermi
che questo cambiamento abbia migliorato la situazione. Lo trovo un po'
troppo affine al culto del vecchio dio egizio Ra che aveva per capo la
testa di un falco. Tuttavia la Chiesa d'Inghilterra ha torto quando
impone Gesù - che ad alcuni, come per esempio al ragazzetto devoto di
Giovanna d'Arco, può non piacere - al culto dei suoi fedeli dicendo
che Egli è la sola forma in cui si possa pregare Dio. Ogni Chiesa
dovrebbe essere tempio di tutti i santi e ogni cattedrale luogo di
pura contemplazione per i più alti spiriti di ogni razza, fede e
colore.
44.
CONGEDO
La mia governante mi faceva leggere da fanciullo un libro intitolato:
"Child's Guide to Knowledge" [15]; al culmine della virilità scrissi:
"As Far As Thought Can Reach" [16], Questo mio libro odierno, scritto
all'epoca della mia seconda fanciullezza, non è intero per chi vuol
sapere fino a dove il pensiero politico possa giungere: è appena una
Guida Politica scritta per infanti. So per esperienza che in questo
ramo tutti sanno l'x y z di tutto e nessuno l'a b c di niente. Sebbene
la democrazia sia basata sull'assunto veramente assurdo che il signor
Ognuno e la sua consorte poiché onniscienti debbono anche esser dotati
di onnipotenza, nessuno di loro ha la più pallida idea di quanto
Herbert Spencer chiamava Statica Sociale: Dio sa però che di fatto ne
debbono conoscere perlomeno gli effetti assai amari. Essi sogliono
giudicare della politica come qualcosa fuori della vita, mentre o la
politica è scienza della vita sociale o non è proprio un bel nulla.
Quando, spinti dai nostri giornali, ci mettiamo a discorrere, e
sovente a bisticciare, di socialismo, fascismo, comunismo,
capitalismo, nazionalismo e utopie romantiche di ogni altro genere,
siamo altrettanto discosti dal collegare queste parole con il mondo
reale di quanto lo fosse Don Chisciotte nel suo fantasticare sulla
cavalleria errante. Ci è facile comprare una cosa o far andare avanti
un ufficio o un negozio col semplice imitare i nostri vicini; ma di
economia e finanza ignoriamo tutto. Sappiamo di elezioni perché esse
non differiscono molto da altre competizioni, corse di cani, eccetera,
ma se scegliamo un partito piuttosto che un altro è perché i nostri
padri lo scelsero prima di noi e ci educarono a capirlo oppure, a
volte, proprio per antagonismo alla loro scelta. Quando - può sempre
accadere - sogniamo o abbiamo visione di un mondo migliore immesso in
un ordine nuovo, quello che ci rende incapaci di mettere i sogni in
pratica allacciandoli a qualche istituzione preesistente è che nulla
sappiamo della tecnica e della teoria di queste istituzioni, né
sospettiamo che i nostri sogni possano essere stati sognati da altri
prima di noi e che gran parte della storia umana è appunto formata dai
tentativi fatti di attuare il sogno, usando qualche volta, ahimè,
sistemi errati e tremendamente disastrosi.
Un chimico può avere sul futuro della chimica le intuizioni più acute
e può anche esser dotato di speciale ingegno atto a promuovere lo
sviluppo di questa scienza in senso del tutto sociale; ma se
dell'antimonio e del manganese sa soltanto che ambedue sono neri,
invece di contribuire al Nuovo Ordine salterà in aria in compagnia dei
suoi vicini. Un Cancelliere dello Scacchiere può studiare con supremo
interesse le opere atematiche e speculative più astruse scritte da sir
Arthur Eddington e da sir James Jeans; ma se non riesce ad afferrare
il fatto che due più due uguale quattro e non 80, invece di creare nel
verde e piacevole paese detto Inghilterra una nuova Gerusalemme
manderà in rovina la finanza e l'industria nazionali.
Inutile e dannoso, a questo punto, concludere che gli uomini di Stato
debbano sapere ogni cosa per poter costruire su basi perfettamente
scientifiche un sistema politico che sia anche perfettamente
scientifico. Del mondo reale in cui viviamo nessuno può conoscere più
del frammento che sta nel raggio della sua personale esperienza o di
quanto ha udito discorrere. Ora, questo frammento non lo vediamo
partecipe, quale è, del grande quadro storico a cui appartiene, bensì
deformato in un ristretto circolo chiuso. Nel diciannovesimo secolo la
sedicente Scuola Storica tedesca ripudiò l'aspetto classico,
drammatico e aprioristico rivestito fino allora dalla storia e si
dedicò a collezionare la maggior quantità possibile di fatti
registrati impiegando anni in aride ricerche di documenti. Ebbene, nel
far ciò gli storici di quella scuola trascurarono il fatto che il loro
metodo era materialmente impossibile, visto che la più gran parte dei
fatti è nascosta da un velame oltre il quale non possiamo vedere, o
perché le notizie che leggiamo sugli annali sono per lo più menzogne o
nel migliore dei casi supposizioni fatte di desiderio. Ne risulta che
nel momento in cui l'uomo di Stato si trova a dover fronteggiare
qualche situazione nuova egli non può certo ricorrere all'aiuto che
gli procurerebbe l'onniscienza; non gli rimane perciò che appoggiarsi
a quanto sa delle reazioni che sogliono prodursi nella natura umana
sotto lo stimolo di pressioni esterne. Egli deve essere aprioristico
fino al punto di potere, quale psicologo e quale fisico, intuire il da
farsi, pur non possedendo certezze su cui basare un ragionamento. Non
può certo dilazionare le decisioni da prendere fino a che non abbia
interrogato le migliaia di libri e di documenti serbati nell'Archivio
di Stato: l'opposizione lo attende alla porta e, a sua volta, le
baionette gli son già puntate alla gola.
Tutto ciò non giustifica l'opportunismo e la superficialità mostrata
dai nostri parlamentari i quali reagiscono alle sorprese e ai colpi
procurati dall'andamento dell'evoluzione sociale con altrettanta
intelligenza quanta ne mette una palla di cricket colpita dal bastone.
Ammettere di saper poco non implica ignorar tutto; quel poco a nostra
conoscenza è per l'appunto la differenza che corre fra pacifici
mutamenti costituzionali e guerre civili, le quali ultime rovinano il
paese. Nell'economia abbiamo l'appoggio delle due leggi sul reddito e
sul valore, sicure e stabili entrambe quanto gli assiomi dei
matematici e degli astronomi. Tuttavia, fra i nostri seicento
straordinari membri del Parlamento ne conosco uno solo che dia segno
di aver udito parlare della teoria del reddito, e questi non fa parte
del Ministero. Sebbene la storia sia contraffatta da menzogne e
congetture, frutti di puro desiderio, essa, vagliando e scernendo,
lascia alfine un bel blocco di fatti, liberi il più possibile da
fantasie; così, benché gli scritti intorno a una rivoluzione
lasciataci da contemporanei risultino, quando la va bene, unilaterali,
e quando la va male decisamente mendaci e carichi di insulti, noi
possiamo accertarci con una certa probabilità d'incappare nel vero di
alcuni fatti storici come la conquista normanna sotto re Guglielmo, il
Commonwealth sotto Cromwell e il successivo assalto sferrato alla
Corona e al Parlamento dalle forze della plutocrazia, la Rivoluzione
francese sotto i giacobini e Napoleone, il futile nostro gesto di
aiutare la restaurazione dei Borboni in Francia, la Rivoluzione del
1917 in Russia sotto Lenin e il colpo di Stato germanico nel 1933
sotto Hitler. La Storia d'Inghilterra di Macaulay e il "Manifesto"
comunista di Marx ed Engels non sono documenti infallibili: ma chi non
li ha letti né ha inteso la differenza di concezione storica fra l'uno
e l'altro scritto non dovrebbe, al Ministero degli Affari Esteri o
negli uffici di Downing Street, far altro mestiere che non sia quello
di cameriere o di custode. Non ci passa tuttavia nemmeno per
l'anticamera del cervello di informarci presso un ministro se egli
abbia mai udito parlare di Macaulay o di Marx, e, a onor del vero,
nemmeno se conosce l'alfabeto.
Questo mio libro è soltanto il tentativo di un vecchio ignorante di
comunicare a persone più ignoranti ancora di lui l'esperienza di
alcuni problemi sociali quale egli ha potuto farsi per mezzo dello
studio o di incontri capitatigli - sia con esseri viventi sia con
fatti sovente assai duri - nel lungo cammino della sua vita. Lungo,
forse, il cammino in rapporto alla vita, ma troppo breve in vista
dello scopo per cui scrivo; e l'ho spesa in gran parte nel tentativo
di correggere gli errori in cui i miei antecedenti e l'ambiente a cui
appartengo mi hanno condotto a vivere. Di certo non li ho corretti
tutti, questi errori: ma quelli a cui il mio abito mentale ha potuto
maggiormente rendermi refrattario ho tentato almeno di sviscerarli con
la maggior chiaroveggenza di cui sono capace. Il resto lo devo lasciar
fare a chi sa meglio di me.
In quanto al futuro, cominciando dall'anno 1944...
("La continuazione a chi saprà farlo").
FINE.
NOTE
1: «A usare del proprio cielo per tuonare, null'altro che per
tuonare.»
2: «La razza futura.»
3: «Ritorno a Matusalemme.»
4: Teste Rotonde. Vale a dire il nomignolo dato ai Puritani di
Cromwell.
5: Il decimo erede di un volto idiota.
6: L'orrore.
7: Dal "Pilgrim's Progress".
8: Maledettamente dispiaciuto.
9: Decorazione al valore istituita dalla regina Vittoria nel
1856.
10: Associazione di ammiratori di Bernard Shaw.
11: Libro di preghiere ufficiale della Chiesa anglicana e di varie
altre Chiese evangeliche.
12: Regno di Carlo primo.
13: O qualsiasi altra proporzione che meglio convenga.
14: Di tutto quanto il cuore umano deve sopportare - è ben piccola
la parte che sovrani e leggi possono causare o curare!
15: «Guida alla conoscenza, per bambini.»
16: «I confini ultimi del pensiero.»
Ultima modifica 05.12.2003
Abbiamo dunque concluso che lo statista può fare a meno di
preoccuparsi dei microbi. Sappiamo pure che la selezione o una
appropriata concimazione possono produrre qualità di piante immuni
dalle malattie da cui prima erano distrutte. Dopo minuziose ricerche i
nostri allevatori hanno scoperto il segreto per migliorare la razza
negli equini, nei suini, nel bestiame e nel pollame: basta dare un
giusto valore ai loro ascendenti. Adolf Hitler, che pur non è un
allevatore, è arrivato con l'aiuto del suo cervello alle stesse
conclusioni per quanto concerne la razza umana. Poiché è tedesco e
nazionalista, egli ritiene che i destini della suddetta razza umana
debbano essere conquistati e guidati dai migliori suoi figli, cioè i
nordici, i quali sono atti a governare slavi e latini sterminando
incidentalmente ebrei, polacchi e ogni razza sfavorevole alle sue
teorie. Egli è riuscito a convincere i suoi tedeschi a lasciarsi
organizzare per un'eroica guerra mondiale, e in questo momento essi
stanno spargendo fiumi di sangue e denaro per raggiungere la
necessaria conquista. L'esperimento, nonostante i primi sensazionali
successi sui campi di battaglia, non ha giustificato l'efficacia di un
sistematico accoppiamento fra consanguinei nordici. Gli scandinavi e
gli anglo-americani si sono dimostrati tanto recalcitranti da
costringere Adolf a escluderli dal numero degli stalloni eventuali del
mondo e a scegliere per questa missione i soli uomini della Germania.
All'epoca in cui questo libro sarà dato alla stampa, egli avrà
probabilmente scoperto che anche i cugini del Nord non sono migliori
degli ebrei e dei polacchi e forse molto più stupidi, e condurrà
certamente il suo esperimento fino all'estrema conclusione, a prezzo
anche della propria vita, se i tedeschi sopravvissuti, i cui genitori
avranno pagato il prezzo del suo esperimento, non gli si rivolteranno
contro.
Il socialismo, nel trapasso dalla dottrina alla pratica, ha esteso le
attività e i poteri dello Stato aumentando al medesimo tempo la
possibilità di corruzione e le occasioni di guadagni illeciti. I
socialisti richiedono la nazionalizzazione dei mezzi di produzione,
distribuzione e scambio; essi ci esortano a Educare, Agitare e
Organizzare, in vista di questo scopo. Dal punto di vista economico
tutto questo è logico, ma renderà il capitalismo e l'imperialismo più
forti che mai, tanto più se il trapasso degli affari da privati a
pubblici verrà attuato come sta attuandosi ora, da capitalisti e
imperialisti finanziati dallo Stato (fascisti) che combattono per il
loro interesse, piuttosto che dai comunisti i quali mirano al
benessere della comunità. Perché, lo ripeto, è possibile
nazionalizzare i mezzi di produzione, distribuzione e scambio,
sfruttandoli ben più a fondo di come non lo siano, dato che oggi
servono soltanto ad aumentare i redditi non sudati e ad alleggerire i
proprietari dalle tasse, mentre producono un rialzo nel costo della
vita del proletariato, riducendogli i mezzi per sostenere un onere
maggiore. I nostri ottimisti puntano esultanti sull'aumento dei
salari; i salari delle donne impiegate nei lavori di guerra sono, ad
esempio, saliti dai due pence e mezzo orari del 1914 ai sei pence del
1941, il che fa sei scellini al giorno per dodici ore di lavoro invece
di mezza corona. Ma quando la donna porta a casa i suoi sei scellini
il proprietario confisca immediatamente da otto pence a due scellini.
Con quello che le rimane, la donna compera cibo e vestiario a prezzi
sensibilmente maggiori di quelli del 1914. I salari dei lavoratori
specializzati sono saliti da due sterline la settimana a settanta-
ottanta scellini; ma lessi tempo fa che uno di questi aristocratici
del lavoro pagava un affitto di ventotto scellini la settimana. Ieri
(febbraio 1943), il Governo annunciò la costruzione per conto dello
Stato di 6000 case per lavoratori agricoli. L'affitto deve essere di
tredici scellini la settimana, e questo con un salario di due
sterline. Tali affitti sarebbero stati considerati mostruosi prima
dell'aumento dei salari.
La corruzione municipale è attualmente in pieno sviluppo. Quanto più è
attiva, tanto più voti ottiene. E' tempo di far qualcosa per prevenire
questo mal costume. Tutti si condanna il sistema d'imbrogli e
mercanteggiamenti associati alla parola corruzione, ma al confronto
delle principali truffe attuate dalle giunte municipali, truffe che
nella nostra ignoranza non siamo capaci di distinguere dai legittimi
profitti privati, la corruttela di cui sopra diviene trascurabile. Ai
maggiori utili dei municipi, corrispondono sempre più vivaci applausi.
Ora, un municipio non dovrebbe trarre profitti. In qualche caso non
può forse farne a meno, poiché i servizi che concede ai suoi utenti
sono goduti da tutti senza ricevere in cambio un pagamento diretto.
L'illuminazione stradale, la pavimentazione, la polizia, i pompieri,
il servizio di fognatura, il rifornimento dell'acqua, costano
parecchio; ma tutto è pagato con tasse, imposte agli abitanti senza
alcuna valutazione dell'uso che essi fanno di tali servizi. Gli
abitanti, dal canto loro, elevano continue proteste rivolte a
diminuire le tasse, cosicché i municipi non osano aumentarle. I
municipi che sovente provvedono abitazioni, illuminazione, gas, bagni
e lavatoi per abluzioni e bucati privati si fanno pagare
individualmente per questi servizi; essi possono, perciò, traendo
esempio dalle società private, stabilire un prezzo oltre il costo
reale, realizzando così un profitto. Il risultato più ovvio e naturale
di questi profitti tratti dalle varie amministrazioni municipali
sembra essere quello di versare il guadagno all'ufficio di finanza,
ottenendo al più presto una diminuzione delle imposte, il che dovrebbe
servire a calmare le proteste dei contribuenti. Questa è però una
procedura corrotta. Ammettiamo che io viva in qualche possedimento
appartenente a una contea e paghi al Consiglio comunale il mio affitto
più il conto della luce; se quello che pago oltre al costo reale dei
servizi di cui godo l'uso viene detratto da ciò che i miei vicini non
consumano e perciò non pagano - dato che illuminano le loro case con
lampade a petrolio e con candele - io vengo a essere sovraccaricato di
tasse loro spettanti e sono praticamente sfruttato e derubato a loro
vantaggio.
Nell'occuparmi delle richieste avanzate dalle professioni liberali,
desiderose di non sottostare nell'esercizio della loro attività alle
limitazioni imposte dalla legge comune, e dalla loro istanza in favore
di una energica presa di posizione del Governo al fine di garantire
mediante crudeltà inveterate, generalmente connesse allo stato di
guerra, un sistema di polizia dei costumi del tutto indispensabile,
secondo loro, al mantenimento dell'ordine necessario a una società
civile, considerai fuori legge sia le punizioni sia le crudeltà. Posi
quindi un problema: quali sanzioni debbono oggi rimpiazzare la
pantofola, il bastone, la bacchetta, la mazza, il gatto a nove code,
la prigione, la forca, l'ascia, la ghigliottina, la ruota, il rogo, il
palo e ogni altro sistema di tortura e di assassinio con i quali i
governanti costringono i loro sudditi all'obbedienza?
La storia si è fin troppo occupata delle tirannidi esercitate da re,
usurpatori o conquistatori e delle fasi terroristiche a cui ogni
rivoluzione va soggetta. Tutto il dicibile su questo argomento è ormai
stato detto e ripetuto. Ciò che urge è studiare come liberarci dalle
tirannidi, che, con le migliori intenzioni, i nostri governanti
c'impongono perché tratti in inganno da una scienza bugiarda e dai
grossolani errori commessi da intelletti mediocri del tipo di un
Jenner, di un Lister o di un Pavlov. Parlo per esperienza perché da
giovane patii dello stesso male che acceca molti. A un dato momento
della mia evoluzione intellettuale trasferii la fede
nell'infallibilità e autorità assolute delle epistole dei santi Pietro
e Paolo, fede che fin dalla fanciullezza mi era stata inculcata, agli
scritti di Helmholtz e di Tyndall; allora, il primo capitolo della
Genesi mi apparve una favola ridicola, mentre "Le origini delle
specie" di Darwin assunsero la forza di una rivelazione. Tutti, più o
meno, facciamo la stessa cosa. San Tommaso d'Aquino e san Giovanni
Battista credevano che l'acqua santa, specialmente se proveniente dal
fiume Giordano, avesse proprietà magiche; devo però riconoscere che
essi non si esaltavano per questa loro credenza quanto i nostri
scienziati allorché s'incominciò a parlare di radio. Giovanni e Gesù,
che sostituirono il battesimo alla circoncisione, furono molto meno
creduli e intolleranti del contadino Jesty e del dottor Jenner i quali
sostituirono al battesimo la vaccinazione. A noi fanno tanta
impressione gli sciamani africani che scoprono le streghe al fiuto e
le fanno uccidere, che li tacciamo d'infamia con la stessa risolutezza
con cui tacciamo d'infamia gli stregoni Vudu: eppure, Dio sa quali
grida sappiamo lanciare contro i "portatori" di malattie, e con quale
terrore considerammo Mary la portatrice di tifo, quasi fosse stata la
terribile strega di Endor.
La legge non rispetta né le persone né le circostanze: altrimenti non
sarebbe legge. Tuttavia, siccome ha sempre a che fare con le persone e
le circostanze, s'incorrerebbe in ingiustizie e violenze intollerabili
se fosse in maniera inesorabile amministrata. La legge, s'intende,
deve essere inflessibile; ma tra la legge e il cittadino bisogna porre
gli uffici di qualche istituzione più elastica, mossa da misericordia,
compassione, rispetto per la persona umana, e dalla considerazione
delle circostanze o delle pressioni esercitate da qualche urgente caso
politico. La mano che firma la condanna di morte deve poter anche
firmare il perdono, perché, se esiste una convenzione per la legge,
bisogna pure che ve ne sia una per la grazia.
Quella specie di Governo di Chicchessia eletto da Tutti, che si è
autonominato Democrazia, ci ha dato capi i quali, senza curarsi di
capire ciò che fanno, o per lo meno di considerare le inevitabili
conseguenze del loro agire, emanano decreti ogni qualvolta si trovano
in difficoltà. Nell'intento di disarmare l'opposizione al servizio
obbligatorio, che nel diciannovesimo secolo era considerato
un'imposizione napoleonica alla quale un libero cittadino britannico
non avrebbe mai potuto assoggettarsi, si stabilì che chiunque per
scrupoli di coscienza non volesse fare il soldato doveva farlo
presente e venire di conseguenza immediatamente esentato dagli
obblighi militari. Difficile immaginare un'anomalia più insensata!
Solo chi non abbia studiato la differenza che corre tra legge e
diritti costituzionali può risolversi a un così misero espediente.
Mosè, al ritorno dal Monte Sinai, non si sognò di aggiungere, ai «Non»
eccetera, dei suoi comandamenti, codicilli di questo genere: «ma
potrai fare come ti parrà meglio». Legge è legge; diritto è diritto;
se entrambi coprono lo stesso oggetto l'una cosa finisce per annullare
l'altra. I nostri legislatori non si preoccuparono di questa anomalia
come ai suoi tempi la brava regina Elisabetta non si preoccupò del
ventottesimo articolo della Chiesa d'Inghilterra, il quale prima
afferma, poi nega, la transustanziazione nell'Eucaristia,
accontentando così sia i prelatisti sia i puritani. Nulla di nuovo in
tutto ciò; ben prima della riforma questa lotta fra autorità e
giudizio privato si faceva sentire; oggi, poi, che il socialismo
estende di tanto i poteri pubblici, maggiormente se ne riscontrerà la
gravità. Ruskin previde il pericolo nel secolo scorso, all'epoca in
cui uomini politici appartenenti ai più svariati colori presumevano,
come di poi i bolscevichi nel 1917, che la civiltà punti sempre verso
maggiori espressioni di libertà individuale. Finché le leggi saranno
escogitate da persone le cui azioni risultano tanto sorprendenti da
far sì che i cittadini più intelligenti stupiscano nel notare la
scarsità di saggezza usata a governare il mondo, la scappatoia
dell'obiezione di coscienza dovrà esser lasciata in uso, e, per
mantenersi tale, l'autorità dovrà combatterla. E' giusto perciò
spender qualche parola a favore della registrazione di obiezioni
coscienziose e ragionevoli ad alcune leggi, e per accordare a taluni
individui un'avveduta esenzione dall'obbligo di obbedienza. Io, tanto
per dire, sono esentato dal servizio militare perché alla mia età
renderei ben poco come soldato. Nessuno invece mi esenta dal pagare le
tasse di guerra, alle quali si ribella la mia coscienza politica che
giudica prive di senso, e decisamente cattive, la maggior parte delle
guerre moderne. Pago, sia perché non posso farne a meno, e sia perché,
se mi trovassi sopra una nave nella quale si è aperta una falla, darei
mano alle pompe anche se sapessi che la causa del guasto è dovuta
unicamente all'incompetenza del capitano e dei suoi ufficiali.
L'esenzione accordatami, per cui in vista della mia età non mi vien
fatto obbligo di ammazzare direttamente il mio prossimo, vien pure
fruita da gente in perfetto equilibrio fisico impiegata in qualche
lavoro speciale. Non c'è ragione che i tribunali chiamati a decidere
sul'opportunità di concedere o no l'esenzione dalla comune legge di
guerra non possano anche emettere giudizi nei casi di obiezioni alla
guerra e al massacro. Mentre asserisco che io servo meglio il mio
paese scrivendo libri e commedie che non facendo evoluzioni nelle
piazze d'armi, o giocando a improvvisar battaglie quale parte attiva
della guardia nazionale, o provandomi a uccidere giovani fra i quali
c'è forse un Beethoven o un Goethe, mi trovo sullo stesso piano della
donna che argomenta essere il suo apporto alla comunità più utile nei
lavori domestici che non in una fabbrica a riempire bombe, e di un
uomo che, troppo povero per pagare la tassa sul reddito, inoltra una
domanda di rimborso.
Le prove più efficienti stabilite finora dalla legge e dal costume al
fine di misurare la capacità intellettuale degli individui sono ancora
gli esami universitari e quelli di immissione nei quadri del servizio
civile. Tranne in qualche particolare, queste prove si rassomigliano,
e son certo meglio che niente, in quanto assicurano alla nazione una
forte aliquota di persone capaci almeno di leggere, scrivere, far di
conto, e anche di usare le formule dei binomi. Per dare esami basta
però saper rispondere a un limitato numero di domande tosto conosciute
anche da chi non dovrebbe, cosicché l'allenare esaminandi è diventata
una professione. Qualsiasi testone quindi, purché rotto ai trucchi
scolastici e dotato di buona memoria, può mettersi a scuola da uno di
questi professionisti e farsi rimpinzare il cervello di domande e
risposte già belle e preparate che lo, o la, aiuteranno a far fronte,
con una buona probabilità di riuscita, alle domande prescelte per ogni
prova. La maggior parte degli impiegati nel servizio civile e dei
laureati si son guadagnati a questo modo posto o laurea. Il sistema di
cui sopra esclude dal successo i giovani dediti alla riflessione, i
quali, sovente, non riescono a ritenere le cose inutili a ricordarsi,
e si sentono stomacati di fronte ai testi scolastici, appunto perché
affamati di libri scritti con intendimento d'arte o comunque atti a
servir d'aiuto alla critica e allo studio dell'esistenza intiera. A
conti fatti, il sistema vigente esclude dai posti più necessari
proprio coloro che si dovrebbero scegliere.
Non sono giunto ancora alla fine della lista di cose che ogni
cittadino dovrebbe sapere e capire prima di venir qualificato a
occuparsi della cosa pubblica. Completare questa lista, o preveder
aggiunte e cancellature del futuro, è opera troppo oltre il mio
intendimento e la mia capacità. Mi debbo accontentare di mostrare le
fondamenta economiche basilari sulle quali ogni Stato dovrebbe
svilupparsi, e i risultati inevitabili a cui si va incontro se su
quelle basi si edificano sistemi feudali capitalisti o comunisti,
illustrando il mio dire con esempi tolti dal campo limitato del mio
sapere e dalla mia propria esperienza. Ho tralasciato molte cose di
cui altri scrittori si sono occupati, mirando più ai soggetti in
genere trascurati, o a nuovi punti di vista provenienti da angoli
negletti e non studiati ancora, piuttosto che ripetere all'infinito
cose ritrite. Mi sono attenuto, per quanto possibile, a fatti
contemporanei e del passato di cui, per quanto parziale possa essere
la mia scelta e anche le citazioni, nessuno possa mettere in dubbio
l'esistenza.
Ora non proporrò più nuovi soggetti da esaminare: ciò che basta basta,
tanto più che per intenderli è sufficiente uno studio attento e lo
scambio delle idee, per mezzo delle parole nonché dello scritto. Essi
sono soggetti elementari e indispensabili, eppure la loro padronanza
implica una naturale inclinazione politica ben lungi dalle pretese
conoscenze dei plutocrati e degli arrivisti che ci governano. Al loro
confronto l'esaminato si trova libero di sostenere la linea di
condotta che giudica migliore. Nessun dogmatismo su questo punto:
nessuna risposta prescritta alle domande, e nessuna tendenza ortodossa
da dover seguire nei saggi e nelle conversazioni.
Ribaldo è colui che si prefigge il conseguimento della propria
soddisfazione senza tenere in alcun conto i sentimenti e gli interessi
altrui. Gli individui isolati riescono difficilmente a raggiungere la
perfezione nella ribalderia, benché vi sia chi a questa perfezione è
andato tanto vicino da aver resa necessaria la propria liquidazione.
Cartouche, Titus Oates e coloro che come mezzo di sussistenza scelgono
di sposarsi, mettere una assicurazione sulla vita della moglie e poi
assassinarla, hanno certamente commesso qua e là qualche buona azione;
ciononostante nessun governante degno di questo nome esiterebbe un
istante a condannarli a morte. Nell'attesa di qualche scoperta che
serva a mutar la loro natura essi debbono essere affidati al boia,
così come alcune escrescenze maligne vengono affidate al chirurgo.
E' generalmente ammesso da tutti che due soli sono i metodi di
governo: l'uno, illustrato da Lincoln, è il governo del popolo per il
popolo, composto dal popolo, e lo si chiama democrazia. Il secondo è
il governo dei singoli grandi uomini, e ha per nome dittatura. Spero
di esser già riuscito a chiarire che la democrazia, definita come
sopra, non è altro che una sciocchezza romantica. Il popolo si è
sovente rivoltato contro i Governi ma non ha mai governato di fatto.
L'idea del Grande Uomo necessita invece di un esame più minuzioso,
esame che intraprendo con un sembiante di autorità, poiché nella setta
dei shawiani [10] mi gratificano di tale appellativo.
Ecco che la necessità di por fine a questo interminabile libro si fa
imperativa. Vi ho trattato in massima di questioni sovente ripetute da
me, e da altri prima di me. Eppure bisognerà ridirle ancora, più
sovente di quanto un martello abbia da battere su un chiodo per farlo
penetrare in un muro, se si vuole che queste cose entrino nella
coscienza del signor Ognuno.
Prima di prefiggersi qualsiasi altro scopo i nostri sociologi, oggi,
debbono applicarsi a ripulire l'assurda fola di cui il diciottesimo
secolo è responsabile, fola premarxista, nata con Rousseau e
Jefferson. Devono insistere proprio sul concetto opposto a essa, e
insegnare, cioè, che tutti siamo nati schiavi della natura la quale ci
impone di lavorare x ore al giorno, così come le mucche sono costrette
a pascolare, se non vogliono morir di fame, di sete e di freddo.
Nessuno può scansare questa fatica, a meno di imporne una doppia a un
altro individuo, o, se il doppio non gli riesce, una decima parte su
dieci persone [13]. Perché questo possa però accadere, è necessario che
chi intende scansare la legge naturale del lavoro sia il padrone
politico dei lavoratori e i lavoratori schiavi suoi e della natura.
Fino a che il popolo non potrà scegliersi i suoi capi, e disdire la
propria scelta a intervalli abbastanza lunghi da permettere un
giudizio sull'operato di chi lo governa, governare risulterà un atto
di tirannia esercitato nell'interesse della classe, casta o cricca al
potere. E fino a che il suffragio popolare sarà limitato e guidato da
un regime costituzionale, l'ignoranza delle più semplici questioni
politiche unita all'idolatria riuscirà non soltanto a provocare
l'avvento di dittatori alla Hitler, ma anche movimenti insensati
condotti da bugiardi o da pazzi dello stampo di Titus Oates o di lord
George Gordon. La scelta dei governanti dovrebbe pertanto venir
limitata a coloro che abbiano superato tutte le prove credute
necessarie a giudicare della saggezza, comprensione, cultura ed
energia di un individuo. Ai fini legislativi il suffragio universale è
fuori questione, dato che unicamente una piccolissima percentuale di
qualsiasi popolo al mondo possiede la competenza necessaria a una
scelta efficace. Ma per una pubblica disamina del malcontento, per una
inchiesta sull'operato dei ministri o una critica al Governo, per un
suggerimento di nuovi metodi e di nuovi rimedi, di promozioni, di
risoluzioni, di voti di fiducia o di sfiducia, e in modo generale per
mantenere il Governo in contatto col popolo, risulta necessaria
l'opera che solo può svolgere un parlamento popolare i cui seggi siano
divisi in numero uguale fra uomini e donne.How small of all that human hearts endure
That part which kings or laws can cause or cure! [14].
E' giunta l'ora di dire chiaro e tondo ai nostri fondamentalisti che
essi sono oggi i peggiori nemici della religione. Sappiamo che Jehovah
non è un Dio, bensì un barbaro idolo da tribù. In quanto alla Bibbia,
frutto del lavoro di abilissimi scrittori, essa è, senza per questo
ricorrere alla ispirazione celeste, ricca di poesia, proverbi e
precetti degni di suscitare ammirazione, nonché di aneddoti divertenti
se non sempre edificanti. (Il traduttore inglese ne ha poi fatto un
capolavoro della nostra letteratura.) Per il resto troviamo nelle sue
pagine un ammasso di superstizioni selvagge, una cosmologia
sorpassata, una scienza teologica assai barbara. Da principio questa
teologia non si diparte da espressioni di rozza idolatria basate su
sacrifici propiziatori sanguinari (dal Libro della Genesi al Libro dei
Re); poi si ritrae in uno scettico pessimismo disilluso e ateo
(l'Ecclesiaste); quindi rivive in un trasporto di ardore
rivoluzionario che, araldo della giustizia e della pietà divina,
ripudia tutti i sacrifici (Micah e i Profeti); ricade, allora, nel
sentimentale e concepisce Dio in veste di tenero Padre (Gesù); ritorna
quindi ai sacrifici sanguinosi e scansa la politica rifugiandosi nella
fede dell'altro mondo e nel Secondo Avvento (Atti degli Apostoli);
finalmente esplode in un mistico sogno da oppiomani per un'impossibile
Apocalissi (Rivelazioni).
Questo libro non sarà mai finito. Eppure, ogni scrittore che
riprenderà il discorso dovrà fermarsi anche lui in qualche punto come
sto facendo io, non perché non vi sia poi più nulla da dire, ma perché
sarà stanco di scrivere, e i suoi lettori di leggerlo, senza parlar
poi dei limiti disponibili di tempo e spazio. Debbo far punto e basta,
e molte cose non le avrò dette.