Per la Critica dell'Economia Politica

Capitolo secondo

 

 

Indice

IV. I metalli nobili

C. Teorie sul mezzo di circolazione e sul denaro

 


 

IV. I metalli nobili

 

 

Il processo di produzione borghese s'impadronisce in un primo momento della circolazione metallica come di un organo tramandato bell'e pronto che viene, sì, trasformato, un po' alla volta, ma conserva pur sempre la sua struttura fondamentale. La questione del perchè invece di altre merci, servano come materiale del denaro l'oro e l'argento, va al di là dei confini del sistema borghese. Riepiloghiamo quindi solo in modo sommario i punti di vista più essenziali.

Siccome il tempo di lavoro generale stesso ammette soltanto differenze quantitative, l'oggetto che deve essere considerato sua incarnazione specifica dovrà essere in grado di esprimere differenze puramente quantitative, cosicchè identità, uniformità della qualità siano presupposte. E' questa la prima condizione perchè una merce eserciti la funzione di misura di valore. Se p. es. io stimo tutte le merci in buoi, pelli, grano, ecc. dovrò di fatto misurarle su un bue medio ideale, su una pelle media ideale, poichè il bue si differenzia qualitativamente da un altro bue, il grano da altro grano, una pelle da altra pelle, mentre per contro l'oro e l'argento come corpi semplici sono costantemente eguali a se stessi, e loro eguali quantità rappresentano quindi valori di eguale grandezza [111]. L'altra condizione perchè una merce possa servire da equivalente generale, la quale nasce direttamente dalla sua funzione di rappresentare differenze puramente quantitative, è la possibilità che la merce sia sezionabile a piacere e ricomponibile, cosicchè la moneta di conto possa essere raffigurata anche percettibilmente. L'oro e l'argento posseggono queste qualità a un grado preminente.

Come mezzi di circolazione l'oro e l'argento presentano, a confronto di altre merci, il vantaggio che al loro alto peso specifico, che rappresenta un peso relativo grande entro uno spazio esiguo, corrisponde il loro peso specifico economico che consente di racchiudere un tempo di lavoro relativamente grande, ossia un grande valore di scambio, in un volume esiguo. In questo modo sono garantite la facilità del trasporto, del passaggio da una mano all'altra, da un paese all'altro, la capacità di apparire e di scomparire con altrettanta rapidità, in breve è garantita la mobilità materiale, il sine qua non della merce la quale è destinata a servire da perpetuum mobile del processo di circolazione.

L'alto valore specifico dei metalli nobili, la loro resistenza e relativa indistruttibilità, la loro inossidabilità a contatto dell'aria, per l'oro in particolare la sua indissolubilità in acidi ad eccezione dell'acqua regia, tutte queste qualità naturali fanno dei metalli nobili il materiale della tesaurizzazione. Pietro Martire, che sembra essere stato grande amico della cioccolata, osserva perciò a proposito dei sacchi di cacao che costituivano una delle specie monetarie messicane: "O felice denaro, che offre al genere umano una bevanda dolce e nutriente e protegge i suoi innocenti possessori dall'infernale morbo della cupidigia, perchè non può essere sotterrato né conservato a lungo" (De orbe novo [Alcalà, 1530, dec. 5, cap. 4]).

La grande importanza dei metalli in genere all'interno del processo di produzione immediato è connessa alla loro funzione come strumenti della produzione. Astraendo dalla loro rarità, la maggiore malleabilità a paragone del ferro e anche del rame (allo stato indurito in cui lo usavano gli antichi) rende l'oro e l'argento incapaci di questo uso e li priva quindi in larga misura della qualità su cui si basa in generale il valore d'uso dei metalli. Come sono inutili entro il processo immediato della produzione, così appaiono non necessari come mezzi di sussistenza, come oggetti di consumo. Ogni e qualsiasi quantità di questi due metalli può quindi entrare nel processo della circolazione sociale senza pregiudicare il processo della produzione e del consumo immediati. Il loro valore d'uso individuale non viene a trovarsi in contraddizione con la loro funzione economica. D'altra parte, l'oro e l'argento sono, non soltanto negativamente, oggetti superflui ossia non necessari, ma le loro qualità estetiche ne fanno il materiale naturale di magnificenze, gioie, splendori, bisogni domenicali, in breve ne fanno la forma positiva della sovrabbondanza e della ricchezza. Appaiono in certo qual modo come luce squisita scavata dal mondo sotterraneo, mentre l'argento riflette tutti i raggi di luce nella loro mescolanza originaria e l'oro riflette solo la potenza più elevata del colore, il rosso. Ma il senso dei colori è la forma più popolare del senso estetico in generale. La connessione etimologica dei nomi dei metalli nobili nelle differenti lingue indo-germanicbe con designazioni di colore è stata provata da Jakob Grimm. (Vedi la sua Storia della lingua tedesca.)

Infine la capacità che hanno l'oro e l'argento di essere tramutati dalla forma di moneta nella forma di verghe, dalla forma di verghe nella forma di articoli di lusso e viceversa, il loro vantaggio dunque sulle altre merci, di non essere vincolati a determinate forme d'uso, date una volta tanto, fanno di essi il materiale naturale del denaro che da una determinatezza formale deve costantemente tramutarsi nell'altra.

La natura non produce denaro allo stesso modo che non produce banchieri o un corso dei cambi. Ma siccome la produzione borghese deve cristallizzare la ricchezza come feticcio nella forma di una singola cosa, l'oro e l'argento ne sono la corrispondente incarnazione. L'oro e l'argento non sono per natura denaro, ma il denaro è per natura oro e argento. Da un lato il cristallo-denaro argenteo o aureo non è soltanto prodotto del processo di circolazione, bensì di fatto il suo unico prodotto stabile. Dall'altro lato l'oro e l'argento sono prodotti naturali bell'e pronti, e sono quel primo prodotto direttamente come sono anche il secondo, non separati da alcuna differenza formale. Il prodotto generale del processo sociale, ossia lo stesso processo sociale, come prodotto è un prodotto naturale particolare che sta nelle viscere della terra e da queste è scavabile [112].

Abbiamo visto che l'oro e l'argento non possono soddisfare l'esigenza posta ad essi in quanto denaro, di essere una grandezza di valore invariabile. Ma hanno, come osserva già Aristotele, una grandezza di valore più permanente che la media delle altre merci. Astraendo dagli effetti generali di una sopravvalutazione o di un deprezzamento dei metalli nobili, le oscillazioni del rapporto di valore fra oro e argento sono di particolare importanza poichè entrambi, l'uno accanto all'altro, servono sul mercato mondiale da materiale del denaro. Le ragioni puramente economiche di questo variare del valore - conquiste e altri rivolgimenti politici, che nel mondo antico esercitavano un forte influsso sul valore dei metalli, agiscono solo localmente e in modo transitorio - si devono far risalire al variare del tempo di lavoro necessario per la produzione di questi metalli. Questo tempo di lavoro a sua volta dipenderà dalla loro rarità naturale relativa, come dalla maggiore o minore difficoltà offerta a chi si impadronisce di essi allo stato puramente metallico. L'oro è di fatto il primo metallo che l'uomo scopre. Da un lato la natura stessa lo presenta in forma cristallina schietta, individualizzato, esente da combinazioni chimiche con altri corpi ossia, come dicevano gli alchimisti, allo stato vergine; dall'altro lato, la natura stessa si assume, nei grandi lavaggi dell'oro compiuti dai fiumi, il lavoro della tecnologia. Da parte dell'uomo è richiesto in tal modo soltanto il lavoro più rozzo, sia per la produzione dell'oro di fiume, sia per quello dell'oro in terra alluvionale, mentre la produzione dell'argento presuppone lavoro di miniera e in genere uno sviluppo relativamente elevato della tecnica. Malgrado la sua minore rarità assoluta il valore dell'argento è quindi in origine relativamente maggiore di quello dell'oro. L'assicurazione data da Strabone che presso una tribù di arabi 10 libbre d'oro venivano date per 1 libbra di ferro e 2 libbre d'oro per 1 libbra di argento non appare quindi affatto incredibile. Ma nella proporzione in cui si sviluppano le forze produttive del lavoro sociale e il prodotto del lavoro semplice rincara quindi nei confronti di quello del lavoro combinato, nella proporzione in cui la crosta terrestre viene spezzata più universalmente e inaridiscono le originarie fonti superficiali dell'offerta dell'oro, il valore dell'argento scenderà in rapporto al valore dell'oro. A un grado di sviluppo dato della tecnologia e dei mezzi di comunicazione, la scoperta di nuovi terreni auriferi o argentiferi avrà infine il suo peso. Nell'antica Asia il rapporto fra oro e argento era di 6 a 1 o 8 a 1; quest'ultimo rapporto si aveva in Cina e in Giappone ancora all'inizio del secolo XIX; 10 a 1, il rapporto dell'epoca di Senofonte, può essere considerato come il rapporto medio dell'antichità media. Lo sfruttamento delle miniere d'argento spagnuole da parte di Cartagine e in seguito da parte di Roma agì nell'antichità come la scoperta delle miniere americane nell'Europa moderna. Per Roma nell'età imperiale potrà essere cifra media approssimativa 15 o 16 a 1, benchè spesso troviamo in Roma un più forte deprezzamento dell'argento. Lo stesso movimento che inizia con il deprezzamento relativo dell'oro e finisce con la caduta del valore dell'argento, si ripete nell'epoca successiva che va dal Medioevo fino all'epoca contemporanea. Come ai tempi di Senofonte, il rapporto medio è nel Medioevo di 10 a 1 e, in conseguenza della scoperta delle miniere americane, si tramuta di nuovo in 16 o 15 a 1. La scoperta delle sorgenti aurifere d'Australia, di California e di Colombo rende probabile un'altra caduta nel valore dell'oro [113].

 


 

C. Teorie sul mezzo di circolazione e sul denaro

 

 

Come nei secoli XVI e XVII, periodo d'infanzia della moderna società borghese, una generale bramosia d'oro sospingeva popoli e principi in crociate transoceaniche alla ricerca dell'aureo Gral [114], così i primi interpreti del mondo moderno, gli autori del sistema monetario di cui il sistema mercantilistico non è che una variante, proclamavano l'oro e l'argento, ossia il denaro, unica ricchezza. Con esattezza definivano come missione della società borghese la produzione del denaro, cioè, dal punto di vista della circolazione semplice delle merci, la costituzione del tesoro eterno che non è divorato né dai tarli né dalla ruggine. Non si risponde al sistema monetario dicendo che una tonnellata di ferro del prezzo di 3 lire sterline è una grandezza di valore uguale a quella di 3 lire sterline di oro. Non si tratta qui della grandezza del valore di scambio bensì della sua forma adeguata. Se il sistema monetario e quello mercantilistico elogiano il commercio mondiale e i rami del lavoro nazionali sboccanti direttamente nel commercio mondiale come le uniche vere fonti della ricchezza o del denaro, bisognerà considerare che in quell'epoca la massima parte della produzione nazionale si moveva ancora in forme feudali e serviva come fonte diretta di sussistenza ai produttori stessi. I prodotti, in gran parte, non si trasformavano in merci e quindi non in denaro, in generale non entravano nel generale ricambio organico sociale, non apparivano quindi come oggettivazione del lavoro astratto generale e di fatto non costituivano ricchezza borghese. Il denaro, come fine della circolazione, è il valore di scambio ossia la ricchezza astratta - non un qualsiasi elemento materiale della ricchezza - come fine determinato e motivo propulsore della produzione. Come si accordava al grado preliminare della produzione borghese, quei profeti misconosciuti tenevano fermo alla forma palpabile e rutilante del valore di scambio, alla sua forma di merce generale in

contrapposizione a tutte le merci particolari. La sfera economica propriamente borghese di quell'epoca era la sfera della circolazione delle merci. Dal punto di vista di questa sfera elementare essi giudicavano quindi tutto il complicato processo della produzione borghese e scambiavano il denaro per il capitale. La lotta incessante che gli economisti moderni conducono contro il sistema monetario e mercantilistico deriva in gran parte dal fatto che questo sistema svela in forma brutalmente ingenua il mistero della produzione borghese, il suo essere dominata dal valore di scambio. Ricardo, se pure allo scopo di una applicazione errata, osserva in qualche passo che perfino in tempi di carestia si importa grano, non perchè la nazione soffra la fame, bensì perchè il mercante di cereali fa quattrini. Criticando il sistema monetario e mercantilistico, l'economia politica sbaglia dunque attaccando questo sistema come mera illusione, come teoria semplicemente falsa, e non riconoscendolo come forma barbarica del proprio presupposto fondamentale. Inoltre, questo sistema non soltanto serba un diritto storico, ma, entro determinate sfere dell'economia moderna, serba pieno diritto di cittadinanza. A tutti gli stadi del processo di produzione borghese, in cui la ricchezza assume la forma elementare di merce, il valore di scambio assume la forma elementare di denaro, e in tutte le fasi del processo di produzione la ricchezza ricade sempre di bel nuovo per un momento nella forma elementare generale di merce. Anche nell'economia borghese più sviluppata, le funzioni specifiche dell'oro e dell'argento come denaro, a differenza della loro funzione di mezzo di circolazione e in opposizione a tutte le altre merci, non sono superate, bensì semplicemente limitate, e il sistema monetario e mercantilistico mantengono quindi la ragione che avevano. Il dato di fatto cattolico che oro e argento si contrappongono alle altre merci profane come incarnazione diretta del lavoro sociale, dunque come esistenza della ricchezza astratta, lede naturalmente il point d'honneur protestante dell'economia borghese, e per timore dei pregiudizi del sistema monetario per molto tempo essa si è privata del giudizio sui fenomeni della circolazione monetaria, come mostrerà la seguente esposizione.

In contrapposizione al sistema monetario e mercantilistico, i quali conoscono il denaro soltanto nella sua definizione formale di prodotto cristallino della circolazione, era del tutto logico che l'economia classica concepisse il denaro in un primo momento nella sua forma fluida, come forma del valore di scambio, prodotta entro la stessa metamorfosi delle merci e di nuovo dileguantesi. Quindi, come la circolazione delle merci è concepita esclusivamente nella forma M - D - M, e questa a sua volta esclusivamente nella definizione dell'unità progrediente di vendita e compera, così il denaro è affermato nella sua definizione formale come denaro. Se lo stesso mezzo di circolazione viene isolato nella sua funzione di moneta, esso si trasforma, come abbiamo visto, in segno di valore. Ma siccome l'economia classica in un primo momento si trovava di fronte la circolazione metallica come forma dominante di circolazione, essa interpreta il denaro metallico come moneta, la moneta metallica come semplice segno di valore. In corrispondenza della legge della circolazione dei segni di valore, la tesi viene posta in questo modo: i prezzi delle merci dipendono dalla massa del denaro circolante, e non viceversa, la massa del denaro circolante dipende dai prezzi delle merci. Troviamo questa teoria in economisti italiani del secolo XVII accennata più o meno, ora affermata, ora negata da Locke, svolta decisamente dallo Spectator (nel numero del 19 ottobre 1711), dal Montesquieu e dallo Hume. Siccome lo Hume è di gran lunga il rappresentante più autorevole di questa teoria nel corso del secolo XVIII, inizieremo con lui la nostra rassegna.

Dati determinati presupposti, l'aumento o la diminuzione nella quantità, sia del denaro metallico circolante, sia dei segni di valore circolanti, sembra agire uniformemente sui prezzi delle merci. Se scende o sale il valore dell'oro o dell'argento in cui sono stimati come prezzi i valori di scambio delle merci, saliranno o scenderanno i prezzi perchè la loro misura di valore si è mutata, e circolano più o meno oro e argento che non moneta, perchè i prezzi sono saliti o scesi. Ma il fenomeno visibile è il mutamento dei prezzi, mentre il valore di scambio delle merci rimane invariato, e si ha una quantità aumentata o diminuita dei mezzi di circolazione. D'altra parte, se la quantità dei segni di valore in circolazione scende o sale al di sopra o al di sotto del loro livello necessario, i segni di valore saranno ridotti a quest'ultimo forzatamente, mediante la discesa o la salita dei prezzi delle merci. In entrambi i casi un medesimo effetto sembra prodotto da una medesima causa, e a questa parvenza teneva fermo lo Hume.

Ogni indagine scientifica sul rapporto fra cifra dei mezzi di circolazione e movimento dei prezzi delle merci deve presupporre come dato il valore materiale monetario. Lo Hume, invece, considera esclusivamente epoche di rivoluzione nella misura degli stessi metalli nobili, dunque rivoluzioni nella misura dei valori. L'aumento dei prezzi delle merci, contemporaneo all'aumento del denaro metallico a partire dalla scoperta delle miniere americane, costituisce lo sfondo storico della sua teoria, allo stesso modo che la polemica contro il sistema monetario e mercantilistico ne era il motivo pratico. L'offerta dei metalli nobili può naturalmente essere aumentata restando invariate le spese della loro produzione. D'altra parte, la diminuzione del loro valore, ossia del tempo di lavoro necessario per la loro produzione, in un primo tempo si manifesterà soltanto nell'aumento della loro offerta. Dunque, dicevano in seguito taluni scolari di Hume, il valore diminuito dei metalli nobili si manifesta nella massa crescente dei mezzi di circolazione, e la massa crescente dei mezzi di circolazione si manifesta nell'aumento dei prezzi delle merci. Ma di fatto cresce soltanto il prezzo delle merci esportate, le quali sono scambiate con oro e argento come merce e non come mezzo di circolazione. In tal modo aumenta il prezzo di queste merci, stimate in oro e in argento dal valore diminuito, nei confronti di tutte le altre merci il cui valore di scambio continua a essere stimato in oro o argento in base alla scala di misura delle loro vecchie spese di produzione. Questa duplice stima dei valori di scambio delle merci in uno stesso paese non può essere naturalmente che temporanea, e i prezzi oro o argento dovranno pareggiarsi nelle proporzioni determinate dagli stessi valori di scambio, cosicchè infine i valori di scambio di tutte le merci saranno stimati in rispondenza al nuovo valore del materiale monetario. Lo svolgimento di questo processo non rientra qui come non rientra qui il modo in cui, in generale, si fa valere il valore di scambio delle merci entro le oscillazioni dei prezzi di mercato. Che però questo pareggio, in epoche meno sviluppate della produzione borghese, sia molto graduale e si distribuisca su lunghi periodi, ma comunque non vada di pari passo con l'aumento del contante in circolazione, è stato dimostrato in modo lampante da nuove indagini critiche sul movimento dei prezzi delle merci nel secolo XVI [115]. Senza alcuna pertinenza sono i riferimenti, cari agli scolari dello Hume, all'aumento dei prezzi nella Roma antica in seguito alla conquista della Macedonia, dell'Egitto e dell'Asia Minore. Il trasferimento improvviso e forzoso di denaro accumulato in tesori da un paese all'altro, peculiare del mondo antico, la temporanea riduzione delle spese di produzione dei metalli nobili per un determinato paese in virtù del semplice processo del saccheggio, non incidono sulle leggi immanenti della circolazione del denaro, come ad esempio la distribuzione gratuita di grano egiziano e siciliano non incide a Roma sulla legge generale che regola il prezzo del grano. Il materiale richiesto da una osservazione particolareggiata della circolazione del denaro, da un lato la storia selezionata dei prezzi delle merci, dall'altro le statistiche ufficiali e continuative dell'espansione e della contrazione del medio circolante, dell'afflusso e del deflusso dei metalli nobili, ecc., materiale che in generale si va formando soltanto con un sistema bancario sviluppato in pieno, mancava allo Hume come a tutti gli altri scrittori del secolo XVIII. La teoria della circolazione dello Hume si riassume nelle seguenti tesi: 1) I prezzi delle merci di un paese sono determinati dalla massa di denaro (denaro reale o denaro simbolico) che vi si trova. 2) Il denaro circolante in un paese rappresenta tutte le merci che vi si trovano. Nella proporzione in cui cresce il numero dei rappresentanti, ossia del denaro, toccherà al singolo rappresentante una quantità maggiore o minore della cosa rappresentata. 3) Se le merci sono aumentate, diminuirà il loro prezzo ossia crescerà il valore del denaro. Se è aumentato il denaro, crescerà viceversa il prezzo delle merci, scenderà il valore del denaro [116].

"Il caro prezzo delle cose - dice lo Hume - in conseguenza di una sovrabbondanza di denaro è uno svantaggio per ogni commercio esistente, poichè in tal modo è consentito che paesi poveri superino nelle compere paesi più ricchi su tutti i mercati esteri [117]. Non può avere alcun effetto, né buono né cattivo, considerando una nazione per se stessa, che esista molta o poca moneta per il conteggio o la rappresentanza delle merci, come non sarebbe alterato il bilancio di un commerciante qualora egli usasse nella contabilità invece del calcolo arabo che necessita di poche cifre, quello romano che ha bisogno di un numero maggiore. Anzi, la quantità maggiore del denaro, pari ai caratteri romani di calcolo, è piuttosto scomoda e costa una fatica maggiore, tanto per la conservazione quanto per il trasporto." [118] Per dimostrare qualcosa in un qualche modo, lo Hume avrebbe dovuto mostrare che, in un sistema dato di caratteri di calcolo, la massa delle cifre impiegate non dipende dalla grandezza di valore della cifra, ma la grandezza di valore della cifra dipende, viceversa, dalla massa dei caratteri impiegati. E' molto esatto che non costituisce alcun vantaggio la stima o il "conteggio" dei valori delle merci in oro o argento dal valore diminuito, e perciò i popoli, aumentando la somma di valori delle merci circolanti, hanno sempre trovato che è più comodo contare in argento che in rame, e in oro che in argento. Nella misura in cui diventavano più ricchi, trasformavano i metalli meno preziosi in moneta sussidiaria e i metalli più preziosi in denaro. D'altra parte lo Hume dimentica che per il conteggio dei valori in oro e argento non occorre che "ci sia" né oro né argento. Il denaro di conto e il mezzo di circolazione per lui coincidono ed entrambi sono moneta (coin). Siccome una modifica del valore nella misura dei valori, ossia nei metalli nobili che funzionano da denaro di conto, fa salire o scendere i prezzi delle merci, quindi anche la massa del denaro circolante, restando invariata la velocità di circolazione, lo Hume deduce che l'aumento o la diminuzione dei prezzi delle merci dipende dalla quantità del denaro circolante. Che nei secoli XVI e XVII non soltanto fosse aumentata la quantità d'oro e d'argento, ma allo stesso tempo fossero diminuiti i loro costi di produzione, lo Hume poteva arguirlo dalla chiusura delle miniere in Europa. Nei secoli XVI e XVII i prezzi delle merci aumentarono in Europa insieme con la massa dell'oro e argento importati dall'America; quindi i prezzi delle merci di ogni paese sono determinati dalla massa dell'oro e argento che vi si trovano. Questa era la prima "conseguenza necessaria" [119] dello Hume. Nei secoli XVI e XVII i prezzi non aumentarono nella stessa misura dell'aumento dei metalli nobili; passò più di mezzo secolo prima che nei prezzi delle merci si manifestasse un cambiamento qualsiasi, e perfino allora passò ancora molto tempo prima che i valori di scambio delle merci fossero stimati generalmente in base al valore diminuito dell'oro e dell'argento, dunque prima che la rivoluzione afferrasse i prezzi delle merci in generale. Dunque, ragiona lo Hume, il quale in assoluta contraddizione con i principi della sua filosofia trasforma acriticamente fatti osservati unilateralmente in tesi generali, dunque il prezzo delle merci, ossia il valore del denaro, è determinato non dalla massa assoluta del denaro esistente in un paese, bensì, piuttosto, dalla quantità di oro e di argento che entra realmente nella circolazione, ma alla fine tutto l'oro e l'argento esistenti in un paese devono essere assorbiti dalla circolazione come moneta [120]. E' chiaro che, possedendo l'oro e l'argento un valore proprio, e astraendo da tutte le altre leggi della circolazione, soltanto una quantità determinata di oro e argento possa circolare come equivalente per una data somma di valori di merci. Se dunque ogni quantità di oro e di argento, che si trovi casualmente in un paese, deve entrare nello scambio di merci come mezzo di circolazione, senza considerare la somma dei valori delle merci, allora l'oro e l'argento non hanno valore immanente e quindi in effetti non sono merci reali. Questa è la terza "conseguenza necessaria" dello Hume. Merci senza prezzo, e oro e argento senza valore, egli li fa entrare nel processo di circolazione. Perciò non parla neanche mai di un valore delle merci e di un valore dell'oro, bensì soltanto della loro vicendevole quantità. Già il Locke aveva detto che l'oro e l'argento non avevano che un valore immaginario ossia convenzionale; la prima brutale forma di contrasto nei confronti dell'affermazione del sistema monetario, che l'oro e l'argento soltanto avevano un vero valore. Che la esistenza-denaro dell'oro e dell'argento nasca semplicemente dalla loro funzione nel processo di scambio sociale, viene interpretato nel senso che essi vanno debitori del proprio valore e quindi della propria grandezza di valore a una funzione sociale [121]. L'oro e l'argento sono dunque cose prive di valore, ma entro il processo di circolazione acquistano una grandezza di valore fittizia in quanto rappresentanti delle merci. Dal processo non sono trasformati in denaro, bensì in valore. Questo loro valore è determinato dalla proporzione fra la loro massa e la massa delle merci, dovendo entrambe le masse pareggiarsi. Mentre dunque lo Hume fa entrare l'oro e l'argento nel mondo delle merci come non-merci, egli le trasforma viceversa, non appena appaiono nella definizione formale della moneta, in semplici merci, le quali si scambiano con altre merci mediante un semplice commercio di scambio. Ora, se il mondo delle merci consistesse in una sola merce, p. es. in un milione di quarter di grano, riuscirebbe molto semplice l'idea che un quarter si scambia con due once d'oro, essendoci due milioni di once d'oro, e con 20 once d'oro, essendoci 20 milioni di once d'oro, che prezzo della merce e valore del denaro salgono o scendono in proporzione inversa della quantità di denaro esistente [122]. Ma il mondo delle merci consiste di valori d'uso infinitamente diversi, il cui valore relativo non è affatto determinato dalla loro quantità relativa. Come si immagina dunque lo Hume questo scambio fra massa delle merci e massa dell'oro? Egli si accontenta dell'idea vaga e aconcettuale che ogni merce, come parte aliquota della massa complessiva delle merci, si scambia con una corrispondente aliquota della massa dell'oro. Il movimento progrediente delle merci, il quale nasce dall'antitesi fra valore di scambio e valore di uso in esse contenuta, che appare nella circolazione del denaro e si cristallizza nelle diverse definizioni formali di quest'ultimo, è dunque radiato, e al suo posto subentra la immaginaria equiparazione meccanica fra massa di peso dei metalli nobili esistenti in un paese e massa di merci presenti nello stesso tempo.

Sir James Steuart apre la sua indagine sulla moneta e sul denaro con una critica particolareggiata dello Hume e del Montesquieu [123]. Egli è in realtà il primo che ponga il quesito: La quantità del denaro circolante è determinata dai prezzi delle merci, oppure i prezzi delle merci sono determinati dalla quantità del denaro circolante? Benchè la sua esposizione sia annebbiata da vedute fantastiche circa la misura dei valori, da una raffigurazione oscillante del valore di scambio in genere e da reminiscenze del sistema mercantilistico, egli scopre le definizioni formali essenziali del denaro e le leggi generali della circolazione del denaro, perchè non pone meccanicamente le merci da un lato e il denaro dall'altro, ma svolge effettivamente le differenti funzioni dai differenti momenti dello scambio delle merci. "L'uso del denaro per la circolazione all'interno del paese si può riassumere in due punti principali, pagamento di quanto uno deve, acquisto di quanto occore a uno; entrambe le cose messe insieme costituiscono la domanda di denaro contante (ready money demands)... Lo stato del commercio della manifattura, il tenore di vita e le spese tradizionali degli abitanti sommate, tutte queste cose regolano e determinano la massa delle domande di denaro contante, ossia la massa delle vendite. Per attuare questa molteplicità di pagamenti occorre una certa proporzione di denaro. Questa proporzione, a sua volta, può aumentare o diminuire, a seconda delle circostanze, sebbene la quantità delle vendite rimanga invariata... Comunque, la circolazione di un paese può assorbire soltanto una quantità determinata di denaro." [124] "Il prezzo di mercato della merce è determinato dalla complicata operazione di domanda e concorrenza (demand and competition), le quali sono indipendenti dalla massa di oro e di argento presente in un paese. Che cosa ne sarà allora dell'oro e argento non richiesti come moneta? Saranno accumulati come tesoro oppure lavorati come materiale di articoli di lusso. Se la massa di oro e di argento scendesse al di sotto del livello richiesto dalla circolazione, la si sostituirà mediante denaro simbolico o altri espedienti. Se un corso dei cambi favorevole porta in paese una sovrabbondanza di denaro e se arresta al contempo la domanda per il suo invio all'estero, il denaro andrà a finire spesso in casse dove diventa inutile come se giacesse nelle miniere." [125] La seconda legge, scoperta dallo Steuart, è il riflusso della circolazione fondata sul credito al proprio punto di partenza. Infine egli svolge gli effetti prodotti dalla differenza del saggio d'interesse in paesi differenti sulla emigrazione e immigrazione internazionali dei metalli nobili. Queste ultime due determinazioni le accenneremo qui solo per amore di completezza, poichè sono lontane dal nostro tema della circolazione semplice [126]. Il denaro simbolico o la moneta di credito - lo Steuart ancora non distingue fra queste due forme del denaro - possono sostituire nella circolazione interna i metalli nobili come mezzo d' acquisto e mezzo di pagamento, ma non possono farlo sul mercato mondiale. I biglietti di carta moneta sono quindi il denaro della società (money of the society), mentre l'oro e l'argento sono la moneta del mondo (money of the world) [127].

E' una caratteristica delle nazioni che abbiano uno sviluppo "storico", nel senso della scuola storica del diritto, di dimenticare costantemente la propria storia. Benchè quindi la polemica sul rapporto fra prezzi delle merci e quantità dei mezzi di circolazione abbia occupato continuamente, durante questo mezzo secolo, il parlamento e abbia originato in Inghilterra migliaia di opuscoli, grandi e piccoli, lo Steuart è rimasto un "cane morto" più ancora di quanto lo Spinoza apparisse a Moses Mendelssohn ai tempi del Lessing. Perfino il più recente storiografo del "currency", il Maclaren, fa di Adam Smith l'inventore della teoria steuartiana, come fa di Ricardo l'inventore della teoria dello Hume [128]. Mentre Ricardo aveva affinato la teoria dello Hume, Adam Smith registra i risultati delle indagini compiute dallo Steuart come morti dati di fatto. Adam Smith ha applicato la sentenza della sua saggezza scozzese che, "avendo guadagnato un poco, spesso vi riuscirà facile guadagnare molto", anche alla ricchezza intellettuale e ha quindi, con meschina sollecitudine, tenuto segrete le fonti alle quali va debitore di quel poco da cui in effetti cava molto. Più di una volta egli preferisce troncare il problema là dove una precisa formulazione lo costringerebbe a fare i conti con i suoi predecessori. Così nella teoria del denaro. Egli accetta in silenzio la teoria dello Steuart, raccontando che l'oro e l'argento presenti in un paese sono trasformati parte in moneta, parte accumulati come fondi di riserva per i commercianti in paesi privi di banche e come riserve bancarie in paesi che abbiano una circolazione creditizia; parte servirebbe come tesoro per la compensazione di pagamenti internazionali, parte verrebbe trasformato in articoli di lusso. Il problema della quantità della moneta circolante egli lo elimina in silenzio trattando il denaro, in maniera completamente errata, da semplice merce [129]. Il suo volgarizzatore, l'insulso J. B. Say, che i francesi hanno nominato prince de la science, come Johann Christoph Gottsched nominò Omero il suo Schönaich e Pietro Aretino nominò se stesso terror principum e lux mundi, ha fatto con aria di grande importanza un dogma di questa omissione di Adam Smith, non del tutto ingenua [130]. La tensione polemica nei riguardi delle illusioni del sistema mercantilistico impediva del resto ad Adam Smith di concepire obiettivamente i fenomeni della circolazione metallica, mentre le sue vedute sulla moneta di credito sono originali e profonde. Allo stesso modo che nelle teorie delle petrificazioni del secolo XVIII scorre sempre una corrente sotterranea che nasce dal riguardo critico o apologetico verso la tradizione biblica del grande diluvio, dietro a tutte le teorie del denaro del secolo XVIII si nasconde una lotta segreta con il sistema monetario, lo spettro che aveva custodito la culla dell'economia borghese e che proiettava pur sempre la propria ombra sulla legislazione.

Le ricerche sul denaro sono state ispirate nel secolo XIX direttamente, non dai fenomeni della circolazione metallica, bensì piuttosto da quelli della circolazione dei biglietti di banca. Alla prima si risaliva soltanto per scoprire le leggi di quest'ultima. La sospensione del pagamento in contanti da parte della Banca d'Inghilterra a partire dal 1797, l'aumento successivo del prezzo di molte merci, la caduta del prezzo monetario dell'oro al di sotto del suo prezzo di mercato, il deprezzamento dei biglietti di banca, specialmente dal 1809 in poi, offrirono i motivi direttamente pratici di una lotta fra i partiti in parlamento e di un torneo teorico al di fuori di esso, entrambi ugualmente appassionati. Come fondo storico della discussione serviva la storia della carta moneta nel secolo XVIII, il fiasco della banca di Law, il deprezzamento dei biglietti delle banche provinciali delle colonie inglesi nell'America del Nord, dall'inizio del secolo XVIII fino alla metà, deprezzamento che procedeva di pari passo con la quantità crescente dei segni di valore; poi, in seguito, la carta moneta (continental bills) imposta legalmente dal governo centrale americano durante la guerra d'indipendenza, infine l'esperimento degli assegnati francesi compiuto su scala anche maggiore. La massima parte degli scrittori inglesi di quell'epoca scambiano la circolazione delle banconote, determinata secondo tutt'altre leggi, per la circolazione di segni di valore o di titoli di Stato a corso forzoso e, pretendendo di spiegare i fenomeni di questa circolazione forzosa con le leggi della circolazione metallica, ricavano in realtà, viceversa, le leggi di quest'ultima dai fenomeni della prima. Sorvoleremo, qui, sul gran numero di scrittori del periodo 1800-1809 e ci occuperemo subito di Ricardo, sia perchè egli compendia i suoi predecessori e formula le loro vedute con maggior precisione, sia perchè la figura che egli diede alla teoria del denaro domina fino a questo momento la legislazione bancaria inglese. Ricardo, come i suoi predecessori, mette in un sol fascio la circolazione di banconote o di moneta di credito e la circolazione di soli segni di valore. Il fatto che lo domina è il deprezzamento della carta moneta e il simultaneo aumento dei prezzi delle merci. Quello che le miniere americane erano per lo Hume, erano per Ricardo i torchi per la stampa dei biglietti di carta in Thread-needle Street, ed egli stesso identifica in un passo espressamente entrambi gli agenti. I suoi primi scritti, trattanti del problema del denaro, risalgono all'epoca della più violenta polemica fra la Banca d'Inghilterra, per cui parteggiavano i ministri e il partito della guerra, e i suoi avversari, intorno ai quali si raggruppava la opposizione parlamentare, i whigs e il partito della pace. Questi scritti apparivano i precursori diretti del celebre rapporto del comitato del bullion [*22] del 1810, nel quale sono accettate le vedute di Ricardo [131]. Lo strano fatto che Ricardo e i suoi seguaci, che definiscono il denaro un semplice segno di valore, siano chiamati bullionists (uomini dell'oro in verghe) deriva non soltanto dal nome di questo comitato, bensì dal contenuto stesso della sua teoria. Nella sua opera sull'economia politica, Ricardo ha ripetuto le medesime vedute e ha continuato a svolgerle, ma in nessun punto ha indagato il denaro di per sé come fece per il valore di scambio, il profitto, la rendita, ecc.

Ricardo determina in un primo tempo il valore dell'oro e dell'argento, come quello di tutte le altre merci, mediante la quantità del tempo di lavoro in essi oggettivato [132]. Nell'oro e nell'argento, in quanto merci di valore dato, sono misurati i valori di tutte le altre merci [133]. Ora, la quantità dei mezzi di circolazione di un paese è determinata dal valore dell'unità di misura del denaro da un lato, dalla somma dei valori di scambio delle merci dall'altro. Questa quantità è modificata dall'economia usata per effettuare i pagamenti [134]. Siccome in tal modo la quantità in cui può circolare del denaro di un valore dato si trova determinata, e siccome il suo valore si presenta all'interno della circolazione soltanto nella sua quantità, semplici suoi segni di valore potranno sostituirlo nella circolazione, se spesi nella proporzione determinata dal suo valore, cioè "il denaro circolante si trova al suo stato più perfetto allorchè consiste esclusivamente di carta di valore eguale a quello dell'oro che essa assume di rappresentare" [135]. Fino a questo punto, quindi, Ricardo determina la quantità dei mezzi di circolazione, presupposto come dato il valore del denaro, mediante i prezzi delle merci, e il denaro come segno di valore equivale per lui a segno di una determinata quantità di oro, non è come nello Hume rappresentante privo di valore delle merci.

Là dove Ricardo si scosta improvvisamente dal cammino piano della sua esposizione e trapassa all'opinione opposta, egli si volge subito alla circolazione internazionale dei metalli nobili e ingarbuglia così il problema, apponendovi punti di vista estranei. Seguendo la voce interna del suo pensiero lasceremo in disparte, in un primo momento, tutti i punti d'incidenza artificiali e sposteremo quindi le miniere d'oro e d'argento all'interno dei paesi dove i metalli nobili circolano come denaro. L'unica tesi che consegue da quanto Ricardo ha svolto sin qui, è che, dato il valore dell'oro, la quantità del denaro circolante si trova determinata dai prezzi delle merci. Dunque, in un momento dato, la massa dell'oro circolante in un paese è semplicemente determinata dal valore di scambio delle merci circolanti. Poniamo ora che la somma di questi valori di scambio diminuisca, o perchè si producono meno merci al vecchio valore di scambio o perchè, in virtù di un aumento della forza produttiva del lavoro, la medesima massa di merci acquista un valore di scambio minore. Oppure supponiamo, viceversa, che aumenti la somma dei valori di scambio, perchè aumenta la massa delle merci, restando invariate le spese di produzione, o perchè il valore, sia della massa medesima, sia di una massa di merci minore, aumenta in virtù di una forza produttiva del lavoro diminuita. Che cosa ne è in entrambi i casi della quantità data del metallo circolante? Se l'oro è denaro soltanto perchè circola come mezzo di circolazione, se è costretto a permanere nella circolazione, come la carta moneta emessa dallo Stato a corso forzoso (e questo ha in mente Ricardo), allora la quantità del denaro circolante traboccherà, nel primo caso, in rapporto al valore di scambio del metallo; nel secondo caso verrebbe a trovarsi al di sotto del proprio livello normale. Dunque, benchè dotato di valore proprio, l'oro diventa nel primo caso segno di un metallo di valore di scambio inferiore del proprio, nel secondo caso diventa segno di un metallo di valore superiore. Nel primo caso sarà, come segno di valore, al di sotto, nel secondo caso al di sopra del proprio valore reale (altra derivazione della carta moneta a corso forzoso). Nel primo caso sarebbe la stessa cosa se le merci fossero stimate in metallo di valore inferiore all'oro, nel secondo caso se fossero stimate in metallo di valore superiore a quello dell'oro. Nel primo caso i prezzi delle merci salirebbero, perciò nel secondo scenderebbero. In entrambi i casi il movimento dei prezzi delle merci, il loro aumento o la loro diminuzione sarebbero effetto della espansione o contrazione relativa della massa dell'oro circolante al di sopra o al di sotto del livello corrispondente al valore dell'oro, cioè della quantità normale che è determinata dal rapporto fra il valore dell'oro e il valore delle merci da mettersi in circolazione.

Il medesimo processo avrebbe luogo se la somma dei prezzi rimanesse invariata, ma la massa dell'oro circolante venisse a trovarsi al di sotto o al di sopra del livello normale, il primo di questi due casi se la moneta aurea logorata nella circolazione non venisse sostituita da una corrispondente produzione nuova delle miniere, il secondo se la nuova offerta da parte delle miniere avesse superato i bisogni della circolazione. In entrambi i casi si presuppone che le spese di produzione dell'oro, ossia il suo valore, rimangano invariate.

Riassumendo: il denaro circolante si trova a livello normale se la sua quantità, dato il valore di scambio delle merci, è determinata dal suo valore metallico. Esso trabocca, l'oro scende al di sotto del proprio valore metallico e i prezzi delle merci salgono, perchè la somma dei valori di scambio della massa di merci diminuisce oppure perchè l'offerta di oro delle miniere aumenta. L'oro si contrae al di sotto del livello normale, l'oro sale al di sopra del proprio valore metallico e i prezzi delle merci scendono, perchè la somma dei valori di scambio della massa di merci aumenta oppure perchè l'offerta dell'oro delle miniere non sostituisce la massa dell'oro logorato. In entrambi i casi l'oro circolante è segno di valore di un valore maggiore o minore di quello che realmente contiene. Può diventare segno sovrapprezzato o deprezzato di se stesso. Non appena le merci si fossero stimate generalmente in questo valore nuovo del denaro e i prezzi generali delle merci fossero saliti o discesi in proporzione, la quantità dell'oro circolante corrisponderebbe di nuovo ai bisogni della circolazione (conseguenza che Ricardo rileva con particolare piacere), ma sarebbe in contraddizione con le spese di produzione dei metalli nobili e quindi con il loro rapporto, in quanto merce, con le rimanenti merci. In concordanza con la teoria ricardiana dei valori di scambio in genere, l' aumento dell'oro al di sopra del suo valore di scambio, ossia del valore determinato dal tempo di lavoro in esso contenuto, cagionerebbe un aumento della produzione dell'oro, fino a che la sua offerta aumentata lo avesse di nuovo fatto scendere alla sua esatta grandezza di valore. Viceversa, una diminuzione dell'oro al di sotto del suo valore cagionerebbe una diminuzione della sua produzione fino a che l'oro fosse di nuovo salito alla sua esatta grandezza di valore. In virtù di questi movimenti inversi la contraddizione fra il valore metallico dell'oro e il suo valore come mezzo di circolazione si eliderebbe, si stabilirebbe il livello normale della massa d'oro circolante, e l'altezza dei prezzi delle merci corrisponderebbe di nuovo alla misura dei valori. Queste fluttuazioni del valore dell'oro circolante si impadronirebbero anche dell'oro in forma di verghe, poichè, secondo quanto è presupposto, circola tutto l'oro che non sia consumato in articoli di lusso. Siccome l'oro stesso, sia in moneta che in verghe, può diventare segno di valore di un valore metallico maggiore o minore del proprio, s'intende che banconote convertibili eventualmente in circolazione condividano questa stessa sorte. Benchè le banconote siano convertibili, benchè dunque il loro valore reale corrisponda al loro valore nominale, la massa complessiva del denaro circolante, oro e biglietti (the aggregate currency consisting of metal and of convertible notes) potrà essere sovrapprezzata e deprezzata, a seconda che la sua quantità complessiva, per le ragioni spiegate prima, salga al di sopra o scenda al di sotto del livello determinato dal valore di scambio delle merci in circolazione e dal valore metallico dell'oro. Carta moneta inconvertibile da questo punto di vista ha, nei confronti della carta moneta convertibile, il vantaggio di poter essere deprezzata in duplice modo. Può scendere al di sotto del valore del metallo che pretende di rappresentare, perchè è spesa in misura troppo elevata, oppure può scendere perchè il metallo da essa rappresentato è sceso al di sotto del proprio valore. Questo deprezzamento, non della carta nei confronti dell'oro, bensì dell'oro e della carta presi insieme, ossia della massa complessiva dei mezzi di circolazione di un paese, è una delle invenzioni principali di Ricardo, che Lord Overstone e compagni costrinsero al proprio servizio facendone uno dei principi fondamentali della legislazione bancaria del 1844 e 1845 ad opera di Sir Robert Peel.

Quello che si doveva dimostrare era che il prezzo delle merci ossia il valore dell'oro dipende dalla massa dell'oro circolante. La dimostrazione consiste nel presupporre quanto è da dimostrare, cioè che ogni quantità del metallo nobile che serve da denaro, in qualunque rapporto stia con il proprio valore intrinseco, deve diventare mezzo di circolazione, moneta, e in tal modo segno di valore per le merci in circolazione, qualunque sia la somma complessiva del loro valore. In altri termini, la dimostrazione consiste nell'astrazione da tutte le altre funzioni che il denaro [compie] oltre alla sua funzione di mezzo di circolazione. Se è incalzato da presso, come p. es. nella sua polemica con il Bosanquet, Ricardo, tutto dominato dal fenomeno dei segni di valore deprezzati dalla propria quantità, si rifugia in assicurazioni dogmatiche [136]. Ora, se Ricardo avesse avanzato questa teoria nella maniera seguita da noi astrattamente, senza immettervi rapporti concreti e punti d'incidenza che deviano dal problema stesso, la sua vacuità si sarebbe manifestata in modo lampante. Ma egli dà a tutto lo svolgimento una colorazione internazionale. Ma sarà facile comprovare che l'apparente grandezza della scala di misura nulla cambia alla meschinità delle idee fondamentali.

La prima tesi suonava dunque: la quantità del denaro metallico circolante è normale, allorchè è determinata dalla somma di valore delle merci circolanti, stimata nel valore metallico del denaro. Questo, espresso da un punto di vista internazionale, suona: in condizioni normali di circolazione ogni paese possiede una massa di denaro corrispondente alla sua ricchezza e alla sua industria. Il denaro circola in un valore corrispondente al proprio valore reale, ossia alle proprie spese di produzione; vale a dire il denaro ha in tutti i paesi il medesimo valore [137]. Quindi non si avrebbe mai un'esportazione o importazione di denaro da un paese all'altro [138]. Si avrebbe dunque un equilibrio fra i currencies (le masse complessive del denaro circolante) dei vari paesi. Il livello normale del currency nazionale viene ora espresso come equilibrio internazionale dei currencies, e di fatto non si dice null'altro se non che la nazionalità non modifica in alcun modo la legge economica generale. Ci troviamo di nuovo allo stesso fatale punto di prima. In che modo è perturbato il livello normale, il che ora suona in che modo è perturbato l'equilibrio internazionale dei currencies, oppure in che modo il denaro cessa di avere il medesimo valore in tutti i paesi, o, infine, in che modo cessa il denaro di avere in ogni paese il proprio valore? Allo stesso modo che prima veniva perturbato il livello normale, perchè la massa dell'oro circolante aumentava o diminuiva, restando invariata la somma di valore delle merci, o perchè restava invariata la quantità del denaro circolante, aumentando o diminuendo i valori di scambio delle merci, viene ora perturbato il livello internazionale determinato dal valore degli stessi metalli, perchè la massa dell'oro esistente in un paese aumenta in seguito a nuove miniere di metallo ivi scoperte [139] o perchè la somma dei valori di scambio delle merci circolanti in un paese particolare è aumentata o diminuita. Allo stesso modo che prima diminuiva o aumentava la produzione dei metalli nobili a seconda della necessità di contrarre o di espandere il currency e di abbassare o elevare in proporzione i prezzi delle merci, si fanno sentire ora esportazione e importazione da un paese nell'altro. Nel paese in cui i prezzi fossero saliti e il valore dell'oro fosse sceso al di sotto del suo valore metallico per effetto di una circolazione rigonfia, l'oro sarebbe deprezzato rispetto agli altri paesi, e di conseguenza i prezzi delle merci, a paragone di altri paesi, sarebbero aumentati. L'oro verrebbe dunque esportato, merci sarebbero importate. Se viceversa, viceversa. Come prima la produzione dell'oro, continuerebbero ora l'importazione o l'esportazione dell'oro, e con queste l'aumento o la diminuzione dei prezzi delle merci, fino a che fosse ora ristabilito l'equilibrio fra i currencies internazionali, come prima il normale rapporto di valore fra metallo e merce. Come nel primo caso la produzione dell'oro aumentava o diminuiva soltanto perchè l'oro era al di sopra o al di sotto del proprio valore, così la migrazione internazionale dell'oro avverrebbe soltanto per questo motivo. Come nel primo caso ogni variazione nella sua produzione inciderebbe sulla quantità del metallo circolante e con ciò sui prezzi, così accadrebbe ora per l'importazione e l'esportazione internazionale. Non appena fosse stabilito il valore relativo fra oro e merce, ossia fosse stabilita la quantità normale dei mezzi di circolazione, nel primo caso non avverrebbe alcun'altra produzione, nel secondo non si avrebbero altre esportazioni o importazioni, se non la produzione per la sostituzione della moneta logora e quella per il consumo dell'industria di lusso. Ne consegue quindi "che la tentazione di esportare oro come equivalente per merci, o una bilancia commerciale sfavorevole non si potranno mai avere se non come conseguenza di una quantità traboccante dei mezzi di circolazione" [140]. Sarebbe sempre soltanto a causa della svalutazione o sopravvalutazione del metallo, dovute a espansione o contrazione della massa dei mezzi di circolazione al di sopra o al di sotto del suo livello normale, che se ne avrebbe un'importazione o un'esportazione [141]. Inoltre risulterebbe: siccome nel primo caso la produzione dell'oro viene aumentata o diminuita, nel secondo caso l'oro viene importato o esportato soltanto perchè la sua quantità sta al di sopra o al di sotto del livello normale, perchè l'oro è sopravvalutato al di sopra o svalutato al di sotto del suo valore metallico, e dunque i prezzi delle merci sono o troppo elevati o troppo bassi, ognuno di questi movimenti agisce da correttivo [142] riconducendo i prezzi al loro vero livello mediante espansione o contrazione del denaro circolante, nel primo caso il livello fra valore dell'oro e valore delle merci, nel secondo caso il livello internazionale dei currencies. In altri termini: il denaro circola nei vari paesi solo in quanto circola in ogni paese come moneta. Il denaro è soltanto moneta, e la quantità di oro esistente in un paese deve quindi entrare nella circolazione, può dunque, in quanto segno di valore di se stesso, salire al di sopra o scendere al di sotto del suo valore. E così, per la via indiretta di questa complicazione internazionale, eccoci arrivati di nuovo felicemente a quel semplice dogma che costituisce il punto di partenza.

Alcuni esempi mostreranno come Ricardo in base alla sua teoria astratta si costruisca a modo suo e forzatamente i fenomeni reali. Egli sostiene p. es. che in epoche di cattivi raccolti, in Inghilterra con grande frequenza nei periodi dal 1800 al 1820, si esporti oro non perchè ci sia bisogno di grano e l'oro sia denaro, e quindi mezzo di acquisto e di pagamento sempre efficace sul mercato mondiale, bensì perchè l'oro sarebbe deprezzato a confronto delle altre merci e di conseguenza il currency del paese in cui si ha il cattivo raccolto sarebbe deprezzato a confronto degli altri currencies nazionali. Siccome cioè il cattivo raccolto avrebbe diminuito la massa delle merci circolanti, la quantità data del denaro circolante sarebbe traboccata oltre il suo livello normale e di conseguenza sarebbero saliti i prezzi di tutte le merci [143]. In contrasto con questa interpretazione paradossale è stato comprovato statisticamente che, a partire dal 1795 fino all'epoca più recente, in caso di cattivo raccolto, in Inghilterra la quantità esistente dei mezzi di circolazione non è traboccata, bensì è diventata insufficiente, e quindi circolava e doveva circolare più denaro di prima [144].

Allo stesso modo Ricardo sosteneva che all'epoca del blocco continentale decretato da Napoleone e dei decreti sul blocco inglese, gli inglesi esportavano sul continente oro invece di merce, perchè il loro denaro sarebbe stato deprezzato a confronto del denaro dei paesi continentali, le loro merci avrebbero avuto un prezzo più elevato, e in tal modo sarebbe stata speculazione commerciale più vantaggiosa esportare oro al posto delle merci. Secondo lui, l'Inghilterra era il mercato sul quale le merci erano care e il denaro costava poco, mentre sul continente le merci costavano poco e il denaro era caro. "Il fatto reale - dice uno scrittore inglese - era il prezzo rovinosamente basso dei nostri manufatti e prodotti coloniali per effetto del sistema continentale nel corso degli ultimi 6 anni della guerra. I prezzi dello zucchero e del caffè, p. es., erano stimati in oro, quattro o cinque volte più alti sul continente di quel che i medesimi prezzi fossero in Inghilterra stimati in biglietti di banca. Era l'epoca in cui i chimici francesi scopersero lo zucchero ricavato dalla barbabietola e sostituirono la cicoria al caffè, mentre allo stesso tempo gli affittuari inglesi sperimentavano l'ingrassamento dei buoi mediante sciroppi e melasse, era l'epoca in cui l'Inghilterra si impossessò dell'isola di Helgoland per costituirvi un deposito di merci allo scopo di facilitare il contrabbando per il nord dell'Europa, e i tipi più leggeri dei manufatti britannici cercavano la strada per la Germania passando attraverso la Turchia... Quasi tutte le merci del mondo erano accumulate nei nostri magazzini e vi giacevano vincolate, tranne quando una quantità piccola veniva riscattata da una licenza francese per la quale i commercianti di Amburgo e di Amsterdam avevano pagato a Napoleone una somma dalle 40 alle 50 mila lire sterline. Di strani commercianti doveva trattarsi, se pagavano simili somme per la libertà di portare un carico di merci da un mercato caro a un mercato di poco prezzo. Qual era la chiara alternativa per un commerciante? O vendere del caffè per 6 pence in banconote e mandarlo su una piazza dove potesse vendere la libbra direttamente per 3 o 4 scellini in oro, o comprare dell'oro con banconote da 5 lire sterline l'oncia e mandarlo su una piazza dove venisse stimato 3 sterline 17 scellini 10 1/2 pence. E' assurdo perciò dire che si facevano rimesse di oro invece che di caffè in quanto questa era un'operazione mercantile da preferirsi... Non vi era paese al mondo in cui allora si potesse ottenere una quantità così grande di merci desiderabili come in Inghilterra. Bonaparte esaminava sempre attentamente i listini dei prezzi inglesi. Finchè vedeva che in Inghilterra l'oro era caro e il caffè era a buon mercato, egli si mostrava soddisfatto degli effetti del suo sistema continentale." [145] Proprio nell'epoca in cui Ricardo avanzò per la prima volta la sua teoria del denaro e il comitato del bullion la incorporò al suo rapporto parlamentare, nell'anno 1810, si ebbe una caduta rovinosa nei prezzi di tutte le merci inglesi, a paragone del 1808 e 1809, mentre l'oro aumentava di valore in proporzione. Costituivano un'eccezione i prodotti agricoli, perchè la loro importazione dall'estero s'imbatteva in ostacoli e perchè la massa esistente all'interno del paese era decimata dai cattivi raccolti [146]. Ricardo misconobbe la funzione dei metalli nobili come mezzi di pagamento internazionali a tal punto da poter dichiarare nella sua deposizione davanti al comitato della camera dei Lord (1819): "Che i deflussi dell'oro per l'esportazione sarebbero cessati interamente non appena fossero ripresi i pagamenti in contanti e la circolazione del denaro fosse ricondotta al suo livello metallico". Egli morì in tempo, proprio alla vigilia dello scoppio della crisi del 1825 la quale smentì in pieno la sua profezia. Il periodo in cui Ricardo svolse la sua attività di scrittore era in genere poco adatto per l'osservazione dei metalli nobili nella loro funzione di moneta mondiale. Prima dell'introduzione del sistema continentale, la bilancia commerciale era quasi sempre a favore dell'Inghilterra e durante quel sistema le transazioni con il continente europeo erano troppo insignificanti per incidere sul corso dei cambi inglese. Le rimesse di denaro erano principalmente di natura politica, e Ricardo sembra aver misconosciuto completamente la funzione avuta nell'esportazione inglese dell'oro dai sussidi in denaro [147].

Fra i contemporanei di Ricardo che costituiscono la scuola per i princípi della sua economia politica James Mill è il più notevole. Questi ha tentato di esporre la teoria ricardiana del denaro sulla base della circolazione metallica semplice, senza le impertinenti complicazioni internazionali dietro le quali Ricardo nasconde la povertà delle sue opinioni, senza alcun riguardo polemico per le operazioni della Banca d'Inghilterra. Le sue tesi principali sono le seguenti [148]:

"Il valore del denaro è pari alla proporzione nella quale lo si scambia con altri articoli, ossia alla quantità di denaro che si dà in cambio di una determinata quantità di altre cose. Questa proporzione è determinata dalla quantità totale del denaro esistente in un paese. Supponendo da un lato tutte le merci di un paese, e dall'altro tutto il suo denaro, è evidente che nello scambio dei due lati il valore del denaro, ossia la quantità di merci per la quale è scambiato, dipende interamente dalla sua quantità. La massa totale delle merci in un paese non si scambia d'un sol tratto con la massa totale del denaro, le merci si scambiano bensì in porzioni, e spesso in porzioni minime, in epoche differenti nel corso dell' anno. La stessa moneta che oggi è servita per questo scambio, potrà domani servire per un altro. Una parte del denaro è usata per un numero considerevole di atti di scambio, un'altra parte per un numero molto esiguo, e una terza parte viene accumulata e non serve per scambio alcuno. Fra queste variazioni vi sarà una media, fondata sul numero di atti di scambio pel quale sarebbe stata usata ogni moneta d'oro, se ognuna di esse compisse lo stesso numero di atti di scambio. Questo numero medio si fissi a piacere, p. es. a 10. Se ogni moneta esistente nel paese è servita per 10 compere, si avrà la stessa cosa che si avrebbe, se la massa totale delle monete si fosse decuplicata, e ognuna di esse avesse servito per una sola compera. In questo caso il valore di tutte le merci è pari al valore del denaro moltiplicato per dieci, ecc. Se, viceversa, invece di far servire ogni moneta per 10 compere, la massa totale del denaro fosse decuplicata, e ogni moneta compisse un solo scambio, è chiaro che ogni aumento di questa massa cagionerebbe una relativa diminuzione nel valore di ognuna delle monete d'oro presa per sé. Siccome si presuppone che la massa di tutte le merci con la quale può scambiarsi il denaro rimanga invariata, il valore della massa complessiva del denaro non è aumentato, dopo l'aumento della sua quantità, a più di quanto fosse prima. Se si presuppone un aumento di un decimo, il valore di ogni parte aliquota della massa complessiva, p. es. di un'oncia, deve essere sceso di un decimo. Qualunque sia il grado di diminuzione o di aumento della massa totale del denaro, rimanendo invariata la quantità delle altre cose, questa massa complessiva e ognuna delle sue parti subiranno reciprocamente una diminuzione o un aumento proporzionale. E' chiaro che questa tesi è pura verità. Tutte le volte che il valore del denaro abbia subito un aumento o una diminuzione, e tutte le volte che la quantità delle merci con cui si poteva scambiare il denaro e il movimento della circolazione rimangano invariati, questo mutamento deve aver avuto come motivo un aumento o una diminuzione proporzionale del denaro e non potrà essere attribuito ad altra causa. Se la massa delle merci diminuisce, restando invariata la quantità del denaro, sarà come se la somma complessiva del denaro fosse aumentata o viceversa. Mutamenti consimili sono il risultato di ogni mutamento nel movimento della circolazione. Ogni aumento del numero delle circolazioni produce lo stesso effetto che è prodotto da un aumento complessivo del denaro; una diminuzione di quel numero produce direttamente l'effetto opposto... Se una parte della produzione annua non è scambiata affatto, come quella consumata dagli stessi produttori, questa parte non entrerà nel calcolo. Siccome essa non si scambia con denaro, rispetto al denaro è come se non esistesse affatto... Ogni qualvolta l'aumento e la diminuzione del denaro possono aver luogo liberamente, la quantità complessiva del denaro esistente in un paese sarà regolata dal valore dei metalli nobili... Ma l'oro e l'argento sono merci il cui valore, come quello di tutte le altre merci, è determinato dalle spese di produzione, dalla quantità del lavoro contenuto in essa." [149]

Tutto l'acume del Mill si dissolve in una serie di presupposti altrettanto arbitrari quanto assurdi. Egli vuol dimostrare che il prezzo delle merci, ossia il valore del denaro, è determinato "dalla quantità totale del denaro esistente in un paese". Presupponendo che la massa e il valore di scambio delle merci circolanti rimangano invariati, come anche la velocità di circolazione e il valore dei metalli nobili determinato dalle spese di produzione, e presupponendo al contempo che, tuttavia, la quantità del denaro metallico in circolazione aumenti o diminuisca in rapporto alla massa del denaro esistente nel paese, diventa di fatto "evidente" che si è presupposto quanto si pretendeva di dimostrare. Il Mill cade del resto nell'errore di Hume, ossia fa circolare valori d'uso, non merci di un valore di scambio dato, e quindi la sua tesi diventa sbagliata anche se si accettano tutti i suoi "presupposti". La velocità di circolazione può rimanere invariata, e così anche il valore dei metalli nobili, così anche la quantità delle merci circolanti, eppure, con il mutamento del loro valore di scambio, potrà essere richiesta, per la loro circolazione, ora una massa maggiore, ora una massa minore di denaro. Il Mill vede il fatto reale per cui una parte del denaro esistente nel paese circola, mentre l'altra ristagna. Con l'aiuto di un calcolo medio assai buffo egli presuppone che in verità circoli tutto il denaro esistente in un paese, benchè in realtà la cosa sembri diversa. Supponiamo che in un paese circolino, due volte all'anno, 10 milioni di talleri d'argento; in tal caso potrebbero circolare 20 milioni, qualora ogni tallero compisse una compera. E se la somma complessiva dell'argento esistente nel paese in ogni e qualsiasi forma ammontasse a 100 milioni di talleri, si potrà supporre che i 100 milioni potranno circolare qualora ogni moneta compisse una compera nel corso di cinque anni. Si potrebbe anche supporre che tutto il denaro del mondo circoli a Hampstead, che ogni sua parte aliquota però compia una circolazione nel corso di 3.000.000 di anni invece di compierne circa tre in un anno solo. L'una di queste supposizioni è esattamente altrettanto importante quanto l'altra, rispetto alla determinazione del rapporto fra somma dei prezzi delle merci e quantità dei mezzi di circolazione. Il Mill avverte che per lui è d'importanza decisiva connettere direttamente le merci non con la quantità di denaro esistente nella circolazione, bensì con la scorta complessiva del denaro esistente ogni volta in un paese. Egli ammette che la massa totale delle merci di un paese non si scambia "d'un sol tratto" con la massa totale del denaro, ma porzioni differenti di merci si scambiano con porzioni differenti di denaro in epoche differenti dell'anno. Per eliminare questo inconveniente, egli presuppone che non esista. Del resto tutta questa idea della contrapposizione immediata di merci e denaro e del loro scambio immediato è dedotta dal movimento delle compere e delle vendite semplici ossia dalla funzione del denaro quale mezzo di acquisto. Già nel movimento del denaro come mezzo di pagamento questa apparizione simultanea di merce e denaro scompare.

Le crisi commerciali del secolo XIX, in particolare le grandi crisi del 1825 e del 1836, non produssero un ulteriore svolgimento della teoria ricardiana del denaro, diedero origine però a una sua nuova applicazione. Non si trattava più di singoli fenomeni economici, come per Hume il deprezzamento dei metalli nobili dei secoli XVI e XVII, o per Ricardo il deprezzamento della carta moneta durante il Settecento e all'inizio dell'Ottocento, bensì delle grandi tempeste sul mercato mondiale, in cui si scarica l'antagonismo di tutti gli elementi del processo di produzione borghese, origine e prevenzione delle quali venivano ricercate entro la sfera più superficiale e più astratta di questo processo, entro la sfera della circolazione del denaro. Il presupposto propriamente teorico da cui parte la scuola dei meteorologi dell'economia, consiste di fatto in nient'altro che nel dogma affermante che Ricardo ha scoperto le leggi della circolazione puramente metallica. Quel che rimaneva da fare per essi era l'assoggettamento della circolazione creditizia e della circolazione dei biglietti di banca a queste leggi.

Il fenomeno più generale e più manifesto delle crisi commerciali è una caduta generale, improvvisa dei prezzi delle merci facente seguito a un loro aumento generale prolungato. La caduta generale dei prezzi delle merci può essere espressa come aumento del valore relativo del denaro a paragone di tutte le merci, e l'aumento generale dei prezzi, viceversa, come caduta del valore relativo del denaro. In entrambe le espressioni il fenomeno è enunciato, non spiegato. Che io formuli il tema: spiegate l'aumento periodico generale dei prezzi che si alterna con la loro generale caduta, o che io formuli il medesimo tema: spiegate caduta e aumento periodici del valore relativo del denaro a paragone delle merci, il diverso frasario lascia invariato il tema stesso come lo lascerebbe invariato la sua traduzione dal tedesco in inglese. La teoria ricardiana del denaro giungeva quindi molto gradita poichè a una tautologia dà l'apparenza di un rapporto causale. Da dove viene la periodica caduta generale dei prezzi delle merci? Dall'aumento periodico del valore relativo del denaro. Da dove, viceversa, viene il generale aumento periodico dei prezzi delle merci? Da una caduta periodica del valore relativo del denaro. Con la stessa precisione si potrebbe dire che l'aumento e la caduta periodici dei prezzi derivano dal loro aumento e dalla loro caduta periodici. Il compito stesso è posto con la premessa che il valore immanente del denaro, ossia il suo valore determinato dalle spese di produzione dei metalli nobili, rimanga invariato. Se la tautologia dev'essere più che una tautologia, allora è basata sul disconoscimento dei concetti più elementari. Se il valore di scambio di A, misurato in B, diminuisce, sappiamo che questo può derivare tanto da una diminuzione del valore di A quanto da un aumento del valore di B. E così, viceversa, se aumenta il valore di scambio di A misurato in B. Una volta ammessa la trasformazione della tautologia in rapporto causale, tutto il resto viene con facilità. L'aumento dei prezzi delle merci deriva dalla diminuzione del valore del denaro, la diminuzione del valore del denaro però, come sappiamo da Ricardo, deriva da una circolazione traboccante, ossia dal fatto che la massa del denaro circolante sale al di sopra del livello determinato dal suo valore immanente e dai valori immanenti delle merci. Così, viceversa, la diminuzione generale dei prezzi delle merci deriva dall'aumento del valore del denaro al di sopra del suo valore immanente in seguito a una circolazione al di sotto del livello normale. I prezzi salgono e cadono quindi periodicamente, perchè periodicamente circola troppo o troppo poco denaro. Ora, se per caso si dimostra che l'aumento dei prezzi ha coinciso con una circolazione di denaro diminuita, e la diminuzione dei prezzi con una circolazione aumentata, ciò nonostante si potrà sostenere che a causa di una qualsiasi diminuzione o di un qualsiasi aumento della massa di merci in circolazione, seppure aumento o diminuzione non siano affatto comprovabili statisticamente, la quantità del denaro circolante sia stata aumentata o diminuita, se non assolutamente, purtuttavia relativamente. Ora, abbiamo visto che secondo Ricardo queste oscillazioni generali dei prezzi devono verificarsi anche per una circolazione puramente metallica, che si compensano però in virtù del loro alternarsi p. es. una circolazione al di sotto del livello normale, una caduta dei prezzi delle merci, che provoca un'esportazione delle merci all'estero, che a sua volta però provoca l'afflusso di denaro all'interno, e questo afflusso di denaro provoca a sua volta di nuovo però un aumento dei prezzi delle merci. Il contrario accade allorchè si tratti di una circolazione al di sopra del livello normale, nella quale siano importate merci e sia esportato denaro. Ora, siccome però, malgrado queste oscillazioni generali dei prezzi, che derivano dalla natura della stessa circolazione metallica secondo Ricardo, la forma violenta e forzosa delle oscillazioni, la loro forma di crisi, fa parte dei periodi di un sistema creditizio sviluppato, diventa cosa chiara come la luce del sole che l'emissione dei biglietti di banca non è esattamente regolata in base alle leggi della circolazione metallica. La circolazione metallica ha il suo toccasana nell'importazione e nell'esportazione dei metalli nobili, i quali entrano subito in circolazione come moneta e in tal modo, mediante il loro afflusso o deflusso, fanno scendere e salire i prezzi delle merci. Lo stesso effetto sui prezzi delle merci deve allora essere prodotto dalle banche imitando le leggi della circolazione metallica. Se dall'estero affluisce oro, si ha la dimostrazione che la circolazione è al di sotto del livello normale, il valore del denaro è troppo elevato e i prezzi sono troppo bassi e, che di conseguenza, devono essere immessi nella circolazione biglietti di banca in proporzione dell'oro di nuova importazione. Nel caso opposto, dovranno essere sottratti alla circolazione nella proporzione in cui l'oro defluisce dal paese. In altri termini, l'emissione delle banconote dovrà essere regolata secondo l'importazione e l'esportazione dei metalli nobili, ossia secondo il corso dei cambi. L'erroneo presupposto di Ricardo per il quale l'oro non è che moneta e quindi tutto l'oro importato aumenta il denaro circolante e quindi fa salire i prezzi, che tutto l'oro esportato diminuisce la moneta e quindi fa scendere i prezzi, questo presupposto teorico diventa qui l'esperimento pratico di far circolare una quantità di moneta identica alla quantità di oro presente di volta in volta. Lord Overstone (il banchiere Jones Lloyd), il colonnello Torrens, Norman, Clay, Arbuthnot e un numero infinito di altri scrittori, noti in Inghilterra sotto il nome di scuola del "currency principle", hanno non soltanto predicato questa dottrina, ma ne hanno fatto, per mezzo degli Atti sulla Banca d'Inghilterra di Sir Robert Peel del 1844 e 1845, la base della vigente legislazione bancaria inglese e scozzese. Il loro vergognoso fiasco, teorico e pratico, dopo esperimenti su scala nazionale massima, potrà essere illustrato soltanto nella teoria del credito [150]. Ma si vede qui come la teoria ricardiana, la quale isola il denaro nella sua forma fluida di mezzo di circolazione, finisce per attribuire all'aumento e alla diminuzione dei metalli nobili un effetto assoluto sull'economia borghese, come mai se l'era sognato la superstizione del sistema monetario. Così, Ricardo il quale proclama la carta moneta la forma più compiuta del denaro, divenne il profeta dei bullionisti.

Svolta in tal modo fino alle ultime conseguenze la teoria dello Hume, ossia l'opposizione astratta contro il sistema monetario, la concezione concreta del denaro dello Steuart fu infine reintegrata nei suoi diritti ad opera di Thomas Tooke [151]. Il Tooke non fa derivare i suoi principi da una qualche teoria, bensì da una coscienziosa analisi della storia dei prezzi delle merci dal 1793 al 1856. Nella prima edizione della sua storia dei prezzi, pubblicata nel 1823, il Tooke è ancora molto vincolato alla teoria ricardiana e invano fa del suo meglio per accordare i fatti con quella teoria. Il suo opuscolo On the Currency, pubblicato dopo la crisi del 1825, potrebbe persino esser considerato la prima proposizione conseguente delle vedute fatte valere in seguito da Overstone. Ma, proseguendo le sue ricerche sulla storia dei prezzi, egli si vide costretto a rendersi conto che quella connessione diretta fra prezzi e quantità dei mezzi di circolazione, come è presupposta dalla teoria, è una semplice ubbia, che l'espansione e la contrazione dei mezzi di circolazione, restando invariato il valore dei metalli nobili, è sempre effetto, mai causa, delle oscillazioni dei prezzi, che la circolazione del denaro in generale è soltanto un movimento secondario, e che il denaro, nel reale processo di produzione, acquisisce definizioni formali molto diverse da quella del mezzo di circolazione. Le sue indagini particolareggiate rientrano in una sfera diversa dalla sfera della circolazione metallica semplice, e quindi non possono essere discusse qui, come non possono esserlo le indagini del Wilson e del Fullarton le quali sono della medesima tendenza [152]. Tutti questi scrittori concepiscono il denaro non in modo unilaterale, bensì nei suoi momenti differenti, ma solo materialmente, senza un qualsiasi nesso vivo, sia reciproco fra questi momenti, sia con il sistema complessivo delle categorie economiche. Essi mettono quindi, sbagliando, in un sol fascio il denaro, a differenza dal mezzo di circolazione, e il capitale o addirittura la merce, benchè d'altra parte si trovino di nuovo costretti a far valere all'occasione la differenza fra il denaro e entrambi [153]. Se ad es. si spedisce oro all'estero, si spedisce all'estero di fatto del capitale, ma lo stesso avviene se si esportano ferro, cotone, grano, in breve qualsiasi merce. Entrambi sono capitale e si differenziano quindi non in quanto capitale, bensì in quanto denaro e merce. La funzione dell'oro, come mezzo di scambio internazionale non deriva dunque dalla sua definizione formale di capitale, bensì dalla sua funzione specifica di denaro. Allo stesso modo, quando l'oro o al suo posto i biglietti di banca funzionano da mezzi di pagamento per il commercio interno, essi sono al contempo capitale. Ma il capitale nella forma di merce, come mostrano p. es. molto tangibilmente le crisi, non potrebbe subentrare al loro posto.E' dunque di nuovo la differenziazione dell'oro in quanto denaro dalla merce, non la sua esistenza come capitale, che fa dell'oro il mezzo di pagamento. Perfino là dove il capitale è esportato direttamente come capitale per prestare una determinata somma di valore, ad es. a interesse, all'estero, dipenderà dalle congiunture che esso sia esportato nella forma di merce o di oro e, se è esportato in quest'ultima forma, sarà a causa della specifica definizione formale che hanno i metalli nobili in quanto denaro nei confronti della merce. In generale, quegli scrittori non considerano il denaro prima nella forma astratta, in cui è svolto entro la circolazione semplice delle merci e in cui nasce dalla relazione delle merci stesse in movimento. Essi oscillano perciò costantemente fra le definizioni formali astratte, che il denaro acquisisce in contrapposizione alla merce, e le definizioni del denaro in cui si celano rapporti più concreti, come capitale, revenue [*23] e simili [154].

 

Note

111. "I metalli han questo di proprio e singolare che in essi soli tutte le ragioni si riducono ad una che è la loro quantità, non avendo ricevuto dalla natura diversa qualità né nell'interna loro constituzione né nell'esterna forma e fattura" (Galiani, Della Moneta, cit., pp. 126-127).

112. Nell'anno 760 emigrò una massa di povera gente per lavar la sabbia aurifera del fiume a sud di Praga, e tre uomini erano in grado di estrarre in una giornata 3 marchi d'oro. Di conseguenza l'afflusso ai "diggins" [località aurifere] e il numero delle braccia sottrattre all'agricoltura aumentarono tanto che l'anno successivo il paese fu assalito da una carestia (vedi M. G. Körner, Abhandlung von dem Altertum des böhmischen Bergwerks [Trattazione sull'antichità delle miniere boeme], Schneeberg, 1758 [p.37 sgg.]).

113. Fino a questo momento le scoperte fatte in Australia ecc, non hanno ancora inciso sul rapporto di valore fra oro e argento. Le affermazioni in senso opposto fatte da Michel Chevalier valgono proprio quanto il socialismo di questo ex sansimoniano. Certo le quotazioni dell'argento sul mercato di Londra dimostrano che il prezzo-oro medio dell'argento non supera durante il 1850-1858 dell'intero 3 per cento quello del periodo 1830-1850. Ma questo aumento è da spiegarsi semplicemente con la domanda d'argento da parte dell'Asia. Durante gli anni 1852-1858 il prezzo dell'argento varia nei singoli anni e mesi soltanto insieme con il variare di questa domanda, non varia affatto con l'offerta di oro dalle fonti di nuova scoperta. Segue un confronto dei prezzi-oro dell'argento sul mercato di Londra:

Prezzo dell'argento per oncia
Anno marzo luglio novembre
1852 61 1/8 pence 60 1/4 pence 61 7/8 pence
1853 61 3/8 pence 61 1/2 pence 61 7/8 pence
1854 61 7/8 pence 61 3/4 pence 61 1/2 pence
1855 60 7/8 pence 61 1/2 pence 60 7/8 pence
1856 60        pence 61 1/4 pence 62 1/8 pence
1857 61 3/4 pence 61 5/8 pence 62 1/2 pence
1858 61 5/8 pence - -

114. "L'oro è una cosa meravigliosa! Chi lo possiede, è padrone di tutto quello che desidera. Con l'oro si possono far giungere le anime in paradiso" (Colombo in una lettera dalla Giamaica, 1503) [Nota nella copia personale].

115. Questa gradualità e ammessa del resto dallo Hume per quanto corrisponda poco al suo principio. Vedi David Hume, Essays and Treatises on several Subjects, ed. londinese, 1777, vol. I, p. 300.

116. Cfr. Steuart, An Inquiry into the Principles of Political Economy, cit., vol I, pp. 394-400.

117. David Hume, Essays, cit., p. 300.

118. David Hume, ivi, p. 303.

119. Ibidem.

120. "E' chiaro che i prezzi non dipendono tanto dalla quantità assoluta delle merci e da quella del denaro esistenti in un paese, quanto dalla quantità delle merci che entra nel mercato o può entrarvi, e dal denaro che è in circolazione. Se il denaro coniato è chiuso in cofani, la cosa ha per i prezzi lo stesso effetto che avrebbe la sua distruzione; se le merci sono accumulate in magazzini e granai, si ha il medesimo effetto. Siccome denaro e merci non s'incontrano mai in tali casi, non possono neppure incidere l'uno sulle altre o viceversa. Il totale (dei prezzi) raggiunge alla fine una giusta proporzione nei confronti della nuova quantità del denaro metallico esistente nel paese" (ivi, pp. 303, 307, 308).

121. Vedi Law e Franklin sul plusvalore che acquisirebbero l'oro e l'argento dalla loro funzione di denaro. Anche Forbonnais [Nota nella copia personale].

122. Questa immagine si trova alla lettera in Montesquieu [Nota nella copia personale].

123. Steuart, An Inquiry into the Principles, cit., vol. I, p. 394 sgg.

124. Steuart, ivi, vol. II, pp. 377-379 passim.

125. Steuart, ivi, pp. 379-380 passim.

126. "Le monete addizionali saranno riposte o trasformate in vasellame di argento... Per quanto riguarda la carta moneta, essa ritornerà al debitore e sarà realizzata non appena abbia adempiuto il suo primo scopo di soddisfare il bisogno di colui che l'ha presa a prestito... Che il denaro metallico di un paese sia quindi aumentato o diminuito in proporzione vastissima, le merci aumenteranno o diminuiranno pur sempre secondo i principi della domanda e della concorrenza, e queste dipenderanno costantemente dalle inclinazioni di coloro che hanno da dare della proprietà o una qualche specie di controvalore, ma mai dalla quantità delle monete che essi posseggono... Che essa (cioè la quantità del denaro metallico esistente in un paese) sia anche minima; fino a che nel paese esisterà reale proprietà di qualche specie e vi sarà una concorrenza nel consumo fra coloro che la posseggono, i prezzi saranno alti per mezzo di baratti, di denaro simbolico, di pagamenti vicendevoli e di mille altre invenzioni... Se questo paese avrà rapporti con altre nazioni, dovrà esservi una proporzione fra i prezzi di molte specie di merci colà e altrove, e un improvviso aumento o un'improvvisa diminuzione del denaro metallico, ammesso che questo possa provocare da sé un rialzo o una caduta dei prezzi, sarebbe limitato nei suoi effetti dalla concorrenza estera" Steuart, ivi, vol. I, pp. 400-401. "La circolazione di ogni paese deve essere proporzionata alla industriosità degli abitanti, che producono le merci entranti nel mercato... Quindi, se il denaro metallico di un paese scenderà al di sotto della proporzione del prezzo dell'industriosità offerta in vendita, allora si ricorrerà a invenzioni come il denaro simbolico per creare un equivalente di detto denaro. Ma, risultando che il denaro metallico sta al di sopra della proporzione nei confronti dell'industriosità, non si avrà alcun effetto di un aumento dei prezzi né esso entrerà nella circolazione; sarà accumulato in tesori... Qualunque possa essere la quantità del denaro in un paese in proporzione del denaro del resto del mondo, in circolazione non potrà mai restare null'altro che la quantità quasi proporzionata al consumo degli abitanti ricchi e al lavoro e all'industriosità di quelli poveri", e questa proporzione non è determinata "dalla quantità di denaro di fatto esistente nel paese" (ivi, pp. 403-408 passim). "Tutti i paesi faranno del loro meglio per gettare il loro denaro contante, che non sia necessario per la loro circolazione, in quel paese in cui l'interesse del denaro è elevato a confronto del loro" (ivi, vol. II, p. 5.) "Il paese più ricco di Europa può essere il più povero di denaro metallico circolante" (ivi, vol. II, p. 6. Vedi la polemica contro lo Steuart in Arthur Young [Aggiunta nella copia personale]).

127. Steuart, ivi, vol. II, p. 370. Louis Blanc trasforma il "money of the society" che non significa altro che denaro interno, nazionale, in denaro socialista, il che non significa assolutamente niente, e fa di conseguenza di Jean Law un socialista (Vedi il primo volume della sua Storia della rivoluzione francese).

128. Maclaren, History of the Currency, cit., p. 43 sgg. Il patriottismo ha indotto uno scrittore tedesco, scomparso precocemente (Gustav Julius), a contrapporre alla scuola ricardiana, come autorità, il vecchio Busch. L'onorato Büsch tradusse il geniale inglese dello Steuart in basso tedesco amburghese fraintendendolo tutte le volte che gli riusciva.

129. Questo non è esatto. Enuncia invece in alcuni passi la legge esattamente [Nota nella copia personale].

130. La differenza fra "currency" e "money", ossia fra mezzo di circolazione e denaro non si trova quindi nel Wealth of Nations. Ingannato dalla apparente ingenuità di Adam Smith, il quale conosceva molto bene il suo Hume e il suo Steuart, l'onesto Maclaren osserva: "La teoria della dipendenza dei prezzi dalla quantità dei mezzi di circolazione finora non ha affatto destato attenzione; e il dottor Smith considera, come il signor Locke (il suo parere su Locke varia), il denaro metallico come null'altro che merce" (Maclaren, History of the Currency, cit., p. 44).

*22. Oro o argento in verghe.

131. David Ricardo, The high Price of Bullion, a Proof of the Depreciation of Banknotes, 4ª ed., Londra, 1811 (La prima edizione uscì nel 1809). Inoltre: Reply to Mr. Bosanquet's pratical Observations on the Report of the Bullion Committee, Londra, 1811.

132. On the Principles of Political Economy, cit., p. 77. "Il valore dei metalli nobili dipende alla fine, come quello di tutte le altre merci, dalla quantità totale del lavoro necessario per procurarli e portarli sul mercato".

133. Ivi, pp. 77, 180, 181.

134. Ivi, p. 421: "La quantità di denaro che può essere usata in un paese dipende dal valore del denaro. Se circolasse dell'oro soltanto, ne occorrerebbe quindici volte meno che se si usasse argento soltanto". Vedi anche Ricardo, Proposals for an economical and secure currency, Londra, 1816, p. 81, dove dice: "La quantità delle banconote in circolazione dipende dall'importo necessario per la circolazione del paese, e questo è regolato dal valore dell'unità di misura del denaro, dall'ammontare dei pagamenti e dall'economia della loro realizzazione".

135. David Ricardo, Principles of Political Economy, cit., pp. 432, 433.

136. David Ricardo, Reply to Mr. Bosanquet's practical Observations, cit., p. 49: "Che le merci salirebbero o scenderebbero di prezzo in proporzione dell'aumento o della diminuzione del denaro, è cosa che io presuppongo come fatto incontestabile".

137. David Ricardo, The high Price of Bullion, cit. "Il denaro avrebbe in tutti i paesi il medesimo valore" (p. 4). Nella sua economia politica Ricardo ha modificato questa tesi, ma non in una maniera che influisca qui.

138. Ivi, pp. 3-4.

139. Ivi, p. 4.

140. "Una bilancia commerciale sfavorevole non deriva mai se non da una sovrabbondanza di mezzi di circolazione" (Ricardo, ivi, pp. 11, 12).

141. "L'esportazione del denaro metallico è provocata dal suo buon prezzo e non è l'effetto, bensì la causa di una bilancia sfavorevole" (ivi, p. 14).

142. Ivi, p. 17.

143. David Ricardo, ivi, pp. 74, 75. "In conseguenza di un cattivo raccolto l'Inghilterra verrebbe a trovarsi nella situazione di un paese privato di parte delle proprie merci e che quindi ha bisogno di un importo minore di medio circolante. I mezzi di circolazione, che prima erano pari ai pagamenti, diverrebbero allora sovrabbondanti e relativamente a buon mercato in rapporto con la sua produzione diminuita. L'esportazione di questa somma ristabilirebbe quindi il valore del circolante rispetto al valore dei mezzi di circolazione di altri paesi". La confusione che il Ricardo fa tra denaro e merce e fra denaro e moneta diventa ridicola nella proposizione seguente: "Potendo supporre che dopo un raccolto sfavorevole, allorchè l'Inghilterra abbia motivo di un'importazione straordinaria di grano, un altro paese abbia sovrabbondanza di questo articolo, ma non abbia alcun bisogno di merci, ne conseguirebbe indubbiamente che questo paese non esporterebbe il proprio grano in cambio di merci: ma non esporterebbe grano nemmeno per denaro poichè quest'ultimo è una merce di cui nessun paese ha mai bisogno assoluto, bensì relativo" (Ivi, p. 75). Puskin, nel suo poema eroico, non fa mai capire al padre dell'eroe che la merce sia denaro. Ma che il denaro sia merce, i russi l'hanno capito da bel principio, come è dimostrato non soltanto dall'importazione inglese di grano dal 1838 al 1842, ma anche da tutta la storia del loro commercio.

144. Cfr. Thomas Tooke, History of Prices, e James Wilson, Capital, Currency and Banking (Quest'ultimo libro è la ristampa di una serie di articoli pubblicati nel 1844, 1845 e 1847 nell'Economist di Londra).

145. James Deacon Hume, Letters on the Cornlaws, Londra, 1834, pp. 29-31.

146. Thomas Tooke, History of Prices ecc., Londra, 1848, p. 110.

147. Cfr. di W. Blake le Observations ecc. citate sopra.

148. James Mill, Elements of Political Economy. Nel testo tradotto dalla versione francese di J. T. Parissot, Parigi, 1823.

149. Ivi, pp. 128-136 passim.

150. Alcuni mesi prima dello scoppio della generale crisi commerciale del 1857 sedeva alla Camera dei Comuni una commissione incaricata di fare delle indagini sugli effetti delle leggi bancarie del 1844 e 1845. Lord Overstone, padre teorico di queste leggi, nella sua deposizione davanti alla commissione si lasciò andare alla seguente vanteria: "Mediante la rigorosa e pronta osservanza dei princípi dell'Atto del 1844 tutto si è svolto con regolarità e facilità, il sistema monetario è sicuro e fermo, la prosperità del paese è incontestabile, la fiducia pubblica nella saggezza dell'Atto del 1844 va rafforzandosi di giorno in giorno. Se il comitato desidera ulteriori prove pratiche della solidità dei princípi su cui si basa quell'Atto, e delle benefiche conseguenze da esso assicurate, la vera e bastevole risposta sarà questa: Guardatevi attorno, guardate l'attuale situazione degli affari del nostro paese, guardate come è contento il popolo, guardate la ricchezza e la prosperità di tutte le classi della società; e poi, fatto questo, il comitato potrà essere in grado di decidere se vorrà interferire nella durata ulteriore di un Atto sotto il quale sono stati raggiunti tali risultati" (Report from the Select Committee on Bank Acts ecc., 1857 deposizione n. 4189). In questo modo Overstone strombazzava la propria gloria il 14 luglio 1857; il 12 novembre di quello stesso anno il ministero dovette sospendere, sotto la propria responsabilità, la miracolosa legge del 1844.

151. Al Tooke era completamente ignoto lo scritto dello Steuart, come risulta dalla sua History of Prices from 1839 till 1847, Londra, 1848, nella quale egli riassume tutte le teorie monetarie.

152. Lo scritto importante del Tooke, oltre alla sua History of Prices, edita in sei volumi dal suo collaboratore Newmarch, è An Inquiry into the Currency Principle, the connection of currency with prices ecc. 2ª ed., Londra, 1844. Lo scritto del Wilson lo abbiamo già citato. Resta ancora da ricordare John Fullarton, On the Regulation of Currencies, 2ª ed., Londra, 1845.

153. "Bisogna distinguere fra il denaro come merce, vale a dire capitale, e il denaro come mezzo di circolazione" (Tooke, An Inquiry into the Currency Principle, cit., p. 10). "Si può contare sul fatto che l'oro e l'argento al loro arrivo realizzino quasi esattamente la somma occorrente... L'oro e l'argento posseggono un infinito vantaggio rispetto a tutte le altre specie di merci... in virtù della circostanza che sono in uso universalmente come denaro... Non in tè, caffè, zucchero o indaco sono di solito da pagarsi per contratto i debiti esteri o interni, bensì in monete; e l'invio di denaro, o nella moneta appunto designata o in verghe che possono essere trasformate subito in quella moneta, o attraverso la zecca o attraverso il mercato del paese in cui sono spedite, dovrà sempre offrire al mittente i mezzi più sicuri, più diretti e più esatti per raggiungere lo scopo senza pericolo di cattivo successo per mancanza di domanda o per le oscillazioni del prezzo" (Fullarton, ivi, p. 132, 133). "Ogni altro articolo" (tranne l'oro e l'argento), "può trovarsi per quantità o per specie al di fuori della usuale domanda del paese in cui venga spedito" (Tooke, An Inquiry cit.).

*23. Reddito.

154. La trasformazione del denaro in capitale sarà esaminata nel terzo capitolo, che tratta del capitale e costituisce la fine di questa prima sezione.

 


Ultima modifica 30.9.2002