Raccolta di scritti pubblicata nel 1988
Trascitto da Mishù, settembre 2004
Quando la storia è ridotta a barzelletta
Quando la storia è ridotta a barzelletta
A quanto pare il PCI ha, per una vasta impresa editoriale, riunito intorno al Calendario del Popolo quanto di meglio e di più servile poteva disporre nel campo dei cultori della storia per la redazione della più fumettistica pubblicazione settimanale dal titolo: I comunisti nella storia d'Italia.
L'ordine di scuderia del PCI che condiziona questi intellettuali cresciuti nel fascismo o all'ombra del littorio, è sempre quello di stendere un documento che sia:
a) agiografico limitatamente ai santoni maggiori del PCI come Gramsci, Togliatti e di qualche necessario sottopancia di scarso o di nessun rilievo intellettuale, politico o di milizia attiva, tranne quello dell'utile idiota politico, non caduto in disgrazia;
b) silenzio più completo sulle cose e sugli uomini che nello stesso periodo storico abbiano avanzato delle istanze di critica e di opposizione;
e) ridicolizzare uomini e cose la cui non citazione sarebbe risultata quasi impossibile e del tutto inopportuna in una ricostruzione storica pur che sia.
È questo il caso del Comitato d'Intesa delle cui vicende si è interessato l'estensore della pubblicazione citata.
Che l'iniziativa presa da un gruppo responsabile della corrente di sinistra del Partito Comunista d'Italia fosse politicamente necessaria e si situasse nel vivo di una situazione di crisi profonda, ricca di implicazioni presenti e future, lo dimostra l'ampiezza del suo raggio d'azione, la suggestione di una presa di posizione critica aperta e inesorabile che, partendo dall'esperienza italiana interessava tutto lo schieramento di partiti comunisti fino al centro dell'Internazionale.
La cosa strana e buffa è che i primi ad essere sensibilizzati dalle iniziative del Comitato d'Intesa siano stati proprio coloro che sono stati al vertice del partito. Li elenchiamo per la storia di questo periodo che dovrà pure essere scritta anche se non sorretta da complessi editoriali come quelli di cui dispone il PCI.
I primi a prendere contatto con la segreteria del Comitato d'Intesa furono: Secchia della federazione di Biella che per lunga tradizione era punta avanzata dello schieramento di sinistra del Piemonte.
Luigi Longo, che portò ai compagni della segreteria del Comitato d'Intesa la solidarietà della Federazione giovanile e la sua personale; quindi Dozza, Grieco e con loro gli interregionali delle zone economicamente più importanti tanto del Nord che del Sud.
Chi ha redatto questa ricostruzione degli avvenimenti di quell'epoca ha dimostrato di non avere una conoscenza diretta né ha obbedito allo scrupolo di verificare i dati consultando i documenti o interpellando i protagonisti di questa vicenda politica.
Così si tace sull'unica seria presa di posizione politica, degna di rilievo per la sua esatta e rigida impostazione marxista data alla "questione morale" con cui l'opposizione aventiniana voleva liquidare Mussolini per l'uccisione di Matteotti. Tale dichiarazione, letta alla Camera da Grieco, non solo non era in linea con la politica anguillesca, contraddittoria e paurosamente debole del centro del partito sotto la direzione di Gramsci-Togliatti ma era stata elaborata a Napoli in casa di Bordiga che, benché assente, era pur sempre presente in una direzione mostratasi inetta e sprovveduta di fronte ad avvenimenti assai più grandi dei due suoi maggiori esponenti già in posizione concorrenziale e di reciproca disistima.
Ce n'è abbastanza, ci pare, per capire il perché della voluta omissione. E siamo alla posizione di Bordiga di fronte al Comitato d'Intesa che lo storico (per modo di dire) del Calendario del Popolo precisa in questi termini:
La verità vera è ben altra.
a) Bordiga, fin dall'epoca della sua defenestrazione dall'esecutivo del partito non ha preso iniziative personali a nome della "sinistra" e quel che ha fatto e scritto in quel periodo deve essere considerato come espressione collettiva della "sinistra";
b) La costituzione del Comitato d'Intesa è avvenuta a Milano per iniziativa di un piccolo gruppo di compagni della sinistra all'infuori e all'insaputa di Bordiga anche se a questo compagno si dovrà poi la stesura della maggior parte dei documenti pubblicati e diffusi in nome del Comitato d'Intesa, alla cui iniziativa Bordiga si è allineato solo in un secondo tempo e senza troppo entusiasmo;
c) Inventato di sana pianta e a scopo provocatorio l'episodio del cosiddetto viaggio di Bordiga «nelle maggiori sezioni di tutto il paese per rinsaldare i vecchi legami. Il suo obiettivo — commenta lo storico — è quello stesso del 1918: costituire una frazione che gli permetta di ripartire alla conquista della direzione del partito».
Come si vede il falso viaggio doveva servire da pretesto alla fantomatica "frazione" che turbava le notti insonni degli uomini del nuovo Centro del partito. La verità è che Bordiga in quel tempo e nelle sue condizioni di spirito non si sarebbe mosso da Napoli neppure con la violenza atomica.
Ed è proprio a Napoli che viene tenuto il primo, vero convegno della "sinistra" con la partecipazione dei più qualificati rappresentanti dell'apparato organizzativo del partito. E, sempre a proposito della frazione e del dente avvelenato del centrismo stalinista, furono proprio i burocrati del partito a proporre l'utilizzazione dei fondi del partito stesso, da essi amministrati, per adeguare la funzionalità del Comitato d'Intesa alle esigenze della sua battaglia, proposta che venne respinta proprio dai compagni Damen e Bordiga con l'affermazione che i fondi dovevano rimanere dove erano; che i compiti assegnati al Comitato d'Intesa erano di semplice collegamento di corrente per rendere possibile una adeguata riaffermazione dei principi della sinistra in vista della preparazione della campagna precongressuale. Pochi sanno che subito dopo Gramsci convocò i funzionari del partito che avevano partecipato al convegno di Napoli e pose loro il solito dilemma amministrativo: o voi eseguite e difendete la politica del partito che vi paga o verrete licenziati. E sulla base di questo "puttano" ma pur sempre efficace dilemma, si ebbe la conseguente vergognosa capitolazione di tutti, diciamo tutti, come se la milizia di un rivoluzionario nel suo partito di classe fosse diventata ad un tratto, mercé di contrattazione.
Le vicende personali di questi compagni che ruppero con la Sinistra per paura di misure amministrative, dimostreranno all'evidenza che essi avevano visto giusto al fine della loro futura valorizzazione personale nell'apparato del partito.
Il mite Gramsci era divenuto, Guicciardini insegna, una sorta di bottegaio ligio agli interessi della bottega e al prestigio della sua ragione sociale. Ma il monito che viene oggi dal Comitato d'Intesa rimane in tutta la sua validità di prospettive che individua nella bolscevizzazione e nella politica dell'Internazionale l'inizio di quel processo di degenerazione strutturale, ideologica e politica del partito comunista d'Italia ormai asservito allo stalinismo e ai mutevoli orientamenti dello Stato sovietico.
Del Comitato d'Intesa si è sempre detto poco e male. La
storiografia ufficiale in generale, quella socialdemocratica in particolare,
hanno molto spesso liquidato l'episodio tacciandolo di frazionismo o di
sinistrismo. In entrambi i casi l’accusa era di velleitarismo e di infantilismo
politico estremizzante, tanto nocivi alla vita del Partito, quanto inoperanti
sul terreno della pratica politica quotidiana. Nel giugno del '25, la direzione
gramsciana era intensamente impegnata ad inserire nel corpo del Partito le
direttive politiche della III Internazionale, già abbondantemente degenerate
rispetto alle indicazioni del suo secondo congresso. In più la neo-direzione
gramsciana doveva fare i conti con una base ancora legata alle posizioni dì
sinistra.
I documenti che presentiamo testimoniano che il
Comitato d'Intesa non è stato un semplice incidente dì percorso, voluto ed
organizzato da un pugno di irriducibili "sinistri", ma il
responsabile tentativo di salvaguardare tutto il patrimonio politico del
Partito che la nuova gestione andava svilendo del suo contenuto rivoluzionario.
Non a caso l'iniziativa del Comitato d'Intesa cade
in un momento particolarmente critico segnato dal radicale mutamento della
politica della III Internazionale, dalla defenestrazione della
"Sinistra" dalla direzione del Partito, dalla sua sostituzione,
voluta ed imposta dal centro di Mosca, con il centrismo di Gramsci e Togliatti,
dalla "crisi Matteotti" e dall'episodio dell’Aventìno.
Una semplice lettura dei documenti, sia quelli
della Segreteria che della opposizione, dimostra come l'iniziativa del Comitato
d'Intesa non sia stata una fastidiosa farneticazione politica che intralciava i
piani di Mosca e la pedissequa applicazione del Centro italiano, quando il più
serio tentativo di opporsì alla degenerazione "tatticista"
dell'Internazionale Comunista, e con essa di tutto il movimento comunista
internazionale. La storia che ne è seguita non fa altro che riconfermare,
valorizzandoli, i contenuti dì questi documenti.
Contro lo scissionismo
frazionistico per l'unità del Partito Comunista d'Italia (Sezione
dell'Internazionale Comunista).
Comunicato del comitato esecutivo
II Comitato Esecutivo già da tempo era informato di una certa attività frazionistica che era svolta nelle file del Partito da alcuni elementi irriducibili alla consapevolezza rivoluzionaria e alla disciplina internazionale e che amano definirsi di "sinistra" o meglio ancora della "Sinistra Italiana". Il C.E. era informato, controllava, vigilava; già una volta, prima che si riunisse a Mosca il recente Esecutivo Allargato dell'Internazionale, esso denunziò alle masse del partito la situazione che si era venuta delineando in conseguenza dell'atteggiamento, determinatore di un frazionismo latente, assunto dal compagno Amadeo Bordiga dopo il V. Congresso Mondiale. La massa del partito reagì allora energicamente contro i disgregatori ma l'avvertimento non fu compreso da costoro, ai quali nulla ha giovato la sanguinosa esperienza di questi anni di reazione e di fascismo: essi credono di rivivere ancora nel periodo "1920", essi hanno conservato intatte le concezioni organizzative della socialdemocrazia, essi ritengono che la classe operaia ed il nostro partito, che della classe operaia è l'avanguardia, impegnato nella lotta quotidiana contro il fascismo del governo e contro il semifascismo delle opposizioni, vogliano lasciarsi distrarre dalla loro attività per seguirli nelle meschine e delittuose manovre frazionistiche e scissionistiche contro l'Internazionale.
I documenti, che il C.E. crede necessario comunicare alla massa del partito, sono abbastanza chiari di per sé. Si è costituito nel partito un gruppo che ritiene il periodo di preparazione e di discussione precongressuale come una specie di parentesi nella lotta rivoluzionaria: — i vincoli disciplinari dovrebbero ritenersi allentati o addirittura aboliti; l'unità ferrea dell'organizzazione dovrebbe decomporsi in tutta una serie di frazioni, quante sono le correnti possibili nell'interno del partito che discute e quante sono quelle che piacerà al governo di creare attraverso i possibili suoi agenti provocatori; il Comitato Centrale, rappresentante di questa unità, dovrebbe ridursi ad un ufficio amministrativo che registra e cataloga le opinioni, le proposte, le iniziative dei vari comitati delle varie frazioni.
Questo modo di pensare è una sequela di deviazioni che devono essere combattute con la maggior energia; se diventa una attività, se cerca di concretarsi in una frazione, se si sviluppa in una azione illegale e cospirativa nell'interno del partito, esso diventa un delitto contro il partito, contro il proletariato, contro la rivoluzione. L'unità ferrea del partito, la lealtà di tutti i soci verso gli organi responsabili del partito, la disciplina più assoluta non possono subire interruzioni per nessuna ragione. Significa ciò che manchi la libertà per la discussione del congresso, che i compagni tutti siano privati della capacità e della possibilità di esprimere la loro opinione per contribuire alla vita e all'amministrazione del loro partito? Certamente no. Possono formarsi nel partito, attraverso i dibattiti, correnti di opinioni che si ritroveranno e si misureranno nei Congressi federali e nel Congresso Nazionale, non possono formarsi frazioni organizzate che abbiano comitati dirigenti palesi o clandestini, i quali lavorino per scindere permanentemente le file dell'organizzazione, per contrapporre le loro direttive alle direttive del C.C. e dell'Internazionale, una loro disciplina alla disciplina del partito e dell'Internazionale, per creare una massoneria irresponsabile contro il C.C. italiano e contro l'Esecutivo Internazionale.
La grande massa dei soci del partito ha già compreso come l'unità ferrea dell'organizzazione sia un presupposto necessario per l'esistenza del partito stesso e per la sua efficienza rivoluzionaria. Esso ha già reagito e reagirà ancora più energicamente contro tutte le manovre dei vari gruppi o gruppetti di elementi irresponsabili che, demoralizzati dalle difficoltà obiettive della situazione italiana, hanno perduto ogni orientamento politico e creduto tutto risolvere con le frasi e con le pose estremiste: che tale sia la situazione del partito è dimostrata dal fatto che tutti i documenti frazionistici vengono consegnati alla Centrale, che la Centrale è stata informata delle riunioni che si sono tenute in alcune città, che numerosi compagni, che pure si affermano della cosiddetta "sinistra italiana", hanno recisamente rifiutato di far causa comune con i disgregatori.
La grandissima maggioranza del partito è col C.E. per la lotta a fondo contro chiunque voglia nel '25 rifare la manovra contro l'Internazionale Comunista fatta dai massimalisti nel '20, dopo l'occupazione delle fabbriche e che alla scissione di Livorno portò la maggioranza degli operai rivoluzionari fuori dalle file dell'Internazionale Comunista.
È partendo da queste considerazioni che il C.E. unanime, ha giudicato che i componenti del Comitato d'Intesa, compagni Damen, Repossi, Lanfranchi, Venegoni, Manfredi, Fortichiari, si sono resi colpevoli di un attentato contro il partito che potrebbe essere sanzionato con la loro espulsione e ha deciso di rinviarli al giudizio della prossima Sezione del Comitato Centrale, sospendendoli nel frattempo da ogni lavoro o incarico nell'organizzazione.
Il Comitato Esecutivo
Al C.E. del partito Comunista
d'Italia
1° Giugno 1925
Cari compagni,
Tra le deliberazioni prese dal Comitato Centrale nella sua ultima riunione e rese pubbliche su l'Unità, organo del partito, il 26 maggio u.s., vi è quella che riguarda la preparazione della maggiore manifestazione interna del partito: il congresso, il quale, si dice, sarà tenuto tra breve, dopo cioè una profonda ed ampia discussione, la quale è però da considerarsi virtualmente aperta per quanto debba essere preceduta dalla pubblicazione di tutti i documenti relativi ai lavori dell'ultima sessione del C.E. allargato.
È superfluo dichiarare quanto veramente sia sentita la necessità di un serio ed ampio dibattito pre-congressuale. La situazione interna del partito, situazione — come voi stessi riconoscete — di confusionismo ideologico esistente ancora e malgrado tutto in strati abbastanza vasti del partito, ne dimostra tutta l'urgenza.
Ma, cari compagni, vi potrà essere e in tutta la sua interezza questo indispensabile processo di chiarificazione del nostro partito, se compagni esponenti delle varie correnti di pensiero non saranno posti nelle condizioni di poter partecipare attivamente e a condizioni di parità al dibattito sia giornalistico che orale?
A questo proposito, gli organi responsabili avranno senza dubbio tenuto presente la vita eccezionale e precaria cui è sottoposta la nostra stampa. Potrà infatti essa consentire, e fino a che punto, lo sviluppo di una non breve campagna di chiarificazione? Lo stesso quotidiano l'Unità dovrebbe, a nostro parere, aprire le sue colonne alla discussione.
D'altronde, quale valore potrebbe avere ai fini della bolscevizzazione un congresso di partito cui presenzino delegati delle varie federazioni nelle quali non si sia precedentemente discusso, con serietà e conoscenza dai rappresentanti riconosciuti delle diverse correnti i "problemi fondamentali della vita nazionale sulla cui base deve tracciarsi il programma generale del partito?".
Noi crediamo nessuno, a meno che non si voglia preferire tra compagni il legame della disciplina formale alla adesione — così detta — per convinzione.
I compagni sottoscritti che vi inviano la presente, legati tra di loro da identità di vedute e di apprezzamenti critici di fronte ai problemi più vitali del partito, pensano che i vari confusionismi ideologici non si vincono che sul terreno del dibattito senza limiti e scevro da ogni e qualsiasi forma di prevenzione. A tale scopo propongono:
a) che sia data alla
discussione uno spazio di tempo quale lo stato di impreparazione delle masse
del partito e la importanza delle questioni richiedono;
b) che ai
congressi provinciali sia data facoltà di parlare in contraddittorio ai
compagni riconosciuti delle diverse tendenze;
d) che la
nomina dei delegati al Congresso del partito sia fatta dai rispettivi
congressi federali; nel caso però che tale nomina venga fatta con altri
sistemi, sia data facoltà di scelta degli elementi chiamati a far parte di eventuali
comitati ai fiduciari delle diverse correnti;
e) che sia
infine riconosciuto il diritto di nominare e disciplinare gli oratori che
illustreranno al congresso il pensiero di questa o quella corrente.
È evidente che il lavoro di preparazione congressuale è tale che richiede da tutti attività e disciplina.
I compagni firmatari della presente portano perciò a conoscenza dei compagni del Comitato Esecutivo l'avvenuta costituzione di un "Comitato di Intesa" tra gli elementi della sinistra. Saluti comunisti.
f.ti: Onorato Damen, Luigi Repossi, Mario Lanfranchi, Venegoni Carlo, Mario Manfredi, Bruno Fortichiari.
Questa lettera — che sembrerebbe una normale manifestazione di un gruppo di compagni che si mette in rapporto col C.E. per comunicargli delle proposte, sia pure contrarie alle direttive generali dell'Internazionale in materia di organizzazione ma tuttavia lecite a farsi, salvo a non essere accettate e a cadere nel dimenticatoio, acquista significato e valore da questi due altri documenti.
22 Maggio 1925
Caro Compagno,
Abbiamo avuto dal compagno Y il tuo indirizzo del
quale ci serviamo per allacciare questo Comitato con i compagni di [...] e
provincia. Saprai dirci se il presente tuo indirizzo potrà ancora essere
adoperato da noi o se dovrà essere cambiato.
Ed ecco le ragioni della presente: il Congresso del Partito che sarà tenuto tra non molto ci dà motivo ad un lavoro di carattere organizzativo e propagandistico il quale, in sostanza, supera il fatto del congresso stesso e mira a creare con tutto il partito una specie di collegamento spirituale tra i compagni della sinistra atto allo sviluppo di un processo critico di differenziazione necessario in questo momento nel nostro partito.
Accludiamo alla presente una copia della circolare personale e segreta diffusa da questo Comitato d'Intesa, dalla quale apprenderai in modo particolareggiato le ragioni suesposte e la necessità a iniziare senz'altro un serio ed efficace lavoro di collegamento con tutte le ragioni, gruppi, cellule, ecc. ecc. della vostra provincia, scegliendo i compagni più fidati e politicamente più provati della nostra corrente di pensiero.
Sarebbe bene che tu stesso facessi una scappata qui a Milano per conferire a questo scopo con i compagni incaricati di questo lavoro. In tal senso sarai pregato anche dal compagno Y il quale oggi stesso ti scriverà. Nel caso tu decida di venire a Milano, preavvisa il giorno perché si possa organizzare e preavvisarti l'appuntamento.
Il nostro indirizzo provvisorio è [...]
Saluti comunisti.
Aprile 1925
Caro Compagno,
Quando dai compagni che dirigono attualmente il
partito si va ripetendo con insistenza che oramai la intera massa del partito è
sul terreno della tattica dell'Internazionale e segue ormai con convinzione il
pensiero e il metodo dei dirigenti, ciò vuol significare che in questi
compagni esiste la persuasione che la Sinistra Italiana del Partito Comunista
più non sia che un gruppo più o meno numeroso di intellettuali incapaci di
venir meno alla adozione di una astratta intransigenza dottrinaria.
Gli stessi compagni dirigenti la Internazionale abusano di questa forma di restrizione mentale e fingono di ignorare l'esistenza di una sinistra italiana allorché mirano a bersagliare il compagno Bordiga. Nella recente riunione dell'Esecutivo Allargato, il compagno Zinov’ev è nientemeno arrivato a considerare il compagno Bordiga come passato decisamente all'estrema destra. Quando si tenda ridurre il necessario e insopprimibile dibattito tra le diverse correnti di pensiero e dell'attività di alcuni compagni più quotati della Internazionale stessa, abbiamo diritto di domandarci se la passione di parte sia già così forte da far perdere la serenità di giudizio e il buon senso.
E in questa situazione e con tale stato d'animo, sia nazionalmente che internazionalmente, che si prospetta la possibilità della convocazione del Congresso Nazionale del Partito. I compagni della sinistra sono chiamati a difendere con l'energia che distingue i vecchi combattenti dell'idea comunista, il pensiero, la tattica e tutta una tradizione di capacità rivoluzionaria e di lotta. Dobbiamo prepararci a dimostrare ancora una volta come non sia giusto e conveniente fingere di ignorare l'esistenza di tutta una corrente d'altronde considerevolissima, nel movimento comunista del nostro paese e circoscrivere la lotta al solo obiettivo "Bordiga".
Pur essendo pienamente solidale con il compagno Bordiga, la sinistra italiana deve saper dimostrare come sia stato vano ogni tentativo di assorbimento e di deviazione e come d'altra parte sia in tutti forte la convinzione che il patrimonio ideale e tattico della sinistra italiana sia il portato logico di tutta una non breve esperienza storica del movimento rivoluzionario internazionale. Crediamo che sia giunto il momento di parlar chiaro ai compagni.
D'altronde la stessa attività del nostro partito, messa in relazione alla situazione politica del paese, è tale che richiede dai compagni della sinistra una immediata presa di posizione critica che investa in pieno questa attività e la posizione teorica che la esprime.
A questo scopo un gruppo di vecchi e provati compagni riuniti in "Comitato d'Intesa" si impegna di tenere informati da oggi i compagni della periferia non solo, ma di ottenere al più presto un sufficiente collegamento atto a rendere unitaria e omogenea questa opera. Consigliamo perciò i compagni che hanno cariche di partito e i compagni in genere dei vari centri di mettersi subito a contatto col "Comitato d'Intesa" e di fornirci al più presto gli indirizzi sicuri per il recapito della corrispondenza.
La presente circolare è strettamente riservata ai compagni a cui è indirizzata: ci riserviamo di dare disposizione in una seconda circolare per indicare ai compagni in modo come debba essere organizzata la propaganda e il lavoro di preparazione del congresso.
Saluti fraterni.
Timbro con falce e martello e spighe portante la dicitura: "Comitato di Intesa"
Comunicato del comitato esecutivo
II partito combatterà con energia ogni
ritorno alle concezioni organizzative della
socialdemocrazia.
Quando, dopo il V Congresso dell'Internazionale Comunista, il C.C. del partito affermava che l'atteggiamento assunto dai compagni dell'estrema sinistra di fronte alle decisioni di quel Congresso e particolarmente il loro rifiuto a far parte degli organi direttivi del partito, non solo del Comitato Esecutivo ma persino del Comitato Centrale, in seno al quale sarebbe stato sempre possibile precisare la propria responsabilità politica sulle questioni generali e su ciascun problema politico in particolare, aveva sostanzialmente un significato frazionistico per la concezione ed il metodo politico che in tale atteggiamento si esprimeva e per le conseguenze che ne sarebbero praticamente derivate, molti compagni dell'estrema sinistra rispondevano negando recisamente tale giudizio, anzi protestando contro tali affermazioni che essi dicevano essere fatte a puro scopo polemico.
E quando nei Congressi federali convocati dopo il V Congresso mondiale, il C.C. del Partito pose praticamente tale questione affermando la necessità che gli esponenti della tendenza di estrema sinistra entrassero a far parte del C.C., da parte di alcuni compagni — la stragrande maggioranza del partito era invece consenziente con tale soluzione — si reagì violentemente definendo tale proposta una provocazione ed un atto di ostilità.
Ora i nomi di coloro che così parlavano alcuni mesi fa, oggi li ritroviamo nel sedicente "Comitato d'Intesa" che altro non è, come risulta dai documenti che qui pubblichiamo, che il Comitato Centrale di una frazione che si tenta segretamente creare e di organizzare in seno al partito. Dopo avere respinto "a parole" pochi mesi fa, quanto noi dicevamo, essi confermano oggi con i "fatti" le nostre affermazioni.
Per la verità e l'esattezza si deve anche dire che taluni compagni, pur essendosi dichiarati d'accordo in un primo momento con la posizione assunta dall'estrema sinistra, certamente perché non ne vedevano chiaramente il contenuto ed il significato politico, oggi sono recisamente contro una così insana iniziativa ed ogni tentativo di far degenerare la discussione ideologica che sta per iniziare nel partito e che noi tutti riteniamo utile e necessaria, in una lotta di frazioni estremamente dannosa e pericolosa.
I fatti che qui documentiamo sono di una tale gravità da imporsi alla più severa attenzione di tutti i compagni. Mai si era vista nel nostro partito più audace offesa alle norme più elementari di organizzazione e di disciplina di un Partito Comunista. Bisogna guardare la realtà in faccia e non aver paura di chiamare le cose con il loro vero nome: l'iniziativa del "Comitato d'Intesa" porta in sé il germe di una scissione del partito. Basta leggere i documenti e la circolare "segreta" che tale comitato ha illegalmente inviato a qualche suo fiduciario nella nostra organizzazione per convincersene.
I compagni tutti devono reagire con la massima energia a questo attentato all'unità e alla compagine del nostro partito. In un momento in cui la reazione contro il nostro movimento si aggrava, i pericoli aumentano e la situazione si presenta sempre più gravida di minacce; ogni tentativo di compromettere ed indebolire la coesione interna e la solidarietà organizzativa dell'avanguardia rivoluzionaria organizzata nel Partito Comunista è un atto delittuoso che merita le più gravi sanzioni ed il biasimo più severo. Noi siamo certi che ogni tentativo frazionistico è destinato al fallimento; i germi di infezione frazionistica, che qua e là tendono a dare manifestazione di vita, saranno inesorabilmente schiacciati ed eliminati. L'organismo del partito è sano e vigoroso e saprà resistere ottimamente.
Al disopra di ogni reazione psicologica e di ogni voce di sdegno, che insorge spontanea nella coscienza di ogni militante rivoluzionario che non abbia smarrito il senso del dovere che gli impone la milizia rivoluzionaria; noi dobbiamo porre tale questione sul terreno ideologico per scoprire e porre in chiaro l'errore di principio da cui essa deriva. I compagni tutti dovranno rendersi conto degli errori pratici e delle aberrazioni alle quali si può giungere partendo da concezioni teoricamente viziate ed in gran parte erronee. Ponendosi sulla via per la quale si sono incamminati i componenti del sedicente "Comitato d'Intesa" si va diritto fuori del Partito e dell'Internazionale Comunista. E porsi fuori del Partito e dell'Internazionale significa porsi contro il Partito e l'Internazionale Comunista, significa cioè rafforzare gli elementi della controrivoluzione.
È bene parlare chiaro perché non si formino delle illusioni. Dei documenti che qui pubblichiamo sarà necessario riparlarne. Essi meritano un esame intrinseco, sia per ciò che in essi si afferma sia per il doppio gioco che essi svelano nell'azione dei componenti del Comitato d'Intesa, da alcuni dei quali, almeno, ci attendevamo una condotta di maggiore lealtà e di maggior senso di responsabilità. E sarà necessario anche mettere in chiaro la manovra che si nasconde nell'assenza del nome del compagno Bordiga, col quale certamente è concordata l'iniziativa del "Comitato d'Intesa". È doloroso dover fare simili constatazioni quando tra i firmatari troviamo il nome di compagni che pur furono con noi fra i fondatori del partito e per esso lottarono ed operarono.
Ma la realtà è quella che è, ed ogni debolezza in questo momento sarebbe colpa grave. Al disopra di ogni cosa deve porsi l'interesse del partito, per il quale dobbiamo essere pronti in ogni momento ad affrontare ogni sacrificio. Amicizie, vincoli personali ed i più tenaci e più profondi legami di affetto non possono e non devono limitare il dovere che la milizia rivoluzionaria ci impone. Se non avessimo la forza di far ciò, non saremmo dei rivoluzionari militanti ed avremmo perciò il dovere di trarci in disparte.
Tutti i compagni devono far propria questa norma. Diciamo questo perché nel nostro partito troppa influenza hanno avuto finora le forme sentimentali. Questa è una debolezza dalla quale dobbiamo saper guarire, se vogliamo veramente portare il nostro partito all'altezza di un vero Partito Bolscevico.
La piattaforma del Comitato
d'Intesa
A) Partito e masse — È errore ritenere che in ogni situazione
si possa con espediente e manovra allargare la base del partito tra le masse,
in quanto i rapporti fra partito e le masse dipendono in massima parte dalle
condizioni oggettive della situazione.
La controversia tra la sinistra e le altre correnti
consiste nella opinione nostra che le variazioni della situazione non debbano
alterare il programma e i metodi fondamentali di organizzazione e di tattica
del partito. Secondo noi l'accrescersi dell'influenza del partito fra le masse
è imposto dall’acutizzarsi delle situazioni rivoluzionarie e dalla misura in
cui il partito resta fedele al suo compito rivoluzionario e mantiene fermi i
suoi postulati di organizzazione e di tattica. Le altre correnti considerano il
problema della conquista delle "masse" apparentemente come un
problema di volontà, ma sostanzialmente ricadono nell'opportunismo adattandosi
volta a volta alle situazioni. Essi deformano così la natura e le funzioni del
partito fino al punto da renderlo inetto anche alla stessa conquista delle
masse e ai suoi compiti supremi quando la situazione glieli presenterà.
Uno degli appunti che si muovono alle nostre
considerazioni tattiche è quello che possiamo
a volte alienarci le masse, e che in linea di principio noi trascuriamo le
masse ed ignoriamo le situazioni reali per il gusto di mantenere intatta la
nostra intransigenza. Ma ciò avviene solo apparentemente poiché in realtà siamo
noi i soli a tener conto delle situazioni concrete nel senso rivoluzionario,
poiché inquadriamo il lavoro del momento nel piano generale d'azione del
partito facendo corrispondere allo svolgimento dialettico delle situazioni
quello del partito stesso.
B) Sistemi
organizzativi del partito — II partito è l'organo che sintetizza e unifica
le spinte individuali e di gruppi provocate dalla lotta di classe. In quanto
tale il tipo di organizzazione del partito deve essere capace di porsi al di
sopra delle particolari categorie e perciò raccogliere in sintesi gli elementi
che provengono dai proletari delle diverse categorie, dai contadini, dai
disertori della classe borghese, ecc.
Per le altre tendenze il tipo dell'organizzazione di partito è quella della
cellula. Esse pensavano d'avere già risolto il problema rivoluzionario della
tattica per il fatto di avere l'organizzazione base del partito nella fabbrica
e cioè fra gli operai. Possiamo ricordare che questo è precisamente il tipo
delle organizzazioni contro-rivoluzionarie (Sindacati, Labour Party) ove il
frazionamento della classe operaia in gruppi professionali produce lo smarrimento
della visione delle finalità di classe. È quindi errato il sostenere che
l'organizzazione su base territoriale sia quella propria dei partiti elettoralistici,
mentre il sistema... cellulare sia la chiave di volta per una giusta tattica
rivoluzionaria.
Il richiamarsi all'esperienza organizzativa russa per trapiantarla in occidente
non basta né giova, poiché negli anni dal 1905 al 1917 in Russia il capitalismo
era appena agli inizi mentre sviluppato ed imperante era invece il terrore
zarista. Quindi l'apparato organizzativo del partito, costituito da gruppi di
fabbrica e da un schiera di funzionari (rivoluzionari professionali) mentre
rispondeva alle condizioni oggettive dello sviluppo iniziale del
capitalismo rispondeva altresì alla concentrazione del proletariato nei pochi
centri industriali e alla necessità di azione sindacale delle masse, che mancavano
ancora di potenti organismi idonei. D'altra parte erano evitate le deviazioni
contro-rivoluzionarie perché l'azione delle cellule anche per rivendicazioni
immediate, poneva il problema generale rivoluzionario, non essendo possibili
pacifiche e parziali conquiste, ed anche perché la selezione dei capi era
garantita dallo stesso rigore della reazione zarista. Infine l'organizzazione
poliziesca dello zarismo lasciava agli operai una maggiore possibilità
d'azione nelle fabbriche che fuori. Invece nei paesi dove manca questa
eccezionale situazione che si presenterà in Russia dal 1905 al 1917, il sistema
delle cellule si presta alla comoda dittatura di un funzionarismo burocratico
le cui deviazioni controrivoluzionarie sono luminosamente dimostrate dalle
esperienze dei partiti socialdemocratici.
Per noi il sistema delle cellule equivale ad un sistema federativo che è la
negazione della centralizzazione dei Partiti Comunisti, intendendo per
centralizzazione il massimo potenziamento delle energie rivoluzionarie della
periferia coordinate e riflesse nell'apparato dirigente.
Analogamente il problema della disciplina si pone
come incanalamento e utilizzazione delle forze che si sviluppano e che il
sistema organizzativo deve essere capace di armonizzare. In tal caso le nuove
esperienze diventano il patrimonio del partito che le interpreta, le assimila,
non divenendo un ritrovato di pochi funzionari che le impongono al partito
inerte secondo interpretazioni il più delle volte errate. Le sanzioni
disciplinari divengono quindi repressioni di fenomeni sporadici e non
compromissione generale di tutto il partito, del quale anzi devono costituire
una riserva contro singole manifestazioni aberranti.
L'apparire e lo svilupparsi delle frazioni è indice
di un male generale del partito; è un sintomo della mancata rispondenza delle
funzioni vitali del partito stesso alle sue finalità e si combattono
individuando il male per eliminarlo e non usando dei poteri disciplinari per
risolvere, in modo necessariamente formale e provvisorio, la situazione.
La sinistra prospetta con il suo pensiero generale
l'unico metro per eliminare le condizioni che danno vita alle frazioni e per
garantire una disciplina ferma, ma cosciente. Difatti noi ci siamo sempre
opposti alle manovre organizzative, alle doppie organizzazioni di partito
(fusioni, frazioni in altri partiti, ecc. ecc.) perché spezzano la continuità
razionale di sviluppo del partito e ne minano le stesse regole di vita e
funzionalità fra le quali principalmente la disciplina.
C) Problemi di tattica — Per il fronte unico e il Governo
operaio si richiamano in generale le critiche mosse dalla sinistra e in
particolare le tesi sulla tattica della Sinistra al IV Congresso Mondiale
pubblicate su Stato Operaio nel primo semestre del 1924, in preparazione
della conferenza nazionale del Partito.
Insistiamo, in contraddizione con gli altri che
parlano di fronte unico prevalentemente come manovra di smascheramento dei
partiti non comunisti, sul noto concetto della Sinistra per cui il partito,
ponendo rivendicazioni economiche e politiche proprie di tutta la classe
lavoratrice, incoraggia in questo la tendenza alla lotta e tenta di acquistarne
la direzione esso solo e non ibride coalizioni con altri partiti.
Sul Governo Operaio riconfermiamo che se si tratta di
un sinonimo della "Dittatura del Proletariato" e cioè di una
cosiddetta parola di agitazione, noi siamo contrari alla formulazione di parole
d'ordine che non hanno un proprio significato; se invece si tratta di qualcosa
di diverso dalla "Dittatura del Proletariato", l'avversiamo più
fieramente in quanto rappresenta pericolosissime deviazioni
parlamentaristiche, se non addirittura la negazione dei principi elementari del
marxismo rivoluzionario.
Siamo ugualmente avversi alla politica delle lettere
aperte e delle proposte agli altri partiti che vorrebbero ridurre la lotta
rivoluzionaria a manovre fra capi nel mentre possono costituire un alibi
all'inerzia, divergono le masse dall'obiettivo, dalle necessità e dalle
difficoltà della lotta e si risolvono in una tattica sterile e ridicola.
D) Questioni sindacali — Riconfermiamo la nostra accettazione delle tesi in merito al II Congresso dell'I.C.; la nostra contrarietà alla scissione sindacale e la necessità per il partito di una rete permanente nell'interno dei sindacati professionali che si trasformerà in organismo dirigente dei sindacati quando la situazione sposterà inevitabilmente le masse verso di noi. Non così però siamo favorevoli alle attuali manovre per la fusione delle due Internazionali sindacali, perché avendo l'Internazionale bisogno di un centro di concentrazione delle forze sindacali comuniste ed avendo già risolto tale problema con la creazione dell'I.S.R. [Internazionale sindacale rossa] invece che con la costituzione di una sezione sindacale dell'I.C., non vediamo le ragioni rivoluzionarie che consigliano tale radicale revisione di tattica, perché riconfermiamo ad Amsterdam la funzione di agenzia della borghesia, come ha pure recentemente dimostrato in occasione del piano Dawes, perché ancora il preteso rafforzamento della sinistra di Amsterdam, la quale rappresenta una necessità fisiologica di conservazione e di azione dell'Internazionale stessa, si risolve in una liquidazione dell'Internazionale sindacale rossa. Mentre però avversiamo la fusione organizzativa delle due Internazionali, siamo favorevoli ad un'azione di fronte unico per questioni concrete da perseguire nella due Internazionali che provenga dal basso.
E) Questione nazionale ed agraria — Riconfermiamo la nostra piena approvazione delle tesi dettate da Lenin al II Congresso dell'Internazionale Comunista, pur facendo delle riserve sulla applicazione pratica che di esse viene fatta in molti casi.
F) Questione Trotsky — Respingiamo
l'impostazione della questione come è stata fatta dall'I.C. e dalla nostra
Centrale poiché la questione sollevata nella prefazione al "1917"
investe la condotta dei vari gruppi del Partito Comunista Russo nell'ottobre
del 1917 e sui criteri della politica dell'I.C. soprattutto negli avvenimenti
di Germania e Bulgaria e non i problemi della rivoluzione permanente, sulla
funzione dei contadini, ecc. ecc. Sul primo punto di capitale importanza
rivoluzionaria si è scivolato, mentre artatamente si è creata la questione Trotsky richiamandosi al suo
vecchio dissenso con Lenin e alla sua condotta su quelle questioni anteriori
al 1917, la quale Trotsky ha ripudiato non soltanto a parole. La Sinistra è con
la posizione di Lenin nelle suaccennate questioni, mentre logicamente si
compiace del fatto che un capo rivoluzionario come Trotsky abbia fatto sue
alcune importanti posizioni critiche e polemiche della Sinistra Italiana.
Per l'impostazione della questione Trotsky e per la
sua esauriente trattazione richiamiamo l'articolo di Amadeo Bordiga che
dovrebbe essere pubblicato sulla stampa del partito.
G) La nuova tattica — La tattica seguita dall'I.C. nelle
elezioni presidenziali tedesche (proposta di mantenimento della candidatura
Braun) e quella annunziata dal Partito tedesco che ha provocato la formazione
di una tendenza di sinistra nel Partito
Comunista T. (Rosenberg e un quarto del partito) e
nelle elezioni amministrative di ballottaggio in Francia (tattica di Clichy) è
una conferma ancora più inoppugnabile delle posizioni teoriche della Sinistra
e del giudizio da noi dato sulla cosiddetta sterzata a sinistra del V
Congresso, perché nel mentre si assume la difesa del principio leninista che la
socialdemocrazia sia l'ala sinistra della borghesia e non l'ala destra del
proletariato, si viene con essa a compromessi, sul terreno più pericoloso dell'opportunismo
controrivoluzionario e cioè dell'elettoralismo.
Devesi invece negare energicamente che i Partiti
Comunisti possano agire per la formazione di governi borghesi di una o di
un'altra tendenza, anche se può talvolta essere vero che con un governo
socialdemocratico la libertà di azione del partito possa essere più ampia, in
quanto la borghesia regola le questioni fondamentali del potere secondo le sue esigenze
di classe e quindi affida il governo a chi meglio rappresenta la sua difesa.
L'esperienza italiana ad esempio insegna che il democraticissimo Governo Nitti fu in sostanza quanto di meglio
la borghesia poteva esperire in sua difesa, e quindi quanto di più reazionario.
H) Giudizio sull'attività passata del Partito Comunista
d'Italia — Si richiamano le tesi, mozioni ed articoli della Sinistra per
la conferenza nazionale del Maggio 1924 pubblicate su Stato Operaio dell'epoca.
La Sinistra riafferma la bontà dell'indirizzo
impresso al partito dalla Centrale e letto ai Congressi di Livorno e di Roma e
liberamente applicato fino allo sciopero generale dell'agosto '23.
La politica seguita da allora per volontà
dell'Internazionale e di cui questa affidò alla nuova Centrale nominata
nell'Allargato del giugno '23 e riconfermata al V Congresso coi suoi risultati
ha confermato le opinioni e le critiche nostre.
La tattica verso il partito massimalista ha condotto
alla stentata fusione con la piccola frazione terzina, sproporzionata agli
sforzi compiuti e il cui bilancio dimostra come sarebbe stata più utile
l'assimilazione per mezzo di adesioni individuali proposte dalla Sinistra.
Su questa tattica il partito massimalista ha
speculato per rallentare la sua liquidazione agli occhi delle masse
rivoluzionarie, tanto più in quanto anche oggi si accenna ad amoreggiare con
una nuova sinistra del partito stesso. L'azione della Centrale attuale ha la
caratteristica generale dell'incertezza, dell'improvvisazione sostituita ad
una chiara e ferma direttiva, dell'equilibrio posticcio fra le opinioni
occasionali di gruppi eterogenei e per diverse ragioni inadeguati al loro
compito di dirigenti, della meccanicità sterile, della disciplina messa al
posto dell'iniziativa convincente e del fermo governo del partito necessari al
lavoro rivoluzionario.
Nella crisi Matteotti il partito esitò e ritornò sui
suoi passi, non sapendo sfruttare la situazione favorevole che permetteva non
certo l'abbattimento della borghesia ma il passaggio del partito su una
posizione più avanzata e decisa della lotta autonoma della classe operaia.
Errore madornale fu l'azione parallela nei giorni decisivi a quella delle opposizioni
col partecipare al comitato parlamentare di esse. La Centrale sentì troppo
tardi e male la originalità della posizione del partito e la sua netta
contrapposizione a quella delle pregiudiziali morali e costituzionali degli
aventiniani.
Nella successiva tattica parlamentare la Centrale fu
rimorchiata sulla via giusta solo dalla decisa pressione della periferia e
della sinistra e per gli stessi motivi aveva indovinato nella partecipazione
alle elezioni, errando solo nel sostituire la formula infelice di liste
dell'unità proletaria a quella di liste del Partito Comunista. Commise però
altro errore con la proposta del Parlamentino delle opposizioni, laddove
avrebbe dovuto agire nel senso di sviluppare la politica autonoma del
proletariato contro i gruppi borghesi successivamente smascherati non dalla
tattica del Partito Comunista o dai suoi assaggi ma dalla stessa vivente
esperienza degli ultimi anni, e avrebbe dovuto sottolineare gli elementi
classisti, antipacifisti, anticostituzionali, antidemocratici dell'intervento
del terzo fattore proletario.
Inadeguata, e rivelante una scarsa fedeltà alla
ideologia comunista, è stata tutta la critica delle opposizioni e molte volte
anche la critica del fascismo.
La stampa del partito e il linguaggio di tutte le sue manifestazioni sono
inferiori all'attesa delle masse, inadeguati al compito di un partito
rivoluzionario o alla tensione delle situazioni attraversate. Il legame delle
azioni con i principi è rilassato e risente dell'egemonia artificiale di un gruppo,
quello ordinovista, le cui origini recenti da atteggiamenti dottrinali
estranei al marxismo, mai rettificati da una giusta posizione esteriore alle
lotte del proletariato torinese, lasciano molta strada da fare sulla via
difficile che può condurre da un rivoluzionarismo idealista, individualista,
liberale, letterario, alla teoria e alla pratica rivoluzionaria classista,
strada che non può essere colmata da una ortodossia verso l'Internazionale
Comunista fatta solo di adesioni formali ai successivi deliberati, di una
difesa occasionale e contingente di questi che non rileva nessun contributo
sostanziale e sistematico.
Una manifestazione delle deficienze di questa tendenza sta nell'abuso di parole
d'ordine, sterili, incomprese, cadenti nel vuoto, che prospettano sempre nuove
formazioni organizzative e "costituzionali" delle forze operaie che
si vorrebbero improvvisare per farne materia delle cosiddette
"campagne" nelle quali si vede spezzettata l'azione del partito. Una
parola d'ordine nasce dai rapporti reali delle forze sociali e politiche in
lotta e non può consistere in una formula di organizzazione, se non in quanto
si riferisce ad organizzazioni ben note alle masse; già fatto
storicamente la loro prova in altri paesi. Questa critica pregiudiziale vale
per tutte le proposte sulla costituzione dei
Comitati Operai e Contadini, Consigli di Fabbrica, Comitati di Agitazione, ecc.
ecc. che non sono da respingere ma dalle quali dovrebbe esigersi la
specificazione dei compiti di tali organi in rapporto a precise esigenze delle
masse sollevate dalle situazioni e dovrebbe scartarsi ogni carattere di
rimpiazzo degli organismi esistenti, come ogni carattere di coalizione
eventuale con altri partiti politici.
In mancanza di una più vivente e serrata direttiva
della politica del partito, tutte queste campagne servono non a smuovere e
conquistare, ma a stancare e deludere le masse.
Nello sciopero metallurgico il partito ha lasciato
sfuggire una occasione in cui poteva e doveva, tenendo il passo degli avvenimenti,
senza minacciare la unità sindacale, parlare direttamente al proletariato
assumendo e rivendicando la direzione della lotta anche da parte del partito
di classe — solo in Italia anche per la evidenza degli aggruppamenti politici
attuali — non certo per la conquista del potere ma per segnare una tappa più
importante della riscossa proletaria.
Tutti i difetti delle attività e di iniziativa della
Centrale del Partito verso l'esterno si riflettono nell'eccesso di interventi e
lavori nell'interno del partito. Gli impegni assunti dalla sinistra al V
Congresso e rispettati con fedeltà che deriva dalla lealtà nostra e non da una
superiorità che manca del tutto alla Centrale verso la periferia, erano di
lavorare ai posti di esecuzione su tutto il fronte del partito, non
partecipando alla direzione politica centrale, riservata ai fautori convinti
della tattica dell'Internazionale. Questi rapporti sono stati denunziati dalla
Centrale che ha voluto aprire un'offensiva mascherando il suo desiderio di
eliminare da ogni influenza sui compagni gli esponenti della sinistra con un
invito a questi a collaborare alla direzione centrale.
Con le ultime circolari, con la ingiustificata
destituzione di organi locali tenuti da compagni della sinistra, con mille
forme poco rispettabili di lavoro interno che vanno definite non come dittatura
ma come giolittismo, la Centrale
ha cessato dì funzionare come una Centrale di Partito per funzionare come un
Comitato di frazione, e tale merita di essere considerata.
I) Compito del Partito Comunista in Italia — Sulla scorta
delle sue opinioni sulle questioni generali, delle critiche fatte
all'indirizzo attuale, dei programmi di azione presentati al IV e V Congresso
dell'Internazionale, la sinistra presenterà un completo programma di lavoro del
partito. Pronta a lavorare con ubbidienza sul fronte del partito a quel
qualunque programma diverso che fosse deliberato dal Congresso o dovuto — a
buon diritto — dalla Internazionale anche contro il parere della maggioranza
del Congresso Italiano, la sinistra prenderebbe il potere del partito ove si
trattasse di realizzare il programma integrale da essa proposto con ampia
prospettiva di sviluppo nell'avvenire. In ogni caso la sinistra si rifiuta di
considerare come questione centrale quella dei posti negli organi direttivi,
come respinge sistematicamente ogni personalizzazione della questione e sua
riduzione al giudizio sul contegno dei singoli compagni.
La questione della composizione della Centrale va
subordinata a quella del programma di azione avvenire, che a sua volta nasce
dal giudizio sulla esperienza passata e sulle questioni generali del metodo: il
dibattito non deve essere spostato da questo terreno con manovre atte a
sorprendere i compagni tenuti all'oscuro e che si limitano, nella stragrande
maggioranza, ad intuire sicuramente che il
partito è mal diretto e che agli errori e alle deficienze deve porsi rimedio.
La sinistra considera poi fermamente che una
soluzione soddisfacente della questione del partito italiano è impossibile al
di fuori della soluzione delle questioni internazionali e ritiene queste già
tanto gravi che, senza porre in dubbio il diritto dell'Internazionale a
regolare le cose dei singoli partiti, deve considerarsi insufficiente
l'escogitare una soluzione empirica provvisoria dei rapporti tra Partito e
Internazionale sulla base dei compromessi fra gruppi e, peggio, fra persone.
Dichiarazione dei componenti il
Comitato d'Intesa
Intervenendo nella situazione creatasi nel nostro partito, il Presidium dell'Internazionale Comunista ci ha intimato, ravvisando nel Comitato d'Intesa il nuce di una frazione costituita in seno al partito, di scioglierlo sotto pena della espulsione.
Il Presidium, pur annunziando la connessione della piena libertà di dibattito precongressuale, nulla dice sulle formali accuse di frazionismo e settarismo interno da noi portate contro la Centrale del partito italiano e nessuna misura o denunzia diretta ad eliminare le vere cause della crisi del partito.
Ciò non ci meraviglia perché dobbiamo dolorosamente constatare di essere dinnanzi ad una nuova tipica applicazione dei metodi di dirigenza della Internazionale che abbiamo combattuti e combatteremo. L'essere disposti a sostenere nei congressi e nei dibattiti il punto di vista e l'operato dei compagni che fanno parte degli organi direttivi internazionali è titolo che sana ogni errore ed ogni colpa nella lotta contro l'avversario borghese e trasforma ogni deficienza anche la più scandalosa in un brevetto di puro rivoluzionarismo bolscevico e leninista. I metodi disgregatori della Centrale italiana sono coperti dai dirigenti dell'Internazionale perché noi siamo all'opposizione su vari punti della loro politica.
I provvedimenti che reclamerebbe la difficile situazione del partito e la tensione interna cui ha condotta la sleale campagna organizzata dalla Centrale contro il Comitato d'Intesa si riducono alla meccanica formalistica di una disciplina che non convince e non si fa rispettare. Il grave problema delle tendenze e frazioni nel partito che si pone storicamente come una conseguenza della tattica politica che esso segue è una riprova della convenienza di essa, che è al contempo un sintomo delle sue deficienze da accogliere con la massima attenzione, si pretende di superarlo con le intimidazioni e le minacce, con l'assoggettare alcuni compagni alle solite compressioni disciplinari, lasciando credere che dalla loro condotta personale dipenderà tutto lo sviluppo successivo del partito.
Secondo questo metodo, antimarxista nella sostanza, sterile nei risultati, noi potremmo, a somiglianza di tanti elementi infidi e opportunisti che manovrano sui margini della nostra gloriosa Internazionale, cominciare a negoziare e patteggiare col centro dirigente, porre delle condizioni, fare a nostra volta minacce, raggiungere un compromesso e una transazione simili a quelle che sono il prodotto della spregevole pratica parlamentare borghese. Con queste convenzioni più o meno laboriose e stentate tra personaggi e "uomini politici" più o meno influenti si vanno da tempo dissimulando e dilazionando gravi problemi della vita dell'Internazionale e della sua azione che inevitabilmente si ripresentano più difficili e gravi. Noi potremmo a nostra volta far pesare la minaccia di una scissione e della formazione di un nuovo partito in caso di espulsione e sulle bilance della "politica" sedicente comunista sarebbero saggiate le nostre possibilità di avere tanta più soddisfazione quanto più male ci mostrassimo in grado di fare al partito e all'Internazionale.
Ma noi non agiremo in tal modo. Spontaneamente intendiamo la disciplina in modo infinitamente diverso. Come non esitammo a rinunziare alla dirigenza del partito così non ci sentiamo spinti dalle ripetute provocazioni della Centrale alla miserabile risposta di fabbricare un partitino dissidente ad uso e consumo di un gruppo di dirigenti a spasso. Dinnanzi ad una materiale imposizione noi ci ricordiamo di tenere soprattutto al nostro posto di gregari del partito comunista e dell'Internazionale che conserveremo con volontà di ferro, senza rinunziare giammai ad approcci con una critica instancabile a quei metodi che consideriamo contrastanti con l'interesse e l'avvenire della nostra causa.
Noi accusati di frazionismo e di scissionismo dinanzi alla eventualità di una rottura col partito sacrificheremo alla unità di esso le nostre opinioni, seguendo una intimazione che consideriamo ingiusta e dannosa al partito. Con questo dimostreremo come noi della sinistra italiana siamo forse i soli per cui la disciplina è una cosa seria e non commerciabile.
Noi riaffermiamo tutte le precedenti manifestazioni del nostro pensiero e tutti i nostri atti. Noi neghiamo che il Comitato d'Intesa fosse una manovra mirante alla scissione del partito e alla costituzione di una frazione nel suo seno, ma protestiamo ancora per la campagna svolta su questa base senza darci il diritto alla difesa e ingannando scandalosamente il partito.
Tuttavia poiché il Presidium crede che l'imporci lo scioglimento del Comitato d'Intesa sia un passo che allontana il frazionismo, noi pur essendo di parere contrario, ubbidiremo; ma allo stesso tempo dobbiamo lasciare al Presidium la responsabilità intera degli sviluppi che prenderà la situazione interna al partito e delle manifestazioni che sorgeranno dallo stato d'animo di reazione determinato dalla maniera con cui la Centrale ha amministrato la vita interna del Partito, manifestazioni che il Comitato d'Intesa incanalava e disciplinava in una via utile al partito e al suo felice avvenire. Noi crediamo che il vantato stroncamento del Comitato d'Intesa non farà che fomentare nel partito il frazionismo da noi non voluto e che potrà prendersi nostro malgrado le sue vendette. È vero che abbiamo ricevuto l'affidamento che tutte le sanzioni disciplinari prese contro i compagni aderenti al Comitato d'Intesa, tra cui l'espulsione del compagno Girone e tutta una serie di destituzioni dalle cariche, verranno annullate e che la libertà di discussione per il congresso sarà assoluta. Ma libertà di discussione significa discussione a parità di diritti e di mezzi, e se ne avrebbe garanzia seria solo ove fossero accettate le proposte fatte da noi a suo tempo alla Centrale, di cui non si fa più parola. Non dovrebbe essere lecito tenere i congressi federali prima di un dibattito sulla stampa e della pubblicazione delle tesi e mozioni proposte dalle varie tendenze, mandare ai congressi stessi un rappresentante della corrente ligia alla Centrale e dire sul conto della sinistra tutte le cose che si sono andate stampando in questi giorni senza che un compagno ugualmente al corrente degli elementi del dibattito possa controbatterle.
Né sarebbe ammissibile presentare sul giornale del partito, cioè di tutti i compagni, gli articoli e le dichiarazioni di taluni con cappelli e commenti più o meno tendenziosi e giornalisticamente messi in scena, mentre da parte nostra non si può né si vorrebbe certo fare altrettanto con gli scritti di altre correnti. Ma noi non patteggiamo la difesa di queste garanzie e rinunciamo, pur non avendo fiducia che verranno date, ad assicurarle mediante il nostro lavoro di controllo, solo scopo del Comitato d'Intesa. I compagni giudichino se queste domande erano opportune e difendano da sé come possono il partito dall'impiego di metodi che abbiamo dovuto definire di giolittismo, tendenti a falsare i risultati della sua consultazione. Il Comitato d'Intesa, dopo quest'ultima manifestazione, è disciolto. Desisteremo da ogni lavoro di collegamento e di diffusione di nostri testi ai membri del partito, nonché di riunioni indipendenti da quelle indette dagli organi del partito. Bene inteso questo non vuoi dire rinunziare all'ovvio diritto per il gruppo di compagni che possono considerarsi come gli esponenti della sinistra ad affiatarsi per il lavoro puramente teorico della discussione ed allestimento delle tesi conclusive, lavoro i cui risultati sono destinati ad apparire esclusivamente sulla stampa del partito.
Malgrado la virulenza cui è giunta la Centrale noi ci sforzeremo di portare il dibattito all'altezza dei compiti del partito e di dare ai compagni la nozione completa dell'orientamento della sinistra sulle diverse questioni evitando personalismi e pettegolezzi. Ci auguriamo di non dover continuare indefinitamente a rettificare le asserzioni inesatte sul nostro conto e ridurre il dibattito sulla politica della Centrale nella situazione italiana alla cronachetta poco edificante della sua attività interna: ma se a tanto saremo costretti ci auguriamo che cessi il boicottaggio delle lettere di rettifica e protesta che abbiamo dovuto rinunciare a denunciare ai compagni per altra via che quella della stampa del partito. L'ulteriore abuso di questi mezzi condurrebbe a conseguenze di cui già abbiamo nettamente rifiutato ogni corresponsabilità.
I compagni giudicheranno il nostro operato. A noi non importa acquistarci una loro adesione o simpatia superficiale e accumulare voti per il congresso, ma giungere a portare il dibattito e la coscienza del partito un poco più oltre degli atteggiamenti superficiali e meschini su cui si specula quando ci si vuole togliere con poca fatica il fastidio di vedersi discussi e criticati. Se si vuole continuare ad organizzare invece l'inganno demagogico e industrializzare il confusionismo e lo smarrimento, si faccia, ma non si creda di costituire nulla di stabile: il male al partito resterà ma non si salverà la posizione dei gruppi e gruppetti artefici di un metodo così politicantesco, scenario volgare destinato a cadere ben presto lasciando vedere i pericoli dell'opportunismo e della degenerazione del partito. Contro i quali condurremo sempre, senza riguardi e senza riserve, una lotta spietata, sicuri che la immensa maggioranza dei comunisti italiani si leverà come un solo uomo quando la minaccia ed il pericolo si facessero incombente realtà, spazzando il misero gioco degli arzigogoli e dei diversivi, non per dividere il partito, ma per condurlo intatto e compatto sulla via che gli è segnata.
Luglio 1925 - Firmato A. Bordiga, B. Fortichiari, O. Damen, F. Grossi, U. Girone, La Camera, M. Lanfranchi, M. Manfredi, O. Perrone, L. Repossi, C. Venegoni.
Allegato ai documenti inediti dell'archivio di Jules Humbert-Broz (rappresentante dell'Internazionale comunista).
Ultima modifica 18.09.2004