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Nei rapporti tra un governo debole ed un popolo in rivolta, si giunge sempre ad un momento in cui ogni atto delle autorità non fa che esasperare le masse ed ogni rifiuto di agire non fa che eccitarne il disprezzo.
Il progetto di abbandonare Pietrogrado scatenò una tempesta; la smentita ufficiale, con la quale Kerenski affermava che il governo non aveva alcuna intenzione simile, provocò beffe e sarcasmi.
A Karkov trentamila minatori si organizzarono prendendo per divisa il preambolo degli statuti degli I.W.W.: «Nulla v'è di comune tra la classe dei lavoratori e la classe degli imprenditori». I cosacchi li dispersero; alcuni proprietari di miniere proclamarono la serrata ed il resto dei minatori lo sciopero generale. Il ministro del Commercio e dell'Industria, Konovalov, incaricò il suo vice, Orlov, munito di pieni poteri, di finirla con i torbidi. Orlov era odiato dai minatori. Lo Zik non solo ne approvò la missione, ma rifiutò anche di domandare che i cosacchi fossero ritirati dal bacino del Donez.
Seguì la dispersione del Soviet di Kaluga. I bolscevichi, che vi avevano conquistata la maggioranza, liberarono alcuni prigionieri politici. Con il consenso del commissario del governo, la Duma fece arrivare le truppe da Minsk e bombardare con l'artiglieria la sede dei Soviet. I bolscevichi si arresero. Mentre essi abbandonavano l'edificio, i cosacchi li attaccarono gridando: «Ecco quello che capiterà a tutti i Soviet bolscevichi, compresi quelli di Mosca e di Pietrogrado». In seguito a questo incidente una ondata di furore e di indignazione percorse tutta la Russia.
Negli stessi giorni un congresso regionale dei Soviet del Nord, presieduto dal bolscevico Krilenko, terminava i suoi lavori a Pietrogrado. Con una maggioranza enorme si pronunziò per la presa del potere da parte del Congresso panrusso dei Soviet e chiuse le riunioni inviando il suo saluto ai bolscevichi prigionieri ed invitandoli a rallegrarsi perché l'ora della liberazione era prossima. Da parte sua la prima Conferenza panrussa dei Consigli di fabbrica si pronunciò in modo molto significativo:
Il sindacato dei ferrovieri esigette le dimissioni del ministro delle Comunicazioni, Liverovski.
A nome dello Zik, Skobelev insistette perché il nakaz fosse presentato alla Conferenza interalleata e protestò formalmente contro l'invio di Teresctscenko a Parigi. Teresctscenko offrì le sue dimissioni.
Il generale Verkhovski, non riuscendo a realizzare il suo piano di riorganizzazione dell'esercito, non andava che raramente alle riunioni del Consiglio dei ministri.
Il 3 novembre l’Obsctceie Dìelo di Burtzev pubblicava, in grossi caratteri, l'articolo seguente:
Cittadini!
Salvate la patria!
Ho saputo che ieri
alla seduta della Commissione della Difesa nazionale il ministro della guerra,
il generale Verkhovski, uno dei principali responsabili dello scacco di
Kornilov, ha proposto di firmare una pace separata.
È un atto di
tradimento verso la Russia.
Teresctscenko ha
dichiarato che il governo provvisorio non aveva neppure esaminato la proposta
di Verkhovski.
— Pareva di essere in
un manicomio! — ha detto lo stesso Teresctscenko.
I membri della
Commissione erano sbalorditi per la proposta del generale.
Il generale Alexiev
piangeva.
No, non è una pazzia!
È molto peggio! È un vero tradimento. Kerenski, Teresctscenko, Nekrassov devono darci delle spiegazioni immediate sulle parole di
Verkhovski. Cittadini! In piedi! Si vende la Russia! Salvatela!
In realtà Verkhovski aveva solamente proposto di far pressione sugli alleati per ottenerne proposte di pace, perché l'esercito russo non poteva più combattere.
L'impressione, tanto all'estero che in Russia, fu enorme. Verkhovski fu messo in «congedo illimitato per ragioni di salute» ed abbandonò il governo. L’Obsctsceie Dielo fu soppresso...
Per il 4 novembre era stata organizzata una giornata del Soviet di Pietrogrado; grandiosi comizi dovevano tenersi in tutta la città. Il pretesto era una raccolta di fondi per il Soviet e per la stampa; si trattava in realtà d'uno spiegamento di forze. Improvvisamente si seppe che nel medesimo giorno si sarebbe avuta una processione dei cosacchi, in onore dell'immagine del 1812, il cui intervento miracoloso cacciò Napoleone da Mosca.
L'atmosfera era satura di elettricità; una scintilla poteva accendere la guerra civile. Il Soviet di Pietrogrado rivolse allora ai «fratelli cosacchi» il manifesto seguente:
Vi si
vuole scagliare contro di noi, che siamo degli operai e dei soldati. Questo
piano cainesco è stato ordito dai nostri nemici comuni: i tiranni aristocratici,
i banchieri, i grandi proprietari, i vecchi funzionari, i vecchi servitori
dello zar.
La loro potenza si è
sempre fondata solo sulla divisione del popolo. Essi eccitavano i soldati
contro gli operai e i contadini; i cosacchi contro i soldati, per mezzo di
menzogne e di calunnie. Cosacchi, soldati, marinai, operai, contadini sono
tutti fratelli. Sono tutti lavoratori, sono tutti poveri, sono tutti tenuti in
schiavitù, sono tutti vittime della guerra.
Chi ha bisogno della
guerra? Chi ne è fautore? Né il cosacco, né il soldato, né l'operaio, né il
contadino. La guerra è necessaria ai generali, ai banchieri, agli zar, ai
grandi proprietari. Per mezzo di essa costoro rafforzano il loro dominio,
accrescono la loro potenza e la loro ricchezza. A loro favore il sangue del
popolo si trasforma in oro.
II popolo vuole la
pace. In tutti i paesi
soldati e contadini aspirano alla pace. Il Soviet di Pietrogrado dei deputati
operai e soldati, dice ai borghesi ed ai generali: «Ritiratevi, oppressori;
lasciate il potere al popolo, affinché esso concluda immediatamente una pace
giusta».
Non pensate forse
anche voi così, compagni cosacchi? Noi siamo certi che voi ci approverete. Noi
siamo odiati da tutti gli usurai, da tutti i ricconi, dai principi, dai
nobili, dai generali, compresi i vostri, cosacchi! Essi attendono ansiosamente
il momento di schiacciare il Soviet di Pietrogrado, di soffocare la
Rivoluzione, di rimettere il popolo in catene, come sotto lo zar. Per questo
essi ci calunniano presso di voi. Essi vi ingannano quando vi dicono che il
Soviet vi vuoi prendere le vostre terre. Non credetelo, cosacchi! Il Soviet
vuole solamente riprendere le grandi proprietà e darle ai contadini, agli
operai della terra, e in particolare ai cosacchi poveri. Chi dunque pensa a
togliere la sua terra al lavoratore cosacco?
Essi vi dicono che il
Soviet prepara una sollevazione per il 4 novembre, che esso vuole darvi
battaglia, far scorrere il sangue nelle strade. Quelli che vi dicono queste
menzogne sono delle canaglie e dei provocatori. Ecco ciò che voi dovete
rispondere. Il Soviet ha semplicemente organizzato per il 4 novembre dei comizi
pacifici, delle riunioni, delle assemblee, nelle quali si discuterà della
guerra e della pace, si parlerà degli interessi del popolo. Noi vi invitiamo a
queste riunioni fraterne. Siate i benvenuti in esse, fratelli cosacchi. Se voi
avete dei dubbi, venite a Smolni, alla sede del Soviet. Voi vi troverete molti
soldati ed anche dei cosacchi. Essi vi spiegheranno cosa vuole il Soviet, i
suoi scopi, i suoi progetti. Il popolo ha rovesciato lo zar per essere libero,
giudice dei propri bisogni, per trattare da se stesso i suoi affari.
Strappatevi la benda che vi tengono sugli occhi i Kaledin, i Bardije, i
Karaulov, tutti i nemici della classe lavoratrice cosacca.
Si prepara una
processione per il 4 novembre. Ciascuno di voi deciderà secondo la sua
coscienza, se deve o no partecipare a tale processione. Noi non ci immischiamo
in questa faccenda e non pretendiamo di limitare la libertà di nessuno.
Tuttavia vi avvertiamo, cosacchi! Stati attenti che, con il pretesto della
processione, i vostri Kaledin non cerchino di gettarvi contro gli operai ed i
soldati. Il loro scopo è di provocare uno spargimento di sangue fratricida, per
annegare nel sangue la nostra libertà e la vostra.
Sappiate che il 4
novembre non deve essere che la «Giornata del Soviet di Pietrogrado»,
giornata di comizi pacifici, di collette a favore dei giovani soldati e degli
operai. Venite con noi, cosacchi, nella grande famiglia dei lavoratori per la
lotta comune, per la conquista della libertà e della felicità.
E una mano fraterna
quella che vi è tesa, cosacchi!
Il Soviet di
Pietrogrado dei Deputati operai e soldati
La processione fu subito rinviata...
Nelle caserme e nei quartieri operai i bolscevichi diffondevano la loro parola d'ordine: «Tutto il potere ai Soviet!», mentre gli agenti della reazione invitavano il popolo a sollevarsi ed a massacrare gli ebrei, i commercianti ed i capi socialisti.
Da una parte la stampa monarchica spingeva alla repressione sanguinosa, dall'altra la voce potente di Lenin proclamava: «È l'ora dell'insurrezione! Non si deve più aspettare!».
Anche la stampa borghese era inquieta. Il Birgivie Viedomosti (Notizie della Borsa) denunciava la propaganda bolscevica come un attacco contro «i principi più elementari della società, la sicurezza individuale ed il rispetto della proprietà privata».
Ma erano soprattutto i giornali socialisti «moderati» che si mostravano ostili. «I bolscevichi sono i nemici più pericolosi per la rivoluzione», dichiarava il Dielo Naroda. L'organo menscevico Dien scriveva: «È necessario che il governo si difenda e ci difenda». Il giornale di Plekhanov Edinstvo (L'unità), richiamava l'attenzione del governo sul fatto che si armavano gli operai di Pietrogrado e reclamava provvedimenti severi contro i bolscevichi.
Ogni giorno il governo sembrava più impotente. Anche l'amministrazione municipale si disfaceva. I giornali del mattino erano pieni di racconti di furti e di delitti audaci. I criminali restavano impuniti.
Pattuglie di operai circolavano durante la notte, dando battaglia ai ladri e requisendo tutte le armi che trovavano.
Il 1° novembre, il colonnello Polkovnikov, comandante militare di Pietrogrado, promulgò gli ordini seguenti:
1° — Ogni unità
militare, conformemente alle sue istruzioni speciali e nei limiti del
territorio della guarnigione, dovrà prestare aiuto al municipio, ai commissari
ed alla milizia per la difesa delle istituzioni governative.
2° — Saranno
organizzate delle pattuglie, d'accordo con il Comandante del distretto e con il
rappresentante della milizia municipale, e saranno presi dei provvedimenti per
l'arresto dei criminali e dei disertori.
3° — Chiunque entri
nelle caserme e inciti a dimostrazioni armate o al massacro sarà arrestato e
condotto al Quartier Generale del Vice-comandante della piazza.
4° — Le
manifestazioni, comizi o processioni in luogo aperto, sono proibite.
5° — Ogni
dimostrazione armata, ogni tumulto dovrà essere soffocato fin dall'inizio con
tutte le forze armate disponibili.
6° — Si dovranno
aiutare i commissari nell'impedire le perquisizioni domiciliari e gli arresti
illegali.
7° — Le unità
militari riferiranno immediatamente allo Stato Maggiore del distretto di
Pietrogrado su ogni avvenimento che accada nella loro zona.
Invito tutti i comitati e le organizzazioni dell'Esercito ad assistere i loro capi nell'esecuzione della loro missione.
Al Consiglio della Repubblica, Kerenski dichiarò che il governo era completamente al corrente dei preparativi bolscevichi e che disponeva di forze sufficienti per far fronte a qualsiasi avvenimento. Poi, accusando la Novaia Russ ed il Raboci Put di fare ambedue lo stesso lavoro sovversivo, aggiunse che la libertà assoluta della stampa impediva al governo di lottare contro la menzogna stampata. Dichiarando che quei due giornali rappresentavano due aspetti della stessa propaganda, il cui scopo era la controrivoluzione, così ardentemente desiderata da tutti quelli che lavoravano nell'ombra, egli continuò:
— Io sono condannato e poca importa ciò che mi accadrà, ma ho il coraggio di dire che la situazione attuale si spiega per l'incredibile situazione provocatoria creata nelle città dai bolscevichi...
Il 2 novembre erano arrivati solo 15 delegati al Congresso dei Soviet. Il giorno seguente erano 100, l'indomani 175, di cui 103 bolscevichi, ma ne occorrevano 400 per avere il numero legale ed il Congresso si doveva aprire dopo tre giorni.
Passavo molto tempo a Smolni. Non era più molto facile entrarvi. Una doppia fila di sentinelle custodiva la cancellata esterna e quando la si era passata, si trovava una lunga coda di persone che attendevano il loro turno sotto il grande portone. Si entrava a gruppi di quattro, poi si dovevano dimostrare la propria identità e le proprie occupazioni; dopo di ciò si riceveva un lasciapassare il cui modello cambiava in poche ore, poiché molte spie riuscivano sempre ad entrare.
Un giorno, arrivando alla porta esterna, vidi davanti a me Trotsky e sua moglie. Un soldato li fermò. Trotsky si frugò in tasca e non trovò la sua tessera.
— Io sono Trotsky — disse al soldato.
— Voi non avete la tessera — rispose questi ostinatamente. —
Voi non entrerete: i nomi son tutti eguali per me.
— Ma io sono il presidente del Soviet di Pietrogrado..
— Ebbene, se voi siete un personaggio così importante, dovete
avere in tasca una carta qualsiasi.
Trotsky si dimostrò paziente.
— Conducetemi dal comandante — disse.
Il soldato esitò, mormorando che non si poteva disturbare
tutti i momenti il comandante per chiunque si presentava; poi chiamò il
sottufficiale, capo posto.
— Io sono Trotsky — gli ripetè.
— Trotsky — disse l'altro, grattandosi la testa. — Mi sembra
bene di aver inteso questo nome... Già, infatti... Va bene, voi
potete passare, compagno.
Nel corridoio incontrai Karakhan, membro del Comitato centrale bolscevico, che mi spiegò come sarebbe stato il nuovo governo.
— Un'organizzazione elastica, obbediente alla volontà popolare, come si esprime per mezzo dei Soviet, e che lasci libero giuoco alle forze locali. Attualmente il governo provvisorio soffoca le volontà democratiche locali, come il governo zarista. Nella nuova società l'iniziativa verrà dal basso. La forma del governo si modellerà sulla costituzione del Partito operaio socialdemocratico russo. Il nuovo Zik, responsabile davanti alle assemblee, frequentemente convocate, del Congresso panrusso dei Soviet, sarà il Parlamento. Alla testa dei diversi ministeri vi saranno, invece dei ministri, dei collegi di funzionari, direttamente responsabili davanti ai Soviet...
Il 30 ottobre andai da Trotsky che mi aveva dato appuntamento in una piccola stanza, sotto i tetti, dell'Istituto Smolni. Era seduto in mezzo alla stanza, su una seggiola ordinaria, davanti ad un tavolo vuoto. Senza che io dovessi fare domande egli mi parlò più di un'ora, rapidamente e fermamente. Ecco, con le sue stesse espressioni, la sostanza di quello che egli disse:
Poi, passando alla politica estera del nuovo governo:
E, con il suo fine sorriso, leggermente ironico, egli terminò:
Mentre tutti si aspettavano di vedere i bolscevichi impadronirsi delle strade di sorpresa e mettersi a sparare sulla gente con il colletto bianco, l'insurrezione in realtà cominciò apertamente e nel modo più naturale.
Il governo provvisorio progettava di mandare la guarnigione di Pietrogrado al fronte.
La guarnigione di Pietrogrado contava 60.000 uomini che avevano avuto una parte decisiva nella rivoluzione. Erano essi che avevano cambiato il corso degli avvenimenti durante le grandi giornate di marzo, che avevano creato il Soviet dei deputati e soldati e che avevano respinto Kornilov dalle porte di Pietrogrado.
Moltissimi fra di loro erano diventati bolscevichi. Quando il governo provvisorio parlò di evacuare la città fu la guarnigione di Pietrogrado a rispondergli: «Se voi non siete capaci di difendere la capitale, fate la pace; se voi non potete fare la pace, andatevene e date posto ad un governo del popolo che saprà fare l'una e l'altra cosa...».
Era evidente che ogni tentativo di insurrezione dipendeva dall’atteggiamento della guarnigione di Pietrogrado. Per questa ragione il governo provvisorio voleva sostituire i reggimenti della città con delle truppe fidate: cosacchi e Battaglioni della Morte. I Consigli dell'esercito, i socialisti «moderati» e lo Zik erano d'accordo. Una vasta campagna fu dunque organizzata al fronte ed a Pietrogrado, sfruttando il fatto che, da otto mesi, la guarnigione di Pietrogrado se la passava abbastanza bene nelle caserme della capitale, mentre i compagni, spossati, morivano di fame nelle trincee.
Naturalmente vi era una parte di verità nell'accusa che i reggimenti della guarnigione non si mostravano troppo entusiasti del fatto di cambiare il loro benessere relativo con le sofferenze di una campagna invernale. Ma anche altre ragioni li spingevano a non voler partire. Il Soviet di Pietrogrado diffidava delle intenzioni del governo; dal fronte arrivavano centinaia di delegati che rappresentavano i semplici soldati e che dichiaravano: «Noi abbiamo senza dubbio bisogno di rinforzi, ma ci importa di più sapere ben custoditi Pietrogrado e la Rivoluzione. Voi, compagni, tenete la retrovie, noi terremo il fronte».
Il 25 ottobre, in seduta segreta, il Comitato centrale del Soviet di Pietrogrado discusse la formazione di un Comitato speciale che avrebbe deciso della condotta da seguire. Il giorno seguente la Sezione dei soldati del Soviet di Pietrogrado nominò un Comitato che proclamò immediatamente il boicottaggio della stampa borghese e che biasimò severamente lo Zik per l'opposizione che faceva alla riunione del Congresso panrusso dei Soviet. Il 29 ottobre, durante una seduta pubblica del Soviet di Pietrogrado, Trotsky propose il riconoscimento ufficiale del Comitato militare rivoluzionario, da parte del Soviet.
— È necessario — disse — di avere la nostra organizzazione che ci conduca alla lotta e, se occorre, alla morte...
Fu deciso di inviare al fronte due delegazioni, l'una del Soviet e l'altra della guarnigione per conferire con i Consigli dei soldati e con lo Stato Maggiore Generale.
A Pskov i delegati del Soviet furono ricevuti dal generale Ceremissov, comandante del fronte Nord, che dichiarò loro seccamente di aver dato l'ordine alla guarnigione di Pietrogrado di andare in trincea e di non aver nulla da aggiungere. I delegati della guarnigione non furono autorizzati a partire da Pietrogrado...
Una delegazione della Sezione dei soldati del Soviet di Pietrogrado, domandò di avere un rappresentante nello Stato Maggiore del distretto di Pietrogrado. La richiesta fu respinta. Il Soviet di Pietrogrado domandò che nessun ordine fosse dato senza il consenso della sua sezione militare. Ciò venne egualmente rifiutato. Si rispose brutalmente ai delegati: «Noi non conosciamo che lo Zik. Noi vi ignoriamo; se voi violerete la legge, noi vi arresteremo».
Il 30 un comizio di rappresentanti di tutti i reggimenti di Pietrogrado approvò la mozione seguente:
Le unità locali ricevettero l'ordine di attendere istruzioni dalla Sezione dei soldati del Soviet di Pietrogrado.
Il giorno seguente lo Zik convocò, a sua volta, un comizio al quale assistevano soprattutto degli ufficiali, costituì un Comitato di cooperazione con lo Stato Maggiore e delegò suoi commissari in tutti i quartieri della città.
II 3 novembre un grande comizio di soldati a Smolni decise:
Cosciente della sua forza, il Comitato militare rivoluzionario invitò energicamente lo Stato Maggiore di Pietrogrado a sottomettersi al suo controllo. A tutte le tipografie proibì di pubblicare appelli o proclami senza la sua autorizzazione. L'arsenale di Kronwerk fu visitato da Commissari armati che vi sequestrarono grandi quantità di armi e di munizioni e fermarono una spedizione di diecimila baionette pronte a partire per Novocerkassk, il quartiere generale di Kaledin.
Comprendendo infine il pericolo, il governo offri l'immunità al Comitato se acconsentiva a sciogliersi. Troppo tardi. Il 5 novembre a mezzanotte Kerenski stesso inviò Malevski ad offrire al Soviet di Pietrogrado di farsi rappresentare nello Stato Maggiore. Il Comitato militare rivoluzionario accettò. Un'ora dopo, il generale Manikovski, ministro della guerra ad interim, ritirava l'offerta...
Il martedì mattina, 6 novembre, la popolazione sorpresa vide sulle mura della città un manifesto firmato dal «Comitato militare rivoluzionario del Soviet dei deputati operai e soldati di Pietrogrado»:
ALLA POPOLAZIONE DI PIETROGRADO
La controrivoluzione
ha rialzato la testa criminale. I partigiani di Kornilov mobilitano le loro
forze per schiacciare il Congresso panrusso dei Soviet e per disciogliere
l'Assemblea Costituente. Nello stesso tempo i «pogromisti» tenteranno di
trascinare il popolo a torbidi sanguinosi. Il Soviet dei Deputati operai e
soldati di Pietrogrado assumerà il compito di tutelare l'ordine rivoluzionario
contro ogni tentativo di pogrom e contro ogni atto controrivoluzionario.
La guarnigione di
Pietrogrado non permetterà né violenze né disordini. La popolazione è invitata
ad arrestare i teppisti e gli agitatori dei Cento Neri ed a condurli al
Commissariato del Soviet nella caserma più vicina. Al primo tentativo che
elementi loschi facciano per scatenare nelle strade di Pietrogrado torbidi,
saccheggi o battaglie, i colpevoli saranno eliminati immediatamente e senza
pietà.
Cittadini! Noi
contiamo sulla vostra calma e sul vostro sangue freddo. La causa dell'ordine e
della rivoluzione è in buone mani.
Seguiva la lista dei reggimenti che avevano Commissari rappresentanti il Comitato militare rivoluzionario.
Il 3 novembre i capi bolscevichi tennero un'altra riunione segreta che fu storica. Avvertito da Zalkind, attesi nel corridoio, Volodarski, che usciva dalla sala, mi mise al corrente di ciò che era accaduto.
Lenin aveva detto:
Frattanto, in una delle stanze del piano superiore, lavorava un personaggio dalla faccia sottile e dai lunghi capelli, antico ufficiale dell'esercito dello zar, diventato rivoluzionario ed esiliato, un certo Ovseienko, detto Antonov, matematico e giocatore di scacchi: era occupato a preparare un piano minuzioso per la presa della città.
Anche il governo si preparava. Senza rumore chiamò a Pietrogrado i reggimenti più fedeli, scelti in divisioni molto lontane le une dalle altre. L'artiglieria degli junker fu piazzata nel Palazzo d'Inverno. Di nuovo, per la prima volta dopo le giornate di luglio, si videro pattuglie di cosacchi per le strade. Polkovnikov lanciava ordini su ordini, minacciando di reprimere ogni insubordinazione con la massima energia. Kisckin, ministro dell'istruzione pubblica, il membro del governo più odiato, fu nominato Commissario speciale con l'incarico di mantenere l'ordine a Pietrogrado: ebbe come aiutanti due uomini non meno impopolari: Ruttemberg e Palcinski. Pietrogrado, Kronstadt e la Finlandia furono dichiarate in stato d'assedio, ciò che provocò l'ironia del giornale borghese Novoie Vrernia:
Il lunedì mattina, 5 novembre, andai al Palazzo Maria per sapere che cosa accadeva al Consiglio della Repubblica. Discussione accanita sulla politica estera di Teresctscenko. Echi dell'affare Burtzev-Verkhovski. Tutti i diplomatici erano presenti, eccetto l'ambasciatore d'Italia, ammalato, si diceva, per il disastro del Carso. Quando arrivai, il socialista rivoluzionario di sinistra Karelin leggeva un editoriale del Times di Londra, nel quale si diceva: «il rimedio contro il bolscevismo è il piombo». Volgendosi verso i cadetti, gridò:
— Questa è anche la vostra opinione!
A destra si approvò:
— Precisamente, precisamente!
— Già, questo è
quello che voi pensate — riprese Karelin
calorosamente. — Solo non avete il coraggio di agire.
Skobelev, che avrebbe provocato la adorazione di un pubblico femminile per la sua barba fluida e per le ondulazioni della sua capigliatura dai riflessi d'oro, presentò una timida difesa del nakaz. Dopo di lui Teresctscenko salì alla tribuna tra le grida della sinistra: «Dimissioni! dimissioni!». Dichiarò con insistenza che i delegati del governo e dello Zik a Parigi dovevano avere le stesse opinioni, le sue. Parlò del ristabilimento della disciplina nell'esercito, della guerra fino alla vittoria... Ma la sala divenne tumultuosa, e, di fronte alla opposizione ostinata e rumorosa della sinistra, il Consiglio della Repubblica passò all'ordine del giorno puro e semplice.
I banchi bolscevichi erano vuoti; dal primo giorno quelli che li occupavano, abbandonando il Consiglio, ne avevano portato con sé la vita. Scendendo la scala, avevo l'impressione che, malgrado l'accanimento delle discussioni, nessuna voce vivente del mondo esterno poteva penetrare in quella sala grande e fredda e che il governo provvisorio stava per infrangersi contro quel medesimo scoglio della guerra e della pace contro il quale già si era perduto il ministero Miliukov... Il portiere, mettendomi il soprabito, borbottò:
— Non so che cosa accade della povera Russia. Tutti questi menscevichi, questi bolscevichi, questi trudovichi... Questa Ucraina, questa Finlandia, questi imperialisti tedeschi e questi imperialisti inglesi... Ho 45 anni eppure mai, durante la mia vita, ho udito parlare tanto come oggi...
Nel corridoio incontrai il professore Sciatski, personaggio dal viso di topo, che indossava una elegante redingote, molto influente nel partito cadetto. Gli domandai che cosa pensava del famoso colpo di forza bolscevico di cui si parlava tanto. Alzò le spalle e sogghignò:
— Una banda di
imbecilli, delle canaglie — mi rispose. —
Non oseranno, e, se oseranno, si farà presto a liquidarli... Dal nostro punto
di vista sarebbe d'altra parte eccellente perché si discrediterebbero e non
avrebbero più alcuna influenza all'Assemblea Costituente...
Ma lasciatemi, caro signore, esporvi il piano di
organizzazione del governo che io sottometterò all'Assemblea Costituente. Sono
presidente di una Commissione nominata d'accordo tra il Consiglio della
Repubblica ed il governo provvisorio per elaborare un progetto di
costituzione... Noi avremo un corpo legislativo con due Camere, come nel vostro
paese, gli Stati Uniti. La Camera bassa sarà la rappresentanza territoriale
delle professioni liberali, degli zemstvo, delle cooperative e dei sindacati.
Uscii. Un vento freddo ed umido soffiava dall'ovest; un fango ghiacciato filtrava nelle suole delle mie scarpe. Due compagnie di junker risalivano la Morskaia, rigide nei loro lunghi cappotti; cantavano uno di quei cori potenti del tempo antico, che i soldati cantavano sotto lo zar. Arrivando al primo angolo della strada notai che la milizia municipale era a cavallo ed armata di rivoltelle, in custodie nuove fiammanti. Un piccolo gruppo stupito guardava in silenzio. All'angolo della Nevski acquistai un opuscolo di Lenin: I bolscevichi potranno mantenersi al potere? Pagai con uno dei francobolli che servivano allora di moneta spicciola. I tram passavano, come al solito, con grappoli di cittadini e di soldati, i cui prodigi di equilibrio avrebbero fatto impallidire di invidia l'acrobata Teodoro P. Shonts. Sui marciapiedi, dei disertori vendevano sigarette e semi di girasole.
Sulla Nevski, nel crepuscolo umido, la folla si strappava gli ultimi giornali o si accalcava per decifrare gli innumerevoli appelli e proclami affissi su ogni spazio libero. Ve ne erano dello Zik, delle organizzazioni contadine, dei partiti socialisti «moderati», dei Consigli dell'Esercito; su tutti i toni, minaccia, maledizione, scongiuro, si invitavano operai e soldati a restare nelle case e nelle caserme ed a dare il loro appoggio al governo.
Una automobile blindata andava e veniva facendo urlare la sirena. A ciascun angolo della strada, ovunque vi era dello spazio, fitti gruppi di soldati, di studenti discutevano. La notte cadeva rapidamente; alcuni lampioni, a lunghi intervalli, si accendevano; le ondate della folla si succedevano senza sosta. Pietrogrado aveva l'aspetto delle vigilie di torbidi.
La città era nervosa, trasaliva ad ogni rumore improvviso. Eppure non vi era alcun segno di attività dei bolscevichi; i soldati erano nelle caserme, gli operai nelle officine... Entrammo in un cinematografo, vicino alla cattedrale di Kazan; si proiettava un film italiano — amore, intrigo, sangue. Nelle prime file alcuni soldati e dei marinai fissavano sullo schermo degli occhi stupiti di fanciulli, del tutto incapaci di comprendere il perché di tutta quella agitazione, di quella violenza, di quei delitti.
Di là ritornai in fretta a Smolni. Nella stanza 10, all'ultimo piano, il Comitato militare rivoluzionario sedeva in permanenza sotto la presidenza di un giovanotto di diciotto anni, dai capelli albini, certo Lazimir. Egli si fermò timidamente per stringermi la mano, passandomi accanto.
— La fortezza di Pietro e Paolo è passata dalla nostra parte, — mi disse con un sorriso di soddisfazione. — Un minuto fa abbiamo ricevuto una delegazione di un reggimento chiamato a Pietrogrado dal governo. Gli uomini, avendo avuto qualche sospetto, avevano fermato il treno a Gacina. «Che cosa c'è?» ci hanno domandato. «Che cosa avete da dirci? Il nostro reggimento si è pronunciato per la parola d'ordine: Tutto il potere ai Soviet!». Il Comitato militare rivoluzionario ha risposto: «Fratelli, noi vi salutiamo in nome della rivoluzione. Restate dove siete ed attendete le nostre istruzioni».
Tutte le linee telefoniche, mi disse ancora, erano tagliate, ma le comunicazioni con le caserme e le officine erano assicurate con il telefono di campagna.
Alla porta si affollavano continuamente corrieri e commissari. Una dozzina di volontari attendevano, pronti a portare i messaggi nei quartieri più lontani della città. Uno di essi, che aveva l'aspetto di un bohémien e portava l'uniforme di ufficiale, mi disse in francese: «È tutto pronto, non c'è che da premere il bottone».
Vidi passare Podvoiski, borghese sottile e barbuto che fu lo stratega della insurrezione; Antonov con la barba di più giorni, il colletto sporco, ubriaco d'insonnia; il soldato Krilenko, tozzo, con un viso largo e sempre sorridente, i gesti violenti e la parola facilissima; ed ancora il marinaio Dibenko, gigante barbuto, dal viso sereno. Erano gli uomini dell'ora e delle ore prossime.
Al pian terreno rialzato, nell'ufficio dei Consigli di fabbrica, Seratov firmava dei buoni per ritirare armi dall'Arsenale di Stato: centocinquanta fucili per officina. Una quarantina di delegati attendeva in fila.
Nella sala incontrai qualche dirigente minore dei bolscevichi. Uno di essi mi mostrò una rivoltella:
— La partita è ingaggiata — mi disse, pallido in viso, — Questa volta, i nostri avversari sanno che se non ci sopprimono, noi sopprimeremo loro...
Il Soviet di Pietrogrado sedeva in permanenza. Nel momento in cui entrai nella grande sala, Trotsky terminava il suo discorso:
— Ci si domanda
— diceva, — se noi abbiamo intenzione di
discendere nelle strade. Posso dare una risposta precisa a tale
domanda. Il Soviet di Pietrogrado sente che è in fine venuto il
momento in cui il potere deve essere rimesso ai Soviet. Questo
trapasso del potere sarà eseguito dal Congresso panrusso. Sarà
necessaria un'azione armata? Questo dipenderà da quelli che vorranno opporsi
al Congresso panrusso...
Noi abbiamo coscienza che il governo attuale è un governo impotente,
lamentevole, che attende solo il colpo di scopa della storia per cedere il
posto ad un governo veramente popolare. Noi continuiamo a sforzarci di evitare
il conflitto. Noi speriamo che il Congresso panrusso potrà prendere nelle sue
mani un potere ed una autorità che riposino sulla libertà organizzata del
popolo. Se, tuttavia, il governo si propone di utilizzare il poco tempo che gli
resta da vivere — ventiquattro, quarantotto o settantadue ore — per
attaccarci, il nostro contrattacco non tarderà, colpo per colpo, acciaio contro
ferro.
Fra gli applausi annunciò che i S.R. di sinistra accettavano di entrare nel Comitato militare rivoluzionario.
Alle tre del mattino, lasciando Smolni, notai che due cannoni a tiro rapido erano stati piazzati da ciascuna parte dell'entrata e che forti pattuglie proteggevano le porte e le strade vicine.
Bill Sciatov arrivava, salendo gli scalini a quattro a quattro:
— Ci siamo — gridò, — Kerenski ha tentato di far occupare dagli junker il Soldat ed il Raboci Put. Ma le nostre truppe sono arrivate ed hanno spezzato i sigilli governativi. Adesso siamo noi che mandiamo dei distaccamenti ad occupare i giornali borghesi.
Esultante, mi batté sulla spalla ed entrò correndo a Smolni.
Nella mattinata del 6 dovetti andare a vedere il censore, il cui ufficio si trovava al ministero degli affari esteri. I muri erano coperti da isterici appelli alla calma. Polkovnikov promulgava prikaz su prikaz:
I giornali del mattino, annunciavano che il governo aveva soppresso la Novaia Russ, il Jivoie Slovo, il Raboci Put ed il Soldat. Aveva inoltre ordinato l'arresto dei capi del Soviet di Pietrogrado e di membri del Consiglio militare rivoluzionario.
Mentre attraversavo la Piazza del Palazzo, alcune batterie di junker sboccarono al trotto dall'Arco Rosso e si piazzarono davanti al Palazzo. Il grande edificio in pietra rossa dello Stato Maggiore Generale, presentava una animazione straordinaria. Parecchie automobili blindate erano ferme davanti all'entrata e continuamente arrivavano o partivano delle automobili cariche di ufficiali... Trovai il censore allegro come un ragazzo al circo. Kerenski, mi disse, era andato in quel momento a portare le sue dimissioni al Consiglio della Repubblica. Mi precipitai tosto al Palazzo Maria, dove arrivai per la fine del famoso discorso di Kerenski, in cui la passione lottava con l'incoerenza e nel quale egli tentava insieme di giustificarsi e di colpire i suoi nemici:
Qui Kerenski lesse il seguente brano di un articolo di Lenin:
Poi Kerenski proseguì:
In questo momento fu consegnata a Kerenski una carta.
Vi è qui senza dubbio, per parlare un linguaggio giuridico,
stato di ribellione, tentativo di scagliar la teppa contro l'ordine esistente,
per disciogliere la Costituente e per aprire il fronte ai reggimenti di
Guglielmo...
Dico intenzionalmente «teppa» perché tutta la
democrazia cosciente ed il suo Zik, tutte le organizzazioni
dell'esercito, il buon senso e l'onore della democrazia protestano contro
questi fatti.
Non sono venuto qui con una preghiera, ma per esprimere la
mia ferma convinzione che il Governo provvisorio, il quale difende in questo
momento la nostra giovane libertà, che il nuovo Stato russo, destinato ad un
brillante avvenire, troveranno l'appoggio di tutti, eccetto di quelli ì quali
non hanno mai osato guardare in faccia la verità.
In nome del governo provvisorio, affermo che il governo non
ha mai violato la libertà che ha ogni cittadino di usare dei propri diritti. Ma
oggi il governo dichiara: «Bisogna finirla senza ritardo, con tutti gli
elementi, con tutti i gruppi ed i partiti che osano violare la libera volontà
del popolo russo e minacciano di aprire il fronte alla Germania...
Che la popolazione di Pietrogrado comprenda di aver da fare
con un governo deciso, e forse, all'ultimo momento, il buon senso, la coscienza
e l'onore trionferanno nei cuori di coloro che li possiedono ancora...
Durante tutto questo discorso la sala risuonò di clamori assordanti. Quando il presidente del Consiglio ebbe lasciata la tribuna, pallido, tutto sudato, ed abbandonata la sala con la sua scorta di ufficiali, gli oratori della sinistra e del centro cominciarono ad attaccare la destra in modo furibondo.
I socialisti rivoluzionari stessi, per mezzo di Gotz, si posero su questo terreno:
— I bolscevichi fanno una politica demagogica e criminale, sfruttando il malcontento popolare, ma bisogna riconoscere che tutta una serie di rivendicazioni popolari non ha ancora ottenuto soddisfazione... Le questioni della pace, della terra, della democratizzazione dell'esercito dovrebbero essere poste in modo tale che nessun soldato, nessun contadino, nessun operaio, possa dubitare che il governo si sforza fermamente, risolutamente di risolverle... Noi, socialisti-rivoluzionari, non vogliamo provocare una crisi di governo e siamo pronti a sostenere il governo provvisorio con tutta la nostra energia, fino all'ultima goccia di sangue; alla sola condizione che il governo provvisorio pronunci su tali questioni scottanti le parole chiare e precise che sono tanto impazientemente attese dal popolo...
Poi Martov dichiarò, veemente:
— Le parole del presidente del Consiglio, che si è permesso il termine di teppa, quando sì tratta del movimento di una parte importante del proletariato e dell'esercito — anche se questo movimento ha un indirizzo sbagliato — tali parole sono un vero incitamento alla guerra civile.
L'ordine del giorno proposto dalla sinistra fu votato. Esso aveva praticamente il valore di un voto di sfiducia:
È interessante notare che i menscevichi ed i socialisti rivoluzionari accettarono tale risoluzione. Kerenski fece allora chiamare Avxentiev al Palazzo d'Inverno, per domandargli spiegazioni. Se la risoluzione esprimeva una mancanza di fiducia nel governo, egli pregava Avxentiev di formare un nuovo ministero. Dan, Gotz e Avxentiev, i capi dei «conciliatori», tentarono la loro ultima «conciliazione»; essi spiegarono a Kerenski che la risoluzione non conteneva affatto una critica al governo!
All'angolo della Morskaia e della Nevski pattuglie di soldati, baionette in canna, fermavano le automobili private, ne facevano discendere gli occupanti e mandavano le vetture al Palazzo d'Inverno. Una numerosa folla le guardava agire. Nessuna sapeva se i soldati agivano per conto del governo o del Comitato militale rivoluzionario. All'altezza della cattedrale di Kazan, stessa operazione; le vetture ricevevano l'ordine di tornare indietro. Cinque o sei marinai, armati di fucile, ridenti e pieni di vigore, si avvicinarono ed entrarono in conversazione con due soldati. Sui nastri dei loro berretti erano scritti i nomi dell'Avrora (Aurora) e della Zaria Zvobodi (L'alba della libertà), i due incrociatori bolscevichi del Baltico.
— Kronstadt è in marcia — disse uno di essi.
Era come se, nel 1792, si fosse detto nelle strade di Parigi «i Marsigliesi sono in marcia». Perché vi erano a Kronstadt venticinquemila marinai, bolscevichi convinti e che non avevano paura della morte.
Il Raboci i Soldat usciva in quel momento; la prima pagina era tutta occupata da un proclama monumentale:
I nemici del popolo
hanno preso questa notte l'offensiva.
I kornilovisti dello
Stato Maggiore tentano di far arrivare dai sobborghi gli junker ed i battaglioni
di volontari. Gli junker d'Oranienbaum e i volontari di Sarskoie-Selo hanno rifiutato di
marciare. Si prepara un colpo di alto tradimento contro il Soviet di
Pietrogrado. Un complotto controrivoluzionario è diretto contro il Congresso panrusso dei Soviet, alla vigilia
della sua apertura, contro l'Assemblea Costituente, contro il popolo.
Il Soviet di Pietrogrado monta la guardia alla Rivoluzione. Il Comitato
militare rivoluzionario ha assunto il compito di respingere l'attacco dei
cospiratori. Tutto il proletariato e la guarnigione di Pietrogrado sono pronti
ad assestare ai nemici un colpo formidabile in risposta.
Il Comitato militare rivoluzionario decreta:
1°) Tutti i comitati
di reggimento, di compagnia e di unità navali, e così i commissari dei Soviet e
tutte le organizzazioni rivoluzionarie, siederanno in permanenza per
raccogliere tutte le informazioni circa le intenzioni e le azioni dei
cospiratori.
2°) Nessun soldato
lascerà la sua unità senza l'autorizzazione del Comitato.
3°) Ciascun Soviet di
quartiere manderà immediatamente due delegali a Smolni.
4°) Tutte le
informazioni sulle azioni dei cospiratori saranno immediatamente trasmesse a
Smolni.
5°) Tutti i membri
del Soviet di Pietrogrado e tutti i delegati del Congresso panrusso dei Soviet
sono convocati immediatamente in riunione straordinaria a Smolni.
La controrivoluzione
ha rialzato la sua testa criminale.
Un grande pericolo
minaccia tutte le conquiste e tutte le speranze dei soldati, degli operai e dei
contadini. Ma le forze della rivoluzione sono molto superiori a quelle dei suoi
avversari.
La causa del popolo è
in mani forti. I cospiratori saranno schiacciati.
Nessuna esitazione,
nessun dubbio! Fermezza, disciplina, costanza, decisione!
Viva la Rivoluzione!
IL COMITATO MILITARE RIVOLUZIONARIO
II Soviet di Pietrogrado sedeva in permanenza a Smolni, centro della tempesta. Dei delegati crollavano per il sonno, sul pavimento, poi si rialzavano per prendere parte ai dibattiti. Trotsky, Kamenev, Volodarski parlavano sei, otto, dodici ore al giorno...
Scesi alla stanza 18, al primo piano, dove i delegati bolscevichi tenevano una riunione di partito; una voce tuonava senza posa; l'oratore mi era nascosto dalla folla:
— I «conciliatori» dicono che noi siamo isolati; non badategli. Una volta le operazioni cominciate, ci dovranno seguire per non perdere i loro seguaci.
Vidi che brandiva un foglio di carta:
— Ci seguono già, — continuò. — Ecco un messaggio dei S.R. e dei menscevichi. Essi dicono che condannano la nostra azione, ma che se il governo ci attacca essi non combatteranno contro la causa del proletariato.
La sinistra esultò...
Sul far della notte la grande sala delle sedute si riempì di soldati e di operai, enorme massa scura, avviluppata da una atmosfera di fumo azzurrastro, donde usciva un brontolio profondo.
Il vecchio Zik si era finalmente deciso a ricevere i delegati di quel nuovo Congresso, che significava la sua rovina, e, forse, la rovina dell'ordine rivoluzionario da lui stabilito. A questa seduta però solo i membri dello Zik potevano votare.
La mezzanotte era passata quando Gotz aprì la seduta e Dan si alzò, in un silenzio impressionante, che mi sembrò minaccioso.
Qualcuno gridò: — È molto tempo che quel corpo è già un cadavere!
Tra un pandemonio indescrivibile si udì Dan rispondere, con una voce penetrante, mentre picchiava un pugno sulla tribuna:
— Quelli che parlano così sono dei criminali!
Una voce. — Siete stato voi un criminale a prendere il potere per darlo alla borghesia!
Gotz agitando il campanello: — Silenzio, o vi faccio espellere. Una voce: — Provateci! — {Risa e fischi).
— Vengo alla nostra politica circa la pace. {Risa). Disgraziatamente la Russia non può più restare lungamente in guerra. La pace sta dunque per farsi, ma non la pace permanente, la pace democratica... Oggi al Consiglio della Repubblica, per evitare lo spargimento di sangue, abbiamo votato una risoluzione nella quale domandiamo la consegna della terra ai Comitati agrari e trattative per la pace immediata... (Risa e grida: Troppo tardi!)
Trotsky salì allora alla tribuna, portatovi da una ondata di applausi frenetici, salutato da tutta la sala che si levò in una tempesta di acclamazioni. Il suo viso sottile ed aguzzo, la sua espressione di maliziosa ironia erano veramente mefistofeliche.
— La tattica di Dan — cominciò, — prova veramente che le masse, queste grandi masse passive ed indifferenti, sono interamente con lui! (Risate omeriche).
Poi rivolto al presidente e con accento drammatico:
Prese quindi la parola Liber, faccia lunga, lingua velenosa, accolto da mormoni e da risa:
— Engels e Marx dissero che il proletariato non aveva il diritto di prendere il potere prima di essere pronto. In una rivoluzione borghese, come questa..., la presa del potere da parte delle masse equivale alla fine tragica della rivoluzione... Trotsky, teorico della socialdemocrazia, non può pensare ciò che propugna in questo momento. (Grida: Basta, basta! Alla porta!).
Martov fu costantemente interrotto:
— Gli internazionalisti non sono contrari a che il potere sia rimesso alla democrazia, ma essi disapprovano i metodi dei bolscevichi. Non è il momento di impadronirsi del potere...
Dan tornò alla tribuna per protestare violentemente contro il Comitato militare rivoluzionario che aveva mandato un commissario negli uffici dell’Isvestia e fatto censurare il giornale. Il tumulto più disordinato seguì alle sue parole. Martov tentò di parlare, ma non vi riuscì. Delegati dell'esercito e della flotta si levarono ovunque, nella sala, e gridarono che il loro governo erano i Soviet...
In mezzo ad un caos indescrivibile, Ehrlich presentò una risoluzione, che esortava alla calma gli operai ed i soldati, li invitava a non accettare le provocazioni, riconosceva la necessità di creare immediatamente un Comitato di sicurezza pubblica e reclamava dal governo provvisorio i decreti necessari per la consegna della terra ai contadini e l'inizio dei negoziati per la pace.
Volodarski saltò alla tribuna e dichiarò brutalmente che lo Zik, alla vigilia del Congresso dei Soviet, non aveva il diritto di usurparne le funzioni.
— Infatti — disse — lo Zik ha cessato di esistere e questa risoluzione non è che una manovra per tentare di restituirgli il potere. Noi, bolscevichi, non parteciperemo al voto su questa risoluzione.
Dopo queste parole i bolscevichi abbandonarono la sala e la risoluzione fu adottata.
Verso le quattro del mattino incontrai Zorin nel vestibolo, con un fucile sulle spalle.
— Va benissimo— mi disse, con un tono calmo, ma soddisfatto. — Abbiamo pescato il vice ministro della Giustizia ed il ministro dei Culti. Sono sotto chiave, adesso. Un reggimento è in marcia per impadronirsi della centrale telefonica, un altro occuperà l'Agenzia telegrafica ed un terzo la Banca di Stato. La guardia rossa è in piedi.
Sui gradini di Smolni, nella notte fresca, vedemmo per la prima volta la Guardia Rossa, un gruppo di giovanotti, vestiti da operai, armati di fucili, baionette in canna, che parlavano nervosamente tra di loro.
Al disopra dei tetti percepimmo verso l'est un rumore di fucilate; erano i marinai di Kronstadt che chiudevano il ponte mobile sulla Neva, che gli junker volevano tenere aperto, per impedire agli operai delle officine ed ai soldati del quartiere di Viborg di unirsi alle forze sovietiche del centro della città...
Dietro a noi il grande Smolni, tutto illuminato, ronzava come un immenso alveare...
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Ultima modifica 31.12.2003