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Compagni!
Anzitutto vi prego di scusare la mia lingua, che non sarà il tedesco, ma un suo surrogato. Abbiamo diviso il lavoro nel modo seguente: io riferirò sulla questione di principio e sulla soluzione che ne deriva, il compagno Wolfstein riferirà sul lavoro della nostra commissione, e infine ci sarà il contro-rapporto del compagno Bordiga, rappresentante del punto di vista secondo cui, in questa epoca di distruzione del sistema capitalistico mondiale, non dovremmo partecipare a nessun parlamento.
E veniamo al punto. Nel porre un problema qualsiasi, dobbiamo sempre partire dalla valutazione dell'epoca concreta. E qui ci imbattiamo in una differenza di principio fra l'epoca precedente, di sviluppo pacifico, e l'epoca attuale, l'epoca del crollo del sistema capitalistico, l'epoca delle guerre di classe, delle guerre civili e della dittatura proletaria.
L'epoca "pacifica" (che del resto non era poi così pacifica, se si pensa alle guerre coloniali) può essere caratterizzata come l'epoca di una certa comunanza d'interessi fra proletariato e borghesia. Questa comunanza, soprattutto nel proletariato dei paesi capitalistici altamente sviluppati, poggiava sul fatto che questi ultimi conducevano una politica imperialistica grazie alla quale le classi dominanti realizzavano extraprofitti e con essi potevano pagare ai rispettivi proletariati salari più alti. In linea di principio, è un errore credere, come sosteneva Kautsky, che la politica imperialistica non abbia recato alcun vantaggio alla classe operaia. Infatti, dal punto di vista degli interessi contingenti della classe lavoratrice, si potrebbe sostenere che la politica imperialistica fu di una certa utilità, espressa nei più alti salari che si poterono distribuire agli operai attingendo agli extraprofitti dei capitalisti.
Se dunque possiamo considerare quest'epoca come l'epoca di una certa comunanza d'interessi tra proletariato e borghesia, la sua seconda caratteristica fu d'essere anche l'epoca dell'integrazione delle organizzazioni operaie nell'apparato statale borghese. Questo fenomeno si rivelò in modo particolarmente smaccato nell'epoca del capitalismo di Stato, quando, di fatto, quasi tutte le organizzazioni operaie - e organizzazioni di massa relativamente grandi - apparvero come parti componenti del sistema capitalistico e del suo apparato di governo. Se, infatti, consideriamo l'atteggiamento dei grandi partiti politici della classe operaia, della socialdemocrazia gialla e dei sindacati, durante la guerra, possiamo constatare che tutte queste organizzazioni di massa diventarono allora parti costitutive del sistema e dell'apparato statale capitalistico, istituzioni nazionali borghesi. Il punto di partenza di questa evoluzione si trova già nell'anteguerra, ed è lecito affermare che, allo stesso modo, le rappresentanze parlamentari dei partiti operai, i loro gruppi parlamentari, si integrarono allora nel parlamento borghese: invece d'essere diretti contro l'insieme del sistema capitalistico in genere, e contro il parlamento borghese in specie, divennero parti integranti dell'apparato parlamentare. Tale fu l'epoca pacifica del capitalismo, e tali sono i fatti che osserviamo anche all'inizio della guerra.
Poi venne la nuova epoca, l'epoca della decadenza capitalistica e delle guerre civili. In essa, la classe operaia abbandonò, in quanto classe, la precedente ideologia a sfondo imperialistico. Questa ideologia, culminata nella parola d'ordine della "difesa nazionale", crollò trascinando con sé tutte le sue manifestazioni secondarie. Da parti integranti del sistema capitalistico, le organizzazioni operaie si trasformarono a poco a poco in strumenti della lotta di classe; cioè da strumenti al servizio del sistema capitalistico divennero strumenti della sua distruzione. Parallelamente si verificò la conversione dei gruppi parlamentari da parti integranti - quali erano - dell'intero apparato parlamentare in strumenti della sua distruzione. E così nacque il nuovo parlamentarismo, di cui i comunisti sono, e hanno il dovere di essere, sostenitori.
Compagni, io non commenterò tutti i paragrafi delle nostre tesi, che sono molto estesi: sceglierò solo qualche punto essenziale su cui soffermarmi. Potremo così risolvere un certo numero di questioni spinose.
Avendo avanti agli occhi due epoche di carattere così diverso, possiamo già dire a priori che il processo di transizione da un'epoca all'altra, dal vecchio al nuovo parlamentarismo, va considerato come un processo che, in ogni determinata fase, porta con sé residui delle concezioni precedentemente circolanti nelle file della classe operaia: quanto più il processo si sviluppa, tanto più queste sopravvivenze svaniranno, ma è un fatto che oggi possiamo ancora chiaramente distinguerle in molti partiti, perfino in partiti che hanno dato la loro adesione all'Internazionale Comunista: è un fatto che l'opportunismo e i partiti oscillanti esistono ancora nel movimento operaio, che l'ideologia della collaborazione con la borghesia sussiste ancora in parte, e questo fatto si rispecchia nella persistenza del vecchio parlamentarismo.
Consideriamo anzitutto il quadro d'insieme dell'attività parlamentare della classe operaia. Prendiamo la composizione dei diversi gruppi parlamentari e avremo un'immagine delle più singolari. Ad esempio, il Partito Socialdemocratico Indipendente Tedesco. Questo conta ora 82 deputati. Ma, se analizzassimo la composizione del gruppo parlamentare di questo partito, già di per sé piuttosto moderato e opportunista, otterremmo suppergiù le seguenti cifre: di questi 82 deputati, una ventina appartiene direttamente alla destra, una quarantina al centro e una ventina alla sinistra. La percentuale della destra e del centro, ripeto, nel quadro del Partito Socialdemocratico Indipendente, è dunque piuttosto elevata. Prendiamo ora il Partito Socialista Italiano e il suo gruppo parlamentare. Questo partito aderisce alla III Internazionale, ed è anzi uno dei nostri migliori partiti. Ma, se dividiamo i membri del suo gruppo parlamentare in tre parti, cioè il gruppo Turati-Lazzari, il gruppo Serrati e i cosiddetti Bombacciani, otteniamo le seguenti cifre: il 30 per cento dell'intero gruppo appartiene alla tendenza Turati, il 55 per cento al centro, e il 15 per cento alla sinistra. Il compagno Serrati mi ha dato qualche altra cifra. Secondo lui, i riformisti contano 41 mandati. Si tratta di un dato ufficiale fornito dal compagno Serrati: e, per un partito che si vuole comunista, indica una percentuale altissima. Se passiamo al Partito Socialista Francese, abbiamo 68 parlamentari, di cui 40 riformisti dichiarati in un partito già opportunista e 26 del centro (non nel senso nostro del termine, ma nel senso del centro del Partito Socialista Francese, un centro al quadrato): quanto ai comunisti, il loro numero non supera forse i 2. Nel Partito Socialista Norvegese, che è un partito relativamente buono, il gruppo parlamentare è di 19 membri, di cui 11 destri, 6 centristi e 2 comunisti. Del gruppo parlamentare svedese, una parte abbastanza elevata è composta di elementi che non si possono considerare affatto comunisti. A conti fatti, un quadro piuttosto malinconico! La composizione dei gruppi parlamentari è al di sotto di ogni critica. E, se cerchiamo la causa di questo stato di cose, la riconosciamo nel fatto che questi partiti non sono abbastanza chiaramente comunisti e che nel loro ambito si trova un numero notevole di opportunisti. Perciò essi tollerano simili elementi nei gruppi parlamentari.
Passo ora dalla composizione dei partiti all'analisi della loro politica parlamentare, e qui si può a buon diritto affermare che questa politica è lontana dal parlamentarismo rivoluzionario quanto il cielo dalla terra. Prendo di nuovo ad esempio il Partito Socialdemocratico Indipendente. Durante la guerra, quando si doveva fare appello ai popoli per porre fine al massacro, esso si rivolgeva al governo. Ricordo una conversazione avuta a Berlino con Haase. Volendo dimostrarci che faceva del parlamentarismo rivoluzionario, egli ci portò, come la prova migliore, i suoi discorsi, in cui sosteneva che il governo tedesco aveva commesso un abuso inviando truppe in Finlandia, perché queste vi si potevano impiegare a scopi riprovevoli. Dunque, finché le si mandava sul fronte francese, nulla da ridire; l'abuso esisteva solo in direzione della Finlandia. È questa una prova di parlamentarismo non rivoluzionario, ma opportunistico.
Prendiamo tutto quanto s'è scritto e detto nel parlamento tedesco in tema di socializzazione. Roba da ridere: non il minimo afflato rivoluzionario. E, per quanto mi risulta, il compagno Däumig, parlando ancora nel 1920 di piani di socializzazione, non si è discostato per nulla da questa impostazione opportunistica. O, per esempio, il discorso sulla Costituzione di Oskar Cohn, rappresentante degli Indipendenti. Esso è abbastanza lungo, ma non vi si trova assolutamente traccia di una concezione rivoluzionaria. Ci sentiamo dire che la Costituzione è ammalata: su Noske, non una parola. È il metodo di Kautsky, che, se discute il problema della democrazia borghese, tira in ballo scimmie e selvaggi. Eppure, era una buona occasione per sviluppare in senso rivoluzionario il nostro punto di vista di principio! O ancora la storia della commissione d'inchiesta sui responsabili della guerra. Una vera e propria commedia recitata in base al materiale fornito dal Ministero degli Esteri! Ma è così che gli Indipendenti pretendono di approfondire parlamentaristicamente la questione delle responsabilità del conflitto. Neppure una traccia, anche qui, di attività rivoluzionaria.
Prendiamo la mozione del compagno Oskar Cohn sull'abrogazione della legge sul fermo precauzionale dei politici. Vi si trova di tutto, fuorché il punto di vista del rivoluzionario comunista. E che dire di quanto abbiamo sentito in questa stessa sede dai delegati del Partito Indipendente? Quando si sono scusati di non averci risposto in tempo, il compagno Dittmann, se non sbaglio, o un altro, ha detto: "Eravamo in periodo elettorale e, data l'importanza della cosa - [un'elezione!] - non abbiamo potuto redigere subito una lettera di risposta". Ecco un esempio clamoroso, che uccide chi lo dà. Se avete da un lato le elezioni e dall'altro la causa di tutta l'Internazionale, è chiaro per ogni rivoluzionario che egli deve condurre la campagna elettorale sotto le parole d'ordine dell'Internazionale. Mettere a contrasto Internazionale ed elezioni è tutto quel che si vuole, fuorché una posizione conciliabile con il desiderio di appartenere all'Internazionale Comunista. Noi possiamo seguire tutta l'attività parlamentare dei compagni indipendenti e non trovarvi mai l'ombra di un'azione chiara, cosciente del fine da raggiungere, ispirata ai nostri principii. Se prendiamo il Partito Socialista Francese o anche altri partiti, il quadro non è meno triste. Non intendo dilungarmi su di essi, perché un esempio basta a ricostruire l'intera situazione. In tutti questi casi, sia nella composizione che nella tattica del gruppo parlamentare si notano quelle sopravvivenze del vecchio parlamentarismo che noi dobbiamo letteralmente sradicare, perché, fin quando questa pratica, questi metodi, questa composizione dei gruppi parlamentari sussisteranno, non potremo svolgere nessuna attività rivoluzionaria. È assolutamente escluso che una lotta rivoluzionaria possa iniziarsi con un simile ciarpame.
Vengo ora all'altra questione, la questione dell'antiparlamentarismo per principio. Questo antiparlamentarismo è il figlio legittimo dell'opportunismo sopra descritto e dell'attività parlamentare vecchio stile con tutti i suoi malanni. Questo antiparlamentarismo per principio ci è infinitamente più simpatico del parlamentarismo opportunista. Fra i fautori dell'antiparlamentarismo, si possono, credo, distinguere due gruppi principali. Uno che nega assolutamente per principio ogni partecipazione all'attività parlamentare e l'altro che è contro il parlamentarismo per una valutazione specifica delle possibilità che l'azione parlamentare offre. Gli IWW rappresentano oggi la prima tendenza, e il compagno Bordiga, che parlerà dopo di me, la seconda. Quanto all'antiparlamentarismo per principio, si può dire del primo gruppo che questa dottrina o questa tattica, se la si esamina teoricamente, si basa su una completa confusione dei concetti fondamentali della vita politica. Gli IWW, per esempio, non hanno un'idea affatto chiara di che cosa sia propriamente la lotta politica. S'immaginano che uno sciopero generale a carattere economico, diretto di fatto contro lo Stato borghese, ma guidato dai sindacati anziché dal partito politico, non sia una lotta politica. Dunque non capiscono assolutamente che cosa si intende per lotta politica. Confondono la lotta politica con l'attività parlamentare. Credono che per lotta politica si debba intendere unicamente l'attività parlamentare o l'attività dei partiti parlamentari. Non approfondirò questa questione, poiché essa è chiaramente sviluppata nelle nostre tesi, e i compagni non hanno che da prenderne conoscenza. È chiarissimo che l'atteggiamento negativo nei confronti del parlamentarismo si basa su diversi errori di principio, soprattutto su un concetto errato di ciò che è in realtà la lotta politica. Considerato dal punto di vista storico, il parlamentarismo americano mostra tanta bassezza e corruzione che molti elementi onesti passano nel campo dell'antiparlamentarismo per principio. L'operaio non pensa in modo astratto: egli è un empirico che va per le spicce e, se non gli si può dimostrare empiricamente che il parlamentarismo rivoluzionario è possibile, egli semplicemente lo rifiuterà. Questi elementi che hanno visto solo i lati negativi e le bassezze del parlamentarismo, passano in gran parte nel campo dell'antiparlamentarismo per principio.
Vengo ora al secondo gruppo, qui rappresentato dal compagno Bordiga. Egli sostiene che non si deve confondere la sua posizione con l'antiparlamentarismo di principio, e io devo dire che il suo punto di vista, considerato formalmente, parte da premesse tutte e soltanto teoriche. Il compagno Bordiga afferma che proprio perché l'epoca attuale è un'epoca di lotte di massa del proletariato, un'epoca di guerre civili, ci si deve astenere, solo per questo specifico punto di vista storico, dall'andare in parlamento. Tale la sua opinione. Ma io credo possibile dimostrare che fra la tattica del compagno Bordiga e quella degli antiparlamentaristi per principio esiste un ponte. Il compagno Bordiga ha preparato un corpo di tesi, ed ecco che vi leggiamo:
Qui il compagno Bordiga sembra sostenere che un delegato della classe operaia per il solo fatto di trovarsi in una camera fisicamente accanto ad un borghese collabori con la borghesia. È un'idea ingenua, degna degli IWW. Alla fine del paragrafo 9 delle sue tesi leggiamo:
Prima un contatto fisico in una camera era già un peccato, e tutto andava a catafascio. Ma qui l'errore è ancor più grave, perché non sempre si hanno a disposizione dei Soviet. Il compagno Bordiga riconosce con noi che non si può procedere all'organizzazione immediata di Soviet operai in tutti i paesi. I Soviet sono organi di combattimento del proletariato: se le condizioni che rendono possibile questo combattimento mancano, non ha alcun senso creare dei Soviet, perché essi si trasformerebbero in appendici filantropico-culturali di altre istituzioni puramente riformistiche, e v'è il serio pericolo che i Consigli operai si organizzino secondo il modello francese, in cui un paio di individui si riuniscono in associazioni pacifiste e umanitarie, prive di qualunque valore rivoluzionario. I Soviet per ora non esistono; ciò che esiste è il parlamento borghese. Le nostre tesi dicono che noi dobbiamo avere in esso i nostri agenti e informatori rivoluzionari. Che essi lavorino fianco a fianco con borghesi è un'obiezione del tutto negativa e illogica, anche se ben comprensibile dal punto di vista sentimentale. Sotto il profilo della logica e della convenienza rivoluzionaria, il punto essenziale è che noi comunisti affermiamo: V'è una possibilità di andare al parlamento per cercare di distruggerlo dall'interno. Un tempo, i gruppi parlamentari, integratisi nel parlamento, erano divenuti parti costitutive del sistema in quanto tale. Ora noi vogliamo svolgere la nostra attività in modo da contrapporre sempre più l'uno all'altro il sistema parlamentare e i nostri gruppi. Inutile dire che è per noi pregiudiziale che l'attività parlamentare sia coordinata con i movimenti delle masse operaie.
Ma riprendiamo le tesi del compagno Bordiga. Anzitutto una piccola osservazione. Io sostengo che alcuni compagni abbracciano una forma di antiparlamentarismo per principio perché temono di agire come parlamentari rivoluzionari; perché questo terreno presenta secondo loro troppi pericoli, ed essi cercano di eludere un compito riconosciuto estremamente difficile. Non dico questo del compagno Bordiga, ma nella sua frazione ci sono elementi del genere.
È l'impressione che scaturisce dal paragrafo 12 delle sue tesi, dove si scrive:
Il compagno Bordiga sostiene l'impossibilità tecnica e materiale di utilizzare il parlamento; ma bisognerebbe dimostrarla. Che nella Duma zarista noi ci trovassimo in condizioni migliori che i nostri compagni, oggi, alla Camera italiana, nessuno ha osato dirlo. Perché negare a priori che una azione rivoluzionaria in parlamento sia possibile? Provate, prima di negarlo; provocate degli scandali, fatevi arrestare, organizzate un processo politico in grande stile. Voi non avete fatto nulla di tutto ciò. Bisogna sviluppare sempre più questa tattica, e io sostengo che è possibile. Dei compagni francesi, come Lefebvre, dichiarano che nella Camera francese non si potrebbe mai pronunciare una frase rude contro Clémenceau. Ma nessuno ci si è provato. E per me, questa è paura bell'e buona. Si dice: è rischioso; nel campo della propaganda noi possiamo svolgere un lavoro puramente legale. Qui è il fondo della questione: siccome il terreno è pericoloso, non si vuole arrischiarcisi. Nel paragrafo 10 delle sue tesi il compagno Bordiga adduce il seguente argomento contro le elezioni:
Può darsi che in Italia sia così, ma voi dovete dimostrarci perché sia necessariamente logico. Se condividete l'opinione di Dittmann, e dite: La lotta elettorale è in contrasto con la causa dell'Internazionale, allora avete ragione. Ma il nostro punto di vista è che l'intera campagna elettorale dev'essere sviluppata secondo criteri rivoluzionari, e allora quel contrasto sparisce. Non v'è nulla di logicamente contraddittorio nel fatto che noi diciamo: Dobbiamo condurre l'intera lotta elettorale sotto parole d'ordine rigorosamente rivoluzionarie, per raggiungere gli ambienti in cui l'interesse politico non si è ancora svegliato, per raggruppare lavoratori in organizzazioni di massa e collegare l'uno all'altro i diversi aspetti della nostra attività. Questo, dite voi, significa uccidere ogni lavoro rivoluzionario. Se il compagno Bordiga ha potuto usare un simile linguaggio, è perché ha visto ben poco di una vera campagna elettorale rivoluzionaria, così come i compagni degli IWW non hanno mai conosciuto un parlamentarismo rivoluzionario. Perciò il compagno Bordiga fa simili affermazioni, che tuttavia avrebbe, almeno, il dovere di giustificare razionalmente. Comunque, secondo me, gli esempi empirici che suffragano la tesi del parlamentarismo rivoluzionario non mancano. Non li ripeto: i nomi sono noti; è l'attività di Liebknecht, di Hoeglund, dei compagni bulgari, di noi bolscevichi. Noi in Russia abbiamo avuto un parlamentarismo rivoluzionario nelle più diverse condizioni storiche: alla seconda Duma, nel Preparlamento di Kerenski, nella Costituente. Noi non abbiamo mai temuto di lavorare fianco a fianco coi borghesi, coi socialrivoluzionari o perfino coi cadetti, perché avevamo una decisa tattica rivoluzionaria, una chiara e netta linea politica. La questione cardinale è lì: è la questione del partito. Se avete un partito veramente comunista, non temerete mai di mandare uno dei vostri uomini nel parlamento borghese, perché egli agirà come un rivoluzionario ha il dovere di agire. Ma, se il vostro partito è un miscuglio in cui il 40 % è composto di opportunisti, è certo che questi elementi si intrufoleranno nei gruppi parlamentari, dove si trovano più a loro agio (non a caso sono quasi tutti dei parlamentari), e voi non potrete assolvere i vostri compiti di comunisti rivoluzionari in parlamento.
Ripeto: se i partiti affiliati all'IC sono dei veri partiti comunisti, che non ospitano nelle loro file dei riformisti e degli opportunisti; se questa selezione è già avvenuta; avremo la garanzia che il vecchio parlamentarismo ha cessato di esistere, cedendo il posto a un vero parlamentarismo rivoluzionario come metodo sicuro di abbattimento della borghesia, dell'intero apparato statale borghese, e del sistema capitalistico.
Ultima modifica 6.2.2004